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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. Quali corde per la sua Ramirez ha usato il Maestro A.Segovia dal 1960 in poi? forse le Augustine? saluti Prof.

     

    Segovia usava corde Augustine, però aveva chiesto e ottenuto che il cantino delle mute destinate a lui avesse un diametro leggermente più grande - era una via di mezzo tra il cantino ordinario e la seconda corda.

    Prima di accettare una corda (delle tre superiori) ne provava almeno una mezza dozzina e, dopo aver trovato quelle la cui intonazione lo soddisfaceva, era molto restio a cambiarle - tenne lo stesso cantino per due anni.

    dralig

  2. Premetto che non so se questa sia la branca giusta per questo tipo di topic, quindi perdonatemi se ho sbagliato.

     

    Ho avuto modo di provare, tempo fa, una chitarra del M. Garrone e l'ho trovata un'ottima chitarra. Successivamente, cercando informazioni su questo liutaio, ho scoperto che ha sospeso la produzione di chitarre circa 3 anni fa e di conseguenza, si è dedicato alla costruzione di meccaniche di altissima precisione.

     

    Girando in diversi mercatini di strumenti su internet ho notato che, sporadicamente, "spuntano" delle chitarre Garrone a prezzi molto distanti tra loro ( chi 4000 € chi 2000 € ) e mi sono sempre chiesto il perchè di queste differenze di quotazione.

     

    Non trovando risposta, voglio gentilmente porre il mio quesito a Voi.

    ( Anche perchè, ho notato che alcuni degli utenti di questo forum posseggono o hanno posseduto una chitarra del M. Garrone )

     

     

    Vi ringrazio,

     

     

    PiCarm

     

     

    In effetti, Mario Garrone aveva annunciato il suo ritiro dall'attività, ma poi ci ha ripensato e ieri l'altro ho provato tre sue nuovissime chitarre, del tutto in linea con la sua normale produzione. Ha passato gli ottant'anni, ma è lucidissimo e assai vivace. Suppongo quindi che continuerà a costruire strumenti. Le differenze di quotazione delle sue chitarre - e di quelle di ogni altro artefice - nel mercato dell'usato dipendono principalmente dalle condizioni momentanee in cui versano coloro che le cedono: c'è chi vende una chitarra per comprarne una di maggior costo (non necessariamente migliore, ma solo più cara), chi vende perché ha smesso di suonare, chi vende perché ha l'ufficiale giudiziario alla porta di casa, etc. - ogni caso è una storia - e quindi, in ultima istanza, solo il compratore accorto, competente (o ben consigliato) può valutare se "il prezzo è giusto" o no. Le chitarre italiane, comprese quelle di Garrone, costano poco, e le chitarre classiche in generale, rispetto agli strumenti ad arco, hanno quotazioni irrisorie. Quindi, potendo, conviene comperare, perché è inevitabile che, in futuro, la situazione cambi.

    dralig

  3.  

    Grazie della risposta. Rilancio: le difficoltà di lettura possono anche essere dovute al fatto che larghissima parte della nostra letteratura è stata scritta da non chitarristi?

     

    Io ho una mia teoria (suffragata da quella cosa che mi sta tra la bocca e gli occhi). Faccio sempre il confronto facile col pianoforte: credo che tutti i grandi compositori che hanno scritto per quello strumento e per i suoi predecessori sapessero bene o male suonarlo, per cui - ma potrei sbagliarmi visto che non sono un pianista - col tempo è venuta a formarsi una modalità di scrittura pianistica funzionale al movimento delle dieci dita sulla tastiera, a prescindere dallo stile e dall'epoca. Quindi, non dico che leggere Rachmaninov sia come leggere una Sonatina di Mozart, però forse questo filo rosso che percorre l'evoluzione della scrittura per pianoforte facilita la prima vista.

     

    Lo stesso non si può dire per la tecnica e la scrittura per chitarra, che nel corso del Novecento è stata reinventata più volte. Se io suono Giuliani, poi Sor, poi Regondi, poi Tarrega e poi Llobet, è vero che sono di fronte a stili diversi, ma è chiaramente percepibile anche lì il filo rosso che tiene insieme quella pur breve tradizione (si tratta di un secolino appena di musica).

     

    Giocando coi se, possiamo ipotizzare un Castelnuovo-Tedesco, un Rodrigo, un Tansman, un Berkley, uno Henze, un Takemitsu provetti chitarristi formatisi tecnicamente sui grandi capolavori di Giuliani e Regondi (lascio fuori l'avanguardia, che fa discorso a sé). Saremmo di fronte magari non a un linguaggio, ma sicuramente a una scrittura chitarristica molto più omogenea. E se noi ci fossimo ingobbiti per anni su quegli ipotetici pezzi, forse saremmo un po' più bravi con la prima vista. No?

     

    Le Sue osservazioni sono fondate. Il fatto è che le difficoltà di lettura a vista si manifestano - da parte dei chitarristi - anche nelle parti di chitarra di composizioni da camera scritte da chitarristi. Provi con una composizione di un autore come Carulli, Molino, Giuliani, etc.: ben raramente troverà un chitarrista capace di andare da capo a fine senza impigliarsi da qualche parte, mentre i suoi colleghi - il flautista, il violinista, persino il violista, etc. - troveranno normalissimo leggere le loro parti tutte d'un fiato senza il minimo intoppo. Di questo guaio, si lagnava Niccolò Paganini, che provò uno dei suoi quartetti in quel di Napoli chiamando il miglior chitarrista della città: questi suonava variazioni imparate a memoria ma, davanti al leggio, non prendeva una nota giusta.

     

    Certo, la musica dei compositori non chitarristi risulta ancora più ostica alla lettura.

     

    Mi permetta però di ricordare alcuni colleghi capaci di leggere a prima vista qualunque composizione per chitarra: il defunto Siegfried Behrend, il maestro Gabriel Estarellas, l'ormai maturo virtuoso Christian Saggese, il giovane Edoardo Dadone.

     

    dralig

  4. Da allora in poi, si scrive su un'accollatura a due righi (entrambi in chiave di Sol con trasposizione delle note reali all'ottava superiore) quello che ragionevolmente non si può scrivere su un solo rigo.

     

    Con risultati stupefacenti. Mi è capitato in questo periodo di leggere e studiare un pezzo molto intricato ma totalmente privo di diteggiatura e scritto su due pentagrammi in chiave di violino: una goduria.

