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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. Gentile Maestro, sarebbe mia grande curiosità e penso anche di altri amanti della liuteria storica italiana, poter vedere qualche foto della Pabè ora in suo possesso ed eventualmente delle Pabè che ha visionato prima di scrivere la sua pubblicazione.

    Cordialmente

    Giancarlo Gordani

     

    Una fotografia della miglior Pabè che io abbia mai avuto modo di provare - e che non è di mia proprietà - appare nel mio libro  "Il legno che canta", pubblicato proprio oggi da Edizioni Curci (una tiratura speciale destinata agli abbonati di "Seicorde" è già in corso di spedizione). Il volume si occupa della vita e dell'opera di cinque maestri della liuteria italiana nati prima del 1920: Luigi Mozzani, Pietro Gallinotti, Lorenzo Bellafontana, Mario Pabè, Nicola De Bonis. Poiché so che Lei è un appassionato cultore di liuteria, mi permetto di suggerirLe la lettura del volume. Sarò lieto di discuterne con Lei. Cordialmente, AG

  2. non avevo mai ascoltato l'originale pianistico , ma è curioso notare come nella versione chitarristica la cosa che resta più impressa di tutto il brano, a me almeno, è sempre quell'ossessivo ribattere la#si che nell'originale è invece molto di sottofondo, più piano e veloce

     

    Pianista sommo, Granados fu, come compositore, soprattutto un melodista - aveva il dono dell'invenzione melodica. La danza in questione è in realtà una melanconica canzone, una sorta di tonadilla (ne compose parecchie per voce e pianoforte) che egli immagina accompagnata dalla chitarra, e per questo la scrisse sì per pianoforte, ma con quegli effetti chitarristici che amava evocare e talvolta imitare scopertamente, come nelle "Seis piezas sobre el canto popular espanol":

     

    http://www.youtube.com/watch?v=Z426MPxVtCA

     

     

    Nell'esecuzione pianistica, è giusto tenere tale effetto sullo sfondo. Nella versione per chitarra, non c'è nulla da evocare - la chitarra evocata da Granados è lì in carne e ossa. La distanza tra le melodia e lo sfondo rimtico-armonico si riduce molto proprio perché lo spazio sonoro dello strumento è assai più piccolo di quello pianistico. Arturo Benedetti Michelangeli non soltanto separa i piani sonori, ma adopera scansioni ritmiche diverse per "la chitarra" e per "la voce". Grondona, all'opposto, fa un corpo unico dei due elementi - ed entrambe le versioni hanno il loro scopo preciso: quella di Michelangeli evoca, quella di Grondona incarna.

     

    dralig

  3. Riformulo perché la frase che ho scritto sopra è ambigua. Intendevo dire che il Mi, nella pagina originale, è parte della stella linea del Si (Mi-Si-Si-Si-Si-Si).

     

     

     

    Sono d'accordo. Anche perché non mi sembra che l'impianto tonale lasci dubbi.

     

     

     

    Vediamo...

     

    Ma no, ho preso il toro per le corna e, recuperata una delle chitarre di casa, ho provato la mia invenzione. Che schifo. Sarà meglio che oggi non inventi più niente.

    dralig

  4. Ecco. Allora non sono impazzito...

     

     

     

     

     

     

    Sì, vero. Ma avrei rinunciato volentieri al basso per ottenere un risultato con il bicordo la#-si che vibra, come nello spartito originale.

