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Piero Bonaguri

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  1. Pardon: Mario Barbieri, quello che ha scritto: "La Serra".
  2. Vorrei aggiungere una osservazione, con un esempio per spiegarmi meglio. L'osservazione è questa: tanti chitarristi, nel momento di intraprendere una attività concertistica diciamo così "tradizionale", mi paiono oggi poco consapevoli di quella pluralità di concezioni sottese allo scrivere, interpretare ed ascoltare di cui scrive Angelo Gilardino. Spesso pensano ad un "programma tipo" per un "contenitore tipo" che è ancora il recital, tutto sommato di stampo ottocentesco anche se si è perpetuato e sembra ancora essere l'unico contenitore utilizzabile. Quella idea rituale di recital però nasceva in un mondo in cui tutto sommato una idealità comune nel pensare alla musica ed alla sua funzione era ancora presente, pur con tutte le differenze interne, certo molto più rispetto alla babele di oggi. Così che il prodotto "tipo" testimoniato da tanti programmi da concerto rischia oggi di essere talmente generico e formalmente ritualistico da risultare insignificante, nonostante le buone intenzioni ed anche le oggettive abilità, talvolta notevolisime, messe in campo. Al massimo si fa strada oggi la distinzione tra un generico recital "culturale" ed un generico recital "disimpegnato". E credo sbaglino i direttori artistici, anche dei festival di chitarra, ad insistere nel non dirigere artisticamente (cioè nel non rischiare su concezioni e progetti precisi) ma nel perpetuare questa genericità, in favore (o a danno) di un pubblico che viene anch'esso, tentativamente, appiattito in una genericità. E' possibile tentare qualcosa di diverso? Un piccolo esempio, per spiegarmi: Qualche giorno fa ho proposto il programma che copio qui sotto nell'ambito della presentazione del volume su Romolo Ferrari. Nel presentare i pezzi ho detto che avevo fatto le mie scelte cercando di illustrare le aperture culturali di alcuni chitarristi di quella epoca e che io condivido; aperture che si erano espresse nel cercare la collaborazione con compositori importanti di quella epoca (Ghedini, Malipiero, Desderi, Barbieri, Ferrari - Trecate), nel valorizzare il repertorio liutistico riscoperto recentemente da Chilesotti ed altri (Caroso) e ottocentesco (Paganini), nell'indire addirittura un concorso internazionale di composizione (vinto da Breguet). Poi facevo notare la differenza di posizione, interna ai compositori presentati, rispetto al rapporto con la tradizione: il misterioso nesso di attrazione, ma già amaramente consapevole di una frattura, che vediamo in Malipiero e Ghedini, una certa prosecuzione "ingenua" del romanticismo che vediamo in Barbieri e Desderi, un atteggiamento più scanzonato e attento alla resa concertistica sicura che si può vedere in Castelnuovo- Tedesco e Ferari - Trecate. Concludevo con un pezzo nuovissimo (il commosso pezzo di Cappelli scritto per commemorare l'amico Maurizio Biasini) a testimonianza di una continuità nel tentativo di coinvolgere compositori importanti nella scrittura chitarristica, ed invitavo tutto il pubblico, a partire da alcuni giovani chitarristi presenti in sala, a prendere posizione a sua volta di fronte a tanti diversi modi di fare musica. L'ambiente era adatto, un auditorium raccolto, nel contesto di una giornata di studi; nel bene o nel male (giudicherà chi c'era) il tentativo era di offrire un momento di ascolto non generico ma che, dando le ragioni delle scelte, aiutasse ciascuno ad un approfondimento personale. Copio il programma; avevo raggruppato i pezzi per favorire la consapevolezza degli accostamenti proposti: Jacques Brèguèt: Intrada Fabritio Caroso: Aria e Danza (trascr. Bruno Tonazzi) Niccolò Paganini: Romanza e Sonata 37 Antonio Barbieri: Due Preludi Gian Francesco Malipiero: Preludio Luigi Ferrari - Trecate: Scherzo Giorgio Federico Ghedini: Studio da Concerto Ettore Desderi: Improvviso Mario Castelnuovo - Tedesco: Tarantella Gilberto Cappelli: Per Maurizio (2009 Forse è il momento di ritornare (lo diceva il celebre critico d'arte Longhi?) alla "committenza": persone precise che fanno richieste precise agli artisti. (O musicisti che offrono proposte precise ad interlocutori con esigenze precise ed identificate).