     

    in un reticolato altamente probabilistico come è quello della chitarra

     

    Domanda che mi frulla in testa da un po', e che giro a chi forse mi può dare una risposta (ma forse l'argomento meriterebbe un thread a sé): nella chitarra il "reticolato" di possibilità di diteggiatura è superiore rispetto agli altri strumenti? Ed è possibile collegare anche (ripeto: anche) a questo una maggiore difficoltà dei chitarristi nel leggere a prima vista?

     

    La risposta è si. Non solo una nota, o un accordo, o una qualunque configurazione polifonica si può collocare "oggettivamente" sulla tastiera della chitarra in diverse posizioni su corde differenti ma, nella stessa posizione e sulle stesse corde, ciascuna nota, accordo, figura contrappuntistica, può essere eseguita "soggettivamente" con un diverse diteggiature. Quindi, dal punto di vista puramente probabilistico - cioè senza mettere in gioco fattori di tipo estetico, pertinenti alla sfera dell'interpretazione - il reticolato corde-tastiera è assai più complesso delle situazioni che si danno con uno strumento a tastiera o a corde libere (arpa). Le difficoltà che i chitarristi in genere mostrano nella lettura a prima vista dipendono: a) da quanto sopra esposto; 2) dal tipo di notazione improprio invalso nella musica per chitarra - che si scrive male, a causa dell'adozione ormai irreversibile del pentagramma singolo; 3) dalla scarsa inclinazione dei chitarristi a far musica da camera, il genere di pratica che più di ogni altro necessita di una lettura pronta e precisa.

     

    dralig

  5.  

    Accanto a una ineccepibile interpretazione delle Scritture (quale tra i 'manuali' ha maggiore autorità?...), il maestro manca, secondo me, un punto importante. Cioè che quello Spirito di cui scrive, e che discende come un dono travolgente è lo Spirito Santo, il quale costituisce per gli apostoli, e tutti quelli che vengono invasi, 'penetrati' dalla sua potenza (come i Santi, come la Vergine), una particolareinvestitura. Il principio-Spirito, come essenza, che i mistici greci chiamavano Logos, è la 'scintilla di Dio' che è donata ad ogni uomo dalla creazione (“In principio era il Logos”, Vangelo di Giovanni), e che pertanto appartiene a tutti i suoi figli. Ma questo principio si perse gradualmente ad opera delle 'forze delle tenebre', che pure sono nell'uomo come controaltare (“Le tenebre non l'hanno riconosciuto”). Nel segno di un riconoscimento di quel principio, vivo pertanto nell'umanità intera – ma solo nei discepoli, o pochi prescelti, in quel modo 'brutale' – sta il senso della discesa del Redentore: il Logos si fa carne.

     

    Potrà sembrare - ed effettivamente è - aliena alle tematiche di un forum di chitarra una discussione di questo argomento, ma l'impegno e la serietà dell'interlocutore esigono una risposta altrettanto seria. L'identificazione tra logos e spirito non è esatta, o perlomeno non lo è nell'ambito del sapere che ci è stato trasmesso dal Libro. Per non impancarmi a teologo - purtroppo non lo sono - cito, tra le molte fonti disponibili al riguardo, una delle più recenti, accreditate e laicamente stimabili (l'autore non è un teologo, ma un biblista). Scrive Sergio Quinzio ("Un commento alla Bibbia", Adelphi, 1991, pag. 546): "Non abbiamo un'espressione capace di rendere i contenuti di un termine ebraico come "davàr" - "parola", inseparabile dal suo compimento -; e non l'aveva neppure il quarto evangelista, che scrivendo in greco era condannato a scrivere "logos" (o "Logos"), termine troppo legato alle filosofie pagane, come noi siamo condannati a tradurlo con un teologico "Verbo", o con una "parola" (o "Parola") consumata da troppi usi insignificanti. È penoso aprire il Vangelo di Giovanni e trovarsi subito di fronte a questo davàr-omer-Logos-Verbum-Parola-parola, a proposito del quale nessuno potrebbe sperare di leggere neppure la millesima parte di quello che è stato scritto. Che cosa si esprime, o piuttosto che cosa si nasconde ormai da troppi secoli, dietro questa parola "Parola"? [...] Ma il termine greco disponibile per dire questo è vicino piuttosto a significare il contrario".

     

    Lo Spirito che irrompe nell'uomo non è quindi connaturato all'uomo, ma è qualcosa che lo raggiunge inspiegabilmente in un certo punto della sua vita, e la sconvolge. Gli Apostoli, fino alla Pentecoste, sono dei poveri grulli sperduti nella paura e nella viltà: se un briciolo di spirito fosse stato in loro, la morte del loro maestro non li avrebbe abbattuti, e certo non avrebbe permesso che Pietro, dopo aver visto miracoli e ascoltato la Parola, rinnegasse colui che gli aveva affidato le chiavi della sua chiesa. Infatti, dopo la resurrezione, Cristo non si manifesta agli Apostoli, ma a due loro conoscenti (Emmaus), perché ha ormai concluso la sua parabola terrena, e da allora in poi Dio sarà presente nel mondo in altra forma: quella che si manifesta nella fiamma pentecostale: lo Spirito trasforma quei poveri diavoli in poliglotti, taumaturgi e profeti.

     

    Ciò detto, avverto il pericolo - che le mie parole non hanno scongiurato - di lasciar intravvedere una mia personale convinzione di essere toccato dallo Spirito, e di parlare come chi senta che le parole gli vengono date. Ovviamente, non è così: ho soltanto inteso, con il mio intervento, offrire un contributo alla corretta lettura della parola "Spirito" spiegandone un'accezione che mi è familiare. Chi ha composto un omaggio a San Juan de la Cruz ("Noche oscura") e un concerto intitolato "Leçons de Ténèbres", sa di brancolare nel buio e di essere ben lontano dalla Luce. Il che non gli impedisce di leggere le storie di coloro che, invece, dallo Spirito furono investiti.

     

    Forse, in fondo, prevale una mia convinzione che il comporre musica fondata su altra musica - operazione che mi è familiare, e dalla cui pericolosa fascinazione debbo continuamente guardarmi per fare senza eccedere – sia anch'essa, non diversamente e non da meno del suonare musica altrui – un'operazione ermeneutica: per cui Britten sarebbe - e sinceramente lo credo - un interprete di Dowland proprio nella misura in cui è compositore in proprio. Il secolo ventesimo è stato il secolo dell'interpretazione - e delle sue derive...