     

    Per la verità, nell'originale non è indicata alcuna sovrapposizione dell'acciaccatura - la diesis - e della nota reale - si. L'unica durata certa, che occupa l'intera battuta, è quella del basso (mi). Quindi, con la soluzione che tu indichi, togliamo la fondamentale alll'accordo e la sostituiamo con la diesis, il che, con il pianoforte, sarebbe un piccolo crimine. Con la chitarra, tuttavia, se il mi iniziale viene pronunciato bene, dopo essere scomparso a causa dell'entrata del la diesis, lascia memoria di sé: l'ascoltatore continua a percepirlo anche se non c'è più, Non ci sarebbe nulla di male, secondo me, nel lasciare il basso in vibrazione suonando la diesis-si in terza e seconda corda un'ottava sopra, e incrociando nella stessa ottava il bicordo sol-si. L'effetto (che immagino, non ho voglia di verificarlo) mi sembra piccante. Provate e sappiatemi dire.

    dralig

  5. C'è solo una cosa che non ho mai digerito della trascrizione: le acciaccature iniziali sulla cellula ritmica.

     

     

    Piano

    Granados05_Piano.jpg

     

    Chitarra

     

    Granados05_Guitar.jpg

     

    O meglio, viene esattamente riportato che è scritto nella parte originale ma molti grandi interpreti (sullo strumento originale) usano il l.v. sul cromatismo che funziona meravigliosamente.

    Io, quando interpretavo questa pagina (avevo 15-16 anni) cercavo disperatamente di riproporre quell'effetto eseguendo l'acciaccatura su due corde (negli esempi riportati qui sopra 6a e 5a) ma con gravi difficoltà - verosimilmente per qualche lacuna tecnica - in altre sezioni della composizione.

     

     

    Ho visto di persona Andrés Segovia adottare tale soluzione, che ha dei punti a favore, ma che purtroppo fa del la-diesis il basso stabile di un accordo che invece è fondato sul mi 6.

    dralig

  6. Salve! Qualcuno potrebbe consigliarmi una buona trascrizione della danza Andaluza numero 5 di Granados? Grazie!

     

    La prima trascrizione della Danza di Granados oggetto della Sua domanda fu elaborata da Miguel Llobet, che era amico del compositore. La segnalazione di Porqueddu è esatta. Prima ancora di mettere nero su bianco la sua trascrizione, Llobet la insegnò - suonandola a frammenti - all'allora giovane Andrés Segovia, che se ne fece un solo boccone. Com'era nel suo stile, Segovia non adottò la trascrizione llobetiana senza apportarvi alcune modifiche. A sua volta, non scrisse mai la sua trascrizione della trascrizione di Llobet. La incise però in uno dei suoi dischi. Dal quale, Phillip de Fremery e il sottoscritto hanno tratto le note (e anche individuato le corde). Tale trascrizione,naturalmente attribuita a Segovia, è contenuta nel volume "Andrés Segovia/Obras para guitarra/vol. 3/Transcripciones", pubblicato dalle Edizioni Musicali Bèrben, a cura dei due orecchianti sopra menzionati. Consultando le due versioni, si fa tutto il fattibile: non c'è di meglio, e non credo che ci possa essere.

     

    dralig

  7. Grazie dralig. Secondo Lei non l'ha mai suonato perchè aveva qualche preconcetto verso il pezzo , oppure c'era un certo antagonismo verso Narcisio Yepes che lo lancio in tutto il mondo .Che pur essendo un pezzo semplice melodico ma molto bello contribui a mio parere alla enorme divulgazione della chitarra classica.... " lo stesso Yepes che ad un certo punto della sua vita disse di essere stanco di vedersi catalogato " Mister giochi proibiti " e non voleva piu' eseguirlo.... io che l'ho sentito in tre concerti era costretto come bis da esplicita richiesta ad eseguirlo con conseguente battimani a non finire del pubblico molto piu' di quello ricevuto precedentemente da un progamma molto impegnativo...... saluti prof

     

    Io ho ascoltato alcuni concerti di Yepes, e non suonò "Romance anonimo", né come bis né, tanto meno, nel programma. Segovia non suonò il pezzo perché - credo - gli risultava un po' sempliciotto dal punto di vista armonico - lui amava musiche armonicamente più elaborate. Fece qualche eccezione più accondiscendente, ma non al punto di suonare lo studio di Rubira, poi noto come "Romance anonimo", poi come "Jeux interdits".

