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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

60 Studi di Virtuosità e di Trascendenza, Angelo Gilardino


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C'è un problema a monte.

Scrivere musica per chitarra su un pentagramma, o almeno certa musica, è assurdo.

Bisognerebbe utilizzare il doppio, come usa per il pianoforte, perchè spesso, in una scrittura a tre voci diventa arduo sistemare note e pause in maniera chiara, e se a questo aggiungiamo i numerini delle dita e quelli delle corde, le posizioni e i segni dinamici, ci si ritrova a dover gestire in spazi angusti una quantità di simboli al cui confronto i gironi danteschi paiono deserti. In compenso gli spartiti per chitarra sono privi di legature di frase.

 

 

Questione vecchissima e mai risolta. Ci provò Fernando Sor, con una risentita prefazione alla prima edizione della sua Fantasia op. 7, ben scritta su un'accollatura a due pentagrammi - salvo doverla ristampare poco tempo dopo aver buttato nella spazzatura le copie invendute della sua dotta, prima realizzazione.

 

Da allora in poi, si scrive su un'accollatura a due righi (entrambi in chiave di Sol con trasposizione delle note reali all'ottava superiore) quello che ragionevolmente non si può scrivere su un solo rigo. E' un ripiego, ma il tentativo di scrivere "organicamente" è fallito, punto e basta.

 

 

A parer mio la diteggiatura non dovrebbe essere scritta, ci si potrebbe limitare ad indicare le corde e la posizione in certi passaggi, specialmente se si fa uso di campanelas, dove la scrittura prevede una scelta strumentale univoca da parte del compositore. Viceversa, dover indicare 1 2 3 4 lungo tutta l'opera mi sembra un'operazione che l'interprete dovrebbe essere in grado, senza fatica, di risolvere in piena autonomia.

 

L'idea del legato che suggerisci è musicalmente interessante, ti sei chiesto quali dubbi solleverebbe nella mente dell'esecutore medio?

 

Esistono due tipi di diteggiatura: quella strutturale e quella di aiuto alla decifrazione. Quella strutturale non si può omettere - la sua assenza darebbe luogo a una serie interminabile di equivoci e di discussioni. Quella di aiuto alla decifrazione è utile nei metodi e nei brani destinati agli allievi dei primi anni. Nei pezzi destinati a esecutori capaci, non solo è superflua, ma dà fastidio, perché, in un reticolato altamente probabilistico come è quello della chitarra, ogni esecutore ama cercare le proprie, personali diteggiature.

 

Ciò nonostante, nell'ambito della medesima collezione di musiche per chitarra sola (Bèrben-Gilardino) le pochissime composizioni pubblicate senza diteggiatura registrano vendite pari a non più del dieci per cento rispetto alle composizioni diteggiate.

 

Conclusioni: le diteggiature servono ai chitarristi per poterle sostituire con le proprie, facendo sapere - ieri solo nelle aule dei conservatori, oggi anche nei gruppi di discussione - quanto le proprie siano migliori. Eccezione: per alcuni "segoviani", le diteggiature di Segovia sono sempre geniali e insostituibili, anche quando, dall'ascolto dei dischi del maestro, risulta evidente che il primo a non adoperarle era lui.

 

dralig

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A questo punto, mi chiedo: perché affrontare un repertorio da virtuosi se ancora si è così poco sicuri al punto di non saper decidere autonomanente quale dito della mano destra usare?

 

Credo che questa domanda, dopo aver ricevuto la meritata ovazione, richieda anche una risposta, e dubito che la risposta possa allontanarsi molto dalla dilagante superficialità che trasuda, ad esempio, dalla maggior parte dei dischi in commercio.

Qui, però, si pone un dilemma successivo... che poi è lo stesso, ma visto da un altro punto di vista: dove - inteso come in chi e in che cosa - individuare la responsabilità di questo approccio "poco scavato"?

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m-a acciaccatura; i,m,i,m quartina ; p-p bassi.

