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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. la più grande vittoria che si può concedere all'ignoranza è il silenzio di coloro che sanno.

     

     

    Maestro, sono cambiate molte cose dagli anni 70-80. Lei lottava contro gli epigoni di Segovia. La mia generazione (che è più o meno quella di Attademo) contro una cultura di massa uniformata e soggetta ad un raffinatissimo e diabolico lavaggio del cervello. Probabilmente Lei non ha la reale misura dell'abisso e dell'incomunicabilità che ci circonda (sia chiaro, non gleine faccio una colpa, ma credo sia solo una questione generazionale). Non si ha più il senso della Storia della Musica, della composizione musicale e di un pensiero umanistico che riflette e specula sulle esperienze musicali del mondo. E non parlo di mancanze nella società. Quella ormai è a puttane da un pezzo. Parlo delle scuole di musica, delle università, dell'editoria dei "musicisti"... Lei un'opportunità in un conservatorio l'ha avuta. Così come la fiducia di un editore. Ancora un distinguo. Non parlo di opportunità di parola, parlo di lavoro. Per studiosi come Attademo e moltissimi altri non si tratta di silenzio. Tutti sappiamo qui (e lo so io che poco mi interesso di questioni storiche-chitarristiche) del lavoro di Attademo su Scarlatti. La conoscenza c'è. E la stessa cosa vale per una miriade di altri argomenti che da soli completerebbero una nuova enciclopedia della chitarra per il nuovo millennio. Senza piangersi troppo addosso ma il sistema è clientelare. Vige il nepotismo. Nell'underground vi sono argomenti che rimarranno nascosti, nei cassetti, non sviluppati e sistematizzati perchè il problema non è il silenzio di coloro che sanno ma l'incapacità di una cultura a porre le specifiche domande alle persone giuste. Io l'intervento di Attademo l'ho interpretato così. Detto questo nulla vieta di continuare a produrre nell'indifferenza altrui. Di sicuro non ci si svende al primo mercante. Ma a quanto pare ci sono solo quelli.

     

    Caro Fabio, io invece purtroppo ho una misura abbastanza realistica della situazione nella quale ci troviamo, non soltanto perché ritengo di essere capace di interpretarne i segni, ma anche perché - negli anni Sessanta e Settanta - l'avevo prevista. Io non ero Pasolini, non scrivevo sul Corriere della Sera, ma ero tra i pochi italiani che, leggendo i suoi elzeviri e roano in grado di comprenderne il senso e la chiaroveggenza. La situazione in cui ci si ritrova ora non è nata all'improvviso, segue una linea di continuità con il passato, a partire dagli anni in cui io frequentavo le scuole elementari: gli italiani di allora hanno preparato la strada a quelli di oggi, e chi allora era in grado di capire (fin dai primi anni Sessanta io lo ero) vedeva benissimo dove si sarebbe andati a parare. E' alla luce di questa consapevolezza che io ho sempre parlato e parlo ai miei allievi. E' precisamente oggi che io, a un diplomato di chitarra iscritto alla facoltà di lettere, ho letto il prologo del Decameron, spiegandogliene il significato e il valore, altrimenti a lui inaccessibile (ad onta della sua maturità classica).

     

    Io appartengo a un'altra generazione, è vero, ma la realtà nella quale mi muovevo allora non era altra da quella di oggi: era la stessa realtà a un altro stadio. E taccio, ora, riguardo a quello che vedo nel futuro.

     

    dralig

  2.  

    Credo che faresti bene a pubblicare un volume di trascrizioni, riprendendo alcuni lavori resi celebri da Segovia: la Frescobalda occuperebbe meritatamente il primo posto.

     

    ag

     

     

    Caro Angelo rispondo a questa tua ultima osservazione anche uscendo dall'argomento (sarebbe necessario forse inaugurare un nuovo argomento di discussione intitolato "editoria per chitarra"). Sulle trascrizioni devo dire questo: tu mi esorti a fare un lavoro su Frescobaldi e su altri autori. Io ho l'impressione che tu non abbia bene chiaro quale sia la situazione dell'editoria musicale in Italia - lo dico in modo retorico, provocatoriamente, perché tu sai lo sai bene perché svogi in realtà un grande lavoro editoriale per diverse case editrici in Italia. Il tipo di lavoro che tu mi esorti a fare non interessa nessuno. Ho contatato a mie spese che basta essere fermo nelle proprie idee e non mercanteggiare sulla qualità del proprio lavoro per entrare nella lista di proscrizione: cosicché alcuni progetti editoriali che ho pensato e proposto a una casa italiana abbastanza attiva nel contesto chitarristico con i criteri che tu auspichi, sono stati giudicati fuori dagli obiettivi editoriali attuali. A fronte di questo, qualche anno fa ho visto pubblicare un volume dedicato a Domenico Scarlatti che come sai è un autore che ben conosco, senza alcun riferimento a fonti originali, né con un minimo di apparato critico e con una serie di indicazioni fuorvianti che mi hanno fatto pensare che non sono molti i passi avanti fatti dai tempi di Segovia. Il problema è qui che chiunque faccia una diteggiatura pensa di poter pubblicare un'edizione, e siccome ci troviamo di fronte a editori ignoranti oppure interessati solamente a vendere un prodotto sull'onda della moda, allora di queste pubblicazione il mondo della chitarra è pieno.