     

    dralig

  8. Ho ascoltato e qualche volta ascolto un po' di flamenco. Mi piacciono i brani con armonie modali nel genere jondo. Ho avuto contatti amichevoli con Manolo Sanlucar, Rafael Riqueni e Paco Serrano - ottimi chitarristi. Ho chiacchierato piacevolmente anche con Adam del Monte, che fa un flamenco molto stilizzato, quasi nel genere classico. Tipi in gamba.

     

    dralig

  9. carissimo dralig non ho capito se il maestro iervolino ha un suo Lp del 73 oppure del76 comunque fortunato lui che c'è la perchè oltre ad elogiare la sua indiscutibile bravura nell'interpretazione è un Lp raro e prezioso....da Lei maestro visto che ha suonato nel primo Lp la Ramirez che considerazione aveva di quella chitarra anni 60/70. carissimi saluti . prof

     

    Ero vittima della compulsione che faceva sentire i chitarristi italiani nell'obbligo di suonare una chitarra come quella di Segovia. Durò poco, nel mio caso. Tornai quasi subito a Gallinotti, poi passai ad Arban e a un lungo eccetera di chitarre italiane.

    dralig

  10. Grazie Dralig per la risposta. spero che il giorno della ristampa dei due LP sia prossimo....... sarò lieto di poterli avere.. Per curiosità che chitarra ha usato per l'incisione ed il concerto? . saluti prof

     

    Per il concerto da cui fu tratto il primo LP, Ramirez. Per la registrazione del secondo LP, una chitarra costruita da EKO di Recanati su progetto dell'ingegner E. Fausto Ciurlo. Sostanzialmente, una Mozzani.

    dralig

  11. Io ho registrato soltanto due dischi LP, uno nel 1973 e uno nel 1976. Il disco LP del 1973, pubblicato da Bèrben, conteneva musiche della collezione Bèrben-Gllardino (Wissmer, Haug, Duarte, Berkeley, Tansman); il disco LP del 1976, pubblicato da Rugginenti, conteneva musiche della collezione Bèrben/Gilardino di autori italiani (Rosetta, Bettinelli, Chailly, Mosso, Maghini). Il disco Rugginenti è normale - ossia la registrazione è rispettosa del suono che producevo. Il disco Bèrben purtroppo non lo è. Il produttore (il famoso chitarrista di musica leggera Luciano Zuccheri) prese la registrazione di un mio concerto "dal vivo" - senza errori di tecnica - e fin qui tutto bene - e poi la elaborò in uno studio di Milano, alla luce del suo convincimento che la chitarra classica avesse i cantini deboli d'intensità rispetto ai bassi. Non era certo il mio caso! Fece così trattare il registro acuto in modo da aumentarne molto l'intensità rispetto ai bassi, e ne venne fuori un suono klangy, da chitarra elettrica, che a lui piaceva molto. Avrebbe almeno dovuto filtrare gli armonici, ma non lo fece, e il disco fu stampato con quel suono, che io non qualifico, ma che di sicuro non era il mio. Ad ogni modo, io non ho dato autorizzazione a ristampare quei vecchi LP in CD. Verranno ristampate forse un giorno, se a qualcuno interesserà, per ragioni storiche, ascoltare come suonavano i compositori...

     

    dralig

  12. A mio avviso in questo caso è certamente auspicabile un ritorno al testo originale di Turina, come suggersce Angelo Gilardino. Tuttavia anche l'urtext pubblicato da Schott presenta dei problemi e la battuta 39 del primo movimento è un esempio. Questa edizione si basa su un manoscritto comunque non autografo di Turina: dare per scontato che un manoscritto di un testo è comunque e sempre perfetto in tutti i suoi dettagli non è una buona idea.

