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Angelo Gilardino

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  1. Le scale sono dei moduli - uno per le scale maggiori, tre per le scale minori (naturale, armonica, melodica). Imparando - o meglio ancora creando - una diteggiatura per ciascuno dei moduli, si imparano tutte e 24 le scale, e poco importa quale si dovrà eseguire in una stupida prova d'esame (nemmeno agli esami di scuola elementare si chiede ai bambini di recitare l'alfabeto). Non serve studiare scale già diteggiate da altri, l'unico profitto che si può trarre dallo studio delle scale - cioè un profitto specifico, che non sia conseguibile con esercizi molto più mirati e molto più efficaci - è quello di esercitare la mente nell'applicazione alla tastiera degli schemi intervallari dei vari tipi di scale. Esteticamente, le scale sono un punto debole della chitarra: basta ascoltare i concerti per chitarra e orchestra i cui compositori hanno ingenuamente messo a confronto le scale chitarristiche con quelle - che so - di un clarinetto, sortendone, per lo strumento concertante, una magra figura. dralig
  2. http://www.delcamp.it/index.phpstrumento differente dalle lire in possesso del Re, più simili a ghironde, e più vicine per certi versi alla chitarra o liuto, specialmente per il corpo (una delle denominazioni di questo particolare strumento settecentesco è infatti quello di "ville en guitare", proprio perché i liutai utilizzavano delle casse di chitarra o di liuto nell'assemblaggio degli strumenti). Il ritrovamento successivo di questi strumenti negli archivi della reggia di Capodimonte (vedi il link: http://museodicapodimonte.campaniabeniculturali.it/itinerari-tematici/galleria-di-immagini/OA900461) ha chiarito alcune cose, specialmente riguardo l'epoca nella quale furono in uso nella Reggia da parte del Re Ferdinando IV e del suo "maestro" con cui si dilettava a suonare in duo. Queste date sono infatti compatibili con il soggiorno a Napoli di Mozart. Enzo Amato lavora da anni su questa partitura (mi ha mostrato copia del manoscritto), e sta completando un articolo dove più dettagliatamente descriverà l'opera, facendo pendere l'ago dell'attribuzione più decisamente su Mozart alla luce di una serie di dati e approfondimenti analitici da lui condotti. La versione per le due chitarre (anche se si tratta di una "trascrizione") sembrerebbe più che plausibile, alla luce anche della tessitura e della perfetta eseguibilità delle parti (è un concerto anche abbastanza "brillante"!). Per ora posso anticipare solo questo, poi il lavoro che pubblicherà a breve il musicologo napoletano Enzo Amato certamente chiarirà meglio la questione! Saluti Piero Viti Grazie Piero. Intanto, dall'ascolto, è già possibile comprendere alcuni aspetti caratterizzanti della composizione. Dirò la mia al momento opportuno, e comunque non prima di aver visto la partitura. Ciao. dralig
  3. Ciao Piero, sono a dir poco sorpreso per il fatto che la notizia della scoperta di un concerto inedito di Mozart, non imcluso nel catalogo K, venga data per così dire in sordina in un forum di chitarra; tutti ricordiamo la fanfara che fece udire i suoi squilli nell'estate dello scorso anno (2009) per il ritrovamento di due pezzetti infantili per strumento a tastiera - oltretutto di identificazione assai dubbia - subito presentati in pompa magna al festival di Salisburgo. Ben altra cosa è un concerto... Permettimi quindi di rivolgerti le domande che, ovviamente, ogni musicologo ti rivolgerebbe, e che non occorre che io formuli in modo esplicito - dal momento che, oltre a essere un eccellente chitarrista, sei anche uno studioso, e dunque sai benissimo quali credenziali sono indispensabili per poter effettuare un'identificazione tanto importante. Non sono certamente il solo a restare in attesa di lumi. Ciao. dralig