 

E' questa la diteggiatura che immaginavo componendo il brano. Evito tuttavia di scrivere diteggiature della mano destra perché - componendo a mente, senza strumento - identifico all'istante le note e le loro diteggiature di tastiera (mano sinistra), ma non sempre - anzi piuttosto di rado - quelle della mano destra (a meno che non siano ovvie). In altre parole, nel processo di "introiezione" (grazie dottor Freud) della chitarra - quello che ha reso superfluo l'uso dello strumento per comporre e per leggere le musiche altrui - ho dimenticato di "tirar dentro" la mano destra, e "vedo e sento" solo le note proiettate sulla tastiera. Le mie diteggiature non sono le migliori - almeno da quanto ho visto, ogni concertista le modifica abbondantemente - e servono soltanto a rendere esplicito il processo che ha condotto a immaginare le note e il loro suono in un determinato modo. In quasi tutti i casi, dunque, sono diteggiature "strutturali", che manifestano unitariamente note e "posizioni". Nel modificarle, gli interpreti dovrebbero sempre tener conto di questo valore strutturale, migliorandone le applicazioni, ma senza trasformare la struttura: ad esempio, io non uso mai le scale - che ritengo (chitarristicamente) brutte - e, nei rarissimi casi di passi per gradi congiunti, adopero sempre una diteggiatura a campanelas. Immagino che se ne possano inventare di migliori, ma sempre nel genere campanelas.

 

dralig

 

Vorrei sottolineare queste parole di Angelo; è sacrosanto il diritto di adattare le diteggiature da parte di chi suona e soprattutto, da parte di chi scrive, di non intervenire se non in casi probanti con i suggerimanti per la mano destra. Nelle numerosissime opere didattiche stampate si vedono talvolta indicazioni di intere righe con scritto "i-m-i-m-i-m-i-m-"etc (!).

.Talvolta è utile consigliare nelle prime battute: "cominciate m-i--m-i oppure i-a-i-a e non i-m-i-m! " Alla fine, però, si tratta di personalizzazioni ovviamente non sempre universali.

E' verissimo che bisogna prima "pensare" ciò che si scrive (è poi possibile controllarlo sullo strumento) e quindi, dopo, 'diteggiare' (a mente o con la chitarra in mano, se si sente il bisogno di un ulteriore controllo). Personalmente, sono poi un sostenitore del "dito guida", anche se in opere moderne esso riveste minore importanza. Le "campanelas", infine, danno veramente un buon risultato strumentale e consiglierei ai giovani di scriverle accompagnate da un legato, quasi ad indicare un effetto "pedale di pianoforte".

Questo lo dico perché sia chi compone che chi suona molto spesso trascura le indicazioni sopra e sotto il rigo.

 

A questo punto, mi chiedo: perché affrontare un repertorio da virtuosi se ancora si è così poco sicuri al punto di non saper decidere autonomanente quale dito della mano destra usare?

 

Nei lavori didattici, sia personali che fatti assieme a Mario Gangi, spesso è stato apposto uno "zero" vicino al MI basso (e magari anche una p); questo appare sicuramente pleonastico (se non ridicolo, essendo la scelta obbligata ) a chi non tiene conto dell'impatto visivo che facilita la lettura, che dovrebbe sempre avvenire dal basso verso l'alto.

 

Di altre mille cose si potrebbe dire, ma credo proprio che non sia il caso. Salvando in ogni caso gli stili, lasciamo comunque un pochino di libertà a chi scrive (che cerchi di farsi capire) e a chi suona (che cerchi di capire).

 

 

 

M° Carfagna,io sono cresciuto con le sue diteggiature Gangi-Carfagna,delle edizioni Berben,i volumi di Giuliani, Sor, Antologie,e ho sempre trovato brillantissime soluzioni, che mi risolvevano i passaggi più ostici.

