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La scusante "a casa mi riesce meglio" la possono usare solo gli studenti. Nella bocca di un concertista non suona ridicola, è patetica!

 

...

 

Dio scampi tutti i professionisti degni di tale nome dal diventare come tu dici, Francesco! Io non ne conosco di artisti di alto livello che siano come dici tu. Però mi fido delle tue parole, magari esistono ...

 

Io ne conosco tanti, troppi, invece. Preferisco mille volte apparire patetico e ridicolo piuttosto che non apparire affatto. Mi spiego.

La paura va dominata, altrimenti il messaggio che portiamo dentro non passa. D'accordo. Ma qual'è questo messaggio che vogliamo trasmettere? E' questo il punto. L' essere umano, con tutte le sue debolezze, o l'essere riusciti a sconfiggere la paura stessa? (magari attaverso calcolci complicati -non ho capito quante volte volte bisogna moltiplicare per dieci, ma questo è altro argomento).

 

Edo, non siamo elaboratori elettronici, per fortuna! (se al posto di dieci ne faccio nove o undici, che mi succede?). Spesso ce lo dimentichiamo (chissà perché, poi). Io piango e rido quando ne ho voglia, tremo di fronte ad un pubblico e mi emoziono ancora se vedo un bimbo che gioca.

La paura (al di là di elaborate teorie scientifiche) è più semplicemente un emozione fortissima che si prova in situazioni estreme. Il concertista è abituato ad affrontarle quasi quotidianamente, ed è solo per questo che ha imparato a conoscerle e a dominarle.

 

Ieri ha suonato un mio allievo a Brescia. E' stato il suo debutto nel fantastico mondo concertistico! Aveva molta paura. Che bello! Se non ne avesse avuta sarebbe stato molto triste. Ha iniziato pian pianino, quasi in punta di piedi, tremando dappertutto e poi via via si è liberato ed è addirittura passato al contrattacco. Ha dominato la propria paura in corso d'opera.

 

Ma di cosa si ha paura esattamente? Non di far cilecca di stupidi passaggi (ma perchè no, anche di quello!), ma di non riuscire a far passare correttamente il messaggio artistico (quando c'è). Conosco una sfilza di persone che ha paura prima di un concerto. Ho un altro elenco simile di musicisti che ha rinunciato alla carriera per questo. Conosco anche tanti "professionisti" che ce l'hanno fatta. Di questi ultimi, però, ho molta più paura, perchè sono riusciti ad andare addirittura contro se stessi, hanno abbattuto le loro barriere di difesa e sono diventati degli automi. Il messaggio che poi trasmettono è proprio questo! La mancanza di paura e di timore genera in loro la falsa convinzione di aver trovato la via giusta, unica, assoluta. Ma non è così. Sono mortalmente noiosi, proprio perchè non esprimono alcuna sensazione umana riconoscibile (quante volte diciamo: quel chitarrista suona bene ma senza emozioni) Ebbene, questo umanoide, è un soggetto che ormai non ha più paura di nulla. Nemmeno di se stesso. Figuriamoci di mille persone che non vede neppure più davanti a sè. Diverso è invece il discorso di quegli artisti che, pur avendo paura, riescono a dominarla e a lasciar passare il messaggio artistico. Sono rarissimi. Forse possiamo contarli su una mano sola!

 

Caro Edo, trovo mille volte più patetico un'individuo che non riesce a provare queste emozioni forti, perché non sa più assaporare le cose belle della vita. Dio me ne scampi. Ho una paura folle di diventare così. Quando ne incontri uno, per l'amor del cielo, non ti curar di lui, ma guarda e passa.

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A questa follia, bisognerebbe porre un argine, un freno. La musica da camera mi sembra un ottimo farmaco.

 

dralig

 

Che tasto dolente hai toccato!

 

Recentemente, parlando con un violoncellista ho avuto la conferma che il "chitarrista di musica da camera" è una figura che non esiste.

 

Per i chitarristi, essere parte di un organico è una scelta di serie b; la scelta viene vissuta come un ripiego e a sostegno di questa tesi si può aggiungere che il repertorio cameristico con chitarra è per il chitarrista un magma aleatorio fatto di pagine scelte a caso in un vuoto di consapevolezza della letteratura.

 

L'unica ambizione del chitarrista è quella di suonare il concerto per chitarra orchestra dove mostrare per l'ennesima volta le sue capacità solistiche.

 

Tutto ciò è terrificante.