  4. Grazie Fabio, io conoscevo una versione del fatto diversa nella sequenza temporale, ma identica nella sostanza - quella che fornisce Lei è ancora più significativa del coraggio civile della Yudina, perché la lettera non la scrisse a uno Stalin moribondo. ma vivo e vegeto, quindi il pericolo di essere deportata o giustiziata a causa della sua missiva era molto più incombente. E' curioso osservare come questi grandi criminali - Stalin, Hitler, etc - amassero la musica. La pianista è davvero insigne. Io udii il suo nome per la prima volta nel 1956, quando - facendo il voltapagine a un pianista russo che accompagnava un violoncellista suo compatriota in tournée in Italia - gli chiesi chi fossero i più importanti pianisti del suo paese. Mi aspettavo che nominasse Emil Gilels, che già era venuto in occidente, invece nominò due artisti il cui nome ignoravo completamente: Sviatoslav Richter (che avrebbe debuttato a Milano lo stesso anno) e Maria Yudina, della quale potei ascoltare un'incisione solo molti anni dopo - in occidente, non le permisero mai di venire. dralig
  5. Grande pianista, grande persona. Per me, nella sua epoca e nel suo mondo. sta accanto a Pavel Florenskij. Fari dell'umanità. Lo sai Piero che il grande criminale, quando sentì avvicinarsi la morte, chiese di ascoltare la Yudina nel concerto in re minore di Mozart? dralig
  6. Ecco, questo mi sembra un punto molto importante, da sottolineare. La storia di un'opera d'arte (non soltanto di una composizione musicale) è intrecciata in modo inseparabile dalla storia della sua interpretazione. Prima che Pablo Casals ne desse rivelazione, le Suites per violoncello solo di Bach erano sepolte, e prima di Schnabel la musica per pianoforte di Schubert era ignorata - si suonavano due o tre dei suoi Momenti Musicali, ma le Sonate erano lettera morta. In Italia, fino al terzo decennio degli anni Venti, i quadri degli impressionisti erano considerati come bizzarrie, e furono gli studi di Lionello Venturi a far capire al di qua delle Alpi chi erano Monet e Renoir. In compenso, anche in quelle epoche, andavano per la maggiore pittori retorici o addirittura autori di immonde crostacce. Nulla è cambiato, da allora: l'arte dev'essere interpretata, altrimenti non giunge al bersaglio. Le musiche diventano vive e vere solo attraverso i loro interpreti, altrimenti rimangono come sogni nelle mente di chi le ha create, e come simboli muti scritti su carte impolverate. La storia della musica la fanno insieme i compositori, gli interpreti e gli ascoltatori: se una delle categorie è mal rappresentata o assente, la musica non c'è. dralig
  7. Eh, vorrei proprio vedere chi riesce a spiegare il titolo di quel preludio in relazione alla particolare sonorità di cui è costituito (tutti armonici). Perché "utopia"? Forza, interpreti! dralig azzardo un'ipotesi: Gli armonici naturali della chitarra riflettono gli intervalli dell'accordatura della chitarra, per quarte..mentre la scrittura che usa il compositore tende ad esaltare, attraverso l'uso degli armonici, agglomerati di sequenze di tritoni, terze minori ecc..(usando la scala ottofonica?) e..."distruggendo" la percezione "naturale" del contesto tonale, entrando in uno spazio sonoro "utopistico" implicito nel mondo della chitarra .. ho detto un sacco di fesserie? ... m Fesserie no di certo: la tua interpretazione riflette la tua condizione di intellettuale tormentato. "Utopia" è il nome dell'isola vagheggiata da Tommaso Moro nella sua opera filosofico-politica omonima - una sorta di repubblica platonica perfetta. La sua capitale si chiama Amauroto, dal greco "amauros", che vuol dire evanescente. Ecco quindi Badings edificare tutta la sua "costruzione" in armonici, il simbolo sonoro dell'incorporeità. E' il momento più alto della serie dei Preludi, il suo vertice. dralig
  8. Eh, vorrei proprio vedere chi riesce a spiegare il titolo di quel preludio in relazione alla particolare sonorità di cui è costituito (tutti armonici). Perché "utopia"? Forza, interpreti! dralig
