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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

I segni di agogica e di dinamica


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Mah...vediamo, è vero che tutti i segni sono importanti, altrimenti ci si risparmierebbe l'impegno di indicarli, forse però non tutti i segni hanno il medesimo grado di importanza.

 

Facendo riferimento ad una musica "tradizionale" quale è quella di MCT, che è certo ricca di segni di varia natura, sono propenso a credere che anche dopo una eventuale "ripulitura" sarebbe possibile cogliere il senso del discorso musicale.

 

Caro Alfredo, la graduatoria dell'importanza dei segni, chi dovrebbe farla? A me, per esperienza, servono tutti, ma proprio tutti quelli che sono segnati in partitura. Potresti farmi un esempio, nella pagina appena citata, di quali segni ritieni superflui? Mi potresti anche dire in che modo un impoverimento del testo dovrebbe portare un esecutore ad una migliore comprensione dello stesso?

 

Castelnuovo-Tedesco non aveva - per sua stessa, esplicita ammissione - il minimo controllo del suono "materiale" della chitarra, scriveva per uno strumento virtuale sovrapposto a quello reale, e non di rado le coincidenze tra i due livelli risultano problematiche: se un compositore scrive "ff" o "furioso", deve saper interpellare lo strumento nelle aree sonore che tali risultati permettono di ricavare. Questo lo può fare solo il compositore che abbia "le mani in pasta", e non il compositore che immagina uno strumento senza poterne verificare le risorse e la tenuta.

 

Molti compositori, anche quelli molto dotati strumentalmente, compongono per uno strumento virtuale che esiste innanzitutto nella propria testa. Non conosco nessun compositore che scrive opere sinfoniche in grado di suonare tutti gli strumenti dell'orchestra. Ciononostante chi compone (se lo sa fare) è perfettamente in grado di scrivere musica strumentalmente attinente. Roberto De Simone, autore che (credo) non ha bisogno di introduzione, rispose al mio "sconcerto" circa la perfetta suonabilità del suo "I Racconti di Mamma Orca" con ingenuo candore: "Beh, sai Catemario, la parte di chitarra nella mia testa suona chitarra..."

 

La precisazione di dralig, va a margine delle mie considerazioni circa la interpretazione del segno (sostituire un segno grafico con un suono, comprendere il significato del sistema di segni per restituire un'idea musicale). Considerazioni, queste semiologiche, assai secondarie (o perlomeno da affrontare in un momento successivo) rispetto alla semplice lettura del testo. Le considerazioni di tipo estetico-musicologico pongono l'ulteriore problema dello stile. Ma non vedo come possano giustificare la non osservanza di quanto scritto dal compositore. In parole povere, se il compositore scrive sostenuto e pomposo, ff, accentuato, ottave staccate, diminuendo, due accordi marcato e due ancora accentuati e poi una successione ascendente di arpeggi associata an un mf crescendo etc etc, su quali basi (di comune comprensione, non una semplice dissertazione autoreferenziale) la non osservanza dei semplicissimi segni della partitura dovrebbe significare una più corretta interpretazione? In che modo comprendere un segno (che so, mettiamo lo staccato) profondamente, dovrebbe portarmi alla convinzione che il compositore voleva invece un marcato o un legato?

 

Quindi, interpretativamente, non possiamo collocare la musica per pianoforte e la musica per chitarra di MCT allo stesso livello di lettura: nel suonare i brani pianistici, l'esecutore non trova alcuna discordanza tra lettera testuale e sonorità reale, nel suonare i brani per chitarra legge una dichiarazione d'intenti, tutta da verificare. Infatti, il compositore era incline a lasciare la massima libertà ai suoi interpreti chitarristi, anche se, ovviamente, aveva un suo preciso criterio di valutazione delle loro esecuzioni.

 

Mi faccia capire, vuole dire che MCT incoraggiava i chitarristi ad infischiarsene (mi consenta la parafrasi del suo "lasciare massima libertà") di quanto lui stesso scriveva in partitura? Ha conoscenza di altri compositori che la pensavano in maniera analoga? che so anche Henze, Britten, Walton o per andare un po' più indietro nel tempo, magari, Turina?

 

Sa, io ho usato l'esempio della prima pagina del capriccio per analizzare lo scostamento dal testo (e la mia relativa inclinazione a definirla cialtronaggine) di molti presunti interpreti. Ho ascoltato, a sostegno della mancanza di attenzione al testo, le teorie più pittoresche (più o meno sacrosantamente basate sulla candida affermazione di libertà). Il trattamento tributato al buon MCT non è una eccezione. Mi è capitato di ascoltare "operazioni" analoghe su Walton, Henze, Ginastera, ma anche Sor, Giuliani...

 

La musica di Milhaud io proverei a farla al tempo suggerito da Milhaud. Convinto che, probabilmente, sapesse cosa faceva e possedesse un metronomo e fosse conscio della "scala" che vuole un allegro più rapido di un Andante. Al di là della sua sensazione sulla semicomicità del risultato, è in possesso di informazioni che portino a credere che Milhaud si sia sbagliato? O che, mi correggo, volesse indicare un tempo diverso da quello da lui effettivamente indicato in partitura?

 

Cordialità

EC

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Molti compositori, anche quelli molto dotati strumentalmente, compongono per uno strumento virtuale che esiste innanzitutto nella propria testa. Non conosco nessun compositore che scrive opere sinfoniche in grado di suonare tutti gli strumenti dell'orchestra.

 

 

Il grado di controllo che un compositore acquisice nell'orchestrare - l'orchestrazione è parte essenziale dello studio della composizione - è cosa diversa da quello che può acquisire nei confronti di uno strumento qual è la chitarra, la cui tecnica e il cui idioma non fanno parte dell'istruzione accademica dei corsi di composizione, specialmente se si tratta di scrivere non una parte d'orchestra, ma brani solistici o parti concertanti. Del resto, basta vedere gli urtext e i manoscritti di MCT per rendersene conto: non solo scriveva segni dinamici e di espressione problematici, ma anche accordi impossibili. E lo sapeva, e faceva affidamento "sui suoi amici chitarristi" per rendere eseguibili le sue pagine. Castelnuovo-Tedesco era un ottimo orchestratore, ma questo non lo metteva in grado di scrivere per chitarra sola in modo realistico.