  3. Questa sembra essere una delle poche cose certe (non laurea però, ma titolo equipollente nella valutazione nei pubblici concorsi). Si sente parlare ora di accorpamenti di istituti (con i numeri che ho fornito prima non sembra una ipotesi peregrina) col simpatico nome di Politecnici delle arti. o qualcosa del genere...
  4. Avevo detto che mi sarei informato sulla situazione della Emilia Romagna e dopo l'incontro di Reggio Emilia (13 febbraio) tra i docenti di chitarra di conservatori ed istituti pareggiati della Regione posso dare questi dati: classi di chitarra: 16; totale allievi di biennio e triennio nei dieci Conservatori ed Istituti Musicali pareggiati della regione Emilia - Romagna:27. (media di 2, 7 per istituto). Mi sembrano dati abbastanza significativi, a dieci anni dalla riforma... Il totale degli allievi di chitarra nei suddetti istituti è invece di circa 200, senza contare gli alunni dei corsi propedeutici.
  5. Pensando a come si è svolta la carriera di Segovia mi sembra difficile, per tante ragioni (immagine, partner, repertorio) immaginare una sua attività pubblica in duo di chitarra. Purtroppo non conosco incisioni del Divertimento. E' uno dei tre Daily Studies pubblicati da Schott (gli altri sono i solistici Rimembranza e Oraciòn); io l'ho suonato diverse volte in concerto, una volta anche con Oscar Ghiglia, ma non l'ho mai registrato (a parte il video amatoriale del concerto con Ghiglia).
  6. Ha scritto un Divertimento per due chitarre, tra l'altro molto carino, dedicato credo a Bobri e pubblicato da Schott. Magari con Bobri lo avrà anche suonato... Una curiosità riguardo a questo pezzo; ad un certo punto cita un tema popolare, mi pare finlandese - questo fatto l'ho scoperto leggendo le canzoni popolari di diversi paesi arrangiate da Segovia e pubblicate postume da Bérben.
  7. Mi unisco pubblicamente alle condoglianze. Se le esequie si svolgeranno in forma pubblica, prego chi fosse a conoscenza di informazioni utili di farlo sapere. Spero anche in qualche prossima iniziativa che permetta a tutti di conoscere meglio l'opera di Mario Gangi. Magari ne riparliamo tra qualche giorno, ad ogni cosa il suo tempo. Grazie.