  9. Egregio Cla, ci sono parecchi - dovrei forse dire tanti - ottimi professionisti in svariati campi - dal giornalismo all'agricoltura, dall'insegnamento universitario alle attività imprenditoriali - che, da ragazzi, hanno trovato la loro strada grazie anche al mio aiuto: mi sono sempre guardato bene, nell'insegnamento, dal trascurare o sottovalutare gli indizi che dimostravano, negli allievi, inclinazioni diverse da quelle del far musica con la chitarra, e non ho mai pensato che questa fosse cosa da eletti, e l'andare in ufficio o in fabbrica cosa da reprobi. Dal mio punto di vista, il far musica per il proprio piacere spirituale, mentre ci si cura di una famiglia, è condizione ideale, e Bach - ottimo padre di una ventina di figli - approverebbe Lei molto più di molti dei suoi interpreti, grandi musicisti e pessimi genitori. dralig
  10. Tolti i casi clinici, l'uso dei medicinali è da escludere. dralig
  11. Più che il primo esercizio, mi sembra il fulcro del problema. Io lavoro, ho due figli e mi ritrovo a studiare la sera, chiuso in camera. Per quanto io mi sforzi, durante l'ora che riesco a dedicare allo strumento, non riesco a non essere subissato da pensieri differenti: qualcosa capitata in ufficio, cose da fare l'indomani, oppure i bambini che fanno un capriccio in sala, o il grande che vuole venire a giocare sotto il leggio ed altro. Un'ora non è molta, anzi, ma se poi è pure condita da distrazioni diventa quasi nulla. Magari riuscissi a concentrarmi di più: non posso dimenticarmi dei bambini, ma già tagliare fuori dai miei pensieri il lavoro sarebbe un grande passo avanti... Saluti Credo che, in questo caso, raggiungere un elevato grado di concentrazione non sia possibile, e nemmeno importante. Quella che Lei descrive è la situazione di un amateur che ritaglia un'ora della sua laboriosissima giornata da dedicare alla musica - fatto in sé straordinariamente bello e pieno di valore - mentre si trova in seno alla sua famiglia (con i bimbi che giocano, ovviamente, e meno male!). A che diavolo Le serve concentrarsi? Non è già un uomo felice? dralig
  12. Anche la concentrazione può giovarsi di esercizi specifici. Sono esercizi della mente. La mente può osservare sé stessa? Prova, mentre suoni, a domandarti quante altre cose sono presenti nel tuo campo mentale in quel momento. Ti sorprenderai nel constatare quante esse siano, e quanto problematico risulti il collegarle all'atto principale che stai compiendo (o almeno credi) in quel mentre: il suonare. Ecco, lo sgomberare il campo mentale da ciò che sicuramente non appartiene al pensiero-azione su cui ci si vuole concentrare è il primo esercizio. Scopriremo poi che esistono delle associazioni inestirpabili: quando si suona un determinato pezzo, può sorgere nella mente l'immagine di un luogo che solo nella nostra mente trova attinenza con quello che suoniamo. Non tutto ciò che non è il suonare va eliminato dal campo mentale di chi sta suonando. Ma questo si scopre dopo, e non può essere un alibi per menti pigre e caotiche, sempre piene di cose che "non c'entrano". La mente impara a distinguere l'essenziale dal superfluo, l'utile dall'inutile (o dannoso). In una forma, impara a riconoscere la struttura e a distinguerla dal resto. Applicazioni nella vita? Per esempio entrare in un luogo dove ci sono cento persone che fanno apparentemente la stessa cosa, e capire in pochi istanti chi è il boss, quello che tiene le redini del gioco, che la la mente più forte, e andare dritto da lui, saltando le calzette. dralig