 

 

 

La precisazione di dralig, va a margine delle mie considerazioni circa la interpretazione del segno (sostituire un segno grafico con un suono, comprendere il significato del sistema di segni per restituire un'idea musicale). Considerazioni, queste semiologiche, assai secondarie (o perlomeno da affrontare in un momento successivo) rispetto alla semplice lettura del testo. Le considerazioni di tipo estetico-musicologico pongono l'ulteriore problema dello stile. Ma non vedo come possano giustificare la non osservanza di quanto scritto dal compositore. In parole povere, se il compositore scrive sostenuto e pomposo, ff, accentuato, ottave staccate, diminuendo, due accordi marcato e due ancora accentuati e poi una successione ascendente di arpeggi associata an un mf crescendo etc etc, su quali basi (di comune comprensione, non una semplice dissertazione autoreferenziale) la non osservanza dei semplicissimi segni della partitura dovrebbe significare una più corretta interpretazione? In che modo comprendere un segno (che so, mettiamo lo staccato) profondamente, dovrebbe portarmi alla convinzione che il compositore voleva invece un marcato o un legato?

 

 

 

Tutta questa cavalcata galoppa sul nulla: io non ho fatto il minimo riferimento al passo specifico del "Capriccio diabolico" da Lei preso in esame, ho solo stabilito una premessa come criterio di base per comprendere l'approccio di MCT alla scrittura chitarristica. Tra l'altro, si sta delineando un paradosso comico: a offrire ai chitarristi l'edizione urtext del "Capriccio diabolico", che ha levato di mezzo la lettura personale di Andrés Segovia, per 80 anni assunta come volontà del compositore, sono stato io. Mi sembra - come dire - un po' bizzarro essere richiamato all'osservanza del testo che io ho recuperato e pubblicato.

 

Quindi, interpretativamente, non possiamo collocare la musica per pianoforte e la musica per chitarra di MCT allo stesso livello di lettura: nel suonare i brani pianistici, l'esecutore non trova alcuna discordanza tra lettera testuale e sonorità reale, nel suonare i brani per chitarra legge una dichiarazione d'intenti, tutta da verificare. Infatti, il compositore era incline a lasciare la massima libertà ai suoi interpreti chitarristi, anche se, ovviamente, aveva un suo preciso criterio di valutazione delle loro esecuzioni.

 

 

Mi faccia capire, vuole dire che MCT incoraggiava i chitarristi ad infischiarsene (mi consenta la parafrasi del suo "lasciare massima libertà") di quanto lui stesso scriveva in partitura?

 

 

 

Vista la Sua pervicace tendenza ad attribuire ai Suoi interlocutori affermazioni che non hanno mai pronunciato né pensato, mi sembra davvero impresa ardua il farLe capire. Che l'accurata lettura del testo in tutti i suoi aspetti sia l'operazione primaria da eseguire da parte di ogni interprete non l'ha mai contestato nessuno, né io mi sono mai sentito così debole di mente da permettermi di pensarlo: se non erro - ancora lo devo ribadire - sono stato io, 36 anni fa, a pubblicare per primo gli urtext di Castelnuovo-Tedesco (e poi di altri autori), mettendoli in primo piano avanti le revisioni, e a insegnare ai signori chitarristi che, per prima cosa, andava letto quel che il compositore aveva scritto, dopo di che si sarebbero affrontati i problemi posti dai dettagli della scrittura. Basta leggere una delle edizioni che ho curato (Capriccio dabolico, Tarantella, Sonata, Suite Compostelana di Mompou) e confrontarne il testo musicale con quelli disponibili in precedenza per rendersi conto di quale sia il mio criterio di lettura e il mio approccio al testo: questi sono fatti pubblici, non dichiarazioni autoreferenziali. Che MCT intendesse lasciare massima libertà ai suoi interpreti non è frutto di speculazione mia, ma esplicita dichiarazione Sua, testuale, di cui ebbi il privilegio di essere partecipe in una delle molte lettere che Egli mi scrisse nel 1966-67-68. E' a disposizione di chiunque la voglia leggere. Ovviamente, MCT supponeva di rivolgersi, con la Sua esortazione a sentirsi liberi, a interpreti intelligenti, non a lettori dalla mente offuscata e, una volta concessa tale libertà, si riservava (come ho chiaramente scritto nel mio messaggio precedente, ma "far capire" talvolta è davvero difficile) di giudicare l'uso che ne veniva fatto. Tant'è vero che la Sua scarsa soddisfazione per le esecuzioni che Segovia diede del Capriccio quasi portò a una rottura tra i due musicisti. Non esortò mai nessuno a "infischiarsene" di quello che scriveva: spiegò invece, con saggezza e umiltà, qual era la posizione dalla quale aveva scritto per chitarra. E questo per me è un dato primario, fondamentale per la lettura delle sue musiche chitarristiche.

 

Quindi, riassumendo, io non prendo lezioni di fedeltà al testo da nessun chitarrista al mondo, dico nessuno, e riguardo alla pagina specifica del Capriccio non ho detto una parola. Ho fatto invece molto di più: ho cercato, trovato e pubblicato l'urtext, che i chitarristi - se vogliono - possono leggere solo da quando io l'ho messo a loro disposizione, non da prima.

 

Ha conoscenza di altri compositori che la pensavano in maniera analoga? che so anche Henze, Britten, Walton o per andare un po' più indietro nel tempo, magari, Turina?

 

 

La mia conoscenza del "Nocturnal", dei cinque pezzi per chitarra di Turina e della "Royal Winter Music" è basata sulla lettura dei manoscritti originali, dei quali sono fortunatamente in possesso. Nessuno di tali manoscritti pone problemi dell'ordine di quelli posti dai testi di Mario Castelnuovo-Tedesco. Nel caso di Turina, si tratta di ripristinare il testo primario. Per gli altri autori da Lei citati, non c'è il minimo problema a osservare i segni prescritti. Non ho la disposizione il ms di Walton, ma ho corrisposto con lui al tempo della pubblicazione delle Bagatelle, e non mi disse nulla al riguardo, se non che riteneva l'interpretazione di Bream conforme alle sue aspettative, e del tutto soddisfacente.

 

 

Sa, io ho usato l'esempio della prima pagina del capriccio per analizzare lo scostamento dal testo (e la mia relativa inclinazione a definirla cialtronaggine) di molti presunti interpreti.

