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60 Studi di Virtuosità e di Trascendenza, Angelo Gilardino


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Questione vecchissima e mai risolta. Ci provò Fernando Sor, con una risentita prefazione alla prima edizione della sua Fantasia op. 7, ben scritta su un'accollatura a due pentagrammi - salvo doverla ristampare poco tempo dopo aver buttato nella spazzatura le copie invendute della sua dotta, prima realizzazione.

 

Da allora in poi, si scrive su un'accollatura a due righi (entrambi in chiave di Sol con trasposizione delle note reali all'ottava superiore) quello che ragionevolmente non si può scrivere su un solo rigo. E' un ripiego, ma il tentativo di scrivere "organicamente" è fallito, punto e basta.

 

 

Già, lavoro tanto interessante quanto sfortunato quello di Sor.

 

Ho la presunzione di credere che si scrivesse senza trasposizione, su due pentagrammi, l'uso dei sovracuti avrebbe un peso maggiore nella letteratura chitarristica. Quella è la zona oscura dello strumento, credo anche a causa del delirio rappresentato dall'andare a individuare le note in quelle cataste di tagli addizionali.

 

 

 

Ciò nonostante, nell'ambito della medesima collezione di musiche per chitarra sola (Bèrben-Gilardino) le pochissime composizioni pubblicate senza diteggiatura registrano vendite pari a non più del dieci per cento rispetto alle composizioni diteggiate.

 

dralig

 

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Da allora in poi, si scrive su un'accollatura a due righi (entrambi in chiave di Sol con trasposizione delle note reali all'ottava superiore) quello che ragionevolmente non si può scrivere su un solo rigo.

 

Con risultati stupefacenti. Mi è capitato in questo periodo di leggere e studiare un pezzo molto intricato ma totalmente privo di diteggiatura e scritto su due pentagrammi in chiave di violino: una goduria.

 

in un reticolato altamente probabilistico come è quello della chitarra

 

Domanda che mi frulla in testa da un po', e che giro a chi forse mi può dare una risposta (ma forse l'argomento meriterebbe un thread a sé): nella chitarra il "reticolato" di possibilità di diteggiatura è superiore rispetto agli altri strumenti? Ed è possibile collegare anche (ripeto: anche) a questo una maggiore difficoltà dei chitarristi nel leggere a prima vista?

 

La risposta è si. Non solo una nota, o un accordo, o una qualunque configurazione polifonica si può collocare "oggettivamente" sulla tastiera della chitarra in diverse posizioni su corde differenti ma, nella stessa posizione e sulle stesse corde, ciascuna nota, accordo, figura contrappuntistica, può essere eseguita "soggettivamente" con un diverse diteggiature. Quindi, dal punto di vista puramente probabilistico - cioè senza mettere in gioco fattori di tipo estetico, pertinenti alla sfera dell'interpretazione - il reticolato corde-tastiera è assai più complesso delle situazioni che si danno con uno strumento a tastiera o a corde libere (arpa). Le difficoltà che i chitarristi in genere mostrano nella lettura a prima vista dipendono: a) da quanto sopra esposto; 2) dal tipo di notazione improprio invalso nella musica per chitarra - che si scrive male, a causa dell'adozione ormai irreversibile del pentagramma singolo; 3) dalla scarsa inclinazione dei chitarristi a far musica da camera, il genere di pratica che più di ogni altro necessita di una lettura pronta e precisa.

 

dralig

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Ospite Bernardo Gui
La risposta è si. Non solo una nota, o un accordo, o una qualunque configurazione polifonica si può collocare "oggettivamente" sulla tastiera della chitarra in diverse posizioni su corde differenti ma, nella stessa posizione e sulle stesse corde, ciascuna nota, accordo, figura contrappuntistica, può essere eseguita "soggettivamente" con un diverse diteggiature. Quindi, dal punto di vista puramente probabilistico - cioè senza mettere in gioco fattori di tipo estetico, pertinenti alla sfera dell'interpretazione - il reticolato corde-tastiera è assai più complesso delle situazioni che si danno con uno strumento a tastiera o a corde libere (arpa). Le difficoltà che i chitarristi in genere mostrano nella lettura a prima vista dipendono: a) da quanto sopra esposto; 2) dal tipo di notazione improprio invalso nella musica per chitarra - che si scrive male, a causa dell'adozione ormai irreversibile del pentagramma singolo; 3) dalla scarsa inclinazione dei chitarristi a far musica da camera, il genere di pratica che più di ogni altro necessita di una lettura pronta e precisa.

 

Grazie della risposta. Rilancio: le difficoltà di lettura possono anche essere dovute al fatto che larghissima parte della nostra letteratura è stata scritta da non chitarristi?

 

Io ho una mia teoria (suffragata da quella cosa che mi sta tra la bocca e gli occhi). Faccio sempre il confronto facile col pianoforte: credo che tutti i grandi compositori che hanno scritto per quello strumento e per i suoi predecessori sapessero bene o male suonarlo, per cui - ma potrei sbagliarmi visto che non sono un pianista - col tempo è venuta a formarsi una modalità di scrittura pianistica funzionale al movimento delle dieci dita sulla tastiera, a prescindere dallo stile e dall'epoca. Quindi, non dico che leggere Rachmaninov sia come leggere una Sonatina di Mozart, però forse questo filo rosso che percorre l'evoluzione della scrittura per pianoforte facilita la prima vista.

