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Angelo Gilardino

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  1. Penso che si tratti di uno dei molti scritti in cui un'analisi musicale superficialissima si sviluppa in assenza di una prospettiva storica. Non serve a nulla isolare passaggi tratti da diverse opere di Giuliani e constatarne l'identità, senza avere conoscenza della situazione storica, sociale, professionale, in cui il compositore operava. Scopriremo per questi "analisti" che, non singole transizioni secondarie, ma intere ouvertures vengono adoperate da Rossini per opere diverse? Che Bach ha preso a prestito da se stesso Preludi, Fughe, etc.? dralig
  2. Ho capito, grazie. La Sonatina-Lied (che poi non è mica tanto Sonatina, dura 20 minuti ed è una Sonata in piena regola) è ora nelle mani dei suoi committenti, il duo germanico Ahlert-Schwab. Ne daranno la prima esecuzione in autunno, dopodiché verrà pubblicata senza ulteriori attese. Suppongo che a fine anno sarà disponibile. Cordialità. dralig
  3. No, certo che no. Comporre richiede, tra le altre cose, molta pazienza. Sto cercando di ricordarmi la conversazione di Dolonne, e la persona con cui ho conversato, ma non riesco a mettere a fuoco nulla. Se vuole, può aiutarmi. Il fatto è che in quei giorni ero un po' impensierito per la Sonata per mandolino e chitarra, che avevo lasciata incompiuta venendo appunto a Dolonne, e che poi per fortuna ho felicemente terminato rientrando a casa. Nel frattempo, prendevo appunti mentali sugli strumenti a plettro consultando di continuo un'allieva del mio corso di composizione, che suona in un'orchestra a plettro. E' stata lei a istruirmi sulla mandola-tenore, altrimenti io avrei scritto per mandola-contralto, cioè trattando la mandola come una viola. Ho appreso là della differenza tra quartetto classico (due mandolini mandola contralto, mandoloncello) e quartetto romantico (due mandolini, mandola tenore, chitarra), e ovviamente ho optato per il secondo, un po' perché il mandoloncello mi riesce indigesto, un po' perché il suono più scuro e più elastico - grazie alla chitarra - del quartetto romantico è, al mio orecchio almeno, più interessante. Grazie per il pro memoria. dralig
  4. Mentre Lei recupera qualche mandolista, io vedrò di recuperare qualche idea per finire il pezzo. Le probabilità che il Suo recupero si concluda prima del mio sono molto elevate. dralig
  5. E' un quartetto "a plettro", le cui peculiarità sono: l'impiego della mandola tenore, che è accordata come il mandolino (sol re la mi) ma un'ottava sotto, e che quindi suona pressapoco nello stesso registro della chitarra, e che come la chitarra legge trasponendo all'ottava inferiore; il carattere, determinato in gran parte dalla sonorità degli strumenti a plettro - fatta di suoni brevi e dal timbro chiaro - che a sua volta influisce sullo stile della composizione: da un lato, un suono "liquido" e scorrevole, dall'altro una forte strutturazione, per evitare la forma a flusso, inadatta al quartetto. Dunque, il titolo "I castelli d'acqua", che può anche risultare poetico, ma che è attinente all'essenza del lavoro. Questo il progetto, in buona parte già realizzato. Speriamo in bene... dralig
  6. Li confonda pure, si tratta della stessa persona. Si chiamava Ivan Padovec. Nacque nel 1800 a Varadzin, in Croazia, dove morì nel 1873. Come altri maestri della chitarra in quell'epoca, era un violinista pentito. Si esibì nei paesi dell'impero austriaco, e anche in Inghilterra, fino al 1837, anno del suo rientro in patria. Colpito da cecità, fu obbligato a rinunciare ai concerti, ma rimase entusiasticamente attivo come didatta e animatore della vita musicale croata, anche oltre la cerchia chitarristica. Suonava la chitarra decacorde, come J.K. Mertz. Scrisse brani di musica da camera, pezzi per chitarra e liriche con accompagnamento strumentale. La mia conoscenza della sua musica è limitata a una raccolta pubblicata in Croazia da Stanko Prek-Mirko Orlic. Non mi sembrano pezzi di sostanza, ma certo sono ben scritti e di ottimo effetto. So che il maestro Alessandro Boris Amisich di Padova, che si dedica in particolare alla musica meitteleuropea, ha familiarità con la musica di questo compositore e la esegue regolarmente. dralig