     

    Senza pubblicare manifesti, mi sembra tuttavia importante l'osservazione del Domenicano sul primato della forma: la condivido, e nelle mie "interpretazioni" di Schubert, Sor, Giuliani, Tarrega, Ponce, etc., ho sempre lavorato sugli interni, mai sull'architettura.

     

    dralig

  6. Uno dei casi più singolari di diteggiatura segoviana non usata dal Maestro è quello relativo allo studio op. 29 n. 13, il n. 19 della sua celebre raccolta, in cui, nelle battute finali, ha interpretato il segno di legatura fra il re e il fa (poi tra il fa e il re) sulla quarta corda, come legato tecnico, con tanto di diteggiatura inequivocabile.

     

    A mia memoria non ricordo alcun chitarrista, ma anche alcun revisore (tra coloro che hanno anche apposto la propria diteggiatura), che non abbia ricalcato la versione segoviana.

     

    Peccato che proprio Segovia nella sua registrazione (Madrid Agosto 1962, oggi su CD MCAD 42073 “The Segovia Collection” vol 7,) abbia smentito se stesso, ed abbia preferito, coerentemente - secondo me giustamente - con il resto della tecnica usata per tutto lo studio, eseguire il passo in 3a posizione, continuando perciò ad usare accordi arpeggiati sino alla fine del brano, dando testimonianza di saper interpretare i segni da musicista e non solo da chitarrista.

     

    Sicuramente il Sor degli Studi non concepiva un arpeggio se non come una serie di proiezioni orizzontali di successioni di accordi. Ogni volta che si tocca una nota che fa parte di un arpeggio soriano, si illumina una voce appartenente a un tessuto armonico idealmente compatto. In altre parole, l'armonia "realizzata" dello Studio n. 1 e quella "evocata" degli Studi in arpeggi sono sostanzialmente la stessa cosa presentata con due aspetti diffetenti. Nello Studio al quale ti riferisci il valore "polifonico" dell'arpeggio è evidente, e quindi bisogna arrampicarsi sugli specchi per evitare di variare il numero di corde-voci chiamate in azione dagli arpeggi. Orribile, poi, il fraintendimento di chi estrae, da uno studio in arpeggi di Sor, una presunta "melodia" (come se le altre voci non stessero implicando, nelle loro linee, dei profili cantabili). Ho dovuto ascoltare centinaia di volte il celeberrimo Studio in Si minore suonato come se fosse "La prière d'une vierge": una voce superiore - scambiata per una melodia - suonata a sbalzo, e uno stinto, disuguale arpeggio sottostante, in cui annegano le altre voci...

     

    dralig

  7.  

     

    C'è un problema a monte.

    Scrivere musica per chitarra su un pentagramma, o almeno certa musica, è assurdo.

    Bisognerebbe utilizzare il doppio, come usa per il pianoforte, perchè spesso, in una scrittura a tre voci diventa arduo sistemare note e pause in maniera chiara, e se a questo aggiungiamo i numerini delle dita e quelli delle corde, le posizioni e i segni dinamici, ci si ritrova a dover gestire in spazi angusti una quantità di simboli al cui confronto i gironi danteschi paiono deserti. In compenso gli spartiti per chitarra sono privi di legature di frase.

     

     

    Questione vecchissima e mai risolta. Ci provò Fernando Sor, con una risentita prefazione alla prima edizione della sua Fantasia op. 7, ben scritta su un'accollatura a due pentagrammi - salvo doverla ristampare poco tempo dopo aver buttato nella spazzatura le copie invendute della sua dotta, prima realizzazione.

     

    Da allora in poi, si scrive su un'accollatura a due righi (entrambi in chiave di Sol con trasposizione delle note reali all'ottava superiore) quello che ragionevolmente non si può scrivere su un solo rigo. E' un ripiego, ma il tentativo di scrivere "organicamente" è fallito, punto e basta.

     

     

    A parer mio la diteggiatura non dovrebbe essere scritta, ci si potrebbe limitare ad indicare le corde e la posizione in certi passaggi, specialmente se si fa uso di campanelas, dove la scrittura prevede una scelta strumentale univoca da parte del compositore. Viceversa, dover indicare 1 2 3 4 lungo tutta l'opera mi sembra un'operazione che l'interprete dovrebbe essere in grado, senza fatica, di risolvere in piena autonomia.

     

    L'idea del legato che suggerisci è musicalmente interessante, ti sei chiesto quali dubbi solleverebbe nella mente dell'esecutore medio?

     

    Esistono due tipi di diteggiatura: quella strutturale e quella di aiuto alla decifrazione. Quella strutturale non si può omettere - la sua assenza darebbe luogo a una serie interminabile di equivoci e di discussioni. Quella di aiuto alla decifrazione è utile nei metodi e nei brani destinati agli allievi dei primi anni. Nei pezzi destinati a esecutori capaci, non solo è superflua, ma dà fastidio, perché, in un reticolato altamente probabilistico come è quello della chitarra, ogni esecutore ama cercare le proprie, personali diteggiature.

     

    Ciò nonostante, nell'ambito della medesima collezione di musiche per chitarra sola (Bèrben-Gilardino) le pochissime composizioni pubblicate senza diteggiatura registrano vendite pari a non più del dieci per cento rispetto alle composizioni diteggiate.

     

    Conclusioni: le diteggiature servono ai chitarristi per poterle sostituire con le proprie, facendo sapere - ieri solo nelle aule dei conservatori, oggi anche nei gruppi di discussione - quanto le proprie siano migliori. Eccezione: per alcuni "segoviani", le diteggiature di Segovia sono sempre geniali e insostituibili, anche quando, dall'ascolto dei dischi del maestro, risulta evidente che il primo a non adoperarle era lui.

     

    dralig

  8. m-a acciaccatura; i,m,i,m quartina ; p-p bassi.