 

 

Di questo Suo ostentato bisogno di definire cialtronesche le scelte interpretative che divergono dalle Sue, Le lascio l'intera, e non lieve, responsabilità.

 

Ho ascoltato, a sostegno della mancanza di attenzione al testo, le teorie più pittoresche (più o meno sacrosantamente basate sulla candida affermazione di libertà). Il trattamento tributato al buon MCT non è una eccezione. Mi è capitato di ascoltare "operazioni" analoghe su Walton, Henze, Ginastera, ma anche Sor, Giuliani...

 

Qualunque scelta interpretativa - anche quella di rimanere fedeli al testo - può essere descritta in modo spregiativo, canzonata, essere messa in ridicolo. L'ironia che Lei adopera nei riguardi di chi interpreta in modo diverso da Lei può essere adoperata nei riguardi delle Sue interpretazioni con lo stesso risultato: solo quello di dimostrare una fondamentale mancanza di rispetto per il prossimo. Non è un problema musicale, è un problema di civiltà. Non mi riguarda.

 

 

La musica di Milhaud io proverei a farla al tempo suggerito da Milhaud. Convinto che, probabilmente, sapesse cosa faceva e possedesse un metronomo e fosse conscio della "scala" che vuole un allegro più rapido di un Andante. Al di là della sua sensazione sulla semicomicità del risultato, è in possesso di informazioni che portino a credere che Milhaud si sia sbagliato? O che, mi correggo, volesse indicare un tempo diverso da quello da lui effettivamente indicato in partitura?

 

 

Mi arresto alla soglia invalicabile del fatto che Lei è "convinto che probabilmente" (espressione che uno come Lei definirebbe "pittoresca") e La lascio alle Sue convinzioni.

 

dralig

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Tutta questa cavalcata galoppa sul nulla: io non ho fatto il minimo riferimento al passo specifico del "Capriccio diabolico" da Lei preso in esame, ho solo stabilito una premessa come criterio di base per comprendere l'approccio di MCT alla scrittura chitarristica. Tra l'altro, si sta delineando un paradosso comico: a offrire ai chitarristi l'edizione urtext del "Capriccio diabolico", che ha levato di mezzo la lettura personale di Andrés Segovia, per 80 anni assunta come volontà del compositore, sono stato io. Mi sembra - come dire - un po' bizzarro essere richiamato all'osservanza del testo che io ho recuperato e pubblicato.

 

Mi scusi, Angelo, ma credo di non aver capito prima (e continuare a non capire) cosa c'entri la pubblicazione dell'urtext con quelle interpretazioni che bellamente se ne infischiano di quanto scritto da MCT (Urtext o Segovia). Si sta delineando una situazione che è veramente paradossale. Lei pubblica i testi, invita alla comprensione del testo e non esorta i concertisti ad eseguire con attenzione i segni espressivi indicati? Io ho il massimo rispetto dei suoi lavori musicologici ma, in tema di utilizzo interpetativo degli stessi, mi aspetto una posizione precisa riguardo l'importanza dei segni (tutti i segni) contenuti in una edizione a stampa e nel manoscritto.

 

Quindi, riassumendo, io non prendo lezioni di fedeltà al testo da nessun chitarrista al mondo, dico nessuno, e riguardo alla pagina specifica del Capriccio non ho detto una parola. Ho fatto invece molto di più: ho cercato, trovato e pubblicato l'urtext, che i chitarristi - se vogliono - possono leggere solo da quando io l'ho messo a loro disposizione, non da prima.

 

Questo lo avevo capito. Lei continua ostentatamente a mescolare musicologia e interpretazione come se la prima si identificasse con la seconda. Si ostina anche a identificare la mia semplice lettura del testo ("t'amo pio bove" etc) con la mia interpretazione. Io non ho mai detto di non preferire quelli che non suonano come me. Questo lo ha detto Lei (e se ne prende la responsabilità, sa che se non sapessi che è in buona fede penserei ad una "mala lingua"?).

 

Io ho domandato, a più riprese, senza ottenere una risposta soddisfacente, se la "libertà" di cui parla MCT, delle cui dichiarazioni Lei è stato testimone, nella sua esperienza diretta, giustifica l'attitudine di molti chitarristi di ignorare i segni grafici di interpretazione. Ripeto, in che modo uno staccato, compreso profondamente, nella musica di MCT, diventa legato? A meno che non voglia dirmi che il manoscritto della prima pagina contiene questa indicazione. Spero mi scuserà se insisto su questa pagina, è un pretesto per parlare di qualcosa che dovrebbe essere comune ad entrambi. Un testo musicale.

 

 

Ovviamente, MCT supponeva di rivolgersi, con la Sua esortazione a sentirsi liberi, a interpreti intelligenti, non a lettori dalla mente offuscata e, una volta concessa tale libertà, si riservava (come ho chiaramente scritto nel mio messaggio precedente, ma "far capire" talvolta è davvero difficile) di giudicare l'uso che ne veniva fatto.

 

Riassumendo, MCT faceva una distinzione tra quelli che interpretavano i suoi segni? ho capito bene? E su che base? Vuoi vedere che al buon fiorentino sarebbero piaciuti interpreti che suonavano ciò che lui si era preso la briga di scrivere con tanta cura?

 

Certo supponendo che alcuni esecutori non avessero la "mente offuscata" (termine che da oggi entrerà a far parte del mio vocabolario al posto del politicamente scorretto "cialtrone"). Io mi domando su che base Lei valuti il grado di "offuscamento". Visto che critica me per la mia idiosincrasia per le esecuzioni che non sono attinenti al testo nemmeno per i segni più elementari (come ho già detto, solfeggio, andamento, segni dinamici ed agogici etc).

 

La musica di Milhaud io proverei a farla al tempo suggerito da Milhaud. Convinto che, probabilmente, sapesse cosa faceva e possedesse un metronomo e fosse conscio della "scala" che vuole un allegro più rapido di un Andante.

 

Mi arresto alla soglia invalicabile del fatto che Lei è "convinto che probabilmente" (espressione che uno come Lei definirebbe "pittoresca") e La lascio alle Sue convinzioni.

 

dralig

 

Ma perchè, Lei è convinto che Milhaud non sapesse cosa scriveva? Non era in grado di indicare con una certa approssimazione neanche l'andamento della sua propria musica?