Da studente degli anni '80 ,cercavo le sue diteggiature,e il fatto che Lei dice :chi scrive (che cerchi di farsi capire),lo trovo molto positivo,per le musiche dei studenti(come ero io).E mi trovo anche molto daccordo quando Lei dice:chi suona (che cerchi di capire),e questo secondo me, appartiene ai concertisti,e non più ai studenti.Quando affrontavo brani per i concerti, molte volte, mi trovavo,in un qualsiasi brano diteggiato da chiunque, (o anche senza diteggiature)a cambiare(o a inventare) le formule diteggiatrici,perchè io stesso mi trovavo meglio,in quella ricerca che mi attirava molto quando studiavo gli studi 32 e 47 di Gilardino,quasi mi divertivo ,anzi mi eccitavo di più a trovare soluzioni che mi miglirassero la tenuta del suono intimo,personale ed espressivo.La libertà che Lei dice e che deve avere chi scrive e chi suona,è perfetta,secondo me.Grazie

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Ospite Bernardo Gui
Da allora in poi, si scrive su un'accollatura a due righi (entrambi in chiave di Sol con trasposizione delle note reali all'ottava superiore) quello che ragionevolmente non si può scrivere su un solo rigo.

 

Con risultati stupefacenti. Mi è capitato in questo periodo di leggere e studiare un pezzo molto intricato ma totalmente privo di diteggiatura e scritto su due pentagrammi in chiave di violino: una goduria.

 

in un reticolato altamente probabilistico come è quello della chitarra

 

Domanda che mi frulla in testa da un po', e che giro a chi forse mi può dare una risposta (ma forse l'argomento meriterebbe un thread a sé): nella chitarra il "reticolato" di possibilità di diteggiatura è superiore rispetto agli altri strumenti? Ed è possibile collegare anche (ripeto: anche) a questo una maggiore difficoltà dei chitarristi nel leggere a prima vista?

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Domanda che mi frulla in testa da un po', e che giro a chi forse mi può dare una risposta (ma forse l'argomento meriterebbe un thread a sé): nella chitarra il "reticolato" di possibilità di diteggiatura è superiore rispetto agli altri strumenti? Ed è possibile collegare anche (ripeto: anche) a questo una maggiore difficoltà dei chitarristi nel leggere a prima vista?

 

Sulla tastiera di un pianoforte, un DO al terzo spazio può essere suonato solo su quel tasto, può cambiare il dito con cui lo si suona. Sulla tastiera della chitarra, il DO sul terzo spazio può essere suonato sulla seconda, terza, quarta e quinta corda (tralasciamo il fatto che per i due strumenti si tratti di due DO di altezze differenti causa la trasposizone operata nel pentagramma chitarristico).

 

Sotto questo aspetto la chitarra è lo strumento polifonico più intricato che esista, da cui la celeberrima sentenza di Berlioz, secondo il quale per scrivere per chitarra bisogna saperla suonare. Certo, si trattava di scrivere secondo le regole dell'armonia classica allora, la sentenza è stata poi magistralmente smentita nel '900 da compositori che non hanno mai imbracciato una chitarra.

 

Ma, forse, sulla chitarra l'armonia esiste anche in funzione delle scelte strumentali che il compositore opera, un DO suonato su corde differenti determina la possibilità o l'impossibilità di armonie differenti. Ovviamente è un discorso che riguarda anche il senso che la stessa nota produce, timbricamente, su corde differenti, non è una questione di banale comodità.

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Questione vecchissima e mai risolta. Ci provò Fernando Sor, con una risentita prefazione alla prima edizione della sua Fantasia op. 7, ben scritta su un'accollatura a due pentagrammi - salvo doverla ristampare poco tempo dopo aver buttato nella spazzatura le copie invendute della sua dotta, prima realizzazione.

 

Da allora in poi, si scrive su un'accollatura a due righi (entrambi in chiave di Sol con trasposizione delle note reali all'ottava superiore) quello che ragionevolmente non si può scrivere su un solo rigo. E' un ripiego, ma il tentativo di scrivere "organicamente" è fallito, punto e basta.

 

 

Già, lavoro tanto interessante quanto sfortunato quello di Sor.

 

Ho la presunzione di credere che si scrivesse senza trasposizione, su due pentagrammi, l'uso dei sovracuti avrebbe un peso maggiore nella letteratura chitarristica. Quella è la zona oscura dello strumento, credo anche a causa del delirio rappresentato dall'andare a individuare le note in quelle cataste di tagli addizionali.