  7. Ciao Angelo. Non posso non concordare in pieno con quello che dici. Del resto ancora oggi il suo primato è così presente che si parla ancora, forse in maniera inconsapevolmente caricaturale, di eredi di Segovia! ----------------------------------------------------------------------------------- AG (la funzione "quote" ha misteriosamente cessato di...funzionare, e quindi spezzo il tuo messaggio, caro Lucio, con linee tratteggiate). L'unico erede di Andrés Segovia è stato ed è suo figlio ultimogenito, Carlos Andrés. Sul comportamento dei cosiddetti "eredi" segoviani nei confronti del loro maestro, ho dovuto mio malgrado rendermi edotto in anni recenti, e tutto quello che posso fare al riguardo è stendere un velo pietoso di silenzio: la miseria umana davvero può essere trascesa solo dalla misericordia del Padreterno. ------------------------------------------------------------------------------------ Per quello che mi riguarda ho già dimostrato la mia predilezione per Giuliani dedicandogli un intero CD. Soprattutto per il Giuliani delle forme brevi (op.50, 51 o 111) o dei cicli di variazioni non complesse (op.2 fino alla 147) che trovo di una pulizia formale, unita ad una semplicità espositiva, davvero ragguardevoli. ---------------------------------------------------------------------------------- PS: e poi Giuliani ha qualcosa in comune con un suo "collega" contemporaneo le cui musiche mi attirano molto: ambedue non hanno scritto brani con la 6a in re ----------------------------------------------------------------------------------- AG Temo di doverti smentire: il "collega" (che al momento non lamenta "contrarietà salutatoriali" e ha un editore un po' più leale del farisaico Domenico Artaria) ha scritto nel 2005 un pezzo con la sesta in re (!A Quiet Song"), un pezzo con l'accordatura russa (re-sol-re-sol-si-re) e, vista la magnifica accoglienza riservata a quest'ultimo brano, nel mese di maggio del corrente 2006 ha addirittura composto un Concerto per chitarra russa eptacorde (re-sol-si-re-sol-si-re) e orchestra. Pentito, il traditore della Santa Alleanza con Giuliani sta attualmente componendo un Quartetto per due mandolini, mandola tenore e chitarra, quest'ultima giulianamente rinsavita nell'accordatura classica. dralig
  8. Il numero 5... "la bachianas".. (non.. scherzo...) m Concordo. Mentre è possibile - da parte di esecutori molto abili - raggiungere la perfezione in tutti gli altri studi, suonare lo Studio n. 5 con la differenziazione dei tre piani sonori è praticamente impossibile, e quindi anche la miglior esecuzione è tendenziale, non esaustiva. dralig
  9. Una premessa: le testimonianze che hai portato sono preziose. La storia della musica - e della chitarra - non è fatta solamente di opere, ma anche di idee. Capire quali siano state le idee dominanti in una determinata epoca è molto importante per rendersi conto della realtà contemporanea. L'idea segoviana della chitarra ha dominato il Novecento con una forza tale da sommergere qualunque altra idea: basti pensare alla resa incondizionata che, rispetto all'estetica di Segovia, si manifestò da parte dei chitarristi italiani, pronti a lasciar da parte il loro repertorio per accodarsi a quello del maestro; capaci di dimenticare figure come Mozzani, Terzi, de Rogatis, di ignorare non soltanto Giuliani, Carulli, Paganini e Legnani, ma anche la nuova musica italiana che nel frattempo andava nascendo, di non accorgersi che si profilava la disponibilità di autori come Ghedini e Malipiero, per sdilinquirsi nel Valzer di Ponce, croce e delizia di tutti i chigianisti, convinti che quello fosse il culmine del nuovo repertorio... Hanno imparato, da allora, i chitarristi a leggere il repertorio? Io dico di no. Coloro che sono capaci di condurre un'esplorazione della musica esistente, di leggerla con un criterio prospettico, di rendersi conto dei valori, di discriminare, di separare l'eccellente dal mediocre, lo straordinario dal qualsiasi, l'autentico dal fasullo, sono tuttora un'esigua minoranza rispetto al chitarrume che mette sul leggio qualunque cosa. E un'ammissione la devo fare: io, che passavo per eretico intransigente quando, negli anni Sessanta