    Quello che dico è che non si dovrebbe dare credibilità a questo tipo di operazioni, altrimenti è inutile poi invocare operazioni meglio condotte: inq uesto momento storico non è vero che c'è spazio per tutti. Chi lavora male restringe gli spazi anche a chi lavora bene e fa un'operazione dannosa perché consegna al pubblico un'idea dilettantistica dello strumento. Io la vedo così.

    A presto

    Luigi

     

    Caro Luigi, il fatto che una casa editrice abbia preferito un altro chitarrista a te per pubblicare trascrizioni da Scarlatti mi sembra un motivo molto debole per indurti a rinunciare ad altri progetti editoriali. Chiunque abbia intrapreso e realizzato qualcosa di significativo in campo editoriale (e lo stesso si può dire in altri campi: la composizione, l'attività concertistica e discografica, l'insegnamento, etc.) lo ha fatto lottando e rimuovendo ostacoli, resistenze, diffidenze e invidie. Quando io incominciai la mia attività editoriale - 45 anni fa, mio Dio! - dovetti vedermela con mille problemi e rischiai seriamente di precipitare nel vuoto: essere messi da parte dopo aver avuto una chance è molto più grave che giacere nell'anonimato! Quando io decisi di introdurre nell'editoria chitarristica il principio di pubblicare i testi originali e di abolire il costume delle revisioni incontrollabili, l'establishment segoviano (non il maestro) mandò a dire all'editore per il quale lavoravo che quelle pubblicazioni erano destituite di ogni credibilità, e che sarebbero affondate nel giro di pochi mesi. Ricordo benissimo una lettera inviata all'editore da un distinto chitarrista nordamericano - mancato recentemente - che mi accusava di aver sfigurato "Platero y yo" con la mia decisione di mettere da parte la revisione di Segovia e di pubblicare invece il testo originale. L'editore, che aveva investito in quella pubblicazione - e in altre fondate sugli stessi criteri - cifre rilevanti, non avrebbe certo potuto continuare a finanziare la realizzazione delle mie idee se si fosse dovuto scontrare con un fallimento delle vendite, e io, che avevo appena alzato la testa, sarei stato ghigliottinato e avrei dovuto ricadere nella routine di un'attività provinciale, senza nessuna speranza, perché l'aver mosso (secondo i pretoriani che mi avevano circondato) guerra a Segovia era stato un imperdonabile atto di superbia. E tralascio ogni commento su quello che l'editore riceveva dall'Urbe non segoviana - almeno, gli zeloti del maestro si firmavano! Ed eccomi qui, 45 anni dopo: i cani seguitano ad abbaiare e i lupi a digrignare i denti, ma l'orchestra l'ho diretta, e seguito a dirigerla, io. Se, alla fine degli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, mi fossi ritratto su me stesso nello sdegno e nella sfiducia - e ne avrei avuto ben donde - oggi il repertorio della chitarra sarebbe molto meno ricco, e io di certo non avrei avuto la mia vita - con tutte le sue enormi difficoltà - motivata come invece è stata e continuerà a essere fino al mio ultimo giorno. Se mi fossi guardato intorno regolando le mie decisioni sul comportamento di tizio e di caio, sul loro livello intellettuale e culturale, sulla natura delle scelte che li avevano spinti a fare i chitarristi, e sulla loro lealtà nei miei confronti, non avrei fatto nulla. Invece, capii che, se non valeva la pena di lavorare per la gente, valeva sì la pena di lavorare per l'umanità, quella nella quale credevo, e se non ne vedevo attorno a me dei campioni intemerati, ebbene, toccava a me cercare di incarnarne un modello. Oggi, vedi, non posso cantare vittoria - l'abominio dell'empietà che ci circonda esclude che, tra queste macerie, ci possano essere dei vincitori - ma una cosa sì, posso e devo dirla: la più grande vittoria che si può concedere all'ignoranza è il silenzio di coloro che sanno.

     

    Il tuo vecchio maestro, ag.

  3. Ho visto sul catalogo pocci che Biberian ha scritto molte opere, me ne consigliereste qualcuna da poter leggere? Quelle secondo voi più meritevoli?

     

     

    Questi

     

    e questi

     

    Dove si possono vedere incipit di prima linea.

     

    Ecco un esempio di come può essere utile ed efficace un editore. Gilbert Biberian, che abita in Inghilterra, non sa nulla di questo forum, ma il suo editore puntualmente lo rappresenta.

     

    dralig

  4. [

     

    e allora oggi un editore a cosa serve se non è nemmeno in grado di fare della promozione? se mi dovessi in futuro affidare ad un editore che sono certo 1- mi spellerà la metà dei miei diritti, 2 - non mi paga (e non gli passa nemmeno per l'anticamera del cervello di farlo perchè ormai va di moda così), 3 - non mi darà anticipi (perchè c'è la crisi), 4- mi darà la miseria sulle copie e pretende di avere come unico dovere di stampare 300 copie (e spesso le dispense che circolano in università sono rilegate e confezionate meglio) per campare e fare il catalogo...se questo è lo stato dell'arte editoriale penso che un compositore debba cominciare a prendere in considerazione seriamente altre strade. Altro che compositore ignorante. Voi editori potete scegliere. Lei può liberamente decidere di non pubblicare un compositore ignorante, ma io come autore non potrò mai ovviare ai suoi impegni tra cui rientra quello della promozione. Altrimenti ogni compositore potrebbe benissimo diventare l'editore di se stesso. Si apre una partita iva fa quattro calcoli spende quelle 100 euro che spenderebbe un editore per la stampa e il resto (se non fa promozione che è l'unico ambito in cui serve la professione dell'editore con il suo bel database di contatti accumulato in anni di esperienza) sono tutte beghe burocratiche.