 

Saluti

EC

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Tutta questa cavalcata galoppa sul nulla: io non ho fatto il minimo riferimento al passo specifico del "Capriccio diabolico" da Lei preso in esame, ho solo stabilito una premessa come criterio di base per comprendere l'approccio di MCT alla scrittura chitarristica. Tra l'altro, si sta delineando un paradosso comico: a offrire ai chitarristi l'edizione urtext del "Capriccio diabolico", che ha levato di mezzo la lettura personale di Andrés Segovia, per 80 anni assunta come volontà del compositore, sono stato io. Mi sembra - come dire - un po' bizzarro essere richiamato all'osservanza del testo che io ho recuperato e pubblicato.

 

Mi scusi, Angelo, ma credo di non aver capito prima (e continuare a non capire) cosa c'entri la pubblicazione dell'urtext con quelle interpretazioni che bellamente se ne infischiano di quanto scritto da MCT (Urtext o Segovia). Si sta delineando una situazione che è veramente paradossale. Lei pubblica i testi, invita alla comprensione del testo e non esorta i concertisti ad eseguire con attenzione i segni espressivi indicati? Io ho il massimo rispetto dei suoi lavori musicologici ma, in tema di utilizzo interpetativo degli stessi, mi aspetto una posizione precisa riguardo l'importanza dei segni (tutti i segni) contenuti in una edizione a stampa e nel manoscritto.

 

 

Il recupero e la pubblicazione del testo originale sono operazioni musicologiche che costituiscono il fondamento essenziale per l'interprete.

Quando il musicologo ha pubblicato i testi, ha onorevolmente assolto il suo compito, e non ha alcun diritto di invadere l'area degli interpreti. Io non ho il mandato di esortare i concertisti a valutare attentamente i testi che ho messo a loro disposizione: farei torto alla loro intelligenza, alla loro serietà professionale e alla loro onestà se aggiungessi, all'esortazione implicita nel recupero e nella pubblicazione degli urtext, una sorta di ars dictandi, spiegando loro che cosa devono, possono, non devono e non possono fare. Se un interprete mi rivolge una domanda, sono in genere disponibile a rispondere, ma non prendo l'iniziativa di correggere e di ammonire gli interpreti che non mi hanno domandato nulla, non sono sono tentato dal demone della hybris.

 

 

 

Quindi, riassumendo, io non prendo lezioni di fedeltà al testo da nessun chitarrista al mondo, dico nessuno, e riguardo alla pagina specifica del Capriccio non ho detto una parola. Ho fatto invece molto di più: ho cercato, trovato e pubblicato l'urtext, che i chitarristi - se vogliono - possono leggere solo da quando io l'ho messo a loro disposizione, non da prima.

 

Questo lo avevo capito. Lei continua ostentatamente a mescolare musicologia e interpretazione come se la prima si identificasse con la seconda.

 

Come ho appena precisato dianzi, io faccio esattamente il contrario. Come musicologo, ho recuperato e pubblicato i testi originali, e li ho messi a disposizione degli interpreti, dopodiché - proprio perché distinguo la musicologia dall'interpretazione - mi sono guardato bene dal dire alcunché a coloro che hanno eseguito i pezzi il cui testo io ho recuperato e pubblicato. Il mio silenzio al riguardo non significa però mancanza, da parte mia, di una cognizione di come le musiche vadano suonate, ed è tale cognizione che rivendico come parte simbiotica del mio lavoro di musicologo. Recuperare e studiare i testi per la loro pubblicazione è un lavoro che - ove il musicologo, com'è normale, abbia anche una specifica preparazione musicale, di tipo compositivo - avvicina molto alla comprensione della musica in senso interpretativo. Non legittimerebbe invece, dal punto di vista civile, culturale e professionale, la tracotanza della quale peccherei se pretendessi di richiamare gli interpreti all'osservanza delle mie cognizioni.

 

 

Io ho domandato, a più riprese, senza ottenere una risposta soddisfacente, se la "libertà" di cui parla MCT, delle cui dichiarazioni Lei è stato testimone, nella sua esperienza diretta, giustifica l'attitudine di molti chitarristi di ignorare i segni grafici di interpretazione. Ripeto, in che modo uno staccato, compreso profondamente, nella musica di MCT, diventa legato? A meno che non voglia dirmi che il manoscritto della prima pagina contiene questa indicazione. Spero mi scuserà se insisto su questa pagina, è un pretesto per parlare di qualcosa che dovrebbe essere comune ad entrambi. Un testo musicale.

 

 

Ci sono diversi modi di dipartirsi dalla lettera dei segni dinamici, di articolazione, dalle indicazioni agogiche e di espressione. Un modo deplorevole è quello di non valutarli attentamente, procedendo in modo difforme su basi istintive: questo modo è inaccettabile. Peraltro - ed è questa cognizione ampiamente condivisa da tutti i grandi interpreti, direttori in primis - la valutazione attenta e scrupolosa del segno testuale non conduce soltanto a un'esecuzione conforme (parliamo sempre di tendenzialità, perché i segni in partitura non sono misurabili in assoluto, e quindi la fedeltà è una tendenza, non una risposta certamente esatta), ma può condurre anche a delle scelte difformi, che realizzano un risultato musicale diverso da quello suggerito dal testo, ma non per questo meno valido artisticamente. I primi a riconoscere questa evidenza sono i compositori, la stragrande maggioranza dei quali ammette di aver fruito di vere e proprie rivelazioni della propria musica grazie agli interpreti. L'interprete non è solo un esecutore, in certi casi può essere capace di intuizioni che illuminano aspetti musicali nascosti agli stessi autori.

 

In altre parole, occorre valutare, caso per caso, misura per misura, se la difformità dell'interprete rispetto alle indicazioni del testo è conseguenza sciagurata di una lettura disattenta e superficiale o se è invece il risultato di una ricerca ulteriore rispetto ai segni, e quindi un'offerta di devozione ermeneutica deposta ai piedi della musica da un artista che non è meno grande di quanto fosse il compositore.

 

 

Ma perchè, Lei è convinto che Milhaud non sapesse cosa scriveva? Non era in grado di indicare con una certa approssimazione neanche l'andamento della sua propria musica?

