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I pezzi più difficili per chitarra


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Tutto sommato, è meno difficile eseguire questo pezzo che lo Studio n. 5 di HVL.

 

Mi sembra di non facile lettura ma formule e movimento delle diteggiature e delle posizioni di m.d. e m.s. non mi pare abbiano niente di particolarmente sofisticato dal punto di vista della difficoltà meccanica.

 

Fabio, dove si può acquistare la musica completa del brano che hai proposto?

 

ah

 

https://www.edition-peters.com/php/main_search.php?composer=FERNEYHOUGH&restrict=CW

 

Grazie.

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Beh, appeso alla parete ha il suo senso.

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sample da

kurze schatten II suonati da

Magnus Andersson

 

http://www.amazon.com/gp/product/B000024DAM/102-8167617-3000950?v=glance&n=5174

 

Non ce n'era bisogno, ma grazie lo stesso.

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A me sembra una bella presa per un c**o ma non vorrei essere troppo diretto :)

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Io non ci capisco nulla.

Ma è musica questa!?

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Ferneyough, come tutti i compositori, ha la sua poetica. La complessità della sua scrittura, dice lui stesso, è sempre e comunque tensione verso l'approssimazione formale di un gesto musicale il quale (e più importante) accompagna l'interprete alla natura di tale intuizione (del gesto o meglio della figura musicale)...

 

 

kokis80 ha scritto:

Vorrei sentirli solfeggiare 3 volte consecutive dall'autore e vedere quanto siano "normative" quelle indicazioni, fermo restando il rispetto per un compositore che sarà molto bravo (non ho mai ascoltato nulla di suo).

 

 

non so quanto ciò sia importante ma credo sia un po partire con il piede sbagliato...non ho mai sentito Ferneyhough solfeggiare...al contrario ho visto e sentito Stockhausen riprendere più volte alcuni interpreti su figurazioni molto complesse, da lui stesso solfeggiate...l'ho anche sentito riprendere degli interpreti a rispettare dei tempi metronomici con le virgole (tipo 2 battute "complesse"a 54,8 e poi a 58,3 p.es)

 

La prima delle tue affermazini mi sembra pienamente condivisibile, non credo che un compositore debba piegare le proprie idee per una facilitazione dell'interprete, come se lo dovesse imboccare. Sono conscio (e favorevole) al fatto che un compositore usi tutta la complessità che vuole.

Il punto è che l'espressione della propria idea credo possa essere esposta in maniera più intellegibile. Non so se il quadro di riferimento imponga una tale scrittura, ma credo che, idealmente, anche la serialità la richiedesse. Se se si parla di approssimazione e intuzione mi viene almeno da dubitare che un 25:26 possa essere qualcosa di decisivo.

 

Sulla seconda: la mia era solo una battuta, non è mia intenzione partire con il piede sbagliato.

Mi riferivo proprio a Stockhausen e all'esecuzione storica (autorizzata da lui stesso) di Aloys Kontarsky del pezzo per piano I, che se non sbaglio è del '53.

In questa registrazione è evidente che il pianista non segue pedissequamente la parte scritta da Stockausen. Ad esempio le battute 5 e 6 (parlo di queste perchè le ho analizzate nella tesi, quindi posso parlare con un po' di familiartà, almeno su queste) subiscono un'interpretazione vera e propria, e il 7:8 e l'11:12 sotto un 5:4 si perdono, anche se ovviamente l'esecuzione porta con sè il significato "profondo" dell'idea che ci sta sotto, credo sia per questo che Stockhausen l'abbia accettata.

L'orologio più preciso del mondo ha un errore credo di un secondo in un milione di anni, non credo che un orologio analogico possa arrivare a misurare le differenze tra 58,4 e 58. Forse era l'idea del pezzo che no nera resitutita adeguatamente dall'esecutore, ma non ho difficoltà ad ammettere che posso sbagliarmi.