    Un editore ha il dovere di fare della promozione per un suo autore, supportandolo presso canali che il compositore spesso (quasi sempre) non è in grado di raggiungere.

     

    Questo tipo di editore lo hanno - se non proprio creato, certo alimentato, gli autori fasulli che hanno contratto mutui in banca per finanziare la pubblicazione delle loro opere fasulle.

     

    Una riflessione come quella che fa Lei, da parte di un autore giovane, è sicuramente opportuna. Non devono esistere solo gli editori che scelgono gli autori validi, ma anche gli autori validi che scelgono gli editori capaci: tutto il resto - sedicenti autori che ingrassano sedicenti editori - è un inutile trambusto.

     

    dralig

  5. Ciò che afferma il M°Ophee contraddice le affermazioni di Dralig.

     

    No, non le contraddice per niente. Matanya afferma che non ha mai pubblicato nulla che non lo convincesse per la sua qualità. Basta questo a dissipare ogni dubbio: l'editore, per prima cosa, deve credere nel valore di quello che stampa. Poi, si possono dare molti casi specifici. Per esempio, esistono delle istituzioni che sovvenzionano la pubblicazione di determinate opere - un noto editore di musica per chitarra ha lavorato per 20 anni grazie ai finanziamenti di un ente statale - e questo indubbiamente facilita le cose, ma è ben diverso dal caso di editori che pubblicano a pagamento senza filtrare le opere e dando alle stampe anche dell'immondizia musicale solo perché gli autori sono disposti ad assumersene l'onere. Matanya - lo so per certo - ha rifiutato composizioni di autori già "famosi" e ha pubblicato opere di autori sconosciuti unicamente in base a un criterio meritocratico, senza ricavarne alcun profitto.

     

     

    Rileggendo un Fronimo di moti anni fa ho trovato un feroce battibecco tra i due con la musica di Giuliani oggetto del contendere. Anche in quell'occasione il M° Gilardino dava del "John Wayne" a Ophee per il modo suo modo di fare ricerca storica.

     

    Scusi, che cosa c'entra questo con l'argomento in discussione? A quale scopo citarlo?

     

    Ma sul "paga e pubblica" è difficile credere che un editore sappia da solo distinguere se una tal musica vale o non vale, quindi di certo si affida ad esperti.

     

    E' difficile crederlo, ed è anche sbagliato: infatti, gli editori - tolti i casi di case editrici rette da una sola persona, che fa tutto da sé - si affidano a dei consulenti, chiamati lettori, i quali hanno il compito di leggere (per l'appunto) le musiche inviate dagli autori e di redigere delle relazioni, nelle quali, contrariamente a quello che si crede, non devono mai indicare se sono favorevoli e contrari alla pubblicazione, ma solo fornire indicazioni precise e dettagliate in riferimento a determinati parametri. Io ho svolto questo lavoro per 40 anni.

     

    dralig

  6. nessuno - dico nessuno - dei compositori che io conosco ha mai speso un centesimo per far pubblicare la propria musica.

     

    So che alcuni. Non solo nella storia, Fernando Sor per esempio, dopo aver rotto con Messonnier, ma anche oggi. Una cosa da ricordare in tutta questa discussione è che né compositori contemporanei, né i loro editori mai fare soldi dalla vendita della carta stampata, soprattutto nell'era della macchina copia e la pirateria. I soldi in questo business è da royalties meccaniche per le prestazioni e la registrazione. Questo è il motivo per cui alcuni editori molto grande, mai realmente stampare qualsiasi cosa, e se lo fanno di stampa, è in piccole tirature delle edizioni mal progettato, preferiscono acquistare i diritti per composizioni di compositori che potrebbero rivelarsi di successo sulla scena dei concerti e lo studio di registrazione. Quindi, se un giovane compositore fa o non investire denaro nella pubblicazione della sua musica, è una questione secondaria alla sua volontà di impegnarsi esecutori e assicurare che la sua musica viene eseguita e registrata. I grandi editori hanno i mezzi per fare questo per un compositore. I piccoli come me non hanno il tempo o il denaro per fare questa promozione.

     

    Ciao Matanya, io credo che alcuni compositori, nel passato come oggi, abbiano investito del denaro nella pubblicazione delle loro opere, ma operando come imprenditori, cioè come editori di sé stessi, non come clienti di un editore. Quando leggiamo nella copertina di un'edizione ottocentesca "in vendita presso l'autore, etc.", constatiamo che il compositore aveva fatto stampare la musica a sue spese, e poi la vendeva direttamente ai suoi clienti. Questo è fare impresa, prendendosene i rischi. E' cosa diversa dal pagare un editore perché si degni di stampare la propria musica. Io immagino che tu debba rifiutare le proposte di molti autori: la musica non ti piace, non sei il tipo che si nasconde dietro scuse, glielo dici chiaro e tondo - com'è nel tuo stile alla John Wayne - e la cosa finisce lì. Non ho mai sentito dire - e nel nostro piccolo mondo si viene sempre a sapere tutto di tutti - che tu abbia chiesto soldi a un autore che non stimavi per pubblicare la sua musica. Se lo sentissi dire, risponderei che è una menzogna.