  8. Segovia optò per un ribattuto del do diesis (secondo dei due problemi segnalati). Per coerenza mi pare che si potrebbe ribattere anche il mi
  9. Chiedo un piacere se possibile: qualcuno ha sottomano e potrebbe postare il programma del recital di debutto a Parigi di Segovia (aprile 1924)? Grazie per la cortesia, PB
  10. E' Filippo Michelangeli chitarrista, docente, editore di musica edischi e direttore artistico del Convegno di Alessandria. Per come lo conosco, credo che il suo intento non sia solo provocatorio. Gli esempi chitarristici che cita non fanno parte della musica brutta o volgarmente semplice e basta: si parla di Albeniz, di Francisco Tàrrega e della melodia russo - spagnola divenuta celebre come "Giochi proibiti" e si fa notare, citando tali esempi, che la chitarra, per storia, non è estranea (o è più vicina del pianoforte) ad un repertorio legato anche alla musica popolare - avrebbe anche potuto citare Villa - Lobos e Barrios, o le canzoni catalane di Llobet o gli arrangiamenti memorabili di Alirio Diaz - di linguaggio più raffinato ma non estranei ad un nesso con la musica popolare. Certo i successi pianistici che cita non sono il mio ideale di musica; ma qualche amico, non musicista ma saggio, quando parlo di queste cose dice "ve la siete voluta, vi sta bene: è quarant'anni che rompete le scatole con musica incomprensibile". Io, che negli anni settanta studiavo, un certo tipo di puzza sotto il naso rispetto a qualcuno di questi fenomeni (Asturias, Barrios, Diaz) lo ricordo molto bene. Questa osservazione non è lontana da quelle che faceva qui Angelo Gilardino non molto tempo fa quando diceva (forse unisco due citazioni da messaggi diversi) che è inutile scandalizzarsi per Allevi se si scrive musica contemporanea che non si pone minimamente il problema di cosa arriva all'orecchio del povero ascoltatore. E in Italia di musica così, che non si pone questo problema, se ne scrive e si insegna a scriverne ancora tanta. Io accoglierei la "provocazione" di Michelangeli, se così vogliamo chiamarla, come un invito a riscoprire questo nesso tra chi scrive suona e ascolta, anche se non è laureato in estetica; sia per chi scrive come per chi suona. Credo profondamente che abbiamo bisogno di modi di scrivere ed interpretare che comunichino, a qualunque livello di complessità o di scelte di linguaggio vogliano aderire.
  11. Caro Frédéric, sulla serietà ed i risultati del tuo lavoro didattico non ho dubbi - e non credo sia possibile averne conoscendoti. E' vero che la 508 sancisce il passaggio al nuovo ordinamento, ma allora tale (sciagurato a mio avviso) passaggio almeno andrebbe fatto fino in fondo; finché non diventano ordinamentali anche i bienni (e non credo sia un caso che ciò non avvenga, anzi...) credo che legalmente abbia un certo senso appellarsi contro l'abolizione, per ora, del vecchio ordinamento. Si toglierebbe l'ordinamento esistente per dare in cambio solo la metà (bassa) del nuovo... Una bella presa in giro, direi... Inoltre in questi anni di sperimentazione in realtà si è potuto sperimentare ben poco rispetto alla griglia ministeriale delle discipline (i contenuti, quelli sì che si sono scavalcati agevolmente, arrivando a qualche conservatorio dove si diventa dottori in strumento senza suonare). Quindi è stato proprio il nuovo sistema che, senza controllo se non sulla formalità della griglia di materie e crediti - per paura che poi il Ministero non riconoscesse la validità dei titoli - non ha permesso sperimentazioni reali, permettendo in cambio a chi voleva fare il furbo di presentare piani di studio formalmente "allineati" e contenutisticamente vuoti. E' col nuovo sistema che ci si può arrampicare sugli specchi (in qualche conservatorio almeno) laureandosi senza suonare, prima era un po' impossibile. E il titolo preso vale gli stessi punti, ovunque. Il mio collega che vuole andar via (non insegna chitarra) insegna a Milano, uno dei conservatori paladini del nuovo sistema che già anni fa imponeva - in barba alla legge - agli allievi interni di virare verso il nuovo ordinamento, allora totalmente sperimentale...
  12. La riforma parla anche di livelli superiori al 3 più 2. Non so se da qualche parte in Italia esistano già, per ora sono sperimentali anche i bienni... Sempre come curiosità, a Bologna su tre classi piene di chitarra io ho un solo allievo di triennio, e forse qualcun altro uno dei due colleghi, il terzo collega nessuno. C'è stato anche qualcuno che ha provato a tornare indietro (al corso vecchio) dopo aver provato il triennio (non è possibile, bisogna uscire dal conservatorio e rifare l'esame di ammissione al vecchio corso). Questo a più di dieci anni dalla entrata in vigore della legge... Al prossimo convegno di Reggio Emilia del 13 febbraio verificherò la situazione negli altri conservatori ed istituti pareggiati (credo che a Rimini e Cesena siano messi più o meno come a Bologna: fallimento pressoché totale della riforma).