 

Lo stesso non si può dire per la tecnica e la scrittura per chitarra, che nel corso del Novecento è stata reinventata più volte. Se io suono Giuliani, poi Sor, poi Regondi, poi Tarrega e poi Llobet, è vero che sono di fronte a stili diversi, ma è chiaramente percepibile anche lì il filo rosso che tiene insieme quella pur breve tradizione (si tratta di un secolino appena di musica).

 

Giocando coi se, possiamo ipotizzare un Castelnuovo-Tedesco, un Rodrigo, un Tansman, un Berkley, uno Henze, un Takemitsu provetti chitarristi formatisi tecnicamente sui grandi capolavori di Giuliani e Regondi (lascio fuori l'avanguardia, che fa discorso a sé). Saremmo di fronte magari non a un linguaggio, ma sicuramente a una scrittura chitarristica molto più omogenea. E se noi ci fossimo ingobbiti per anni su quegli ipotetici pezzi, forse saremmo un po' più bravi con la prima vista. No?

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Grazie della risposta. Rilancio: le difficoltà di lettura possono anche essere dovute al fatto che larghissima parte della nostra letteratura è stata scritta da non chitarristi?

 

Io ho una mia teoria (suffragata da quella cosa che mi sta tra la bocca e gli occhi). Faccio sempre il confronto facile col pianoforte: credo che tutti i grandi compositori che hanno scritto per quello strumento e per i suoi predecessori sapessero bene o male suonarlo, per cui - ma potrei sbagliarmi visto che non sono un pianista - col tempo è venuta a formarsi una modalità di scrittura pianistica funzionale al movimento delle dieci dita sulla tastiera, a prescindere dallo stile e dall'epoca. Quindi, non dico che leggere Rachmaninov sia come leggere una Sonatina di Mozart, però forse questo filo rosso che percorre l'evoluzione della scrittura per pianoforte facilita la prima vista.

 

Lo stesso non si può dire per la tecnica e la scrittura per chitarra, che nel corso del Novecento è stata reinventata più volte. Se io suono Giuliani, poi Sor, poi Regondi, poi Tarrega e poi Llobet, è vero che sono di fronte a stili diversi, ma è chiaramente percepibile anche lì il filo rosso che tiene insieme quella pur breve tradizione (si tratta di un secolino appena di musica).

 

Giocando coi se, possiamo ipotizzare un Castelnuovo-Tedesco, un Rodrigo, un Tansman, un Berkley, uno Henze, un Takemitsu provetti chitarristi formatisi tecnicamente sui grandi capolavori di Giuliani e Regondi (lascio fuori l'avanguardia, che fa discorso a sé). Saremmo di fronte magari non a un linguaggio, ma sicuramente a una scrittura chitarristica molto più omogenea. E se noi ci fossimo ingobbiti per anni su quegli ipotetici pezzi, forse saremmo un po' più bravi con la prima vista. No?

 

Le Sue osservazioni sono fondate. Il fatto è che le difficoltà di lettura a vista si manifestano - da parte dei chitarristi - anche nelle parti di chitarra di composizioni da camera scritte da chitarristi. Provi con una composizione di un autore come Carulli, Molino, Giuliani, etc.: ben raramente troverà un chitarrista capace di andare da capo a fine senza impigliarsi da qualche parte, mentre i suoi colleghi - il flautista, il violinista, persino il violista, etc. - troveranno normalissimo leggere le loro parti tutte d'un fiato senza il minimo intoppo. Di questo guaio, si lagnava Niccolò Paganini, che provò uno dei suoi quartetti in quel di Napoli chiamando il miglior chitarrista della città: questi suonava variazioni imparate a memoria ma, davanti al leggio, non prendeva una nota giusta.

 

Certo, la musica dei compositori non chitarristi risulta ancora più ostica alla lettura.

 

Mi permetta però di ricordare alcuni colleghi capaci di leggere a prima vista qualunque composizione per chitarra: il defunto Siegfried Behrend, il maestro Gabriel Estarellas, l'ormai maturo virtuoso Christian Saggese, il giovane Edoardo Dadone.

 

dralig

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I compositori "segoviani" hanno delclinato chitarristicamente il loro stile in maniera piuttosto simile. E' una letteratura, quella commissionata da Segovia, con molti pregi e qualche difetto, secondo me. Da un lato questi compositori ebbero il notevole pregio di staccare la scrittura per chitarra dai chitarristi stessi, dall'altro non si può non notare come in certi frangenti, la loro scrittura sia una sorta di filiazione di modelli pianistici che sullo strumento a sei corde risulta poco organica.

 

Qualcuno però capì che la chitarra poteva essere altro, De Falla, Martin, Villa-Lobos (che però la chitarra la maneggiava)a d esempio, ebbero la felicissima intuizione di individuare nella chitarra dei modelli di scrittura assolutamente congeniali allo strumento, oltre che musicalmente ineccepibili.

 

Certo che dover fare i conti ancora oggi con presunte difficoltà di lettura di lavori scritti nella prima metà del '900 è un po' inquietante.

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