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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

Un buon insegnante deve essere un buon concertista?


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Amiamo tanto il rispetto delle forme (NON scriviamo in grassetto, non in OT, i messaggi vengono sdoppiati, ecc.) ma sarebbe bene rispettare anche le persone – i loro testi coincidono con il loro essere, e se si dice che uno scrive una cazzata, beh a casa mia s’intende che lo scrivente è un ca… – che nella mia scala dei valori vengono prima delle formalità.

 

prf83, e' esattamente quello che penso. Non capisco come si possa criticare

un'idea senza criticare la persona che la formuli. "Io" sono cio' che penso,

cio' che provo.

.....

 

Nello stesso modo penso che un'offesa sia un'offesa. Non mi pare che

nascondersi dietro al fatto di aver attaccato un'idea e non la persona che

l'ha espressa possa dare nobilta' a tale azione.

 

Carlo

 

Non condivido invece il pensiero di Carlo: si può discutere anche aspramente un'opinione senza per questo considerare l'avversario un nemico o mancargli di rispetto.

Scriveva Sandro Pertini: "Non condivido la tua idea, ma darei la vita perchè tu possa esprimerla".

 

Mi spiace sinceramente quando sui forum (che dovrebbero limitarsi a discussioni su argomenti) vengono pronunciate (anzi scritte) parole scortesi e scelte con l'intezione malevole di ferire chi le leggerà.

Butterfly

 

Scusa Butterfly, il Carlo a cui ti riferisci sono io? (diversi Carli sono

intervenuti)

 

Nel caso mi spiego meglio (dalla tua risposta e da quella di Cristiano ho

l'impressione di non averlo fatto bene...)

 

Io ho scritto: sì alle critiche,

se fatte per confrontarsi, capire, crescere, poco importa se alle idee o alle persone, mica mi offendo per una critica;

no alle offese anche a quelle "mascherate" (esempio "quest'idea è una cretinata, solo uno stupido la sosterrebbe"), anche se cio' e' consentito

dai regolamenti.

 

Carlo

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Ma quali accuse!! Suvvia!

 

Benissimo Edoardo.

A me sta bene. E allora

"Ma quali scemenze! Ho capito male!"

 

Mettiamoci una pietra sopra. Prendiamoci entrambi le proprie responsabilità.

 

P.S.

No! Porta a Porta proprio no!

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Per una volta siamo d'accordo sulla sostanza. Non credo che le nostre posizioni, su questo specifico, siano mai state molto dissimili. Saper parlare e saper intendere le parole attiene alla parola ed al ragionamento. Saper ragionare di musica, però, non vuol dire saperla fare o saperla insegnare. I discorsi intorno alla musica non possono in nessun modo sostituire la musica perchè non lo sono.

 

 

Ovviamente. La conoscenza della musica è una conoscenza specifica, e nessuno che vi si sia addentrato sosterrebbe mai che è sostituibile con altre conoscenze, le quali, semmai, si possono utilmente aggiungere e integrare. Io non ho mai sostenuto che il musicista si possa manifestare "musicalmente" al di fuori della musica, anche se (e per questo qui conveniamo nel dialogo) è del tutto ovvio che debba saper quel che dice, ed è altamente auspicabile che sappia distinguere un Picasso da un Rembrandt. In altre parole, su questo punto non c'è e non ci può essere disaccordo. Il mio intervento non aveva lo scopo di negare lo specifico della conoscenza musicale, ma di far notare che essa può fondarsi benissimo su studi e pratiche diverse da quelle dello strumentismo, e questa è un'evidenza che, per quanto manifesta in modo lampante, sembra essere difficile da intendere e da accettare da parte di una tipologia di strumentisti. Chi sa scrivere a tavolino una fuga a cinque voci in tre ore non è sospettabile di scarsa conoscenza musicale da parte di chi suona uno strumento: sono conoscenze diverse, e non è ammissibile che, per mettere in sospetto la competenza di qualcuno in campo musicale, gli si imputi il fatto di non suonare: questo, ribadito in termini diversi, è il senso del mio intervento. Nient'altro che questo.