  13. Tra l'altro la legge di riforma parla di trienni e bienni. Credo che finché i bienni non diventano anch'essi ordinamentali il nuovo ordinamento non possa dirsi realizzato. Sopprimere il vecchio ordinamento finché il nuovo non esiste ancora mi sembra abbastanza attaccabile legalmente, oltre che evidentemente dannoso. A titolo di curiosità, nel conservatorio di Bologna su tre classi di chitarra non c'è nessun iscritto al biennio sperimentale, e di violinisti ce n'è uno solo (le classi di violino sono ben più di tre).
  14. Ciao Frédéric. In teoria potrei essere d'accordo sul fatto che una istituzione non accetti privatisti (a parte che allora la cosa si dovrebbe estendere, sempre con gradualità, a tutte le scuole di ogni ordine e grado, cosa che in Italia non succede. E se ci sono eccezioni, credo che una scuola atipica come il conservatorio possa benissimo rientrarci). Poi c'è il fatto che i nuovi ordinamenti non sono ancora totalmente a regime, e che comunque mi sembrerebbe logico prevedere, come per gli allievi interni, un graduale (e chiaro per tutti anche nella tempistica) passaggio dal vecchio sistema al nuovo. Mi sembra ingiusto chiedere ad un allievo che sia arrivato al livello di sesto anno, ad esempio, di iscriversi per forza in conservatorio (anzi, provare ad iscriversi perché c'è il numero chiuso) pena dover rinunciare al titolo. C'è anche il problema, che mi sembra reale, di tanta gente che lavora preparando allievi e che, se non possono dare più esami da privatisti, dovrà ripensare drasticamente il proprio lavoro. Non credo che queste cose si possano fare in un attimo. Su cosa succede o succederà con la riforma sono possibili ovviamente giudizi diversi; secondo me in Italia le cose stanno andando abbastanza male, e per quanto ho visto andando in giro fuori (ho parlato con colleghi in diversi paesi) anche dove le cose funzionano molto meglio che da noi il problema dell'artigianato è sentito. Quanto a noi...ho un allievo di triennio che mi confessa candidamente di non avere semplicemente il tempo per studiare lo strumento, dovendo frullare in continuazione da un corso all'altro, e non credo sia un caso isolato. Come già qualcuno qui diceva (io sono fra questi), se si abolisse il valore legale del titolo di studio (e contasse, per trovare lavoro, solo dimostrare quel che si sa e si sa fare) tutte le scuole, conservatori compresi, diventerebbero più o meno appetibili in base alla preparazione che sanno dare, non per un pezzo di carta di ugual valore ovunque e comunque lo si sia preso. Questo sì, rimetterebbe in gioco tutti, ma per un motivo secondo me condivisibile.
  15. Non voglio rubare la risposta a Lucio naturalmente. A me pare che finché la legge lo consente nessun conservatorio dovrebbe permettersi di non fare sostenere gli esami ai privatisti, autonomia o meno. Poi, certamente qualche conservatorio ha avuto una tendenza a precorrere i tempi di attuazione della riforma (anche perché le cose stanno andando lentissimamente) forse per fregiarsi, in anticipo rispetto ad altri, della immagine di scuola universitaria a tutti gli effetti. Questo però forse è successo soprattutto un po' di anni fa, quando ancora non ci si era resi conto di che razza di fregatura fosse questa riforma, almeno per come viene applicata da noi: non si sa bene a cosa porterà, tranne ad una perdita dell'artigianato. E qualche collega, in qualcuno di quei conservatori, non vede l'ora di andarsene per potere fare, fuori, quello che non si può più fare dentro: insegnare decentemente l'artigianato musicale. Per quanto mi riguarda finché potrò svolgere i programmi del vecchio ordinamento garantisco che in conservatorio si può imparare qualcosa, dopo non so. Un amico docente di composizione mi diceva proprio ieri che gli è stato affidato un allievo per un corso di composizione da tenersi in cinque ore. Sarà un esempio limite, ma la tendenza a sostituire l'artigianato con l'infarinatura è galoppante. Tornando ai privatisti, anche secondo me il consiglio più pratico è dare l'esame dove lo fanno dare senza fare storie. Imbarcarsi in ricorsi contro i conservatori che creano problemi è una strada lunga e scomoda.