  13. L'essere promotori di un tentativo di spingere la chitarra a "esserci musicalmente nel mondo" è costato caro a chi l'ha intrapreso. Il chitarrismo - o chitarrume - è geloso delle proprie esclusività, pretende di rappresentare un sapere iniziatico che ha che vedere con la musica strumentale "altra" solo fino a un certo punto, teme l'integrazione e rivolge a chi la incoraggia e tenta di attuarla un'avversione feroce, settaria, viscerale. Bream si è tenuto in equilibrio, mantenendo una parte considerevole della sua attività concertistica e discografica in relazione - se non in simbiosi - con il "mondo della chitarra", ma faccio notare che, eccettuato il "Nocturnal" (anch'esso comunque tutt'altro che assimilato dal chitarrume) e le "Five Bagatelles" di Walton, il suo repertorio novecentesco non ha trovato accoglimento: i chitarristi non solo non suonano, ma non sanno nemmeno che esistano le composizioni breamiane dei vari Searle, Racine Fricker, Rawsthorne, Bennet, Tippett, e parlano delle due Sonate del ciclo "Royal Winter Music" di Henze per sentito dire, ma ne rifuggono come dalla lebbra. Nel libro delle mie memorie - se mai lo scriverò - racconterò - spero con il soccorso dell'ironia e del distacco, e senza ombra di risentimenti - che cosa accadde a partire dal 1968, quando io diedi l'inizio alle pubblicazioni della collana Bèrben-Gilardino: è una storia non di divergenze culturali con il "mondo della chitarra", ma di lotta contro la più ottusa, spietata, brutale repressione, condotta da personaggi che, sotto i panni decorosi della propria reputazione e dietro il paravento della cattedra in conservatorio, si comportarono in modo barbaro, oltre che cretino, abbandonandosi alle azioni più vili e abiette. La difesa del "mondo della chitarra" occulta paure e ossessioni che non hanno nulla che vedere con la musica. La chitarra ne costituisce un catalizzatore, l'emblema dignitoso di qualcosa che dignitoso non è, e quando affermo che il fenomeno Segovia non si può spiegare in termini puramente musicali, mi riferisco alla stessa fenomenologia, che ha diverse sfaccettature e modalità. dralig
  14. La questione non è soltanto e puramente musicale, e un'indagine volta a spiegarla dovrà necessariamente svolgersi in ambiti interdisciplinari. Io mi sono formato un'idea abbastanza chiara al riguardo, cioè credo di aver capito come e perché Segovia giunse a rappresentare un emblema sul quale si è poi verificata una convergenza di fattori - non tutti di natura musicale - tali da costituire un mito. Insistere nell'additare l'incongruenza tra i valori incarnati dall'interprete sul piano strettamente musicale e la dimensione mitica assunta dalla sua figura è un'ingenuità culturale.. Bisogna invece comprendere e valutare quali altre forze furono chiamate a fare di Segovia un catalizzatore di miti tale da costituire - tra lui e la chitarra - una sorta di identificazione esclusiva, quale nessun altro virtuoso, nemmeno Paganini con il violino, riuscì a formare. Credo che il metodo più adatto per condurre un'indagine del genere sia - tra quanti io ne conosca - quello hillmaniano, e credo che il filosofo americano sarebbe la persona più adatta a spiegare il fenomeno Segovia. Dopo di lui, ovviamente, ci sarebbe anche qualcun altro, e non è detto che questo qualcun altro non si decida a surrogare l'apparente mancanza di interesse per il maitre à penser statunitense nei confronti di Segovia e della chitarra. dralig
  15. Non solo mi trovo d'accordo ma aggiungo che questo genere di servizio, Fabio, è persino visto come qualcosa di cui vantarsi; e se ti vanti bene vieni preferito a chi ha passato decenni a gettare basi, costruire concetti e limare dettagli quando bastava un bello sformato di ovvietà. Non sarà male, oltre alla moderazione esercitata dai custodi di questo forum, aggiungere un timido contributo culturale in difesa di colui che è, insieme a Rasputin, uno dei più grandi calunniati della storia: Onan. Questo personaggio biblico, il cui comportamento è dal volgo associato a pratiche comuni nella pubertà, ma disdicevoli negli adulti, non si abbandonò mai - basta leggere la Bibbia - all'autoerotismo. Fu invece un precursore delle pratiche anticoncezionali in uso comune oggigiorno, e non si capisce per quale motivo gli sia stata affibbiata questa fama di ....... (la recente letteratura forumistica è stata lessicalmente incisiva, al riguardo). Signor Onan, credo che, da dove Lei si trova, poco Le importi che i suoi costumi vengano additati derisoriamente dagli esseri umani nel secolo ventunesimo. Dunque, non Le costerà perdonarli, anche considerando il fatto, probabilmente, nel secolo trentunesimo, gli umani si ingiurieranno chiamandosi "chitarristi", e temo che sarà considerata offesa ben maggiore. dralig