     

    E' questa la diteggiatura che immaginavo componendo il brano. Evito tuttavia di scrivere diteggiature della mano destra perché - componendo a mente, senza strumento - identifico all'istante le note e le loro diteggiature di tastiera (mano sinistra), ma non sempre - anzi piuttosto di rado - quelle della mano destra (a meno che non siano ovvie). In altre parole, nel processo di "introiezione" (grazie dottor Freud) della chitarra - quello che ha reso superfluo l'uso dello strumento per comporre e per leggere le musiche altrui - ho dimenticato di "tirar dentro" la mano destra, e "vedo e sento" solo le note proiettate sulla tastiera. Le mie diteggiature non sono le migliori - almeno da quanto ho visto, ogni concertista le modifica abbondantemente - e servono soltanto a rendere esplicito il processo che ha condotto a immaginare le note e il loro suono in un determinato modo. In quasi tutti i casi, dunque, sono diteggiature "strutturali", che manifestano unitariamente note e "posizioni". Nel modificarle, gli interpreti dovrebbero sempre tener conto di questo valore strutturale, migliorandone le applicazioni, ma senza trasformare la struttura: ad esempio, io non uso mai le scale - che ritengo (chitarristicamente) brutte - e, nei rarissimi casi di passi per gradi congiunti, adopero sempre una diteggiatura a campanelas. Immagino che se ne possano inventare di migliori, ma sempre nel genere campanelas.

     

    dralig

  9.  

     

    Le cose della vita mi hanno portato ad essere ateo, materialista e molto pragmatico. Inoltre Hegel mi è sempre stato sugli zebedei. Per cui quando mi si parla di Spirito (addirittura con la maiuscola!) non capisco mai di cosa si stia parlando di preciso, e, come è stato fatto inevitabilmente notare, sento nell'aere odor di supercazzola.

     

     

    Non credo che Lei abbia bisogno di istruzione sul significato del termine "spirito", ma concordo con Lei sulla vaghezza concettuale che ne sostiene (a fatica) l'impiego nel bel parlare italiota.

     

    Senza risalire fino alla terza persona della Santissima Trinità, e limitandoci alle sue manifestazioni terrene, lo spirito si rivela - nelle Scritture - in forma pneumatica (ruah in ebraico, ossia vento, soffio) o in forma ignea, e non è congenito alle persone: scende su di loro, le trasforma, le rende capaci di cose alle quali non erano state istruite: il parlare in lingue, il guarire le malattie, il profetare. Nella visione della Chiesa d'Oriente, la grande festa non è la Pasqua - cioè la Resurrezione - ma la Pentecoste, cioè la discesa dello Spirito sugli Apostoli, di per sé vili e tremebondi. Ne riescono diversi da prima: avevano corpo e anima, cui ora si aggiunge lo Spirito, che è dunque un potere ricevuto gratuitamente, non cercato, non coltivato, non meritato.

     

    Johann Sebastian Bach aveva certo familiarità con questa concezione. Lo Spirito dà l'energia che altrimenti l'artefice, con il suo solo essere anima e corpo, non avrebbe. Se considerata secondo tale visione, l'opera d'arte originata dallo Spirito non si manifesta in forme aperte, lasciando parte della sua energia in forma latente. Lo Spirito non postula interpretazioni; possiede, travolge, non lascia margini all'ermeneutica. Dallo Spirito non può essere estratto un altro Spirito. Altrimenti, il "vento paraclito", la "ruah", sarebbero andati a vuoto. Se lo "spirito di una Sonata" non è pienamente, totalmente, esaustivamente manifesto nella Sonata stessa, allora non è uno spirito. Il repertorio di ogni strumento trabocca di composizioni intitolate "Fantasia" alla stragrande maggioranza delle quali manca precisamente fantasia.

     

    dralig

  10. Ritengo che per apprezzare con consapevolezza i 60 studi di A. Gilardino, oltre che ad ascoltarli, bisogna cimentarsi nel suonarli. E' in quella circostanza che ti rendi conto della bellezza di quella musica, sicuramente atonale ma sublime. Al M° Gilardino volevo chiedere perchè li ha chiamati Studi e non Composizioni? O perchè non ha usato un altro termine che gli desse il giusto valore?

     

    Intervengo amichevolmente, Sismova, in quanto dedicatario di uno tra i primi studi.

    Vorrei che A.G.confermasse la collocazione atonale di quella musica; o si è trattato di usare una parola di cui non conosce appieno il significato?

    Personalmente (e credo anche Angelo) apprezzo molto gli studi di Scriabin, ma quanto a suonarli...

     

    No, gli Studi non sono atonali, sono fondamentalmente modali - parecchi sono scritti con solo sette note - anche se, in alcuni casi, l'intelaiaitura modale è frantumata cromaticamente (per esempio nello Studio n. 1). Per atonale, si intende la musica che evita deliberatamente di tracciare, sia nei profili melodici che nelle voci del contrappunto, tutto ciò che è proprio della tonalità, per esempio le cadenze e le attrazioni gravitazionali tra accordi, e che tuttavia non fa uso della serie dodecafonica. Io adopero a volte la scala diatonica e a volte la scala cromatica, ma senza una decisa opzione atonale: oltre che aliena al mio modo di essere, la scelta atonale opporrebbe molti limiti e condizionamenti a una scrittura chitarristica libera e innovativa, e finirebbe con lo strangolarmi. Evito anche la tonalità tradizionale: in tutto il ciclo degli Studi ho scritto solo un pezzo tonale, con tanto di armatura in chiave, il Tema con Variazioni in omaggio a Fernando Sor. Nel secondo Novecento, grazie al cielo, svaniti i vari dogmi vetero-tonali o post-weberniani, con relativi apparati, ogni compositore che si sentiva libero in senso ideologico e tecnico-musicale, ha potuto riorganizzare lo spazio sonoro senza vincolarsi a obblighi: può essere tonale, atonale, modale, polimodale (io ho adoperato la bimodalità in gran parte della mia Sonata n. 1), seriale, etc., e gli conviene mettersi in grado di adoperare tutti questi stili senza giurare fedeltà eterna a nessuno. Gli serve tutto, e lui non è servo di niente.

     

    Nel Novecento, alcuni autori, pur seguitando ad adoperare la tonalità con le sue regole e i suoi poteri, hanno preferito evitare di scrivere le alterazioni in chiave: un esempio illustre è la "Sonata para guitarra" di Antonio José (Martinez Palacios), che è leggibilissima come composizione tonale; per contro, Frank Martin ha scritto le alterazioni in chiave nelle sue "Quatre Pièces Brèves", nelle quali la tonalità è spesso adombrata; ha però ritirato le alterazioni in chiave nella "Plainte" (terza delle "Quatre Pièces"), che è bitonale e che mescola - almeno nella sezione iniziale - le tonalità di si bemolle minore e di si minore.

     

    La chitarra è diatonica nell'accordatura e cromatica nella disposizione delle note lungo le corde. Mi è parso sensato - oltre che corrispondente al mio modo di sentire - comporre musica strutturalmente diatonica con svolgimento a volte diatonico ("accordale") e a volte cromatico ("tastieristico"), combinando i due generi. E' un uovo di Colombo? Siccome - quando ho cominciato a comporre - l'America era già stata scoperta, ho pensato che non era necessario varcare oceani. Bastava guardare lo strumento.