Se si pensa all'importanza degli insiemi cameristici nello sviluppo del linguaggio musicale ci si chiede perchè i chitarristi debbano restarne ancora una volta ai margini.

 

Io spero vivamente che questa situazione cambi, spero che come si è presa consapevolezza del repertorio originale, si possa un giorno guardare al repertorio cameristico come a un dato di fatto ineludibile.


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La paura va dominata, altrimenti il messaggio che portiamo dentro non passa. D'accordo.

 

Si, ma qual è il modo migliore per dominarla? Assalirla con contrasti allopatici? Opporle resistenza? La paura sarà sempre lì, e ad essa si aggiungerà l'aggravante della resistenza. E' chiaro che l'unico modo di dominare la paura è comprenderne l'essenza e l'origine alle radici. Questo comporta un'operazione di verità che, nei riguardi di se stessi, non tutti, anzi non molti, sono disposti a compiere. E' più facile alimentare un mito di se stessi, costruire su ciò che si è l'immagine di ciò che si vorrebbe essere, e a quella sacrificare ogni evidenza di verità: questa simulazione è la fonte di una infinita serie di paure e di terrori. Paradossalmente, si dà talvolta (anche se di rado) il caso di musicisti che sono potenzialmente assai migliori del modello che si sono imposti: in tali casi, la paura arriva a livelli patologici.

 

 

 

 

Ma qual'è questo messaggio che vogliamo trasmettere? E' questo il punto. L' essere umano, con tutte le sue debolezze, o l'essere riusciti a sconfiggere la paura stessa?

 

 

Per trasmettere fedelmente un messaggio, caro Francesco, non occorre conoscerne letteralmente il contenuto. Il mistero dell'arte si serve degli artisti per consolidarsi nella sua iterazione, non per svelarsi. E' ancora la poesia che ci aiuta a capire:

 

"La mia venuta era testimonianza

di un ordine che in viaggio mi scordai,

giurano fede queste mie parole

a un evento impossibile, e lo ignorano."

 

E più avanti:

 

"...Non sono

che favilla d'un tirso. Bene lo so: bruciare,

questo, non altro, è il mio significato".

 

 

 

dralig


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Si, ma qual è il modo migliore per dominarla? Assalirla con contrasti allopatici? Opporle resistenza? La paura sarà sempre lì, e ad essa si aggiungerà l'aggravante della resistenza. E' chiaro che l'unico modo di dominare la paura è comprenderne l'essenza e l'origine alle radici. Questo comporta un'operazione di verità che, nei riguardi di se stessi, non tutti, anzi non molti, sono disposti a compiere. E' più facile alimentare un mito di se stessi, costruire su ciò che si è l'immagine di ciò che si vorrebbe essere, e a quella sacrificare ogni evidenza di verità: questa simulazione è la fonte di una infinita serie di paure e di terrori. Paradossalmente, si dà talvolta (anche se di rado) il caso di musicisti che sono potenzialmente assai migliori del modello che si sono imposti: in tali casi, la paura arriva a livelli patologici.

 

 

Angelo carissimo, dominare le proprie paure è operazione delicatissima e importantissima. Vai a toccare il DNA dell'uomo con tutte le modificazioni che questo comporta. Mi vengono in mente, ad esempio, i cibi transgenici che non sanno più di nulla, gli alberi senza chioma, gli animali tutti uguali, e così via. Non voglio diventare così. Voglio combattere le mie paure attraverso i mezzi che la natura mi offre, senza forzare nulla. Ho paura di diventare quello che non vorrei mai essere, un'uomo che affronta la vita con indifferenza o saccenza. So bene, e Montale me lo ricorda divinamente, che sono uno strumento nelle mani dell'arte e che il tutto mi è stato affidato solo in prestito. Niente di quello che faccio è opera mia. Cerco di tirarlo fuori solo perché mi è stato dato. Quello che è mio, invece, è tutta la debolezza umana, fatta di carne che sanguina se si ferisce, di lacrime che sgorgano se si è tristi o di occhi che brillano per la gioia. Queste cose non posso addomesticarle. Smettere di piangere o ridere, perchè devo dimostrare a tutti i costi che non devo emozionarmi, equivale a mangiarsi un pollo vissuto per tutta la vita in condizioni che conosciamo benissimo.

 

Lontanissimo un miliardo di anni luce dalle poesie che ci regali, ti offro anch'io la mia visione in versi di cosa provo durante un concerto.