  16. Quando ogni simbolo grafico è diventato - nella mente del lettore - un suono. In mancanza di ciò, non si ha una lettura, ma solo un'osservazione ottica dei simboli. dralig
  17. Non so se quello che posso dire risulterà interessante, Piero, ad ogni modo ci provo. Ti dirò subito che le indicazioni dell'autore non erano una guida all'orchestrazione (in tal caso ne avrebbe scritte molte, mentre invece ne scrisse pochissime, riferite sempre a un solo strumento), ma solo dei pro-memoria per sé stesso, cioè per ricordarsi di alcune sue scelte nel momento in cui avrebbe orchestrato la composizione. E' chiaro quindi che tali indicazioni avrebbero potuto assumere un valore vincolante solo nel caso in cui io avessi potuto sapere qual era l'organico che egli intendeva adottare. Purtroppo nei manoscritti disponibili non ci sono indicazioni riguardanti l'organico, quindi le pochissime annotazioni con il nome di un solo strumento all'inizio di una linea non significano praticamente nulla. In realtà, non si poneva la scelta tra una "ricostruzione" dell'orchestrazione su basi indiziarie o un'orchestrazione indipendente o creativa: quel che c'era, era troppo poco per ricostruire e, dovendo creare, ho dunque deciso di fare di testa mia. Il lavoro è concepito in modo da affidare alla chitarra un ruolo concertante ma non propriamente solistico: non ci sono cadenze né passi di vera e propria bravura, e la chitarra è incluaa come una sorta di ricco "obbligato" in una formazione che - data l'indole dello strumento concertante - poteva essere solo da camera. Ciò premesso, era solo il caso di decidere se occorrevano, oltre agli archi, anche i fiati, e qualche percussione. Ho optato per includere i legni, si, ma non gli ottoni - che avrebbero avuto qualche pertinenza solo nell'ultimo movimento - e ho ritenuto che non occorressero percussioni. Da lì in poi, sono passato alla stesura della partitura, cercando di evocare alcune atmosfere presenti, più che nelle orchestrazioni di Tansman, in quelle di Falla , e precisamente "Noches en los jardines de Espana": questo è stato il mio unico riferimento, per il resto ho lavorato con il mio criterio, e sono quindi l'unico responsabile del risultato. Lavorando, mi sono reso conto del fatto che le mie esitazioni - durate per anni, nel corso dei quali avevo sempre rimandato il compimento della promessa fatta a Marianne Tansman e a Frédéric Zigante quando la composizione venne trovata a Linares - erano immotivate, infatti non ho incontrato veri e proprii ostacoli, e i dubbi si sono manifestati solo nel dover scegliere tra diverse soluzioni, ugualmente soddisfacenti. Biscaldi e Zigante mi hanno seguito passo passo, il primo tenendo a freno (benché sia lui il più giovane) la mia tendenza a eccedere nel colore orchestrale, il secondo mettendo a punto la parte di chitarra e facendomi notare i miei scostamenti dalle poche indicazioni dell'autore: incidentalmente, di queste disobbedienze sono piuttosto fiero, e l'aver affidato una lunga frase al fagotto invece che al violoncello a me sembra una bella trovata, anche se Frédéric probabilmente mi disapprova. Comunque, a me sembra un gran bel lavoro, e sappi fin da ora che, se non lo suonerai, farai malissimo e io ti rampognerò in ogni possibile occasione. dralig