 

 

Tra le mie convinzioni, c'è quella che chiunque sappia perfettamente che cosa scrive, vestendo panni umani, può incorrere in un banale lapsus calami e scrivere una cosa diversa da quella che pensava. Succede a tutti: scrittori, musicisti, etc., tanto è vero che esistono, nelle case editrici, dei personaggi chiamati editor che hanno il compito di leggere i testi destinati alla pubblicazione e trovare gli errori di penna (nulla che vedere con i correttori di bozze, che entrano in scena dopo). Ebbene, a parte il fatto che nessuno degli interpreti della "Segoviana" ha finora scandito l'improbo tempo scritto dal compositore (semiminima = 84), io sono andato a studiarmi il manoscritto, e ho constatato che il compositore aveva prima scritto un valore, poi lo aveva ricoperto con dei tratti di penna (risultandone una macchia illeggibile) e sostituito con un altro valore, scritto chiaramente in epoca successiva a quella della redazione del manoscritto. Quindi, siamo già di fronte a un'indicazione non univoca e rimasticata. A questo punto, è lecito non sentirsi affatto sicuri, e conviene lasciar parlare il carattere del brano, che finora nessuno ha pensato di suonare con il tempo scritto dall'autore. E non sarò certo io a esortare chicchessia a fare ciò.

 

dralig

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Il recupero e la pubblicazione del testo originale sono operazioni musicologiche che costituiscono il fondamento essenziale per l'interprete.

Quando il musicologo ha pubblicato i testi, ha onorevolmente assolto il suo compito, e non ha alcun diritto di invadere l'area degli interpreti.

 

Il lavoro del musicologo è effettivamente essenziale per qualunque interprete degno di tale nome. Avere i testi a disposizione, poter scegliere, sulla base offerta da studiosi è il passo precedente a quello vero e proprio dell'interpretazione.

 

Il mio silenzio al riguardo non significa però mancanza, da parte mia, di una cognizione di come le musiche vadano suonate, ed è tale cognizione che rivendico come parte simbiotica del mio lavoro di musicologo. Recuperare e studiare i testi per la loro pubblicazione è un lavoro che - ove il musicologo, com'è normale, abbia anche una specifica preparazione musicale, di tipo compositivo - avvicina molto alla comprensione della musica in senso interpretativo. Non legittimerebbe invece, dal punto di vista civile, culturale e professionale, la tracotanza della quale peccherei se pretendessi di richiamare gli interpreti all'osservanza delle mie cognizioni.

 

 

Fra musicisti, su di un forum specialistico, si parla di musica. La musicologia la lascio volentieri a chi se ne occupa per mestiere e lo fa molto meglio di me. In tema di interpretazione, invece, le mie idee sono abbastanza chiare e, oltre ad essere suffragate da tutto l'apparato pubblico di dischi e concerti, sono accessibili per un eventuale confronto con chi ne sappia un po' di analisi interpretativa. Non si tratta di tracotanza ne di hybris, semmai di un atto di umiltà e disponibilità. Sarebbe interessante, messo da parte il musicologo (che in sede interpretativa serve solo come riferimento esterno e che, come ha lei stesso detto in precedenza non può entrare in questioni interpretative), cosa pensa il compositore (ed il didatta) dell'interpretazione del segno. Nello specifico, elementare, dello staccato sulle ottave, dei crescendo indicati in partitura. E' Sua cognizione che dove c'è scritto staccato si suoni staccato o le risulta diversamente? Ai suoi allievi queste cose le dice o preferisce che personalizzino loro, secondo libertà e talento, il testo di un brano?

 

Ci sono diversi modi di dipartirsi dalla lettera dei segni dinamici, di articolazione, dalle indicazioni agogiche e di espressione. Un modo deplorevole è quello di non valutarli attentamente, procedendo in modo difforme su basi istintive: questo modo è inaccettabile.

 

Ma allora sta dicendo quello che dico io da tempo! Confesso di essere sorpreso. Voglio immaginare che non eserciti la Sua dialettica per il puro piacere di polemizzare con me. In altri topic (troppi per citarli testualmente) e per molto tempo non ho fatto altro che ripetere questa frase. Lei ci aggiunge "deplorevole", "inaccettabile" e (altrove) "mente offuscata"... Suppongo che non volesse essere offensivo nei confronti dei deplorati, inaccettati ed offuscati?

 

Che glie ne parrebbe di assumere che nel Suo caso (e, se vuole, nel mio) i termini che stiamo usando sono un'esortazione a fare un po' di attenzione al testo? E' inaccettabile una esecuzione in cui i segni non vengano rispettati! Semplice. E' un atto di amore farlo notare a chi potrebbe suonare molto bene ed invece continua ad appoggiarsi ad una tradizione consolidata di ascolto perdendo l'occasione di diventare un grande musicista invece di restare un semplice chitarrista come tanti.

 

 

In altre parole, occorre valutare, caso per caso, misura per misura, se la difformità dell'interprete rispetto alle indicazioni del testo è conseguenza sciagurata di una lettura disattenta e superficiale o se è invece il risultato di una ricerca ulteriore rispetto ai segni, e quindi un'offerta di devozione ermeneutica deposta ai piedi della musica da un artista che non è meno grande di quanto fosse il compositore.

 

Io mi domando (probabilmente con una passionalità diversa dalla Sua, io sono napoletano) chi stabilisca il limite. Se non è disattenzione cambiare la quasi totalità delle indicazioni in partitura, mi spieghi cosa lo è. L'esempio che ho scelto (la prima pagina del capriccio) è pretestuoso. Le difformità che io ho notato (ma se ne accorge chiunque conosca un poco poco la partitura in oggetto) in quelle esecuzioni che io avevo bollate come "offuscate" (!) erano talmente tante e talmente pacchiane da farmi sorgere enormi dubbi sulle capacità di lettura degli interpreti in questione. Altro che devozione ermeneutica!!

 

Sono perfettamente in grado di distinguere un'idea originale (plausibile e contestualizzata) da un errore di lettura (solfeggio, note, indicazioni dinamiche ed agogiche). Nel caso di idea originale o di genialità (e qui in più d'uno possono testimoniare) non sono certo parco di complimenti. Anzi. Sono estremamente interessato a quella (piccola o grande) differenza che intercorre tra più interpretazioni coerenti.