     

    dralig

  11. Ritengo che per apprezzare con consapevolezza i 60 studi di A. Gilardino, oltre che ad ascoltarli, bisogna cimentarsi nel suonarli. E' in quella circostanza che ti rendi conto della bellezza di quella musica, sicuramente atonale ma sublime. Al M° Gilardino volevo chiedere perchè li ha chiamati Studi e non Composizioni? O perchè non ha usato un altro termine che gli desse il giusto valore?

     

    Molti degli Studi sono modali, non atonali. Non mi è mai sembrato giusto indicare alterazioni in chiave per la musica modale, e dunque le ho scritte nel corso delle singole misure; però, in un caso almeno, quello del brano intitolato "Ikonostas", l'editore (Matanya Ophee) ha voluto evitare la ripetizione delle alterazioni nel corpo del testo, e ha insistito per farmi scrivere un'armatura di chiave. Ho accettato.

     

    Ho adoperato la parola "studi" dandole un significato più ampio di quello normalmente inteso nel genere della musica scritta con finalità didattiche. Studi, in questo caso, non vuol dire soltanto che il chitarrista che li esegue "studia" delle tecniche e le loro applicazioni, ma anche altro: il compositore "studia" lo strumento mentre compone; studia nel senso che esplora al di là del cognito e del già noto, il lessico dello strumento con procedimenti - quelli compositivi - diversi da quelli adoperati dal virtuoso che suona materialmente la chitarra; il compositore "studia" un particolare equilibrio tra le formule idiomatiche e le forme musicali specifiche da forgiare per trasformare dei semplici mattoni (le cellule originarie) in parti di una costruzione; e poi per altri motivi che evito di descrivere qui, perché hanno carattere autobiografico, e non mi sembra il caso di raccontare me stesso anche in prosa. Non qui, almeno.

     

    dralig

  12. Beh, "se posso",aggiungerei,A.Gilardino , è un dono di Dio

     

    Secondo me "non può"; questa frase offende Dio e Gilardino.

    Non era mia intenzione di offendere nessuno,se lo fatto, chiedo scusa. Infinitamente scusa a Dio e Gilardino.Poi loro sapranno come castigarmi.Accetto tutto.

    Non so se è possibile, ma se si può cancellare(lo chiedo al forum).Altrimenti l'inferno per me sarà l'unica soluzione. Chiedo perdono.

     

    Dio non so - non mi ha ancora domandato consiglio su cosa fare - ma io si ti castigo: borsa del ghiaccio in testa e astensione dal computer almeno per 24 ore. Altrimenti, non rimarrà che candidarti al prossimo festival di Sanremo.

     

    dralig

  13. Una cosa che non mi torna, Angelo, è la trascrizione della "copla". Sembra qui come se Segovia non avesse volutamente seguire l'originale pianistoico o comunque aggiustasse le ottave in modo da ristringerne l'ampiezza. Mi piacerebbe, per pura curiosità, conoscere la soluzione di Yates, anche se ormai affezionato alla mia (inedita, naturalmente), simile a quella per violino che feci pubblicare a R. Bonucci (Bèrben).

    Riscaldava il pubblico medio quando (magari in bis) veniva eseguita prima con uno strumento e poi con l'altro.

     

    Un file pdf con la trascrizione di Yates è a tua disposizione. Dimmi come te lo devo inviare.

    Vedrai com'è ingegnosa.

     

    dralig

  14. Veramente Tarrega ha trascritto Asturias?

     

    No. La prima trascrizione pubblicata di "Asturias" (chiamiamola così) fu di Severino Garcia Fortea, un chitarrista

    dilettante (di professione medico) allievo di Tarrega. Segovia elaborò la propria trascrizione a partire da quella di

    Garcia Fortea.

     

    dralig

     

    "Several items of the Albéniz's piano repertory were arranged for guitar during the composer's lifetime. The first

    guitarist to do so was probably Francisco Tárrega (1852-1909), a fellow Catalan and an almost exact contemporary

    of Albéniz. Tárrega's most illustrious student Miguel Llobet also made guitar arrangements of Albéniz's piano music"

     

    Dal sito di Yates.

     

    Non "probably", but "certainly": se altri chitarristi avessero trascritto brani di Albéniz prima di Tarrega, oggi certamente lo sapremmo. E non lo ignorerebbe Yates, che ha rastrellato tutto ciò che esisteva nel campo Albéniz-chitarra, prima di dare alle stampe il suo volume di trascrizioni.

     

    Per l'esattezza, Tarrega trascrisse: Pavana (1893-1896); Granada (1900); Cadiz (Serenata espanola) (1905); Sevilla (senza datazione certa); Torre bermeja (idem). Una versione per due chitarre di "Granada" è del 1894; senza data, una versione per due chitarre di "Oriental". In sostanza, dunque, Tarrega trascrisse per chitarra sola non più di cinque pezzi di Albéniz.

     

    Alle sue trascrizioni, si aggiunsero quelle di Llobet (magistrali) e quelle di Garcia Fortea (non così indecenti come le descrisse Segovia, che però non mancò di farne buon uso).

     

    Le decine di trascrizioni pubblicate successivamente non sono altro che rimasticature delle trascrizioni della linea Tarrega-Llobet-Segovia. Il quale si arrabbiava molto nel vedere edizioni di brani di Albéniz copiate - in sostanza - dai suoi dischi. Ricordo una sua sfuriata quando l'editrice Union Musical Espanola pubblicò una trascrizione di "Asturias" fatta da un certo Maravilla...

     

    Yates ha dato una sterzata, offrendo un Albéniz senza debiti con la santissima trinità spagnola. Ha lavorato con grande acume e anche con fantasia. Il suo Albéniz è decisamente il migliore "sulla piazza". Ma gli insaziabili chitarristi si stanno spostando addirittura sui brani di "Iberia": Javier Riba, Carles Trepat...

     

    dralig

  15. Ringrazio per la risposta.

     

    Per caso qualcuno fra gli utenti del forum possiede la trascrizione di Tarrega? Sono curioso di vederla...