     

    Sono d'accordissimo con te sul fatto che la vendita delle copie stampate della musica non rappresenti più una fonte di entrate per un compositore - e nemmeno per i suoi editori. A me, sembra opportuno mettersi d'accordo con il proprio editore e, rinunciando alle royalties cartacee, convertirne l'importo in copie da inviare in omaggio a coloro che si suppone possano essere interessati all'esecuzione o anche solo alla lettura. Invece di ricevere 100 dollari l'anno per la vendita della copie di un mio pezzo, preferisco far spedire 10 copie del medesimo a chitarristi che ritengo capaci di leggerlo e di capire che cosa vuol dire.

     

    Ciao.

     

    dralig

  7. Forse l'unico modo di vivere la composizione oggi è una sorta di "Art Brut" culturalizzata. Una forma di espressione che l'individuo deve creare e godere per se stesso senza pretese di diffusione o condivisione.

     

    Cito:

    “Quei lavori creati dalla solitudine e da impulsi creativi puri ed autentici - dove le preoccupazioni della concorrenza, l'acclamazione e la promozione sociale non interferiscono - sono, proprio a causa di questo, più preziosi delle produzioni dei professionisti.

     

    Il che potrebbe indurre qualche soprovveduto a credere che i "professionisti" della composizione siano invariabilmente impuri e non autentici, dediti alla concorrenza, alla promozione e alla ricerca dell'acclamazione più che alla sostanza della propria opera. E che le viole mammole che tengono le loro composizioni nel cassetto siano invariabilmente pure e autentiche.

     

    La realtà è molto più complessa. Ci sono compositori di talento autentico e di impeccabile formazione le cui opere sono meritatamente note e riconosciute. Altri di poco o nessun talento e di formazione alquanto posticcia le cui opere sono sostenute da uffici stampa e da promozioni efficaci. E altri ancora che, appartenendo alla seconda categoria - quella dei poveri di spirito - credono fermamente di essere campioni della prima solo perché non sono famosi , e accusano il mondo del mancato riconoscimento del loro genio. E questa è solo una descrizione schematica della realtà che, ripeto, è intricatissima ed estremamente variegata.

     

    Io non conosco compositori di talento che non cerchino riconoscimento, e che non patiscano in qualche misura il fatto che le mezze tacche e le nullità sono talvolta più acclamate di loro. Ma nessuno di loro ha mai scelto di "creare e godere per se stesso" le proprie opere, "senza pretese di diffusione o condivisione": un compositore di questo tipo se l'è sognato soltanto Thomas Mann, il quale, per i suoi romanzi, il riconoscimento lo cercava eccome - e lo ottenne in misura almeno pari ai propri meriti. Chi è consapevole del proprio talento e del valore della propria opera fa quanto è in suo potere per renderla pubblica, anche se non è disposto all'intrigo e al meretricio: lo stile si denota non soltanto nella scrittura, ma anche nel comportamento personale.

     

    Conosco invece - e non di rado mi tocca sopportare - tipetti piagnucolosi che, scimmiottando puerilmente qualche maestro del passato, credono fermamente di esserne la reincarnazione, e si accorano per la mancata condivisione, da parte del mondo della musica, di tanto convincimento. Costoro sono anche più molesti degli Zeppelin che offrono i frutti della loro pochezza con il favore delle istituzioni irresponsabili: entrambi i tipi sono fuori dalla realtà, ma i pallone gonfiati sono più allegri e coloriti, insomma più divertenti.

     

    dralig

  8. Quindi se gli editori ti rifiutano la pubblicazione o ti chiedono un contributo vuol dire che non sei un buon compositore?

     

    Vuol dire che l''editore non ritiene di investire il proprio denaro e il proprio impegno nelle opere di un compositore, perché non lo ritiene valido oppure perché, pur considerandolo valido, ritiene che non abbia possibilità di destare l'interesse dei potenziali acquirenti della sua musica. Nel 1929, Max Eschig non pubblicò le "Douze Etudes" di Heitor Villa-Lobos, un compositore nel quale, d'altra parte, credeva - visto che aveva pubblicato e avrebbe continuato a pubblicare la sua musica per orchestra, pianoforte, etc. L'editore riteneva che i chitarristi di allora non fossero in grado di comprendere la musica del maestro brasiliano, e la stampò solamente nel 1954, e non senza l'avallo di una presentazione di Segovia.

     

    Gli editori non sono dei critici, ma degli imprenditori. Il loro giudizio è uno dei tanti giudizi che possono essere formulati nei riguardi di un autore e delle sue opere. Certo, chiedere denaro a un autore vuol dire sfiduciarlo in partenza. E pagare gli editori vuol dire, da parte degli autori, che la fiducia nella propria opera è pari a zero.

     

    dralig

  9. mi fa piacere l'intervento del collega Vedele, il post, pur corretto nella parte iniziale stava secondo me prendendo una piega nella sezione didattica un pò esasperata.

    Tornando al tema iniziale, io lavoro abbastanza con le case editrici e pubblico diverse cose, credo di aver capito una cosa: pagare una certa cifra può essere per la casa una specie di piccola "garanzia" nei confronti dell'opera pubblicata, soprattutto quando questo lavoro provenga da un compositore sconosciuto e magari sia soltanto un foglio d'album e non un lavoro più corposo e organizzato.

     

    Una postilla, spero non inutile. Un lettore professionale di musica impiega non più di qualche secondo per guardare la prima pagina di una composizione e rendersi conto della sua sostanza. Gli editori esistono anche - e soprattutto - per scoprire i compositori sconosciuti, e in questo precisamente consiste l'abilità dei consulenti pagati per riconoscere, a vista, il frutto del talento e della preparazione e distinguerlo dalla rumenta (per i non piemontesi: immondizia). Chiedere al compositore sconosciuto che ha inviato anche solo un foglio d'album di pagare per pubblicarlo, vuol dire o non essere capaci di distinguere il grano dalla paglia o essere degli editori di cartapesta.