 

Ebbene, a parte il fatto che nessuno degli interpreti della "Segoviana" ha finora scandito l'improbo tempo scritto dal compositore (semiminima = 84), io sono andato a studiarmi il manoscritto, e ho constatato che il compositore aveva prima scritto un valore, poi lo aveva ricoperto con dei tratti di penna (risultandone una macchia illeggibile) e sostituito con un altro valore, scritto chiaramente in epoca successiva a quella della redazione del manoscritto. Quindi, siamo già di fronte a un'indicazione non univoca e rimasticata. A questo punto, è lecito non sentirsi affatto sicuri, e conviene lasciar parlare il carattere del brano, che finora nessuno ha pensato di suonare con il tempo scritto dall'autore. E non sarò certo io a esortare chicchessia a fare ciò.

 

Grazie per il ragguaglio. Resta comunque una indicazione metronomica passata anche al vaglio del correttore di bozze, giusto? Non ho la Segoviana di Milhaud in repertorio, prometto però (appena ho un attimo di tempo) di fare ammenda di questo brano e condividere (o controbattere) la Sua percezione del tempo indicato dal compositore.

 

Cordialmente

EC

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Mah...vediamo, è vero che tutti i segni sono importanti, altrimenti ci si risparmierebbe l'impegno di indicarli, forse però non tutti i segni hanno il medesimo grado di importanza.

 

Facendo riferimento ad una musica "tradizionale" quale è quella di MCT, che è certo ricca di segni di varia natura, sono propenso a credere che anche dopo una eventuale "ripulitura" sarebbe possibile cogliere il senso del discorso musicale.

 

Caro Alfredo, la graduatoria dell'importanza dei segni, chi dovrebbe farla? A me, per esperienza, servono tutti, ma proprio tutti quelli che sono segnati in partitura. Potresti farmi un esempio, nella pagina appena citata, di quali segni ritieni superflui? Mi potresti anche dire in che modo un impoverimento del testo dovrebbe portare un esecutore ad una migliore comprensione dello stesso?

 

 

 

Cordialità

EC

 

 

Mi sembra di aver detto una cosa profondamente diversa.

Penso che nella musica pre-dodecafonica o pre-atonale, sia possibile cogliere il senso anche senza segni aggiuntivi; credo infatti che la natura del linguaggio tonale risieda nella melodia e nell'armonia e che questi elementi portino in sè la sostanza del discorso musicale.

 

In fondo, anche una lettura opposta a quella delle intenzioni dell'autore può essere valida, cosa che, ne converrai con me, non è possibile in quei linguaggi musicali che fanno dei segni un elemento fondante.

 

Voglio dire, suonare lo studio di Gilardino "La luna y la muerte" senza rispettare le indicazioni segniche del compositore (che riguardano anche la natura timbrica dello strumento) sarebbe ridicolo; credo invece che nel caso di MCT, se l'interprete è conscio di ciò che legge, sia possibile arrivare alla verità (o a una delle plausibili verità) anche senza l'ausilio di segni aggiuntivi.

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Nell'arte figurativa, dalle antiche civiltà in poi, sono sempre state messe regole rigidissime. C'era un disciplinare che decideva colori, forme, i vari segni particolari delle persone, proporzioni, etc etc. Addirittura nelle immagini sacre c'era la forma e il colore dell'aureola e i suoi ricami a seconda che il santo fosse vivo o morto (nel quadro) e da quanto fosse stato santificato.

Eppure all'interno di tutto ciò non abbiamo degli artisti seriali, ma veri grandi di chiara fama, che si distinguono benissimo gli uni dagli altri, dal loro modo di dipingere o scolpire.

L'azzurro o il rosa di Giotto (di una tonalità antica) non sono uguali a quelli del Beato Angelico (quasi fluorescenti), eppure restano azzurro e rosa.

 

Tutto ciò si può ricondurre alla musica, dove il disciplinare è ciò che il compositore ci lascia scritto sul testo per meglio comprenderlo e lo stile che ci troviamo ad affrontare, pur rispettandolo alla lettera, non impedisce a nessuno di diventare un grande artista... anzi.

Il modo di pensare che hanno i chitarristi, sul fatto che rispettare i segni significa diventare artisti seriali è veramente inappropriato, anche perché è un pensiero veramente da chitarristi, nessun altro musicista direbbe una cosa del genere, anzi, farebbe. E anche qui come sopra abbiamo Ricci, Rizzi, Rostropovich, Dantone, Haselbock, Bartoli, Shiff e chi più ne ha... Sono seriali? e soprattutto, non sono artisti?

 

Questo topic alla fine, se il M°Catemario lo avesse scritto su un forum di altri strumentisti, avrebbe ricevuto riposte come: "e allora? Lo sappiamo"

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Voglio dire, suonare lo studio di Gilardino "La luna y la muerte" senza rispettare le indicazioni segniche del compositore (che riguardano anche la natura timbrica dello strumento) sarebbe ridicolo; credo invece che nel caso di MCT, se l'interprete è conscio di ciò che legge, sia possibile arrivare alla verità (o a una delle plausibili verità) anche senza l'ausilio di segni aggiuntivi.

 

Interessante argomentazione, Alfredo.

Solo una domanda, quando dici "rispettare le indicazioni" di "La luna y la muerte" (visto che hai citato lo studio), alludi anche all'impossibilità, parlando in termini generali, di un musicista di 'crearle' dalla nuda grafia musicale?

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Fra musicisti, su di un forum specialistico, si parla di musica. La musicologia la lascio volentieri a chi se ne occupa per mestiere e lo fa molto meglio di me. In tema di interpretazione, invece, le mie idee sono abbastanza chiare e, oltre ad essere suffragate da tutto l'apparato pubblico di dischi e concerti, sono accessibili per un eventuale confronto con chi ne sappia un po' di analisi interpretativa. Non si tratta di tracotanza ne di hybris, semmai di un atto di umiltà e disponibilità.

 

 

Questo è il Forum Italiano di Chitarra Classica, e nel suo manifesto non vi è nulla che escluda discussioni a carattere musicologico, quando queste hanno attinenza diretta con la musica per chitarra. Non vedo perché si dovrebbe bandire la musicologia: qui si parla - piacevolmente e utilmente - di liuteria e di tanti altri argomenti...

 

Il confronto tra le Sue idee di interprete - proprio perché manifeste nei Suoi concerti e nelle Sue incisioni - e quelle degli altri concertisti, è già in atto, perché anche molti altri suonano e incidono. Un esecutore le cui scelte interpretative si stampano fedelmente nell'atto del suonare - tanto meglio se messo al sicuro da buone registrazioni - non ha bisogno di confronti con quelle altrui: è tutto alla luce del sole, è tutto ascoltabile e giudicabile da coloro ai quali l'interprete si rivolge: gli ascoltatori.