     

    L'unica trascrizione di "Asturias" che, divergendo da quella di Segovia, non la fa rimpiangere, anzi la supera, è quella di Stanley Yates. Il chitarrista anglo-americano ha trascritto tutti i lavori di Albéniz eseguibili con la chitarra, eccettuati alcun brani da "Iberia" recentemente trascritti da Javier Riba e da Carles Trepat.

     

    dralig

  16. Veramente Tarrega ha trascritto Asturias?

     

    No. La prima trascrizione pubblicata di "Asturias" (chiamiamola così) fu di Severino Garcia Fortea, un chitarrista dilettante (di professione medico) allievo di Tarrega. Segovia elaborò la propria trascrizione a partire da quella di Garcia Fortea.

     

    dralig

  17. Mi fa piacere leggere le parole del maestro Angelo Gilardino (che mi bocciò impietosamente tanti anni a al Concorso di Mondovì... e fece bene....) quando dichiara che Giochi Proibiti è tutt'altro da buttare. Lui che ha scritto brani memorabili per l'intera della storia della chitarra ( e che stupidamente i chitarristi di"grido" Williams, Barrueco, Pierri, Kappel, Bream non suonano forse per....) dimostra quindi che l'imparzialità è ancora un valore. Oggi, a proposito di musica contemporanea, ho ritrovato gli Studi Citarodici" di Oronzo Persano che avevo ricevuto in premio dal compositore al Concorso di Castelfidardo (mi sembra nel 1979). Siccome mi sembra di riscontrare delle similitudini con gli studi del Maestro Gilardino, potrei approfittare per chiedergli se egli ha conosciuto il compositore pugliese, quindi collaborando pur idealmente ad un concetto stilistico oppure mi sto sbagliando per il paragone? grazie

     

    No, non conosco il compositore che Lei cita, né la sua musica. Grazie della segnalazione, provvederò.

     

    dralig

  18.  

     

    Penso che la buona musica sia difficile a definrsi e già il definirla costituirebbe una sua limitazione. La parlola "sgrammaticata", poi, generalizza un'impoostazione a monte che potrebbe essere una causa. Così ,per un cultore della tonalità sarà sgrammaticato un pezzo condotto in atonalità, come un cultore assoluto della forma rileverà della gravi pecche in un pezzo informale e così via. Credo perciò che occorra conosceere la grammatica della musica (ma anche la sua "sintassi") soprattutto per la consapevolezza di quel che si fa.

     

     

    Da almeno un secolo il linguaggio musicale - mi riferisco ovviamente soltanto alla musica "colta" occidentale - si è frantumato in tante schegge, al seguito della frammentazione delle culture. La grammatica è stata sostituita dalle grammatiche. Nessun compositore o nessun studioso ha tuttavia mai pensato di valutare la musica scritta all'interno di un certo sistema con la grammatica di un altro. Un docente del tuo conservatorio, Iachino, pubblicò negli anni Cinquanta un manuale per la composizione dodecafonica. Conteneva le regole per maneggiare con cognizione di causa le tecniche del "modo di comporre con dodici suoni". Lo studiai avidamente, perché era la prima opera teorica - scritta in italiano - il cui studio avrebbe permesso di leggere responsabilmente le partiture di Dallapiccola (non poca cosa, per un ragazzo di provincia che stava imparando il mestiere). Notai subito che non appariva, nel trattato, alcun riferimento al sistema tonale. Era considerato storicizzato e acquisito, al pari della sua grammatica. Quando, alcuni anni più tardi, furono pubblicate le "Sechs Musiken" di Hans Erich Apostel, composizione dodecafonica per chitarra scritta da un allievo di Schoenberg, potei analizzarle grazie alla lettura del manuale di Iachino: altrimenti, non ne avrei capito niente. Era quindi ovvio che quell'opera, e più tardi la "Suite fur Gitarre allein" d Ernst Krenek, non potevano - e non dovevano - essere lette alla luce del sistema tonale: sgrammaticato sarebbe stato lo sprovveduto lettore che avesse tentato questa "lettura", non i lavori dei maestri tedeschi.

     

    Ogni compositore dotato di talento creativo forgia un proprio stile. Lo stile è la selezione di certe possibilità - di certi gesti, diciamo - tra i molti possibili. Ne consegue una grammatica: è tale in quanto distingue, nel novero del possibile, ciò che si deve fare e ciò che si deve evitare. Comporre significa mettere insieme, costruire: una nota non è niente, due note sono un rapporto, tre note sono un organismo, una cellula: da lì in poi, o c'è uno stile - e relativa grammatica - o potrà succedere qualunque cosa. Questo intendo per sgrammaticato: l'assenza, in un brano di musica, di una qualsiasi grammatica.

     

     

     

    Mai comunque come in questi tempi il "compositore" è stato penalizzato: Siae (o altro) in agguato, imprenditoria settaria o politicizzata (derivante da sovvenzionamenti statali parcellizzati) , grancasse televisive per chi è "nel giro"....Il motto è generalmente quello degli anni Settanta: "bambole, non c'è una lira".

    E adesso, pover'uomo?

     

    E adesso si campa con quel che c'è. Nel 1947, Castelnuovo-Tedesco rifiutò di tornare in Italia, dove sarebbe stato nominato all'istante direttore di qualsiasi conservatorio a sua scelta, e di assumere il ruolo di patrono della musica conservatrice. Definì la musica italiana "un osso spolpato". Questo non impedì a Ghedini, a Dallapiccola e a Petrassi di scrivere i loro capolavori. Credo che quel che dobbiamo rifiutare sia precisamente il ruolo delle bambole. Se non c'è una lira, ci sostenteremo con i centesimi. Ma dobbiamo scrivere e suonare musica decente: non ci si può tirare indietro.

     

    dralig

  19. poi non interverrò più ma allora ho capito che se un compositore scrive una cosidetta musica "sgrammaticata" va cazziato alla grande, mentre se un esecutore la esegue lo fa come divulgazione. Il contrario no? :D

     

    Io non ho "cazziato" nessuno, semmai qualcosa. Sono due cose diverse.

     

    Faccio il musicista, non m'intendo di "dilvulgazione", per questo non sono in grado di valutare gli aspetti non propriamente musicali dell'operazione intrapresa da Giulio Tampalini. Gli ho augurato e gli auguro di conseguire i risultati che si è prefisso perché tendenzialmente mi piace che gli affari del mio prossimo vadano bene. Anche i tuoi, naturalmente.

     

    dralig

  20. Non voglio sostenere che questi generi accolgano sempre grande arte, vorrei solo rammentare al maestro

    Gilardino, nella mia immensa ignoranza, alcuni fenomeni di "musica sgrammaticata", il più famoso di

    tutti: "The Beatles". Eppure non avevano studiato composizione.