 

 

 

 

Da qualche tempo un certo numero di "pedagoghi puri" (per citare il mio caro Neuhaus) ha cominciato a far trapelare la convinzione che per essere un buon pedagogo non ci sia alcun bisogno di essere uno strumentista, non dico ottimo, ma neanche appena decente. Ora, non so cosa ne pensi Lei, Angelo, a riguardo, però a me la cosa lascia non pochi dubbi.

 

 

Ovviamente, penso che sia una sciocchezza. Per insegnare l'arte dell'interpretazione musicale del repertorio di uno strumento, bisogna essere profondi, diretti, pratici conoscitori della tecnica e delle possibilità di quello strumento. Altrimenti, si insegna qualcosa di ipotetico. Un direttore d'orchestra è certamente in grado di sviscerare la forma di una Sonata di Ponce - e probabilmente riesce a farlo meglio della maggioranza dei docenti di chitarra -, ma non può trasferire i risultati di questa sua analisi sul terreno reale, perché ignora i segreti della tecnica, del suono, della scelta tra infinite soluzioni possibili. Quindi, è indispensabile che un maestro di chitarra sia un maestro di chitarra, non è ammissibile che non lo sia, e non è sufficiente che sia solo questo: deve sapere anche molte altre cose (la preparazione musicale generale dei chitarristi sta migliorando, ma è tuttora carente).

 

Ciò detto, ci sono altri punti di specificare. Essere un maestro di chitarra (o di qualunque altro strumento) non implica necessariamente dedicarsi all'attività concertistica. Questa è una possibilità che si apre a persone dotate di una particolare forma di talento, che le abilita non solo a far musica in modo compiuto e brillante, ma anche a comunicare la musica agli ascoltatori "in carne e ossa", con tutto quello che di specifico l'atto della comunicazione comporta. Si può essere un ottimo strumentista, anche un virtuoso, ma non avere questo dono. Oppure, si può avere tutto, ma non la disposizione ad accettare il tipo di vita che l'attività concertistica impone.

 

E qui la differenza tra il concertista e il didatta si fa divaricante. Il didatta non ha bisogno di memorizzare e di portare a livello di rifinitura tutto ciò che legge, che comprende, che sa analizzare e che è in grado di spiegare nei più minuti dettagli ai suoi allievi. Ha l'obbligo di sapere, su un determinato repertorio, tutto quello che c'è da sapere, e di sapere come si fa a suonarlo realmente, ma non ha l'obbligo di saperlo fare al livello richiesto al concertista che tale repertorio deve mantenere lustro, perfetto, memorizzato fino all'automatismo. In compenso, scegliendo di non lavorare all'estremo un certo numero di pezzi, ha la possibilità di leggerne e di comprenderne un numero molto maggiore: la cognizione del repertorio che ha chi ha scelto di fare il concertista - con l'enorme stress e la rilevante dispersione di tempo che la vita del virtuoso viaggiante impone - non può essere la stessa del maestro che, assiso nel suo studio, legge ogni giorno un pezzo nuovo, lo analizza, lo comprende, lo assimila mentalmente al punto da rappresentarselo perfettamente - suonandolo, è ovvio, in modo conforme - e il giorno appresso, invece di iniziare il duro lavoro di lima e di assimilazione digitale su quello stesso pezzo, ne legge un altro. A costui non fa difetto nulla per andare in aula e spiegare il brano, anche nei dettagli tecnici, ai suoi allievi, naturalmente esemplificando, dove, come e quando occorre, i vari punti: ma questo non lo abilita a presentarsi l'indomani in sala da concerto davanti a un pubblico: questo è un altro lavoro, un altro mestiere, un'altra vita.