e Settanta, protestavo per la pochezza musicale di certo repertorio segoviano (i "Castillos de Espana" dello slombato Moreno-Torroba, la pedestre "English Suite" nel neo-promosso Jack Duarte, peraltro capace di cose assai migliori, etc.) devo riconoscere che, rispetto alle nefandezze suonate oggi dalla maggioranza dei chitarristi, quel repertorio era sublime. Fa pena vedere oggi le graduatorie dei "migliori pezzi per chitarra" ricorrenti nei forum, infarcite di orrendi polpettoni in cui è evidente - agli occhi di chi abbia una minima nozione del comporre musica - il più volgare dilettantismo... Secondo me non è stata posta alcuna enfasi sulla musica di Giuliani da parte degli interpreti. Sono relativamente poche, rispetto al lascito del compositore, le opere regolarmente suonate nei recital e nei concerti e incise nei dischi, e molte delle opere migliori sono quasi ignorate. David Starobin ha iniziato una ricerca interpretativa molto perspicace e rivelatrice. Se consideriamo lo stato dell'arte in campo pianistico, cioè la percentuale di musica eseguita dai pianisti rispetto al loro repertorio, dobbiamo riconoscere che i chitarristi sono in ritardo di mezzo secolo. Giustissima, secondo me, la tua osservazione riguardo il fatto che Giuliani dà il meglio di sé nella musica da camera e nei concerti. Lo stesso dicasi di Ferdinando Carulli. Dobbiamo stare attenti, nel valutare l'opera di questi maestri, e saper distinguere le composizioni in cui essi hanno davvero versato il loro talento e la loro ispirazione, da quelle scritte per rispondere alle esigenze degli editori, che chiedevano musica di consumo per i dilettanti. E' evidente, in Giuliani e in Carulli, questa arrendevolezza, e sarebbe un errore inchiodarli al loro livello minimo. Anche Beethoven ha scritto musica per gli editori, e nessuno appunta il giudizio critico sulla sua opera basandosi su quei lavoretti d'occasione. dralig
  10. Ciao Piero, Domingo Prat - grande sostenitore di Sor - riporta con sdegno un'intervista in cui Segovia qualificava Sor "flojito" - cioè deboluccio -, e quanto alla somiglianza di alcune sue opere con quelle di Beethoven giovane, sono certo di trovarti d'accordo con me nel prendere l'affermazione di Segovia come un complimento generoso. La tecnica compositiva di Sor non ha nulla da invidiare a quella di Giuliani. Costruiscono in modo diverso, Sor a partire dal basso, cioè alla maniera antica, concezione nella quale i profili melodici - anche se netti e accattivanti - sono concepiti come fioriture e ornamentazioni; mentre Giuliani mette primariamente a fuoco una linea melodica, e attorno a quello costruisce le armonie (avvicinandosi già al romanticismo). Inoltre - e non secondariamente - Sor tende a enunciare le unità (mezza frase, frase, periodo, etc.) nell'ambito della stessa posizione della mano sinistra, che è disposto a cambiare solo quando non è possibile concludere tale unità a mano ferma, mentre Giuliani estende le unità melodico-armoniche lungo tutta la tastiera, mascherando il cambio di posizione con le corde a vuoto. Anche in questo aspetto, Giuliani sembra più "moderno" di Sor, che fondamentalmente mantiene la scrittura chitarristica nel quadro già tracciato - quando lui inizia a comporre - dai maestri della scuola viennese (Diabelli, Matiegka, Molitor). dralig
  11. Purtroppo, invece abbiamo segni espliciti e incontrovertibili della sua chiusura nei confronti della musica italiana per chitarra dell'Ottocento. Di uno dei lavori più importanti del primo Ottocento - la Grande Sonata per chitarra sola con accompagnamento di violino ad libitum - egli scrisse a Ponce che era insuonabile (per la sua qualità scadente) e indusse il compositore messicano (che di Ottocento italiano non sapeva assolutamente nulla) a tentarne un rifacimento, tradottosi poi - quello si - in un immondo pastiche. Segovia aveva operato una sintesi tra Tarrega e Aguado, e ovviamente non gli riusciva spontaneo applicare la sua maestria alle pagine degli autori italiani, che tra l'altro gli rimasero per lo più sconosciuti. Non credo che si sia comportato in modo contradditorio respingendo le pagine degli autori italiani ottocenteschi: il suo non era da intendere come un giudizio critico sulla qualità della musica, ma come l'espressione di un disagio che egli avvertiva di fronte a pagine improntate a un tipo di virtuosità che non rientrava nel suo lessico e nella sua arte. Del resto, fu sempre in base a un criterio di affinità che egli giudicò il repertorio di tutte le epoche, non soltanto dell'Ottocento. dralig