     

    Non ho mai capito, Frédéric, perché Turina, che aveva una grafia musicale chiarissima ed elegante, ricorresse ai copisti, non solo quando si trattava di estrarre le parti dalle sue partiture orchestrali, ma anche in casi come quello della Sonata per chitarra, dove non si capisce quale sia il vantaggio apportato dall'intervento del copista. Comunque, il fatto che egli abbia apposto di suo pugno il titolo e la dedica accredita il manoscritto del copista come un autografo. Poi - come fai giustamente osservare - non esiste fonte assolutamente impeccabile, e nemmeno l'originale autografo è esente da errori. A mio giudizio, non c'è più motivo di servirsi della versione di Segovia, se non dal punto di vista storico, cioè per comprendere le motivazioni che suggerirono al maestro i suoi interventi. Molto importante è la presenza delle legature di frase nel secondo tempo, mentre credo che, nel manoscritto, il punto debole sia quello delle abbreviazioni degli accordi ripetuti nel terzo tempo.

     

    dralig

  13. L'edizione Alvarez è basata su un manoscritto opera di un copista incaricato da Turina - che infatti adoperò tale copia sia per il deposito alla SGAE che per inviarlo all'editore Schott, dai cui archivi proviene la copia in mio possesso da 20 anni - ed è autografo solo nelle soglie (titoli).

    Le discordanze tra i due testi sono molte. Poiché non vi sono ostacoli all'esecuzione della versione originale, quella di Segovia non dovrebbe più essere presa come testo-base, ma usata solo come riferimento per certe sue soluzioni invero ingegnose.

    Una volta messo a punto il testo in tutti i suoi dettagli, non vedo, per l'interprete maturo, alcuna necessità di ricorrere a modelli già esistenti: meglio elaborare una proprio visione dell'opera. Qualche spunto "poetico" può venire dall'ascolto delle composizioni di Turina per orchestra e per pianoforte.

    Ad ogni modo, nelll'esecuzione che Lei propone, gli armonici in uscita dal secondo tema nel primo tempo sono erroneamente eseguiti un'ottava sopra, in realtà devono stare in linea con il contesto melodico in cui sono collocati, e quindi vanno eseguiti nell'ottava reale.

    ag

  14. Sto frequentando il corso di composizione organizzato dalla Scuola Civica di Torino nella classe (siamo ben in due!) del m° Giulio Castagnoli.

    A tale corso primario è stato associato il corso complementare di Lettura della partitura che, almeno in questa prima fase, non è null'altro che un corso base di pianoforte.

    Capisco perfettamente che il pianoforte - per le sue peculiarità e caratteristiche - sia da un punto di vista didattico al centro di determinati percorsi formativi.

    La domanda che mi e vi pongo però è: un compositore non improvvisato che segua un percorso formativo serio e completo deve per forza saper suonare il pianoforte ?

    Un conto è "conoscore profondamente" uno strumento (tecniche, stili, dinamiche, scrittura musicale ecc), un'altro è saperlo anche suonare.

    Con questa logica un compositore che scrive opere orchestrali, per essere davvero completo, dovrebbe sapere suonare tutti gli strumenti dell'organico.

    Cosa ne pensate ?

     

    Taltomar

     