     

    Dai tempi della Bibbia, il grano e il loglio crescono nello stesso campo, e la stessa pioggia cade sia sui giusti che sui criminali, e proprio per questo occorre tenere saldo in pugno il timone.

     

    dralig

  10. mi fa piacere l'intervento del collega Vedele, il post, pur corretto nella parte iniziale stava secondo me prendendo una piega nella sezione didattica un pò esasperata.

    Tornando al tema iniziale, io lavoro abbastanza con le case editrici e pubblico diverse cose, credo di aver capito una cosa: pagare una certa cifra può essere per la casa una specie di piccola "garanzia" nei confronti dell'opera pubblicata, soprattutto quando questo lavoro provenga da un compositore sconosciuto e magari sia soltanto un foglio d'album e non un lavoro più corposo e organizzato. Alcuni chiedono soldi (me li chiese la più conosciuta fra le edizioni anni fa e non accettai perchè avevo fortunatamente altre proposte), altri chiedono acquisto di tot copie (100....200)....insomma si arrangiano tutti: ma mi chiedo una cosa, e non stupitevi troppo: se uno crede nel suo lavoro, fortemente, non può essere anche disposto ad un piccolo sacrificio per raggiungere un obiettivo? (che non sia solo fiera delle vanità ovviamente, ma ricco di contenuti). Poi si può accettare o meno questo modo di operare ma non vedo grandi differenze rispetto ad altre situazioni lavorative, alla fine il valore viene fuori oppure si resta tristemente col proprio foglio d'album in mano e qualche soldo in meno....Ciao!

     

    Caro Giorgio, no, non si può accettare. Ti spiego perché: un editore è un imprenditore, e a questo mondo non può esistere un'impresa esentata dall'assumersi rischi. Chiedere agli autori di prendere sulle proprie spalle tali rischi vuol dire eludere le responsabilità del proprio mestiere: allora, gli autori che credono nel proprio lavoro e sono convinti del loro valore, eviteranno accuratamente di avere che fare con editori che invece non ci credono per niente. Quindi, nessuno - dico nessuno - dei compositori che io conosco ha mai speso un centesimo per far pubblicare la propria musica.

     

    Altro è il discorso riguardante i compositori della domenica, le mezze tacche e le nullità: questi tipi tormentano gli editori per farsi pubblicare, e in sostanza chiedono di adoperare il nome di una casa editrice per accreditare lavori che non hanno nessun valore. Decenni fa - quando la musica di qualità si vendeva - gli editori rifiutavano queste composizioni senza esitazione. Oggi, con la caduta delle vendite della musica stampata e l'avvento delle fotocopie e della pirateria, molti editori "noleggiano" il loro marchio a questi disperati, e si fanno pagare profumatamente - ben al di là dei costi che devono sostenere per stampare qualche centinaio di esemplari - allo scopo di finanziare le loro iniziative editoriali valide. E' un comportamento molto discutibile, ma diverso da quello dei finti editori che, a proprie spese e a proprio rischio, non pubblicano nemmeno gli autori meritevoli.

     

    Agli autori giovani e capaci, consiglio di non prendere nemmeno in considerazione l'ipotesi di farsi pubblicare a pagamento, anzi, li esorto a valutare quali effettivamente siano le capacità degli editori, affidandosi solo a quelli che sanno diffondere e sostenere la musica che stampano. Sono pochi, e loro soltanto meritano la lauta percentuale dei diritti d'autore che si riservano nei contratti. Diversamente, è meglio, per un autore giovane, pubblicare le proprie opere online, senza pagare nessun editore per un servizio che comunque non verrà reso.

     

    dralig

  11. Quindi ora non ci sono più scusanti per non registrare questo capolavoro.

     

    Per la stragrande maggioranza dei "concertisti" di chitarra oggi in attività, esiste una scusante validissima: che, di suonare il brano in questione, non sono capaci. Ho udito con le mie orecchie una star della chitarra, anni fa, dichiarare che la Fantasia-Sonata è un brano orribile. Gli ho domandato su quali basi si fondasse il suo giudizio, e ha risposto - davanti a una dozzina di presenti - che non gli piaceva. Mi è stato facile far osservare che tra il repertorio della chitarra e il menù del ristorante c'è qualche differenza. Lui non ha capito, ma gli altri si.

     

     

    dralig

  12. Mi interesso ogni giorno e sempre di più della amata chitarra e quindi seguo attentamente questo forum (Il nuovo Fronimo). Mi piacerebbe avere qualche informazione su Alvaro Company che ha scritto il più importante brano per chitarra del '900 La Seis Cuerdas, suonato dai più grandi chitarristi del mondo: esiste qualche sua altra composizione?

     

    Nella collezione "The Andrés Segovia Archive" pubblicata dalle Edizioni Bèrben figura un volume di composizioni di Alvaro Company intitolato "Works for Guitar". Si tratta di pezzi scritti per Segovia.

    "Las seis cuerdas" - fino a qualche anno fa incluso nel catalogo Suvini-Zerboni - è attualmente in corso di revisione da parte dell'autore, e verrà ripubblicato dalle Edizioni Bèrben.