  16. Qui è più difficile dare suggerimenti dall'esterno - se non quello, generale, di leggere attentamente i testi letterari proposti (l'ideale sarebbe potere eventualmente scegliere tra quelli o magari fare controproposte), immedesimarsi con essi e cercare corrispondenze di repertorio musicale. Occorre anche tenere presente che, facendo paragoni con i grandi della letteratura romantica, i compositori che hanno scritto musica per chitarra possono rivelarsi poco adatti, sia per lo spessore oggettivo della loro musica rispetto alla grande musica dell'epoca, sia per il contesto salottiero per il quale tante opere chitarristiche sono concepite. Forse alcune cose di Sor (ad esempio gli Studi 5, 17, 19 della numerazione Segovia) possono a mio parere fornire un buon sottofondo a certe letture, mentre gli stessi brani risulterebbero più deboli in caso di esecuzione alternata alla lettura di un capolavoro letterario. Resta felicissima invece, per varie ragioni, la scelta dello strumento chitarra per quel genere di spettacoli che abbinano lettura e musica. In caso serva una alternanza lettura- musica e non un sottofondo forse una buona trascrizione può essere più adatta allo scopo rispetto ad un pezzo originale per chitarra (ad esempio, alcuni piccoli pezzi di Schumann trascritti da Tàrrega e Segovia potrebbero essere utili allo scopo)
  17. Scusa Giorgio per la doppia citazione, avevo perso il tuo messaggio... E dimenticavo "Suoni Notturni" di Petrassi, dedicato se non erro al famoso pittore informale Afro Basaldella
  18. Scusa Giorgio per la doppia citazione, avevo perso il tuo messaggio...
  19. Le prime cose che mi vengono in mente, limitandomi al repertorio solistico, sono: "Platero y Yo" di Castelnuovo - Tedesco (alcuni pezzi della raccolta sono eseguibili in versione solistica). "El Polifemo de Oro" di Smith - Brindle ispirato ad un indovinello di Garcìa Lorca. "Cerco un Paese Innocente. Frammenti da Ungaretti" di Gilberto Cappelli. Per voce recitante e chitarra, come "Platero", ma anche in questo caso è possibile una esecuzione solistica. "La Città Capovolta" di Adriano Guarnieri, su testi di Serenella Accorsi. Stesso organico e possibilità. "Una Storia Incredibile" di Roberto Tagliamacco, ed. Ut Orpheus, ispirato ad un racconto di Lorenzo Gazzoni. "Le Stagioni" di Paolo Ugoletti, ispirate a quadri di un pittore contemporaneo di cui ora non ricordo il nome. L'associazione Novurgia propone il ciclo "Immaginare la musica" proprio dedicato a composizioni nuove ispirate da quadri, visibili sul loro sito, novurgia.it . Tra questi si possono vedere alcune sorprendenti opere pittoriche di Gilberto Cappelli, che - dice lui per hobby - è anche pittore. Il nesso della sua musica con i suoi quadri è evidente. Alcuni pezzi scritti per "Immaginare la musica" sono per chitarra, e ne darò la prima esecuzione a Bergamo il 27 marzo nel primo concerto del ciclo.