    I programmi di studio dei conservatori italiani obbligano gli iscritti al corso di composizione a studiare pianoforte - studio chiamato "lettura della partitura" - fino a raggiungere, al momento dell'esame, una preparazione comparabile a quella di uno studente di pianoforte del settimo-ottavo anno. Si tratta di un retaggio della cultura musicale italiana, governata da musicisti pianocentrici che influenzarono il legislatore. Oggi, con la possibilità di avvalersi di programmi di notazione musicale che permettono di ascoltare in playback la musica che si scrive - dai compiti di armonia fino alle composizioni orchestrali - tale impegno appare facoltativo. In aggiunta, ai chitarristi che frequentano il corso di lettura della partitura viene spesso imposto di tagliare le unghie delle dita della mano destra, incompatibili con lo sviluppo della tecnica pianistica. Questa fu la ragione per la quale, in gioventù, scelsi di studiare composizione e non pianoforte. Mi rivolsi a un valido maestro che, in cinque anni (la metà della durata del corso in conservatorio) mi insegnò l'armonia, il contrappunto, la fuga, le forme musicali e che mi diede anche qualche lezione di orchestrazione. Il non poter disporre di un pianoforte, lungi dal danneggiare la mia formazione, stimolò lo sviluppo della peculiare capacità di immaginare e di sentire "interiormente" la musica scritta, capacità che considero la più importante risorsa del mio bagaglio di musicista. Infatti, componendo per orchestra, scrivo direttamente in partitura, senza bisogno di una redazione pianistica, e controllo perfettamente ogni dettaglio anche senza bisogno di suonare il pianoforte. Da quando, poi, ho incominciato ad adoperare Finale e Sibelius, il lavoro di scrittura - con i suoi andirivieni di ripensamenti e di correzioni - si è enormemente semplificato e accorciato, e francamente - pur senza auspicare l'abolizione del corso di lettura della partitura - mi sento di consigliare ai giovani chitarristi di evitare il dilemma unghie si-unghie no e di studiare composizione privatamente, o nelle istituzioni straniere che non impongono agli allievi di composizione di diventare anche studenti di pianoforte.

     

    dralig

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  15.  

    Nella mia pochissima esperienza della storia della chitarra, Sor suonava anche il piano(o almeno so che ha composto per piano),e non che che avendo difficoltà con la tastiera pianistica, sconsigliava il taglio delle unghie? Domando?

     

    Nel suo Metodo per chitarra Sor dichiara la sua preferenza per l'attacco di polpastrello su basi estetiche, non come ripiego per poter suonare anche il pianoforte.

     

    dralig

  16. La domanda non è chiara: chi è stato il primo a fare che cosa? A suonare con le unghie o senza?

    Comunque, supponendo che Lei voglia sapere chi è stato il primo a suonare con le unghie, la risposta è: non lo sappiamo, perché molti metodi non fanno alcun riferimento all'uso - o meno - delle unghie, anche se contengono istruzioni su altri aspetti della tecnica.

    Sappiamo invece chi fu, tra coloro che suonarono, e insegnarono a suonare, con le unghie, il più importante: Dionisio Aguado, che non solo spiega le funzioni e le modalità d'attacco per adoperare le unghie, ma ne dà anche un apprezzamento di tipo estetico - cioè descrive il suono che si può ottenere.

    Contrario all'uso delle unghie fu invece Fernando Sor, che anzi dichiarò di aver persuaso il suo amico Aguado a tagliarsi l'unghia almeno nel pollice (Aguado però al riguardo non dice nulla).

    Francisco Tarrega adoperò le unghie ma, negli ultimi otto anni della sua vita, le elimiinò: questa sua scelta fu descritta da due suoi allievi, Emilio Pujol e Domingo Prat, in modo opposto. Pujol sosteneva che Tarrega si era tagliato le unghie per una ricerca di un suono migliore, Prat invece asserisce che era stato obbligato a tagliarsele perché, dopo la paralisi, aveva perso sensibilità tattile e le unghie gli si rompevano di continuo.

     

    dralig

  17. Fu lo stesso Villa-Lobos ad elaborare un arrangiamento per flauto e chitarra dell'Aria della Bachianas Brasileiras n5 (originale per soprano e 8 violoncelli).

    La trascrizione fu realizzata dal compositore per l’amico flautista Agenor Bens e presenta delle notevoli differenze rispetto quella per canto, in quanto manca del tutto la sezione centrale (Cantilena).

    Ho potuto visionare personalmente il manoscritto di cui possiede una copia il flautista italiano Gian-Luca Petrucci (l'opera non è stata mai pubblicata dall'autore).

    Oltre alla mancanza della sezione centrale, nella parte di chitarra c'è anche qualche piccola differenza nella tessitura delle voci rispetto quella pubblicata da Segovia per canto e chitarra.