  12. Incominciamo da Segovia. Giuliani lo conosceva pochissimo, poco e niente, e soltanto attraverso edizioni manipolate. Nella sua biblioteca, gli unici testi di Giuliani attendibili arrivarono quando lui era già in tarda età, con problemi di vista e pochissimo tempo per leggere e studiare: erano le edizioni Suvini-Zerboni curate dal suo ex-allievo Ruggero Chiesa. L'unico pezzo di Giuliani che giunse intatto o quasi nelle mani di Segovia prima delle edizioni di Chiesa fu la Sonata op. 15, della quale incise in disco il primo tempo. Quindi, parlando di Giuliani, lascerei da parte i giudizi di Segovia (del resto, molto elastici: talvolta lo elogia). Confermo quello che ho detto riguardo l'assoluta padronanza della forma musicale da parte di Giuliani. I "lunghi passaggi arpeggiati" presenti nelle "Rossianiane" sono in realtà delle transizioni modulanti che egli costruisce per collegare due zone armonicamente diverse: finito di parafrasare un tema di Rossini, non può entrare ex-abrupto in un altro tema, collocato in tonalità differente, e con un carattere diverso dal precedente: deve creare una zona intermedia, e le armonie arpeggiate sono la risorsa migliore, perché gli arpeggi svolgono il collegamento armonico in modo a-tematico, cioè senza introdurre alcun nuovo elemento fortemente strutturato prima del nuovo tema. Che siano "piacevoli da ascoltare" è un pregio in più, ma non è il più importante, perché hanno prima di tutto una funzione formale molto precisa. E, ovviamente, anche una funzione retorica: a queste transizioni ricorrono puntualmente tutti i maestri dell'epoca, compreso - per rimanere vicini al milieu culturale di Giuliani - Beethoven. Che Sor non ricorra a transizioni del genere, non è per niente vero. Lo fa, anzi, in situazioni in cui il diversivo non risponde a una vera necessità e non svolge alcuna funzione al di là del proprio valore decorativo. Non che questo sia un demerito, ma se vogliamo parlare stando ai fatti, queste sono le evidenze. dralig
  13. Entrambi fecero uso della chitarra in modo corrispondente alle rispettive concezioni e finalità: in Giuliani ha molto più peso che in Sor l'elemento melodico - con le conseguente implicazioni armoniche - mentre in Sor ha maggior rilievo l'elemento polifonico. Non per nulla si era formato come fanciullo cantore nel monastero di Montserrat...Nei rispettivi ambiti, si mossero entrambi con grande autorità: quale che sia il giudizio di valore che oggi si vuol dare della loro musica, non è possibile disconoscerne la perfezione in ogni aspetto. Non c'è mai, nei loro pezzi, una nota fuori posto, né dal punto di vista compositivo né dal punto di vista della proprietà idiomatica e del rendimento sonoro. Due maestri. dralig
  14. Angelo Gilardino

    Finale

    Lavoro con Finale dal 1995, ma un caso del genere non l'avevo mai visto! Finale salva automaticamente i files in una cartella apposita, quindi - a meno che Lei non abbia de-selezionato l'opzione di salvataggio automatico - troverà una serie di files della Sua partitura da qualche parte nel Suo pc. Trova il comando in Program Options - Save. L'opzione è spuntata di default e salva automaticamente il lavoro ogni 15 minuti. Si può deselezionarla - se lo si fa, si è chiaramente pazzi autolesionisti - e modificare i tempi del salvataggio automatico. dralig
  15. Voi "poveri chitarristi" non ve la passate così male... dralig