 

 

 

Ciò nonostante, nell'ambito della medesima collezione di musiche per chitarra sola (Bèrben-Gilardino) le pochissime composizioni pubblicate senza diteggiatura registrano vendite pari a non più del dieci per cento rispetto alle composizioni diteggiate.

 

dralig

 

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Da allora in poi, si scrive su un'accollatura a due righi (entrambi in chiave di Sol con trasposizione delle note reali all'ottava superiore) quello che ragionevolmente non si può scrivere su un solo rigo.

 

Con risultati stupefacenti. Mi è capitato in questo periodo di leggere e studiare un pezzo molto intricato ma totalmente privo di diteggiatura e scritto su due pentagrammi in chiave di violino: una goduria.

 

in un reticolato altamente probabilistico come è quello della chitarra

 

Domanda che mi frulla in testa da un po', e che giro a chi forse mi può dare una risposta (ma forse l'argomento meriterebbe un thread a sé): nella chitarra il "reticolato" di possibilità di diteggiatura è superiore rispetto agli altri strumenti? Ed è possibile collegare anche (ripeto: anche) a questo una maggiore difficoltà dei chitarristi nel leggere a prima vista?

 

La risposta è si. Non solo una nota, o un accordo, o una qualunque configurazione polifonica si può collocare "oggettivamente" sulla tastiera della chitarra in diverse posizioni su corde differenti ma, nella stessa posizione e sulle stesse corde, ciascuna nota, accordo, figura contrappuntistica, può essere eseguita "soggettivamente" con un diverse diteggiature. Quindi, dal punto di vista puramente probabilistico - cioè senza mettere in gioco fattori di tipo estetico, pertinenti alla sfera dell'interpretazione - il reticolato corde-tastiera è assai più complesso delle situazioni che si danno con uno strumento a tastiera o a corde libere (arpa). Le difficoltà che i chitarristi in genere mostrano nella lettura a prima vista dipendono: a) da quanto sopra esposto; 2) dal tipo di notazione improprio invalso nella musica per chitarra - che si scrive male, a causa dell'adozione ormai irreversibile del pentagramma singolo; 3) dalla scarsa inclinazione dei chitarristi a far musica da camera, il genere di pratica che più di ogni altro necessita di una lettura pronta e precisa.

 

dralig

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Ospite Bernardo Gui
La risposta è si. Non solo una nota, o un accordo, o una qualunque configurazione polifonica si può collocare "oggettivamente" sulla tastiera della chitarra in diverse posizioni su corde differenti ma, nella stessa posizione e sulle stesse corde, ciascuna nota, accordo, figura contrappuntistica, può essere eseguita "soggettivamente" con un diverse diteggiature. Quindi, dal punto di vista puramente probabilistico - cioè senza mettere in gioco fattori di tipo estetico, pertinenti alla sfera dell'interpretazione - il reticolato corde-tastiera è assai più complesso delle situazioni che si danno con uno strumento a tastiera o a corde libere (arpa). Le difficoltà che i chitarristi in genere mostrano nella lettura a prima vista dipendono: a) da quanto sopra esposto; 2) dal tipo di notazione improprio invalso nella musica per chitarra - che si scrive male, a causa dell'adozione ormai irreversibile del pentagramma singolo; 3) dalla scarsa inclinazione dei chitarristi a far musica da camera, il genere di pratica che più di ogni altro necessita di una lettura pronta e precisa.

 

Grazie della risposta. Rilancio: le difficoltà di lettura possono anche essere dovute al fatto che larghissima parte della nostra letteratura è stata scritta da non chitarristi?

 

Io ho una mia teoria (suffragata da quella cosa che mi sta tra la bocca e gli occhi). Faccio sempre il confronto facile col pianoforte: credo che tutti i grandi compositori che hanno scritto per quello strumento e per i suoi predecessori sapessero bene o male suonarlo, per cui - ma potrei sbagliarmi visto che non sono un pianista - col tempo è venuta a formarsi una modalità di scrittura pianistica funzionale al movimento delle dieci dita sulla tastiera, a prescindere dallo stile e dall'epoca. Quindi, non dico che leggere Rachmaninov sia come leggere una Sonatina di Mozart, però forse questo filo rosso che percorre l'evoluzione della scrittura per pianoforte facilita la prima vista.