 

 

 

 

 

 

Ho anche sentito ripetere fino allo sfinimento la manfrina che un grande concertista solo di rado è un buon pedagogo. La cosa è falsa. Delle Vigne, Widmer, Widman, Ricci, Tsutsumi, Wibaut, Althoff, Dorenski, Battaglia, Amoyal (solo per citare a braccio alcuni dei miei colleghi alla SommerAkademie di Salisburgo) sono dei formidabili strumentisti, dei concertisti (la loro attività concertistica gli permette di vivere anche con un certo agio) e degli ottimi pedagoghi (ho ascoltato le loro lezioni e la quantità di ottimi strumentisti che escono dai loro corsi è davvero impressionante).

 

 

 

Non credo che sia giusto fare generalizzazioni. Così come esiste una specificità dell'attività concertistica, esiste anche una specificità di quella didattica. La storia dell'inadeguatezza all'insegnamento da parte dei grandi concertisti è solo una semplificazione: in realtà, il concertista può benissimo imparare a insegnare, solo che lo voglia. Conosciamo eccellenti concertisti che, dopo essersi affacciati alla carriera in modo brillantissimo (per parlare di italiani, Corrado Romano, violinista, o Paolo Spagnolo, pianista, entrambi giovanissimi vincitori del concorso di Ginevra) poi rinunciarono ai concerti e si dedicarono fecondamente all'insegnamento. Per non parlare di Galamian, il più grande didatta di violino del secolo scorso (maestro di Perlman, di Zukermann, di Laredo, della Chung e di tante altre star), che non suonava mai in pubblico...

 

 

Ora io non trovo corretto (anche se in parte ne capisco le motivazioni) insinuare dubbi in maniera sistematica sull'operato di chi la musica la fa. Non capisco neanche l'esigenza di stabilire in continuazione una gerarchia. Chi la musica la fa, evidentemente la può fare ed è felice così. Chi ha scelto altri modi di servire la musica è padrone e responsabile delle sue scelte.

 

 

Infatti, io non mi sono mai sognato di stabilire gerarchie, e ho anzi negato fortissimamente che ne esistano. E' precisamente per sostenere tutto ciò che sono intervenuto, e che continuerò a farlo, se sarà necessario.

 

dralig

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chi mi spiega, ad esempio, perchè le ottave discendenti dell'inizio del capriccio diabolico se vengono suonate accellerando e legato invece che- come indicato in partitura- "sostenuto e pomposo" e staccato non debbano essere considerate cialtrone?

EC

 

Io le suono esattamente così e non sento di aver compiuto alcuna cialtronata. L'accelerando sulle ottave iniziali del Capriccio Diabolico dà un senso di direzionalità all'inciso e offre un carattere gestuale intenso alla prima sezione del Capriccio, in omaggio alla suggestione violinistica paganiniana e in contrasto con la parte lirica che segue. Il concetto di sostenuto e pomposo si può riferire a tutta la prima parte del Capriccio senza dover coinvolgere per forza ogni singola nota.

 

D'altronde non riterrò mai un cialtrone chi lo suona esattamente al contrario di come lo suono io, anzi, eventualemente troverò qualche spunto di riflessione se scoprirò un motivo interessante di procedere.

 

La maggior parte dei settori lavorativi abituali costringono a spacciare continue verità e a sentirsi (fino a credersi) portatori di verità.

 

Se c'è un campo in cui per me si può respirare e ricercare sereni è proprio la musica.

 

 

Alla cortese attenzione dei moderatori:

 

Perché invece non spostate la discussione sul Capriccio Diabolico? Mi sembrava uno spunto interessante....

 

Matteo

 

p.s. giuro che se lo fate non accuserò nessuno di aver cancellato messaggi.

 

Ottimo suggerimento.

Fatto.

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In questo paese, purtroppo, non è del tutto scontato che la conoscenza della musica sia una conoscenza specifica...spesso, nell'ambito di discussioni anche istituzionali, essa è stata confusa con la conoscenza "sulla" musica, che è cosa differente...