  16. "En los trigales" è il secondo pezzo per chitarra sola di Joaquin Rodrigo (in ordine cronologico). Fu scritto nel 1938, un anno prima del "Concierto de Aranjuez", dodici anni dopo la "Zarabanda lejana" con la quale il compositore aveva preso contatto con la chitarra. Il titolo significa: "Nei campi di grano" (trigo=grano). Nel 1956, fu dedicato a Narciso Yepes e incorporato nel trittico "Por los campos de Espana", insieme ad altri due brani scritti successivamente: "Bajando de la meseta" (1954) ed "Entre olivares" (1956). Nel 1938, l'influenza francese era ancora molto forte nella musica del compositore, e il brano "En los trigales" è evidentemente influenzato da Debussy (ascoltare, dai "Préludes" per pianoforte, "Minstrels" e "La sérénade interrompue"). Questo non significa che Rodrigo non mettesse in campo uno stile proprio, e fu precisamente in quegli anni che egli si manifestò come forte rappresentante del neocasticismo, ossia di una tendenza musicale nazionalista che, in Spagna, si rifaceva alla cultura e alla tradizione della Castiglia, e non a quella andalusa. dralig
  17. Reza, exactly one message before your own above reported, there is a message of mine where I explain with leaving no doubt that I do not consider you as a responsible of the crime. dralig
  18. E perché mai? Non sono mica un torero. dralig
  19. Permette una piccola osservazione? Si può dire qualcosa contro l'opera, non contro il compositore. Offerta ai lettori, attraverso la pubblicazione, è la musica, non chi l'ha scritta. Su questo punto - non me ne voglia - sono piuttosto ipersensibile e alquanto intransigente: compongo e pubblico musica, e solo quella espongo al giudizio altrui (del quale, a mia volta, mi riservo di essere giudice): nient'altro. Sono certo di trovarLa d'accordo. dralig
  20. A chi è destinato a occupare il posto unico centrale nell'arena non occorre il biglietto. Entra ed esce passando per un'altra porta. dralig Mi sfugge il senso della risposta, mi spiega cosa vuol dire, per favore? Butterfly Prima, per favore, spieghi Lei ai lettori che cosa vuol dire la Sua domanda. dralig
  21. Delle Canciones esistono parecchie registrazioni, e purtroppo quella della Argentinita con Lorca al pianoforte contiene soltanto alcuni brani della collezione. Come pianista, Lorca lasciava molto a desiderare - del resto, non aveva tempo di esercitarsi, preso com'era con il teatro. La Argentinita aveva un temperamento straordinario, pieno di "duende" ma anche di eleganza e raffinatezza, e aveva una voce da canzonettista, non da cantante di musica da camera. Era una donna travolgente, e difatti travolse il famoso torero Ignacio Sanchez Mejias, che abbandonò la moglie per unirsi a lei. Quando, sedotto dalla giornalista francese Marcelle Auclair, scappò con la medesima a Parigi, resistette poco tempo: aveva paura che la Argentinita lo raggiungesse per ammazzarlo, e probabilmente l'avrebbe fatto se, nel ritornare in Spagna, Ignacio non avesse - con un gesto chiaramente suicida - deciso di tentare una corrida - attività che aveva nel frattempo lasciato da parte - affrontando a Manzanares tori giganteschi. Fu infatti ucciso. Mentre agonizzava, Lorca - suo amico intimo - incominciò a scrivere quello che sarebbe diventato il suo poema più famoso: "Llanto por la muerte de Ignacio Sanchez Mejias". Ignacio non era solamente un torero audacissimo e di grandi doti stilistiche, ma anche un letterato, un autore di teatro, un patrono delle arti. Fu nella sua casa vicino Sevilla che si radunarono i giovani poeti che avrebbero dato vita alla "generacion del '27". Bei tempi... dralig
  22. che gaffe terrificante.... Butterfly Nessuna gaffe. Forse si può parlare bonariamente di gaffe nel caso contrario, quando si dà per morta una persona viva e vegeta. Anni fa, appresi da una mailing list chitarristica di essere passato a miglior vita. Risposi prendendo a prestito le parole spese da Mark Twain nella stessa situazione, e scrissi un messaggio con le seguenti parole: trovo la notizia della mia morte francamente esagerata. dralig
  23. Grazie M.° Gilardino, proverò a contattare il M.° Tonazzi. Ma i diritti d'autore si riferiscono a lui o a Lorca (dovrei conoscerla bene questa normativa, che vergogna...) Butterfly Bruno Tonazzi non è più in questo mondo. I diritti relativi alla sua versione per chitarra della Nana sevillana non hanno nessuna relazione con quelli della versione di F.G. Lorca: Tonazzi ha creato un'armonia sua e un assetto strumentale proprio. Inoltre, se ben ho conosciuto Bruno, dubito assai che egli abbia depositato il suo pezzo alla Siae, e quindi suppongo che sia da considerare come di pubblico dominio. dralig
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