  20. C'è un aspetto acustico interessante, tra i tanti, che mi fece notare un amico certo più esperto di me in materia: quando noi ci ascoltiamo suonare il suono che sentiamo è diverso da quello che sentono gli altri anche perché, tenendo a contatto la chitarra col nostro corpo, il nostro orecchio percepisce "dall'interno" le vibrazioni trasmesse dallo strumento al nostro corpo, in un modo diverso da quello di un ascoltatore esterno. Ad esempio - diceva il mio amico - il nostro suono può apparire a noi più corposo di quello che sente un ascoltatore posto di fronte a noi. In questo senso ascoltarci attraverso una registrazione fedele (e qui entrano in gioco le conoscenze che permettono di settare le apparecchiature in modo da ottenere un risultato il più possibile simile a quello che sente un ascoltatore di fronte a noi) può aiutarci ad avere una idea più precisa di quello che è il nostro suono percepito dagli ascoltatori. Certamente, al di là di questo aspetto, potermi registrare con regolarità trovo sia molto utile per me; può darsi che altri abbiano meno bisogno di questo essendo più capaci, in partenza, di un ascolto "oggettivo" di sé, del proprio suono e fraseggio; a me ha aiutato moltissimo regsitrarmi, e se ne è accorto anche qualche mio ascoltatore abituale...
  21. Naturlmente concordo con Ermanno Brignolo sulla importanza di un accurato settaggio del mixer da parte di un tecnico; sarebbe anche utile avere in quella fase una persona di fiducia in sala - oppure, fare suonare la chitarra a qualcun altro e andare a sentire in sala cosa viene fuori. Invece ho una domanda; capisco che anche in questo caso ci siano diverse scuole di pensiero, ma ho notato che in diversi testi o siti di produttori di microfoni vengono consigliati microfoni a diaframma piccolo per registrare la chitarra, mentre qualcun altro, come Brignolo, raccomanda per questo uso microfoni a diaframma largo. Da cosa può venire un contrasto di opinioni così forte? Anche qualche tecnico come Bettin di Phoenix o Lincetto di Velut Luna mi sembra preferire - almeno quando ci ho lavorato io - microfoni a diaframma piccolo, certo di altissima qualità (Schoepps, Akg).
  22. Non sono un esperto, ma ho un po' di esperienza che comunico. Ho acquistato ed utilizzato diversi tipi di microfoni, anche per le registrazioni: i Rode Nt3 a diaframma piccolo (a condensatore) hanno il vantaggio, avendo una pila interna, di non richiedere l'alimentazione phantom. Poi ho usato su consiglio di un amico l'AKG 747 che mi ha dato buoni risultati (l'ho usato solo per amplificare, non per registrare), come pure il classico AKG 414 (entrambi a condensatore, il secondo a diaframma largo). Devo dire però che i risultati migliori mi sembra di averli ottenuti usando il Neumann K184 (a condensatore e a diaframma piccolo). Dicendo "migliori" ho come criterio la trasparenza, nel senso che il microfono c'è ma non si sente, si sente la chitarra che suona più forte. Recentemente questo è mi successo anche alla Palazzina Liberty di Milano, luogo molto usato per i concerti ma che ha una acustica terribile per la chitarra. Anche l'amplificazione, come la registrazione, implica una catena che va dal microfono al cavo al mixer o preamplifictore (salto altri passaggi) alle casse. Ora, in una catena ogni elemento è critico, ma direi che il punto di partenza è essenziale, e se si parte con un ottimo microfono è più facile avere risultati di buon livello anche se il resto della catena non fosse di livello eccezionale. Per lo meno questa è stata la mia esperienza facendo iniziare la catena con il Neumann. Con microfoni un po' meno buoni non è che il risultato fosse cattivo; ma quando il microfono è veramente ottimo (e cioè non si sente la sua presenza ma solo il risultato in termini di maggior volume) la differenza, in termini di entusiasmo degli ascoltatori, è notevole.