 

CONCERTO

L’anima si spoglia

per guardare il mondo in solitudine

e volare sulle teste indistinguibili

di un pubblico di sabbia

 

piccoli granelli luccicanti

che formano un mare

bellissimo

che a volte ruggisce

altre no

 

ancora rumoreggia

ma poi si placa

 

come le onde

come la pioggia

 

come le stelle

che ardono e illuminano il buio della sala

che tristemente si svuota

quando l’anima

rientra nel suo involucro di plastica

 

e aspetta di riveder la luce

 

 

Francesco

Milano, ven21gen2004


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Vedo verità (indiscusse) nelle parole dei M° che hanno scritto qui sopra. Grazie a questo non si vede solo una facciata delle cose, ma più facciate, tante verità che a mio parere costituiscono una buona vista.

Farò monito del pensiero del M° Gilardino e Catemario, perchè sono pensieri nati non da presupposizioni ma da vita vera e non mi spaventa il fatto che possono sembrare in contraddizione, anzi, come detto sopra farò tesoro di quanto detto senza tralasciare nulla.

 

Fondamentale come sempre è la base e la preparazione, l'aver fatto un percorso "giusto" e soprattutto guidato da un buon insegnante è già come dice il M° Catemario, quasi garanzia di successo. Poi le cose da considerare sono tante, la storia personale, i traumi subiti, il carattere, e tantissime altre cose. Tutto questo mi fa dire che per fare il concertista bisogna aver risolto tutto questo PRIMA di salire sul palco, se non è stato fatto non è certo il momento di fare una esibizione (e non uso a caso questa parola) perchè appunto si avrà paura.

Fare un recital è una cosa piccola e grande, bisogna farlo solo se si è davvero in grado di farlo.

Avevo scritto un lunghissimo messaggio ma l'ho cancellato perchè sono arrivato a capire il significato di ciò che ha scritto il M° Gilardino, che subito mi sembrava molto duro e quasi ingiusto a dire "chi ha paura fa bene ad avercela perchè non è degno di essere un concertista" (non sono le esatte parole ma credo renda bene l'idea del pensiero). Resisto alla tentazione di riportare ciò che ho capito perchè credo che sia inutile e forse fuorviante, certe scoperte hanno valore solo se sono scoperte personali. Un sasso viene gettato....


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Si, ma qual è il modo migliore per dominarla? Assalirla con contrasti allopatici? Opporle resistenza? La paura sarà sempre lì, e ad essa si aggiungerà l'aggravante della resistenza. E' chiaro che l'unico modo di dominare la paura è comprenderne l'essenza e l'origine alle radici. Questo comporta un'operazione di verità che, nei riguardi di se stessi, non tutti, anzi non molti, sono disposti a compiere. E' più facile alimentare un mito di se stessi, costruire su ciò che si è l'immagine di ciò che si vorrebbe essere, e a quella sacrificare ogni evidenza di verità: questa simulazione è la fonte di una infinita serie di paure e di terrori. Paradossalmente, si dà talvolta (anche se di rado) il caso di musicisti che sono potenzialmente assai migliori del modello che si sono imposti: in tali casi, la paura arriva a livelli patologici.

 

 

Angelo carissimo, dominare le proprie paure è operazione delicatissima e importantissima. Vai a toccare il DNA dell'uomo con tutte le modificazioni che questo comporta. Mi vengono in mente, ad esempio, i cibi transgenici che non sanno più di nulla, gli alberi senza chioma, gli animali tutti uguali. e così via. Non voglio diventare così. Voglio combattere le mie paure attraverso i mezzi che la natura mi offre, senza forzare nulla. Ho paura di diventare quello che non vorrei mai essere, un'uomo che affronta la vita con indifferenza o saccenza. So bene, e Montale me lo ricorda divinamente, che sono uno strumento nelle mani dell'arte e che il tutto mi è stato affidato solo in prestito. Niente di quello che faccio è opera mia. Cerco di tirarlo fuori solo perché mi è stato dato. Quello che è mio, invece, è tutta la debolezza umana, fatta di carne che sanguina se si ferisce, di lacrime che sgorgano se si è tristi o di occhi che brillano per la gioia. Queste cose non posso addomesticarle. Smettere di piangere o ridere, perchè devo dimostrare a tutti i costi che non devo emozionarmi, equivale a mangiarsi un pollo vissuto per tutta la vita in condizioni che conosciamo benissimo.

 

Lontanissimo un miliardo di anni luce dalle poesie che ci regali, ti offro anch'io la mia visione in versi di cosa provo durante un concerto.