     

     

    Nessuno - tolto Lei - ha definito "sgrammaticata" la musica dei Beatles. Si limitavano a comporre delle melodie di canzoni e ad abbozzare uno schema armonico. Poi, tutto passava nelle mani di fior di arrangiatori, i cui nomi non sono noti, ma che certamente conoscevano molto bene l'armonia e l'orchestrazione. Non posso dire di più, ma l'orchestrazione di "Eleanor Rigby" fu curata da una mano tutt'altro che sgrammaticata...

     

    dralig

  21. per me Giochi Proibiti è un brano bellissimo: il lo suono volentieri e alla gente piace. Se poi qualcuno mi dice che non capisco niente gli rispondo che non capisce niente lui.

     

    A costo di incorrere nelle ire dei superintenditori, dirò che io la penso come Regondi. Posso però assicurare che piaceva ascoltarlo a musicisti come Vlad, Gervasio, Porrino, Bucchi , Petrassi e chi più ne ha più ne metta.

    Del resto, come definirlo "sgrammaticato"?

     

    Scusa Carlo, ma a chi mai è venuto in mente di definire lo Studio di Rubira - poi divenuto noto come "Romance anonimo" e poi ancora come "Jeux Interdits", "Forbidden games", "Giochi proibiti", "sgrammaticato"? Io partecipo da anni alla discussione in corso sul forum spagnolo riguardante l'origine del brano ma, pur avendo letto al riguardo migliaia di messaggi, non mi è mai capitato di sentir dire che è un pezzo scritto male. Tanto che Paco Herrera ha potuto persino ventilare l'ipotesi - documentalmente non sostenibile - che sia opera del gran maestro della grammatica musicale applicata alla chitarra, don Fernando Sor.

     

    dralig

  22.  

     

     

    Queste domande sottendono un punto fondamentale che è quello che maggiormente mi sta a cuore.

    CHI stabilisce il valore musicale o l'essenza sgrammaticata di una composizione?

    CHI stabilisce i filtri valutativi?

    CHI stabilisce che cosa deve o non deve suonare e registrare il suddetto "interprete di fama internazionale"?

    CHI??????

     

    I critici?

    I compositori che pensano di essere migliori di qualcunaltro e quindi si sentono in dovere di far rimarcare la loro superiorità?

    Quelli che hanno capito cos'è veramente l'ARTE?

     

     

    Chi stabilisce tutto ciò? La risposta è semplice: chiunque, compreso Lei.

     

    Il giudizio di valore sull'opera d'arte si forma attraverso un processo al quale concorrono, a diversi livelli, tutti coloro che hanno interesse a comprendere. Nessuno può stabilire individualmente e definitivamente il valore di un'opera, ma chiunque abbia onesta intenzione di manifestare il suo giudizio o la sua opinione è intitolato a farlo: la somma dei giudizi espressi nel tempo porta a una stabilizzazione del giudizio - quella che ci fa percepire in modo ormai indiscutibile il valore dell'opera dei maestri (risparmio elenchi) e che non riconosce, invece, il valore di autori ormai dimenticati.

     

    I filtri valutativi sono quelli messi a disposizione dei lettori (nel caso della musica: lettori-ascoltatori), purché li sappiano adoperare. Oggi, sono pressoché unanimemente riconosciute, dagli studiosi, l'analisi storico-estetica e l'analisi musicale, considerate strumenti imprescindibili per comprendere i testi, riconoscere nei medesimi i risultati del genio, dell'ingegno, del talento, della tecnica, etc.

     

    Ovviamente, qualunque ascoltatore ha il pieno diritto di manifestare la propria opinione riguardo al valore di un'opera: tuttavia, il sacrosanto mi piace-non mi piace non può incidere, nella formazione di un giudizio equilibrato, nella stessa misura in incide, nei riguardi delle medesima opera, lo studio analitico svolto da uno specialista. Se così non fosse, la musica di Webern sarebbe oggi considerata meno valida di "Yesterday". E per fortuna le cose non stanno così.

     

    Chi stabilisce che cosa debba suonare un interprete? Non può essere che l'interprete stesso. Il quale, dal momento in cui rende pubbliche le sue interpretazioni registrate, sa benissimo di essere esposto alla critica e di dover rispondere delle sue scelte. Nella fattispecie, indirettamente interrogato dallo scrivente sulla coerenza delle sue scelte di repertorio, l'eccellente chitarrista Giulio Tampalini ha risposto, con l'abituale sua gentilezza: la sua risposta è utilissima a tutti coloro che possono aver condiviso le motivazioni della mia domanda, e - perché no? - anche a chi poteva averla considerata non necessaria. Colui che - di sua iniziativa - tentasse di dissuadere un interprete dalle sue scelte di repertorio rivelerebbe in modo lampante di essere uno stolto.

     

     

    I critici - quelli preparati e dotati di buona penna - sono certamente parte importante nella formazione del giudizio riguardante l'opera. Il diritto di scrivere quello che pensano è conferito loro dai committenti (giornali, riviste e altri mezzi di informazione) che li invitano a scrivere e li retribiscono. Come i compositori e gli interpreti, anche i critici possono essere eccellenti, mediocri, scadenti: in questo mondo, il grano e la gramigna crescono nello stesso campo, e pare che questa mescolanza non dispiaccia all'onnipotente. Chi non è d'accordo, farà bene a rassegnarsi: al momento, quella dei critici non sembra una specie in via d'estinzione.

     

    Risulta problematico appurare come Lei faccia a sapere che esistono "compositori che pensano di essere migliori di qualcunaltro e quindi si sentono in dovere di far rimarcare la loro superiorità?": Lei legge nel loro pensiero? Si sono confessati con Lei? Se tali compositori sono realmente validi, di certo confidano nel giudizio della storia. Se sgomitano per farsi notare, sono delle mezze tacche timorose del rischio di passare inosservate. Se pensano di poter migliorare il giudizio sulla loro opera tentando di sminuire quella altrui, sono degli imbecilli, ed è da escludere che la loro opera possa avere il benché minimo valore.