     

    Per sentenziare qual è il più importante brano per chitarra del Novecento bisognerebbe averli letti tutti - il catalogo Pocci ne contiene circa 20 mila - e disporre degli strumenti analitici e critici sui quali soltanto si possono fondare giudizi di valore. Forse, per l'ardua sentenza, sarà meglio aspettare un centinaio d'anni. Intanto, è auspicabile che la lista degli interpreti de "Las seis cuerdas" si allunghi in misura corrispondente al valore del brano, che è fuori discussione. Purtroppo, che l'abbiano suonato i più grandi chitarristi del mondo è una bella favola.

     

    dralig

  13. Ad esempio ci sono gli Studi di Regondi.

     

    Gli Studi di Regondi segnano il punto più alto nell'opera del compositore e della musica romantica per chitarra in generale. Sono coerenti con le altre composizioni di Regondi. E' più difficile, invece, riconoscere una linea di coerenza tra la maggior parte delle opere di Napoléon Coste e i suoi Studi op. 38 - altra vetta della musica romantica per chitarra.

     

    dralig

  14. Dopo una giovinezza passata tra arpeggi e scale e la "Bibbia chitarristica che ai miei tempi si chiamava Il Fronimo" (sono in possesso della licenza di 5° anno) sto ricominciando a studiare seriamente la chitarra. Mi sembra tutto cambiato, sia il modo corretto dell'impostazione della mano dsetra (cioà protesa in avanti) che il repertorio. Ebbene sì: la pensione mi ha dato alla testa! Ecco la mia domanda: che differenza passa tra "studi" e "studi da concerto" e quali sono i più adatti a ricominciare?

     

     

    Non esiste una linea di demarcazione che separi - negli Studi - quelli che si possono considerare "da concerto" da quelli che invece servono solamente all'esercitazione. Anche i più semplici Studi di Sor possono essere eseguiti in concerto, grazie al loro valore musicale, e sicuramente autori come Matteo Carcassi e Napoléon Coste hanno dato il meglio di sé - anche dal punto di vista del pensiero musicale e della forma - nelle loro raccolte di Studi piuttosto che nei loro pezzi da concerto.

     

    Il titolo "Studio" non è univoco - non si riferisce cioè a brani che hanno in comune la forma, il carattere, le finalità. All'interno di una stessa raccolta, è possibile trovare Studi che presentano caratteristiche e architetture molto differenti (per esempio, i primi sei Studi di Villa-Lobos sono del tutto diversi dagli Studi nn. 7-12 in ogni senso: formale, tecnico, di carattere).

     

    Non è possibile inoltre stabilire in generale da quale tipo di Studi convenga ricominciare a studiare seriamente. Lo si può fare soltanto esaminando attentamente ogni singolo caso.Comunque, domandarsi "che cosa" studiare è molto meno importante eal domandarsi "come studiarlo". In ogni ricerca artistica, bisogna capire come fare, e questo comprende anche il che cosa fare. Gustave Courbet usciva en plein air a dipingere: raffigurava sulla tela gli oggetti lontani e, dopo averli dipinti, mandava il suo aiutante a vedere che cos'erano.

     

    dralig

  15. Cari Colleghi,

     

    ho affrontato in queste settimane lo studio di una celebre opera di Girolamo Frescobaldi da tempo presente nella letteratura chitarristica: l'Aria detta La Frescobalda, che tutti conoscono almeno nella registrazione di Segovia. Premetto che per me lo studio di Frescobaldi è stato un passaggio necessario nel lavoro di approfondimento che ho svolto negli ultimi anni registrando l'opera di J.S. Bach (che ne è stato molto influenzato, pensate all'Aria variata alla maniera italiana BWV 989).

     

    Quindi ho pensato di affrontare questo "classico" della letteratura chitarristica, ovviamente tenendo conto delle cose che ho studiato in questi ultimi anni, e mettendomi alle spalle la storica versione di Segovia - sia quella discografica che la revisione, entrambi connotate da un approccio molto più legato all'estetica della prima metà del secolo e quindi antistorico per eccellenza. Per farla breve, ho constatato in tutte le versioni che ho consultato e ascoltato: 1) l'ignoranza (nel senso letterale) di che cosa significhi suonare Frescobaldi; 2) la non corrispondenza della trascrizione a quanto scritto da Frescobaldi.

    Ora, a differenza dei tempi in cui operavano Pujol e Segovia, abbiamo a disposizione grazie alla rete e quindi a distanza di pochi "click", materiali bibliografici molto attendibili (nel caso di Frescobaldi per esempio l'intavolatura per tastiera originale:

    http://imslp.org/wiki/Organ_and_Keyboard_Works_%28Frescobaldi,_Girolamo%29); mi domando quindi perché si trovino in giro edizioni e registrazioni basate su errori di trascrizione o addirittura di volontarie manomissioni frutto della mancanza di rispetto della scrittura orginale (condotta delle parti, alterazioni, suddivisione in misure, indicazione di tempo ecc.). La versione di Segovia, come anche in altre opere, corrisponde a un'idea della musica che non può essere la nostra: impossessarsi dei testi e renderli omogenei alla propria estetica - costi quel che costi. Ma nel 2011 perché perpetuare questa logica? - all'epoca frutto di una coerente visione estetica propria di quel tempo, oggi solo anacronistico malcostume fatto di sgrammaticature e sciatteria.

    Saluti

    Luigi Attademo

     

    Ciao Luigi, non entro nel merito della questione da te sollevata perché non ho nulla da aggiungere a quello che hai detto - salvo il fatto che la necessità di leggere le opere, non soltanto testualmente, ma anche contestualmente (la storia!) si pone in modo urgente anche per il Novecento, non solo per la musica antica.