L'adozione di una notazione "qualitativa" credo che restituisca una maggior immediatezza ad un'effetto che si traduce in realtà in una serie di accellerando e ritardando, impossibili da misurare precisamente, a meno che uno non scriva per un computer, ma questa è un'altra storia.

il rischio poi che si corre (da parte del compositore) è che per giungere ad un'esecuzione si semplifichi in modo disastroso, come, citando sempre le battute 5 e 6 del lavoro di Stockhausen, fa Schuller, che tradisce completamente la struttura del pezzo nella sua trascrizione.

Anche Roger Smalley espone questo modo di vedere.

Avendo due grandi amici che compongono (uno è ancora studente, l'altro ha appena vinto il concorso di composizione di Mosca), mi trovo spesso a scontrarmi con questa realtà. Una delle ultime cose su cui abbiamo discusso è il pezzo di Xenakis Persephassa, per 6 percussioni.

Il pezzo è meraviglioso, per quel che mi riguarda, ma la scrittura con i cambi "singolarizzati" di metronomo se per certi versi è interessante per altri è un totale fallimeto, poichè nei momenti in cui i percussionisti si dovrebbero trovare in unisono, riprendendo la pulsazione originaria tutti insieme, si sente un sbo-do-don-ti-ta, perchè è aldilà delle capacità umane riprendere in tempo zero 65 di metronomo venendo da 58 o da 104. E' ovvio ch ela mia idea del pezzo (la mia interpretazione) è di un certo tipo. Sacrificare l'unisono porta certi vantaggi, non decisivi per me, ma capisco che uno potrebbe vederla diversamente. Dal mio punto di vista un direttore (aiutato sempre dai metronomi singolarizzati) potrebbe essere una soluzione.

Credo porti ad un'insopportabile imprecisione questo modo di scrivere (credo siano parole di Boulez o di Stockhauesen ripsetto ai loro lavori "seriali").

Per quel che mi riguarda cerco sempre di trovare soluzioni alternative a questo tipo di scrittura (quando sviluppo con qualcuno un brano), che, pur rispettando l'idea che sta alla base del pezzo, rendano questa più chiara a tuti quelli che vorranno riprendere il pezzo in un secondo momento.

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Sulla seconda: la mia era solo una battuta, non è mia intenzione partire con il piede sbagliato.

Mi riferivo proprio a Stockhausen e all'esecuzione storica (autorizzata da lui stesso) di Aloys Kontarsky del pezzo per piano I, che se non sbaglio è del '53.

In questa registrazione è evidente che il pianista non segue pedissequamente la parte scritta da Stockausen.

 

 

Sollevo qualche obiezione sulla proprietà dell'avverbio "pedissequamente" in relazione al verbo "seguire" (cioè osservare, rispettare), in un caso simile. Chi ci riuscisse, avrebbe compiuto un'impresa mentalmente assai ardua: sarebbe come dire che Cristiano Porqueddu non si è limitato a eseguire pedessequamente "Les arbres rouges"...

 

 

 

Ad esempio le battute 5 e 6 (parlo di queste perchè le ho analizzate nella tesi, quindi posso parlare con un po' di familiartà, almeno su queste) subiscono un'interpretazione vera e propria, e il 7:8 e l'11:12 sotto un 5:4 si perdono, anche se ovviamente l'esecuzione porta con sè il significato "profondo" dell'idea che ci sta sotto, credo sia per questo che Stockhausen l'abbia accettata.

 

Permette? Stockhausen l'ha accettata perché non poteva rifiutarla, nel senso - lo dico chiaro e tondo - che nemmeno lui è in grado di stabilire se quello che ha scritto viene eseguito alla lettera. Può solo rifiutare approssimazioni troppo grossolane e comunque prive di un criterio. Se c'è un criterio di lettura, tra un'esecuzione letterale simulata da un computer e un'esecuzione umana - con inevitabili approssimazioni - la differenza non peserà minimamente sul significato e sul valore del pezzo, ma solo sull'aspetto della sua superficie sonora. In questa accezione, la scrittura è un indice, non un modello.

 

dralig

 

 

dralig

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Colgo occasione per salutarla, M°, è sempre un piacere leggere i suoi interventi e discutere con lei.