 

Lo stesso non si può dire per la tecnica e la scrittura per chitarra, che nel corso del Novecento è stata reinventata più volte. Se io suono Giuliani, poi Sor, poi Regondi, poi Tarrega e poi Llobet, è vero che sono di fronte a stili diversi, ma è chiaramente percepibile anche lì il filo rosso che tiene insieme quella pur breve tradizione (si tratta di un secolino appena di musica).

 

Giocando coi se, possiamo ipotizzare un Castelnuovo-Tedesco, un Rodrigo, un Tansman, un Berkley, uno Henze, un Takemitsu provetti chitarristi formatisi tecnicamente sui grandi capolavori di Giuliani e Regondi (lascio fuori l'avanguardia, che fa discorso a sé). Saremmo di fronte magari non a un linguaggio, ma sicuramente a una scrittura chitarristica molto più omogenea. E se noi ci fossimo ingobbiti per anni su quegli ipotetici pezzi, forse saremmo un po' più bravi con la prima vista. No?

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Grazie della risposta. Rilancio: le difficoltà di lettura possono anche essere dovute al fatto che larghissima parte della nostra letteratura è stata scritta da non chitarristi?

 

Io ho una mia teoria (suffragata da quella cosa che mi sta tra la bocca e gli occhi). Faccio sempre il confronto facile col pianoforte: credo che tutti i grandi compositori che hanno scritto per quello strumento e per i suoi predecessori sapessero bene o male suonarlo, per cui - ma potrei sbagliarmi visto che non sono un pianista - col tempo è venuta a formarsi una modalità di scrittura pianistica funzionale al movimento delle dieci dita sulla tastiera, a prescindere dallo stile e dall'epoca. Quindi, non dico che leggere Rachmaninov sia come leggere una Sonatina di Mozart, però forse questo filo rosso che percorre l'evoluzione della scrittura per pianoforte facilita la prima vista.

 

Lo stesso non si può dire per la tecnica e la scrittura per chitarra, che nel corso del Novecento è stata reinventata più volte. Se io suono Giuliani, poi Sor, poi Regondi, poi Tarrega e poi Llobet, è vero che sono di fronte a stili diversi, ma è chiaramente percepibile anche lì il filo rosso che tiene insieme quella pur breve tradizione (si tratta di un secolino appena di musica).

 

Giocando coi se, possiamo ipotizzare un Castelnuovo-Tedesco, un Rodrigo, un Tansman, un Berkley, uno Henze, un Takemitsu provetti chitarristi formatisi tecnicamente sui grandi capolavori di Giuliani e Regondi (lascio fuori l'avanguardia, che fa discorso a sé). Saremmo di fronte magari non a un linguaggio, ma sicuramente a una scrittura chitarristica molto più omogenea. E se noi ci fossimo ingobbiti per anni su quegli ipotetici pezzi, forse saremmo un po' più bravi con la prima vista. No?

 

Le Sue osservazioni sono fondate. Il fatto è che le difficoltà di lettura a vista si manifestano - da parte dei chitarristi - anche nelle parti di chitarra di composizioni da camera scritte da chitarristi. Provi con una composizione di un autore come Carulli, Molino, Giuliani, etc.: ben raramente troverà un chitarrista capace di andare da capo a fine senza impigliarsi da qualche parte, mentre i suoi colleghi - il flautista, il violinista, persino il violista, etc. - troveranno normalissimo leggere le loro parti tutte d'un fiato senza il minimo intoppo. Di questo guaio, si lagnava Niccolò Paganini, che provò uno dei suoi quartetti in quel di Napoli chiamando il miglior chitarrista della città: questi suonava variazioni imparate a memoria ma, davanti al leggio, non prendeva una nota giusta.

 

Certo, la musica dei compositori non chitarristi risulta ancora più ostica alla lettura.

 

Mi permetta però di ricordare alcuni colleghi capaci di leggere a prima vista qualunque composizione per chitarra: il defunto Siegfried Behrend, il maestro Gabriel Estarellas, l'ormai maturo virtuoso Christian Saggese, il giovane Edoardo Dadone.

 

dralig

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