     

    Riguardo a Segovia, sono giunto alla conclusione che, in uno studio biografico che mi sembra ancor più necessario dopo la pubblicazione dei corposi volumi di Alberto López Poveda, un capitolo debba essere dedicato all'influenza che esercitò sul maestro la seconda moglie, la pianista Paquita Madriguera. Parecchie trascrizioni che Segovia realizzò di prima mano, cioè senza rifarsi a trascrizioni precedenti di Tárrega e di Llobet, furono concepite grazie alla conoscenza che egli accumulò di un repertorio pianistico "minore": la fonte di tale conoscenza era la biblioteca musicale della Madriguera, che possedeva le antologie pianistiche tipiche dell'epoca (comprendenti anche i clavicembalisti). Da questa conoscenze ebbero origine le trascrizioni che vanno dal barocco francese (Louis Couperin, Rameau) al romanticismo (Franck, Brahms), escluse quelle da Chopin, che Segovia ereditava da Tárrega. Frescobaldi; in particolare, l'Aria detta La Frescobalda, era sicuramente uno dei pezzi inclusi nelle antologie prossedute dalla Madriguera - e la cronologia delle trascrizioni segoviane riflette puntualmente i frutti del periodo di Montevideo - quello in cui Segovia fu maggiormente esposto all'influenza del pianoforte. In un certo senso, il divorzio dalla Madriguera fu una disdetta per Segovia, perché la moglie era una musicista di formazione accademica molto severa, e il contatto quotidiano con lei era un fattore di equilibrio nell'arte segoviana - sia nel repertorio che nell'interpretazione.

     

    Credo che faresti bene a pubblicare un volume di trascrizioni, riprendendo alcuni lavori resi celebri da Segovia: la Frescobalda occuperebbe meritatamente il primo posto.

     

    ag

  16. Puoi caricarlo nell'area Download del forum:

    http://www.cristianoporqueddu.com/public/dload.php

     

    Seleziona la sezione più adeguata e invia il file. Meglio se Mp3.

     

    Il concerto di Bonfante - detto Panizza - è da anni nel catalogo dell'editore Sonzogno, pubblicato con la revisione di Daniele Zanettovich e del chitarrista Giulio Chiandetti.

    http://www.sonzogno.it/it/catalogo?todo=search&lang=it&composer=Panizza&title=&keyword=&category=&duration=&hour=&minutes=

     

    dralig

  17. comunicare è nel mio caso parlare del mio mondo agli altri, usando un linguaggio, il mio, che, riferendomi allo scritto in questione, è anche ascoltabile, nel senso di accessibile a tutti.

    Secondo me non è un problema di difficoltà di approccio al linguaggio, non solo almeno, ma di autorevolezza e sincerità dell'artista nel proporlo.

    La musica comunque è comunicazione, ma io parto da presupposti differenti dai tuoi credo, parto dal tentativo di diffusione della musica innanzitutto come elemento didattico-sociale, di crescita umana, non posso permettermi di partire da altro essendo io innanzitutto un insegnante. Per un "compositore puro" forse è diverso

     

    Un compositore - se è autentico - immagina, ricerca, trova quello che prima non aveva trovato. Costruisce qualcosa di "nuovo" - non nel senso che non abbia radici nella storia, ma che non ne rappresenti un inutile rigurgito o - nella migliore delle ipotesi - una furba iterazione.

     

    Facendo ciò, sa benissimo che crea - senza volerlo deliberatamente - un "problema di comunicazione" nei confronti di un ascolto basato sulla pretesa del confort, della mancanza di impegno a comprendere: la stragrande maggioranza degli ascoltatori crede convintamente che la musica le debba essere servita come un piatto pronto, come un apparecchio di facile uso che ridurrà ulteriormente la fatica in qualunque occupazione, come un divertimento.

     

    Davanti a ciò, che fa il compositore? Rinuncia a scrivere quello che ha immaginato e trovato per non molestare il crasso e supino benessere di una massa di ascoltatori il cui comprendonio musicale è livellato dalla televisione e dalla muzak? Si banalizza per non irritare il pubblico?

     

    Pane e cipolle, per chi si ribella e fa quel che sa fare e come farlo? Rinuncio alle cipolle e dimezzo il pane. Se non basta, tiro le cuoia per fame: la vergogna di essere l'autore di certe musiche del repertorio chitarristico oggi corrente (se mai le avessi scritte io) mi ucciderebbe molto più crudelmente della mancanza di cibo.

     

    dralig

  18. Considerando che ci si trova in Andalucia, non è così raro che il cognome venga modificato - accade lo stesso al centroavanti della nazionale di calcio. Infatti, una delle glorie architettoniche andaluse è la Giralda, chiesa insigne di Sevilla, il cui nome costituisce, per gli andalusi, l'archetipo di tutte le derivazioni ed elaborazioni dell'originario Gerhard - proveniente dalla barbarica Germania, nella cui lingua arcaica, essendo "ger" la lancia e "hard" l'aggettivo "forte", i Gerhard, più che una famiglia, erano una parte dell'esercito, cioè i lancieri. Il diminutivo Giraldino o - per scambio delle consonanti dentali elle ed erre - Gilardino, viene dal francese, che aveva adottato il nome tedesco e che lo usava al diminutivo forse ancora per designare un corpo militare - lancieri o, come dice la canzone medioevale piemontese, guerrieri che andavano a tirar di spada. Oggi, calciatori e musicisti: la decadenza è evidente.