 

Fabio, io non contesto il fatto che esista una conoscenza che ha come oggetto la musica, così come non mi sognerei di contestare l'esistenza - e l'enorme valore - di quel ramo della filosofia chiamato estetica, che studia l'arte, ma che si pone come un "in sé" autonomo. Ho invece puntualizzato la non sostituibilità della conoscenza specifica del linguaggio e delle tecniche musicale nell'ambito del fare musica, cioè del suonare, del comporre, del dirigere, del cantare, etc. - fermo restando il mio sommo rispetto di chiunque scriva di musica come di un "oggetto" di studio.

 

Lei non ha bisogno delle mie spiegazioni al riguardo, ma poiché ci leggono in molti, voglio fare un esempio. Thomas Mann, nel suo "Doktor Faustus", descrive con affascinante minuzia le caratteristiche formali delle composizioni del suo eroe Adrian Leverkuhn, e lo fa adoperando un lessico propriamente musicale. Non occorre sottolineare che, con ciò, il grande scrittore ha fatto della grande letteratura, ma non ha fatto una nota di musica. Questa è la distinzione che io intendevo operare: non mi assocerei di certo, negando il valore e l'importanza degli studi sulla musica, alle posizioni dei bruti apparentemente paghi della convinzione che il far musica si identifichi soltanto con il far parte di quella che il memorialista Hamilton definiva "raclerie universelle" ("grattarolla universale"), e che chi non gratta sia un incapace o un perditempo: anche gli analisti non freudiani non esiterebbero un istante a rinvenire il senso della locuzione "il nostro strumento"...

 

dralig

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[ Questa è la distinzione che io intendevo operare: non mi assocerei di certo, negando il valore e l'importanza degli studi sulla musica, alle posizioni dei bruti apparentemente paghi della convinzione che il far musica si identifichi soltanto con il far parte di quella che il memorialista Hamilton definiva "raclerie universelle" ("grattarolla universale"), e che chi non gratta sia un incapace o un perditempo: anche gli analisti non freudiani non esiterebbero un istante a rinvenire il senso della locuzione "il nostro strumento"...

 

dralig

 

:mrgreen:

certo poi concordo con la distinzione... questa però probabilmente è chiara a me, a lei, probabilmente oggi alla maggioranza dei musicisti "classici"...mi chiedevo come mai non sia chiara anche ai legislatori e alle cosiddette associazioni di categoria quando fanno da tramite tra le classi e i ministeri...questo a mio parere è un grande problema per la musica in Italia...che deve essere risolto perchè è un'insidia oltrechè un limite enorme alla crescitasia dal punto di vista culturale che sociale...corrode e arriccia le parti che perseverano a guardarsi in cagnesco...facendo di quella che a "noi" pare una logica distinzione culturale, ognuna con le proprie complesse competenze (generalizzando sappiamo quanta vita dura abbiano le scienze, ancor prima che umane, nel mondo), una querelle (non de brest!) ma tra comari con i rispettivi orticelli da tutelare...

penso però che qualcosa stia cambiando...voglio essere ottimista...

 

Vedo con piacere, e senza sorpresa, che Lei ha letto Genet.

 

dralig

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Ricodami un po', la battaglia delle arance è in Italia?

Dov'è che si fanno gli occhi neri e si riducono al pronto soccorso con le arance?

 

In occasione dei festeggiamenti del Carnevale, a Ivrea, a nord di Torino.

 

EB

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Ricodami un po', la battaglia delle arance è in Italia?

Dov'è che si fanno gli occhi neri e si riducono al pronto soccorso con le arance?

 

In occasione dei festeggiamenti del Carnevale, a Ivrea, a nord di Torino.

 

EB

 

Grazie Ermanno. Non ricordavo proprio.

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Sì a Ivrea, esatto. Mi hanno raccontato che molti decenni fa ne esisteva anche una versione marinara, nel golfo ligure, in cui il lancio di arance avveniva fra barche.

Vabbè, sempre male fanno :D

 

 

 

Butterfly

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Si, a quanto mi raccontano alcuni amici è parecchio doloroso ricevere un'arancia in testa! Nel centro della lotta, poi, vanno con caschi e protezioni!

 

Molto più salutari gli aranci in fiore di MCT... :)

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