     

    Come ogni altra persona attiva in campo musicale, anche i compositori hanno le loro opinioni e godono del diritto di esprimerle. È comunque da escludere che, quando Stravinsky diceva: "Chissà perché ogni volta che ascolto un brano che non mi piace alla fine risulta essere di Villa-Lobos", intendesse innalzare la sua reputazione a spese di un collega meno celebrato di lui. O che - ancora peggio - intendesse ferirlo sul piano personale. Segovia affermò pubblicamente che la musica di Boulez era totalmente inutile. Questo non creò alcun sentimento di inimicizia tra i due gentiluomini.

     

     

    Perchè sentendo parlare di filtri di valore e di giudizio su cosa si dovrebbe o meno fare per non essere posti alla gogna del giudizio (di chi poi? mah...) mi viene da pensare a una cosa molto brutta che si chiama CENSURA.

    O, in una certa forma, razzismo.

     

     

    Prima di rispondere animosamente a dei messaggi, bisognerebbe leggerli e, se possibile, capire il loro significato.

    Riassumiamo i fatti: io ho scritto - su commissione di una rivista musicale italiana, il mensile "Suonare" - un articolo su un CD in cui Giulio Tampalini - in collaborazione con altri interpreti - ha registrato tre dei massimi lavori di Mario Castelnuovo-Tedesco. In una breve digressione, ho manifestato la mia sorpresa per il fatto che un interprete di tale categoria indulga a registrare anche musiche scadenti. Non ho menzionato né autori né opere in particolare, per la semplice ragione che, quando ascoltai la registrazione, mi limitai a poche misure, e solo di alcune tracce: mi bastarono per rendermi conto che si trattava di compositori della domenica. Non mi curai nemmeno di appurare "che cosa fosse di chi": non ritenni che ne valesse la pena. Di sicuro, non si trattava di Paolo Ugoletti - compositore che ha tutta la mia stima - né di Astor Piazzolla.

    Giorgio Signorile ha scritto il primo messaggio di questa discussione assumendo di essere lui l'autore - o uno degli autori - oggetto della mia disapprovazione. Si è detto ferito. Ho cercato di spiegare che non stimare il lavoro di un collega e amico non significa venir meno nel rispetto della sua persona. La mia spiegazione verrà accettata? Me lo auguro. Altrimenti, pazienza.

     

    Da lì, inferire che in questa discussione possano allignare propositi come la censura o il razzismo, mi sembra ridicolo.

     

    Sarebbe opportuno e meno offensivo fargli una telefonata, chiederglielo e saziare la propria sete di verità, se proprio preme così tanto.

    No?

     

     

    No, assolutamente no. Magari nel Suo mondo "sarebbe opportuno", nel mio, invece, un passo del genere sarebbe molto scorretto. Io non mi permetterei mai di sindacare le scelte di repertorio di un concertista, e di chiedergliene conto, con un'iniziativa a livello personale. Solo perché il CD in oggetto è espressione pubblica di un personaggio pubblico qual è Tampalini, io posso sentirmi in diritto di rivolgermi a lui con una domanda: formulata pubblicamente, a viso aperto, e a disposizione di chiunque possa avere interesse alla discussione.

     

     

     

    Piazzolla è musicaccia?

     

    Assolutamente no! E' un compositore la cui musica detesto, ma la cui statura artistica non mi sognerei mai di negare - tanto che, quando volle che io mi occupassi della pubblicazione delle sue "Cinco Piezas", misi doverosamente da parte ogni mia riserva e lavorai come se avessi dovuto preparare l'edizione di un concerto di Tansman. Piazzolla aveva nel suo bagaglio lezioni come quelle di Alberto Ginastera e di Nadia Boulanger, e il suo dittico intitolato "Fuga y misterio" è scritto con arte.

     

    Bene, andatevi a vedere il video di Ughi che suona Oblivion.

    Ughi che suona Piazzolla????????

    Noooooooo, davvero?

    Si.

     

    E lo suona veramente male

     

    Non è questo un giudizio di valore, e molto risoluto? Lei, che ha domandato "chi stabilisce il valore musicale di una composizione" (lo stesso ovviamente vale per un'interpretazione), "chi stabilisce i filtri valutativi", etc., dimostra di essere un "chi" molto convinto, provvisto di "criteri valutativi" molto ben definiti, tali da permetterLe di concludere che il grande violinista suona Piazzolla "veramente male". I criteri valutativi esistono solo quando li applica Lei, il giudice "chi" è legittimato a emettere sentenze solo quando si identifica con la Sua persona? Oppure esistono e funzionano anche quando le conclusioni a cui conducono non risultano conformi al Suo pensiero?

     

    dralig

  23.  

    Se posso esprimere un mio parere, questa discussione riguarda molti aspetti e difficilmente è possibile arrivare ad una soluzione completa del problema senza considerarli attentamente.

     

     

    Nella mia esperienza personale ho sempre frequentato molta gente, tanti musicisti ma anche persone "normali", di ogni livello sociale e culturale e ho sempre sofferto la difficoltà che anche un mondo colto, fatto di laureati e professionisti vive oggi nei confronti della musica classica, in particolare della chitarra. Nel tentativo di offrire un ponte di comunicazione con tante persone come queste, ho suonato e in un caso anche registrato alcune di queste musiche, e i nomi possiamo farli, da Domeniconi, York, Starcevic, Ugoletti, Towner, Bellinati, fino a Colonna, Mirto, Signorile, Fabbri, Morel e Piazzolla. E' musica sgrammaticata? Seguendo una logica tradizionale forse sì e ne sono perfettamente consapevole. D'altronde ritengo anche che una parte della letteratura americana abbia perso in certi casi le regole della migliore grammatica per andare incontro a sensazioni immediate, punti di vista diversi che forse il linguaggio tradizionale difficilmente avrebbe potuto esprimere.

     

    Se il risultato di questa offerta è quello di allargare l'interesse della gente comune verso la chitarra, come a me capita personalmente, grazie a questi approcci più semplificati nel linguaggio che fanno sì che tanta gente inesperta o impreparata, si avvicini con attenzione anche al repertorio che suono abitualmente in concerto (Castelnuovo-Tedesco, Turina, Giuliani, Regondi, Tansman ma anche Berio, Donatoni, Giacometti e così via) allora credo che la scelta sia stata positiva. Altrimenti è meglio lasciare perdere.

     

     

    Grazie Giulio per la tua risposta. La mia domanda manifestava la difficoltà di comprendere, in termini di valore musicale, la coerenza tra scelte di repertorio apparentemente aliene. Hai spiegato che la tua è stata una scelta strategica, e mi sembra di non aver nulla da aggiungere, se non l'augurio che i tuoi auspici si realizzino.

     

    dralig

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