 

CONCERTO

L’anima si spoglia

per guardare il mondo in solitudine

e volare sulle teste indistinguibili

di un pubblico di sabbia

 

piccoli granelli luccicanti

che formano un mare

bellissimo

che a volte ruggisce

altre no

 

ancora rumoreggia

ma poi si placa

 

come le onde

come la pioggia

 

come le stelle

che ardono e illuminano il buio della sala

che tristemente si svuota

quando l’anima

rientra nel suo involucro di plastica

 

e aspetta di riveder la luce

 

 

Francesco

Milano, ven21gen2004

 

Caro Francesco, quello che leggo nei tuoi versi - e che ho ascoltato molte volte nelle tue esecuzioni - è poesia, non paura. Che tu raggiunga uno stato poetico vincendo la paura è molto bello, ma non è necessario. E senza paura non smetteresti di essere il poeta-musicista che sei.

 

Ho sempre creduto e pensato che l'arte è un modo di vivere, ed è la sostanza della vita dell'artista. Basta a ogni giorno la pena del creare, non occorre aggiungerne altre. Quando ci si presenta in pubblico, ci si trova dinanzi all'umanità. Altro che provarne paura, ci assale compassione. Come meglio non si poteva, ce lo dice Jorge Luis Borges:

 

"Parlano di umanità.

La mia umanità è sentire che siamo voci della stessa miseria.

Parlano di patria.

La mia patria è un palpito di chitarra, alcuni ritratti e una vecchia spada,

L'evidente preghiera dei salici nell'ora dei tramonti".

 

Ma quale paura? Di chi e di che cosa?

 

dralig


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Vedo verità (indiscusse) nelle parole dei M° che hanno scritto qui sopra. Grazie a questo non si vede solo una facciata delle cose, ma più facciate, tante verità che a mio parere costituiscono una buona vista.

Farò monito del pensiero del M° Gilardino e Catemario, perchè sono pensieri nati non da presupposizioni ma da vita vera e non mi spaventa il fatto che possono sembrare in contraddizione, anzi, come detto sopra farò tesoro di quanto detto senza tralasciare nulla.

 

Fondamentale come sempre è la base e la preparazione, l'aver fatto un percorso "giusto" e soprattutto guidato da un buon insegnante è già come dice il M° Catemario, quasi garanzia di successo. Poi le cose da considerare sono tante, la storia personale, i traumi subiti, il carattere, e tantissime altre cose. Tutto questo mi fa dire che per fare il concertista bisogna aver risolto tutto questo PRIMA di salire sul palco, se non è stato fatto non è certo il momento di fare una esibizione (e non uso a caso questa parola) perchè appunto si avrà paura.

Fare un recital è una cosa piccola e grande, bisogna farlo solo se si è davvero in grado di farlo.

Avevo scritto un lunghissimo messaggio ma l'ho cancellato perchè sono arrivato a capire il significato di ciò che ha scritto il M° Gilardino, che subito mi sembrava molto duro e quasi ingiusto a dire "chi ha paura fa bene ad avercela perchè non è degno di essere un concertista" (non sono le esatte parole ma credo renda bene l'idea del pensiero). Resisto alla tentazione di riportare ciò che ho capito perchè credo che sia inutile e forse fuorviante, certe scoperte hanno valore solo se sono scoperte personali. Un sasso viene gettato....

 

Lei è alle soglie della comprensione. Faccia ancora un passo avanti e la paura scomparirà una volta per tutte. Le vorrei offrire un aiuto. Si procuri alcune incisioni di colui che è stato uno dei massimi pianisti del Novecento, Vladimir Horowitz. Come forse Lei sa, dovette allontanarsi per una decina d'anni dall'attività concertistica a causa di problemi psichici che, al momento di presentarsi in pubblico, si manifestavano in un panico devastante. Provi ad ascoltare le sue registrazioni prima e dopo l'eclissi.

Ad esempio, Le suggerisco di ascoltare il secondo concerto di Brahms o il concerto famosissimo di Tchaicovskij (diretti, tra l'altro, da Toscanini), e avrà l'impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di sovrumano. Poi, ascolti una registrazione del vecchio Horowitz ottantenne, evidentemente dimidiato nella tecnica e nella potenza di suono, che esegue la Kreisleriana op. 16 di Robert Schumann, e fissi la Sua attenzione in particolare sull'ultimo tempo (dove troverà alcuni gravi accroc pianistici: il vecchio leone aveva perso gli artigli...). Dopo, se vuole, ne riparleremo, ma consideri un fatto importante: il vegliardo che compie quel miracolo di poesia musicale nella Kreisleriana non aveva più alcuna paura, anzi scherzava sulla sua tecnica ormai andata su per il camino. Il titano che invece trascinava l'orchestra della NBC, mettendo alla frusta anche la bacchetta di Toscanini, giunse ad accumulare in sé una tale paura da non poter più, letteralmente, mettere le mani sulla tastiera per un decennio.