 

Infatti, saranno gli ascoltatori a istituire i confronti, ai più vari livelli di competenza, dal "mi piace-non mi piace" all'esame analitico dei come e dei perché, ma non vedo un motivo valido, per un interprete che abbia già realizzato la sua arte in concerti e dischi, per reclamare un confronto con gli altri interpreti. Se la sua superiorità, la sua autenticità, il suo valore risultano dallo specifico linguaggio della musica che egli fa, che bisogno c'è di impegnarli in ordalie verbali con gli altri interpreti? Ha mai sentito Pollini sollecitare un confronto con Ivo Pogorelich sulle libertà che costui si è preso nell'interpretare - che so - gli Studi Sinfonici di Schumann?

 

Sarebbe interessante, messo da parte il musicologo (che in sede interpretativa serve solo come riferimento esterno e che, come ha lei stesso detto in precedenza non può entrare in questioni interpretative), cosa pensa il compositore (ed il didatta) dell'interpretazione del segno. Nello specifico, elementare, dello staccato sulle ottave, dei crescendo indicati in partitura. E' Sua cognizione che dove c'è scritto staccato si suoni staccato o le risulta diversamente?

 

 

 

Ebbene si, in certi - seppur rari - momenti di illuminazione visionaria, arrivo a comprendere che staccato vuol dire staccato. E' una conquista recente, però. Negli anni scorsi, ero all'oscuro di questa verità esoterica.

Per i crescendo, bisognerà aspettare ancora qualche anno, ma vedrà che ci arrivo. I segni di staccato e di crescendo presenti nella mia musica, e in quella altrui, della quale ho curato la pubblicazione, sono stati scritti per puro decoro grafico, scrivendoli - da 50 anni a questa parte - non sospettavo che servissero ad altro che a infiorettare graziosamente la pagina scritta.

 

 

 

Ai suoi allievi queste cose le dice o preferisce che personalizzino loro, secondo libertà e talento, il testo di un brano?

 

 

A parte il fatto che io non mi permetterei mai di domandarLe che cosa Lei dice ai Suoi allievi (lo stile è l'uomo), se proprio lo vuol sapere lo domandi a loro. Io ho del ritegno.

 

 

 

Ci sono diversi modi di dipartirsi dalla lettera dei segni dinamici, di articolazione, dalle indicazioni agogiche e di espressione. Un modo deplorevole è quello di non valutarli attentamente, procedendo in modo difforme su basi istintive: questo modo è inaccettabile.

 

Ma allora sta dicendo quello che dico io da tempo! Confesso di essere sorpreso. Voglio immaginare che non eserciti la Sua dialettica per il puro piacere di polemizzare con me.

 

.

 

Non provo alcun piacere nel polemizzare con Lei, e la ragione per la quale scrivo in questo forum è nota a coloro che dai miei scritti traggono motivo di interesse. Non ha mai pensato che, conversando con Lei, io stia in realtà parlando soprattutto ad altri? Le ripeto che ci leggono 500 persone, qui, e può darsi che, per ragioni del tutto mie, io abbia a cuore qualcosa che le riguarda.

 

In altri topic (troppi per citarli testualmente) e per molto tempo non ho fatto altro che ripetere questa frase. Lei ci aggiunge "deplorevole", "inaccettabile" e (altrove) "mente offuscata"... Suppongo che non volesse essere offensivo nei confronti dei deplorati, inaccettati ed offuscati?

 

 

Io non mi sono mai rivolto, né qui né altrove, a persone singole, ben individuate nella loro identità, con aggettivi ingiuriosi. Ho indicato impersonalmente, con qualificazioni negative, categorie di interpreti le cui scelte sono a mio giudizio inaccettabili. Sono due comportamenti molto diversi, e l'adottare uno rifuggendo dall'altro è, nel mio codice etico, una questione fondamentale. Lo stile è l'uomo.

 

 

Che glie ne parrebbe di assumere che nel Suo caso (e, se vuole, nel mio) i termini che stiamo usando sono un'esortazione a fare un po' di attenzione al testo? E' inaccettabile una esecuzione in cui i segni non vengano rispettati! Semplice. E' un atto di amore farlo notare a chi potrebbe suonare molto bene ed invece continua ad appoggiarsi ad una tradizione consolidata di ascolto perdendo l'occasione di diventare un grande musicista invece di restare un semplice chitarrista come tanti.

 

Il Suo modo di amare il prossimo, e di esserne riamato, è diverso dal mio.

 

 

 

In altre parole, occorre valutare, caso per caso, misura per misura, se la difformità dell'interprete rispetto alle indicazioni del testo è conseguenza sciagurata di una lettura disattenta e superficiale o se è invece il risultato di una ricerca ulteriore rispetto ai segni, e quindi un'offerta di devozione ermeneutica deposta ai piedi della musica da un artista che non è meno grande di quanto fosse il compositore.

 

Io mi domando (probabilmente con una passionalità diversa dalla Sua, io sono napoletano) chi stabilisca il limite.

 

 

Ciascuno per sè, ovviamente, appellandosi al sommo privilegio della propria coscienza di uomo, di artista, di musicista. Pretendere di varcare, con le proprie convinzioni, il limite della propria persona è un atto di violenza che nessun proposito didattico può giustificare.

 

 

Se non è disattenzione cambiare la quasi totalità delle indicazioni in partitura, mi spieghi cosa lo è. L'esempio che ho scelto (la prima pagina del capriccio) è pretestuoso. Le difformità che io ho notato (ma se ne accorge chiunque conosca un poco poco la partitura in oggetto) in quelle esecuzioni che io avevo bollate come "offuscate" (!) erano talmente tante e talmente pacchiane da farmi sorgere enormi dubbi sulle capacità di lettura degli interpreti in questione. Altro che devozione ermeneutica!!

 

 

 

Parlando di devozione ermeneutica, io mi riferivo, ovviamente, alle difformità interpretative di un Benedetti Michelangeli rispetto ad alcuni dettagli del testo dei Préludes di Debussy, o di altre, e ugualmente alte, difformità. Per gli interpreti pacchiani, non ho tempo, e non credo proprio che, istituendo un giudizio di Dio in un forum, li si possa convertire. La pacchianeria è una cifra dell'anima, è iscritta nel codice genetico, e non scompare nemmeno con gli studi più raffinati.