Sollevo qualche obiezione sulla proprietà dell'avverbio "pedissequamente" in relazione al verbo "seguire" (cioè osservare, rispettare), in un caso simile. Chi ci riuscisse, avrebbe compiuto un'impresa mentalmente assai ardua: sarebbe come dire che Cristiano Porqueddu non si è limitato a eseguire pedessequamente "Les arbres rouges"...

 

Mi scuso M°, ma non credo di afferrare bene il concetto...definedo come pedissequo colui che si adegua passivamente e senza contributo personale od originale alle idee, ai metodi, allo stile di qualcun altro (un grazie al sign. Zingarelli), credo di non andare lontano dalla realtà dicendo che così non può essere definito Cristiano, seguendo anche il suo commento, M°, alle esecuzioni degli studi di virtuosità e trascendenza del M° sardo

La prego di precisare la sua idea, perché vorrei capire dove non siamo d'accordo.

 

Permette? Stockhausen l'ha accettata perché non poteva rifiutarla, nel senso - lo dico chiaro e tondo - che nemmeno lui è in grado di stabilire se quello che ha scritto viene eseguito alla lettera. Può solo rifiutare approssimazioni troppo grossolane e comunque prive di un criterio. Se c'è un criterio di lettura, tra un'esecuzione letterale simulata da un computer e un'esecuzione umana - con inevitabili approssimazioni - la differenza non peserà minimamente sul significato e sul valore del pezzo, ma solo sull'aspetto della sua superficie sonora. In questa accezione, la scrittura è un indice, non un modello

 

E come non essere d'accordo? Quando ho scritto la battuta a Fabio sull'impossibilità stessa dell'autore di solfeggiare ciò che ha scritto mi riferivo a questo.

Nella mia analisi, come avrà visto nella tesi, ho sciolto la complessità della scrittura di Stockausen con una serie di cambi metronomici. Sfido chiunque a sapere come si solfeggiano quelle due battute senza quella serie di calcoli.

E' proprio come scrive Lei, per questo credo che l'adozione di una scrittura qualitativa (come quella utilizzata da Brouwer in Canticum, per tirar fuori un esempio che piace ad entrambi) sia più efficace affinché si possa ottenere un risultato soddisfacente anche per il compositore stesso.

Proprio per questo ho espresso così tanti dubbi su una sequenza già molto complessa, segnata da un 25:26...e chi la percepisce la differenza?

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Mi scuso M°, ma non credo di afferrare bene il concetto...definedo come pedissequo colui che si adegua passivamente e senza contributo personale od originale alle idee, ai metodi, allo stile di qualcun altro (un grazie al sign. Zingarelli), credo di non andare lontano dalla realtà dicendo che così non può essere definito Cristiano, seguendo anche il suo commento, M°, alle esecuzioni degli studi di virtuosità e trascendenza del M° sardo

La prego di precisare la sua idea, perché vorrei capire dove non siamo d'accordo.

 

Non mi sembra che siamo in disaccordo. Intendo dire che chi è in grado di scandire il solfeggio del brano in questione (o, allo stesso livello di destrezza, se pur manifesta in altro tipo di impegno, di eseguire "Les arbres rouges") non ha comunque una mente passiva e pappagallesca, ma una mente prensile e brillante. Poiché la botte dà il vino che ha, da mente siffatta non vengono comunque ordinate azioni pedisseque.

 

AG

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Non mi sembra che siamo in disaccordo. Intendo dire che chi è in grado di scandire il solfeggio del brano in questione (o, allo stesso livello di destrezza, se pur manifesta in altro tipo di impegno, di eseguire "Les arbres rouges") non ha comunque una mente passiva e pappagallesca, ma una mente prensile e brillante. Poiché la botte dà il vino che ha, da mente siffatta non vengono comunque ordinate azioni pedisseque.

 

AG

 

Certo, mi trovo d'accordo. Devo dire, brillante come sempre la sua intuizione: ovvio che se qualcuno fosse in grado di scandire quel solfeggio non potrebbe essere né passivo né pappagallesco. Giustissima osservazione.

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