    Villa-Lobos in seguito pubblicò un ulteriore arrangiamento dello stesso brano per flauto e pianoforte, nel quale, invece, è inclusa anche la sezione centrale (Cantilena).

     

    Saluti

    Piero Viti

     

    Caro Piero, io credo che invece le cose stiano al contrario, ossia che HVL avesse scritto prima una melodia per violino e orchestra, poi trasformata nell'Aria della Bachianas n. 5 con l'aggiunta del declamato centrale, e sono sicuro che, rovistando nel lascito del compositore, la redazione primaria salterebbe fuori.

    Ragioniamo: la parte melodica della Bachianas si canta una volta con un vocalizzo sulla "a" e una seconda volta a bocca chiusa: ti sembra logico, per una canzone, che la sezione principale e la sua ripetizione siano senza testo? A me, no. Il testo della Ruth Correa appare solo nel declamato centrale, ed è evidente che il compositore ha inserito questa sezione per far posto alla poesia, che altrimenti, nella melodia pre-esistente, non ci sarebbe entrata neanche a tirarla per i capelli. Quindi, suonando il brano per flauto e chitarra, non ci si allontana molto dalla prima idea del compositore. Non ho le carte, ma ci scommetterei una cena.

     

    dralig

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  18. ringrazio i carissimi Maestri dralig e Bonaguri che hanno risposto alla mia curiosità. però non posso leggere il cartiglio perchè la chitarra suzzi non so che fine abbia fatto. mi ricordo solo il bel conciliante suono dato che mio padre nel lontano 1950 invece delle fiabe mi suonava piccole melodie di Sor per addormentarmi....comunque mi ricordo vagamente di averla vista ma ero ancora troppo piccolo per interessarmi al mondo della musica. la grande passione per la chitarra mi arrivò negli anni 60.

    COMUNQUE la curiosita' mi è venuta trovando questo scritto di mio padre dopo la sua morte. venezia li 20-1-1941 -xlx preg. cav. Vizzari, vi prego di scusarmi se ho ritardato nel rispondervi ma ciò è dipeso dal fatto che il gazzettino non ha saputo darmi nessuna indicazione del prof. Pillon, fintantochè oggi venni finalmente a conoscenza della abitazione e mi recai tosto da lui . fu molto contento quando seppe il motivo della visita ed in spece d'aver avuto , a mio mezzo l'occasione per inviarvi i suoi cordiali saluti.Mi disse che il dopo lavoro "lux" per molteplici ragioni da circa 2 anni fu sciolto e che , per lo stesso motivo , lui non ha piu' effetuato l'abbonamento al "plettro" peccato perche' era l'unico posto a venezia città. dove si coltivava la chitarra classica e il mandolino .comunque io sono del parere che qui a venezia non ora ma appena terminata la guerra si potrebbe fare molto di piu'dato che abbiamo il liceo dei gesuiti , il circolo artistico , e altri spaziosi locali per qualsiasi portata di concerto di chitarra o piu' strumenti. ora avrei bisogno di un favore: dietro specifica indicazione d'onorario,sarei ben lieto che voi preg.cavaliere dato che sono un dilettante e per di piu' senza guida mi indicaste il modo migliore per seguire una via di studio che abbia a giovarmi. vi informo che tengo 2 metodi di chitarra completi :Carulli e Sor trad. francese. ho studiato teoria e solfeggio ed ora sono all'inizio degli elementi d'armonia, possiedo una bellissima chitarra di liuteria Suzzi piuttosto gande 6 corde . resto dunque in attesa , per quanto è nella vostra possibilità, di una notizia in proposito. cordialmente . Achille Rosso . Venezia. ecco questa è una parte della lettera scritta da mio padre che parla di questa chitarra .altro non so. Certo che a quei tempi tutto era difficile ma quanta passione ....... ora con il computer abbiamo tutto e di piu' non ci sono piu' segreti nel mondo della chitarra , però forse si perderà la vera passione e il tempo per studiare seriamente...... saluti a tutti prof.