 

 

 

 

Sono perfettamente in grado di distinguere un'idea originale (plausibile e contestualizzata) da un errore di lettura (solfeggio, note, indicazioni dinamiche ed agogiche). Nel caso di idea originale o di genialità (e qui in più d'uno possono testimoniare) non sono certo parco di complimenti. Anzi. Sono estremamente interessato a quella (piccola o grande) differenza che intercorre tra più interpretazioni coerenti.

 

Bene, allora si sforzi di comprendere che questa Sua capacità di discriminazione non è esclusiva della Sua persona, e non attribuisca, a chi non le ha mai assunte, difese d'ufficio degli interpreti confusi e pasticcioni.

 

dralig

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Mi sembra di aver detto una cosa profondamente diversa.

Penso che nella musica pre-dodecafonica o pre-atonale, sia possibile cogliere il senso anche senza segni aggiuntivi; credo infatti che la natura del linguaggio tonale risieda nella melodia e nell'armonia e che questi elementi portino in sè la sostanza del discorso musicale.

 

In fondo, anche una lettura opposta a quella delle intenzioni dell'autore può essere valida, cosa che, ne converrai con me, non è possibile in quei linguaggi musicali che fanno dei segni un elemento fondante.

 

Nella mia esperienza di esecutore e didatta, quello che tu dici non trova alcun riscontro. Io di segni superflui non ne conosco. Conosco l'umiltà di chi si mette al servizio della musica e, quando i segni ci sono, li interpreta. E' troppo semplicistico fare "dietrologia" ed immaginare che potremmo non averne bisogno. Il fatto è che ci sono. Il resto sono chiacchiere...

 

 

Questo è il Forum Italiano di Chitarra Classica, e nel suo manifesto non vi è nulla che escluda discussioni a carattere musicologico, quando queste hanno attinenza diretta con la musica per chitarra. Non vedo perché si dovrebbe bandire la musicologia: qui si parla - piacevolmente e utilmente - di liuteria e di tanti altri argomenti...

 

Io non ho mai detto di doverla mettere al bando. Siccome sono ben conscio di essere un musicista e la mia senilità non è ancora tanto avanzata da farmi credere un musicologo, ho detto che la lascio volentieri al di fuori del mio intervento.

 

Il confronto tra le Sue idee di interprete - proprio perché manifeste nei Suoi concerti e nelle Sue incisioni - e quelle degli altri concertisti, è già in atto, perché anche molti altri suonano e incidono. Un esecutore le cui scelte interpretative si stampano fedelmente nell'atto del suonare - tanto meglio se messo al sicuro da buone registrazioni - non ha bisogno di confronti con quelle altrui: è tutto alla luce del sole, è tutto ascoltabile e giudicabile da coloro ai quali l'interprete si rivolge: gli ascoltatori.

 

Questo accade già nelle sale da concerto, nei saloni, ovunque si ascoltino i miei dischi. Ma qui siamo su di un forum. Lei scrive, io scrivo. Lei passa le sue illuminate intuizioni, io le mie modestissime conoscenze proprio a quei cinquecento (e più, magari qualcuno non si è iscritto e legge solo) che frequentano questo forum. Lo faccio di tanto in tanto, quando mi pare che l'argomento possa beneficiare di un mio intervento e quando sono convinto di avere informazioni utili. O non dovrei?

 

Ho indicato impersonalmente, con qualificazioni negative, categorie di interpreti le cui scelte sono a mio giudizio inaccettabili. Sono due comportamenti molto diversi, e l'adottare uno rifuggendo dall'altro è, nel mio codice etico, una questione fondamentale. Lo stile è l'uomo.

 

Vede, Angelo, siamo molto diversi. Michelangeli non rifuggiva il dire pubblicamente ciò che pensava, Celibidache nemmeno (potrei continuare la mia lista). Lungi da me suggerire "assonanze" comportamentali trovate più che cercate ma mi sembra che non vi sia alcunchè di eticamente scorretto nel pubblicare le proprie convinzioni. Questo sono io. Insinuare subdolamente dubbi senza prendermi alcuna responsabilità non è nel mio stile. Parlar male delle persone alle spalle non è nel mio stile. Sminuire il talento altrui non è nel mio stile. Io dico ciò che penso. Senza mezze misure. Lo dico anche a rischio di sembrare antipatico o carente di stile a chi magari confonde quest'ultimo con l'ipocrisia o il perbenismo.

 

Ha mai sentito Pollini sollecitare un confronto con Ivo Pogorelich sulle libertà che costui si è preso nell'interpretare - che so - gli Studi Sinfonici di Schumann?

 

No, ho sentito però due famosissimi direttori confrontarsi per quasi una intera sera sulle varie accezioni del concetto di Adagio e commentare con esempi musicali e registrazioni ciò che si deve e ciò che non si deve fare. Ho ascoltato un altro famosissimo direttore d'orchestra correggere, punto per punto, una esecuzione di un suo collega (che - questo è stile- ha ringraziato). Ho avuto la possibilità di assistere a moltissimi incontri tra grandissimi musicisti, basati (partitura alla mano) sullo scambio di opinioni. Questo mi sembra nell'ordine naturale delle cose in un ambiente sano dove l'incontro non è costantemente uno scontro.

 

Bene, allora si sforzi di comprendere che questa Sua capacità di discriminazione non è esclusiva della Sua persona, e non attribuisca, a chi non le ha mai assunte, difese d'ufficio degli interpreti confusi e pasticcioni.

 

Ma chi ha mai detto il contrario. Se fossi convinto di essere l'unico latore della verità, probabilmente ora sarei in una divisione neurologica di qualche ospedale. La prego, Angelo, non mi incolli addosso una prosopopea che non ho.

 

La pacchianeria è una cifra dell'anima, è iscritta nel codice genetico, e non scompare nemmeno con gli studi più raffinati.

 

 

Io sono allibito. L'uomo è una macchina per apprendere. La pacchianeria non è una cifra dell'anima è una cifra dell'educazione ricevuta. Non si nasce "bollati". Lascio a chi legge trarre le conclusioni su questa Sua affermazione.

 

 

Cordialmente

EC

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