  23. "In Italia abbiamo perso la capacità di sentire il 'bello', quel 'bello' che per secoli abbiamo dato al mondo e che adesso non sentiamo più". Cito questa frase di Angelo Gilardino, da un suo intervento odierno in altro thread, dopo aver letto le norme che regolano lo studio della chitarra nelle medie ad indirizzo, norme gentilmente postate da Marcello Rivelli. Dopo averle lette capisco meglio perché qualche mio exallievo dice che si trova a disagio ad insegnare nelle medie ad indirizzo; non è difficile riconoscere in tali norme - evidentemente e per fortuna non sempre applicate rigidamente - una impronta ideologica di un certo tipo (molto presente anche in altra normativa scolastica, a quanto mi dicono amici che hanno insegnato altre materie nella scuola statale). A parte che questo fatto la dice lunga sulla presunta neutralità della scuola di stato, quello proposto è un modo che mi sembra fortemente "ridotto" di percepire e trasmettere la ricchezza educativa della esperienza musicale. Non a caso la parola "bello" usata da Gilardino non vi appare, credo, mai. Non credo sia il luogo questo per imbarcarsi in discussioni troppo lunghe. Mi ha comunque colpito anche il fatto che si parla, in queste norme, più della libertà della singola scuola (progetto formativo di istituto) che di quella del singolo insegnante. Ma forse la fortuna, in questo caso, è che tante norme non vengono sempre applicate ovunque rigidamente, ed il surplus della esperienza musicale, quel "bello" che ha affascinato tutti noi e ci ha spinto a fare questo lavoro, riesce ugualmente ad essere trasmesso, almeno da alcuni docenti.
  24. Sono d'accordo con quanto sostiene Marcello Rivelli. Io, non a caso, ho usato la parola "educazione" riferendomi al fare musica in generale (scrivere, suonare, promuovere), ma è evidente che in un ambito come la scuola, che dovrebbe avere nella educazione la sua stessa ragione d'essere, la questione è incandescente. Ho alcuni exallievi che insegnano nella scuola media ad indirizzo e vedo che le loro posizioni sono diverse, forse rispecchiando situazioni diverse: da chi mi dice che è praticamente impossibile, anche se forse legalmente ammissibile, andare contro l'andazzo prevalente nel proprio istituto (ma allora mi chiedo: la libertà d'insegnamento dove va a finire?) a chi dice che tira avanti per la sua strada infischiandosene tranquillamente delle pressioni dell'ambiente scolastico ad "abbassare il tiro". A chi , nel forum, lavora nella scuola media ad indirizzo, chiedo di illuminarmi: il quadro legislativo rende proprio impossibile al docente decidere cosa e come insegnare oppure uno spazio di libertà c'è? Mi sembra questione non da poco.
  25. Mi permetto di segnalare con entusiasmo a tutti, specialmente ai colleghi insegnanti, un lavoro che lo studioso australiano John Griffiths, forse il maggiore esperto al mondo di musica per vihuela, ha messo a disposizione gratuita sul suo sito a questo indirizzo: http://www.vihuelagriffiths.com/JohnGriffiths/Vihuela_playing.html Si tratta di una antologia di musica per vihuela, ordinata secondo gli intendimenti pedagogici di Bermudo che, come spiega Griffiths, faceva procedere di pari passo la formazione tecnica e musicale degli studenti consigliando loro di cimentarsi con la trascrizione sulla vihuela di opere vocali di progressiva complessità. Seguendo questo esempio Griffiths rende disponibili allo studio un certo numero di pezzi tratti dalle raccolte dei vihuelisti, rendendo possibile sia il raffronto tra l'originale vocale, l'intavolatura e la versione in notazione moderna (anche per strumento in mi come la chitarra) sia lo studio analitico delle opere prese in esame, dal punto di vista della tecnica contrappuntistica impiegata dagli autori, che infine la realizzazione esecutiva, anche inizialmente per più strumenti prima di arrivare alla esecuzione con uno strumento solo. Mi sembra un lavoro importantissimo ed utilissimo.
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