     

    Caro amico, il Suo amarcord è commovente, ma si conclude in modo disfattista: la "vera passione" è diffusissima tra i giovani chitarristi, non pochi dei quali scelgono di dedicare la loro vita alla musica per chitarra, non - come il Suo compianto genitore - protetti da un altro lavoro, ma esponendosi ai mille, rischiosi incerti che tale scelta comporta, ivi compreso quello di dover trascinare il resto dei proprii giorni nelle secche di un misero bilancio, non sempre atto a mantenere una famiglia: se non è passione questa...Quanto al "tempo per studiare seriamente", suvvia, siamo seri: i chitarristi dell'epoca di Suo padre erano quasi tutti dilettanti - in Italia, allora, solo Mario Gangi e Carlo Palladino facevano il mestiere di chitarrista, tutti gli altri lavoravano come impiegati e suonavano nel tempo libero. Persino Benvenuto Terzi, il migliore di tutti, non si fidava della chitarra come mezzo di sopravvivenza, faceva il ragioniere nell'amministrazione dell'ospedale e, quando - giovanissimo - gli dissi che io avrei fatto il chitarrista e basta, miguardò sgomento come se gli avessi annunciato di essermi arruolato nella legione straniera. Quindi, il Suo bellissimo ricordo della figura di Suo padre finisce ingenerosamente e non veridicamente nei confronti dei chitarristi di oggi: si corregga. E cerchi di farsi venire in mente che cosa davvero c'era scritto su quel cartiglio, oltre a "Suzzi": poteva esserci un nome come Gallinotti o Piretti, e allora il non sapere "che fine abbia fatto" lo strumento (magari ce l'avrà in cantina o in solaio) sarebbe un gran peccato.

     

    dralig

  19. La mia Gallinotti fu costruita proprio per Raffaele Suzzi, ed è del 1940.

    Ho visitato spesso Suzzi nella sua casa bolognese (stava a due passi dal conservatorio, in via Zamboni) e non mi risulta che abbia mai costruito chitarre.

    Mi sembra anche strano che nel 1940 lui si sia fatto fare un'altra chitarra oltre alla Gallinotti;

    di un liutaio Suzzi non ho comunque mai sentito parlare.

     

    Nemmeno io, Piero, ed è per questo che ho domandato all'utente se Suzzi non sia il dedicatario della chitarra, invece che il suo costruttore. Che Gallinotti e Suzzi fossero amici, è certo.

  20. E' sicuro di aver letto, nel cartiglio, il nome del liutaio e non quello del chitarrista per il quale lo strumento fu costruito? Raffaele Suzzi, geometra di professione e appassionato di chitarra, era considerato - non so su quali titoli - un esperto di liuteria, ma non ho mai saputo che costruisse in proprio.

     

    dralig

  21. Bè, personalmente trovo che dopo un po' i cantini assumano un suono più tagliente, soprattutto la prima corda. È vero che si può bilanciare con una buona mano destra, ma a volte è veramente limitativo in fatto di timbri (fra l'altro anche le possibilità timbriche delle corde tendono a diminuire con l'usura). I bassi invece diventano più tonfanti, cupi, il suono dura di meno.

    Oltre al fatto che diminuisce di molto l'intensità massima...

     

    È la prima volta che sento che chitarristi professionisti preferiscono non cambiare le corde. Interessante...

     

    Guardi, se i chitarristi imparassero, oltre che a suonare la chitarra, a lavarsi le mani con acqua e sapone prima di cominciare una sessione di studio o un concerto, e se si prendessero il disturbo di pulire accuratamente le corde, detergendole e asciugandole prima di riporre lo strumento nell'astuccio, i bassi durerebbero il triplo e le corde di nylon non si dovrebbero cambiare più di una volta l'anno.

     

    dralig

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