  18. Più che risponderLe semplicemente "fermare" o "non fermare" è necessario far osservare che la presentazione delle armonie è la scomposizione chitarristica di semplici triadi. Eseguendo gli studi come successioni di triadi compatte, a nessuno verrebbe in mente di addossare una triade all'altra. Quindi, in linea di principio, bisogna adottare lo stesso criterio anche quando si eseguono gli studi nella loro forma chitarristica reale: ogni triade, anche se scomposta in due fasi (battere-levare) , va separata dall'altra. Questa regola mette al riparo da errate mescolanze di armonie e, in certi punti, serve a evitare che segmenti di frasi diverse vengano impropriamente collegati. Come tutte le buone regole, tuttavia, anche questa può trovare qualche eccezione piacevole e utile e, se Lei osserva attentamente la notazione dettata da Sor, vedrà che tali eccezioni sono suggerite nelle battute 21-24, dove in realtà si passa da un'armonia a tre voci a un'armonia a quattro voci (indicate con precisione dalla scrittura). In questo caso, tutte le voci vanno tenute. dralig
  19. Questo non lo so. Però so per certo che chi non riesce a star bene da solo non riesce nemmeno a star bene con gli altri e ancora meno a farli star bene. Ad ogni modo, per un artista che sceglie di dedicarsi alla propria opera, la questione è secondaria. dralig
  20. Se si tratta di un artista vero, vive da artista in tutto lo spazio della sua esistenza, non soltanto quando agisce direttamente sull'opera. I risultati, ovviamente, sono molto diversi: nel creare, l'artista è solo, e va dritto al suo obiettivo; nel vivere non è solo, e gli altri in genere non sono molto disposti a rendergli la vita facile ( spesso, tutto il contrario). dralig
  21. Immagino che Lei sappia, Fabio, che Kurtag scrisse dei pezzi per chitarra, poi ritirati. Inutile domandarsi la causa del gesto del compositore... dralig
  22. Nel mio archivio colleziono tutte le registrazioni - valide o meno - della musica di Mario Castelnuovo-Tedesco. Esiste una registrazione integrale del ciclo "Les guitares bien tempérées" del chitarrista Claudio Piastra, che ha sovrapposto le sue incisioni delle due parti. Comunque, ricordo di aver ascoltato, in gioventù, la registrazione di una Sonata di Beethoven per violino e pianoforte nella quale il grande violinista belga Arthur Grumiaux accompagnava sé stesso: era anche un ottimo pianista, e aveva usato le (allora imperfette) tecniche di sovrincisione. dralig
  23. Non è già stato detto molto, in merito? Ovvero, non è meglio dare spazio a compositori che spazio, nella letteratura e nelle interpretazioni ne hanno avuto ben poco? A dire il vero, una decina di pagine sullo stravagante genio di Francesco Corbetta o sul melanconico lirismo di Robert de Visée, insieme ad alcune note su quel che era la chitarra alla corte del Re Sole, io le avrei scritte volentieri, e sono sicuro che, raccontandole a modo mio, non sarei caduto nella ripetizione di cose già dette. Ho dovuto rispettare delle direttive precise ma - ripeto - se il libro troverà buona accoglienza, suppongo che l'editore mi permetterà di arricchire le future ristampe con l'inserimento di altri autori. Magari, mi ci metterò pure io (come faceva Regino Sainz de la Maza, quando, da critico musicale di ABC, noto quotidiano spagnolo, recensiva i suoi stessi concerti). dralig spero
  24. Le vendite sono certo un aspetto fondamentale nell'attività degli editori, i quali possono essere anche mecenateschi (assai di rado), ma sicuramente poco inclini a portare i libri contabili in tribunale, e siccome anche gli autori mangiano, bevono, si vestono, pagano il mutuo e le bollette, nemmeno loro hanno motivo di ostentare sovrano disinteresse per i resoconti dei distributori. Senza ipocrisie, voglio però far notare che il successo di un libro - dal punto di vista culturale - non si misura soltanto con le vendite, e ancor meno con le recensioni (favorevoli o contrarie), ma con un'accoglienza che ha luogo in diversi luoghi non registrati dalla contabilità: una copia di un libro in una biblioteca pubblica molto frequentata può essere letta da cento persone, mentre dieci copie regalate da un acquirente munifico ad altrettanti destinatari che non le leggeranno non significano nulla. I buoni libri si rivelano a lungo termine e i loro effetti non sono misurabili in moneta, ma con una scala di valori che non si manifesta nei numeri. Comunque, grazie per l'augurio. dralig
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