Buon ascolto e buona riflessione.

 

dralig


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Caro Edo, trovo mille volte più patetico un'individuo che non riesce a provare queste emozioni forti, perché non sa più assaporare le cose belle della vita. Dio me ne scampi. Ho una paura folle di diventare così. Quando ne incontri uno, per l'amor del cielo, non ti curar di lui, ma guarda e passa.

 

Tu non corri questo rischio, Francesco (come d'altronde quello di sembrare patetico, il discorso sulle "scusanti", in concerto, io non te l'ho mai sentito fare). Il punto non sta nella paura. Chi ha un messaggio se ne fa latore sempre. Paura o non paura. Credere che la paura sia il messaggio potrebbe invece significare autorizzare tutti quelli che sono "assuefatti" all'esigenza del push di adrenalina a "farsi" (eh sì l'adrenalina è una droga) credendo di fare musica o, peggio, di provare emozioni. Semmai "una" emozione: la paura...

 

Non vorrei che del lungo post che avevo pubblicato, comprendente anche informazioni pratiche, venissero notate sole le mie "annotazioni a margine"...

 

Cordialmente

EC


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Lei è alle soglie della comprensione. Faccia ancora un passo avanti e la paura scomparirà una volta per tutte. Le vorrei offrire un aiuto. Si procuri alcune incisioni di colui che è stato uno dei massimi pianisti del Novecento, Vladimir Horowitz. Come forse Lei sa, dovette allontanarsi per una decina d'anni dall'attività concertistica a causa di problemi psichici che, al momento di presentarsi in pubblico, si manifestavano in un panico devastante. Provi ad ascoltare le sue registrazioni prima e dopo l'eclissi.

Ad esempio, Le suggerisco di ascoltare il secondo concerto di Brahms o il concerto famosissimo di Tchaicovskij (diretti, tra l'altro, da Toscanini), e avrà l'impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di sovrumano. Poi, ascolti una registrazione del vecchio Horowitz ottantenne, evidentemente dimidiato nella tecnica e nella potenza di suono, che esegue la Kreisleriana op. 16 di Robert Schumann, e fissi la Sua attenzione in particolare sull'ultimo tempo (dove troverà alcuni gravi accroc pianistici: il vecchio leone aveva perso gli artigli...). Dopo, se vuole, ne riparleremo, ma consideri un fatto importante: il vegliardo che compie quel miracolo di poesia musicale nella Kreisleriana non aveva più alcuna paura, anzi scherzava sulla sua tecnica ormai andata su per il camino. Il titano che invece trascinava l'orchestra della NBC, mettendo alla frusta anche la bacchetta di Toscanini, giunse ad accumulare in sé una tale paura da non poter più, letteralmente, mettere le mani sulla tastiera per un decennio.

Buon ascolto e buona riflessione.

dralig

 

... trovo quasi sconcertante il fatto che nel post che avevo scritto parlavo proprio di Horowitz portando quasi gli stessi esempi...


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... Dopo, se vuole, ne riparleremo, ma consideri un fatto importante: il vegliardo che compie quel miracolo di pwitoesia musicale nella Kreisleriana non aveva più alcuna paura, anzi scherzava sulla sua tecnica ormai andata su per il camino. Il titano che invece trascinava l'orchestra della NBC, mettendo alla frusta anche la bacchetta di Toscanini, giunse ad accumulare in sé una tale paura da non poter più, letteralmente, mettere le mani sulla tastiera per un decennio.

Buon ascolto e buona riflessione.

 

dralig

Angelo, hai colto (come sempre) nel segno! Nei miei ragionamenti, mi riferivo proprio a questo raggiungimento della pace interiore, ma non attraverso elaborate quanto fantasiose tecniche di studio, di autoipnosi, di metodi matematici o diavolerie simili, ma solo per presa di coscienza, la quale avviene sempre dopo un lento processo di maturazione.

L'ultimo Horowitz si era "liberato" del proprio fardello di voler "apparire a tutti i costi" ed aveva finalmente scoperto la vera gioia di suonare, quella autentica che ti mette in pace con il mondo. Questo stadio supremo, però, lo si dovrebbe raggiungere senza arrivare a superare gli ottant'anni, altrimenti stiamo freschi.

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