     

     

    dralig

  19. Angelo,io ringrazio apertamente, l’anima venduta al diavolo del compositore Adrian Leverkühn ( Joahnn Faust),di Thomas Mann e la rivista Muzak che denigra la cattiva musica,per aver fatto uscire dalle tue ispirazioni il pezzo per Francesco Diodovich. ( Per carità non che il pezzo sia ispirato a ciò. ) Che penso a questo punto abbia fatto una prima esecuzione. Io non posso far altro che chiedergli una registrazione,in modo da poterci rendere partecipe tutti delle note tue. Lo so l’amicizia è tutto ,ma per favore fate condividere anche a noi comuni mortali che amiamo la “buona musica” e che cerchiamo ogni giorno di vendere” l’anima al diavolo” per mantenere viva la nostra voglia di ascoltare la grande musica,allontanando cosi gli obbrobri di quello che si ascolta oggi. Per favore dateci da ascoltare questa musica.

     

    Caro Raffaele, ho citato Leverkuhn e la muzak (il genere di musica, non la rivista, che non conosco) come due estremi che non amo: da un lato, il genio sociopatico che detesta il genere umano e che vive in un isolamento monastico, dall'altro il populismo empio e volgare, che anche nel piccolo mondo della chitarra annovera molti pregevoli esemplari. La via di mezzo consiste - secondo me - nel suonare o nel comporre non per tenere i frutti della propria arte lontani dalla portata di chi se ne può cibare - dunque nel rendere pubblico, con mezzi adeguati ma senza sgomitare, ciò che si produce, e nel cercare di assecondare le aspettative della categoria - per i compositori indispensabile - degli interpreti, senza cercare di invogliare in loro i bassi istinti e le aspirazioni futili.

     

    Ti assicuro che, anche senza diventare "ricchi e famosi", nella via di mezzo si può sopravvivere decentemente.

     

    Ciao.

     

    dralig

  20. Del%20Rosato%20Albeggiare_mini.png

    [+Zoom]

     

    Le Edizioni Bèrben di Ancona pubblicano la composizione del compositore vercellese Angelo Gilardino (1941) per chitarra e pianoforte "Del rosato albeggiare".

     

    I - Risveglio e canzone d'addio

    II - Commiato di Puck

    III - Paesaggio immoto

    IV - I giardini del vento

     

    Per informazioni e acquisto onLine: http://www.berben.it

     

    Nel 2008 proprio su questo forum chiesi al maestro per quale motivo egli non avesse mai composto nulla per chitarra e pianoforte, configurazione a mio giudizio piuttosto trascurata.

    La risposta testuale fu:

     

    Trascuratissima, e con qualche buon motivo. E' improbabile che un compositore possa sentirsi interessato, o addirittura ispirato, a comporre di sua iniziativa per chitarra e pianoforte: all'epoca del fortepiano, poteva avere un senso, oggi molto meno. Quindi, il compositore si muove su richiesta di un duo di chitarra e piano che, con le sue esecuzioni, gli offre la prospettiva di non vedere la sua opera sprofondare nel silenzio. A me sono giunte le richieste più rare - ho scritto una Partita per vibrafono e chitarra - ma non quella di comporre per chitarra e piano.

     

    Oggi con grande piacere noto che il maestro, evidentemente, ha cambiato idea.

    Gli pongo quindi direttamente la domanda: cosa è cambiato dal 2008 ad oggi ?

     

    Grazie

    Taltomar

     

    Non è cambiato nulla nella mia fondamentale disponibilità ad assecondare il prossimo e penso che, tra il modello Leverkuhn e la muzak possa darsi una sana via di mezzo. Quindi, allorché il valente chitarrista Francesco Diodovich mi chiese di scrivere un pezzo per il duo che aveva appena costituito con il pianista Corrado Greco, gli dissi di si, perché mi piace far contenti gli amici.

     

    Parafrasando John Wayne: "Che mi prenda un colpo se non ho scritto un pezzo dannatamente buono".

     

    dralig

  21. Buongiorno, oggi ho acquistato la rivista suonare per leggere l'articolo dedicato a Mario Pabé, ma non l'ho trovato.

    Qualcuno ha qualche informazione al riguardo.

    Grazie a tutti

    Giuseppe

     

    L'articolo riguardante il liutaio Mario Pabè è stato pubblicato dalla rivista "Suonare" nel numero del mese di marzo e non - come erroneamente avevo scritto nel mio messaggio precedente - nel numero di aprile.

     

    Dopo la pubblicazione del suddetto articolo, mi sono pervenute altre informazioni riguardanti il negletto - ma straordinario - artefice. Le chitarre che ho potuto esaminare sono finora otto. Se arriverò a catalogarne una dozzina (almeno) e ad arricchire la raccolta di notizie biografiche, scriverò e pubblicherò un volumetto per favorire il recupero di Mario Pabè alla storia della liuteria italiana.

     

    ag

  22. Intervengo rapidamente solo per dire che forse un po' di equilibrio può aiutare come sempre tutto il nostro prezioso ambiente.

    Comprendo le reazioni di tutti, ma propenderei per una maggiore indulgenza nei confronti degli amateurs e dei dilettanti, che in fondo sono una delle forze vitali del nostro settore. Non penso che le letture, giuste o sbagliate, dei puri appassionati nei confronti del nostro lavoro possano interferire più di tanto con il nostro percorso, ma al contrario vedo con interesse il fatto che la gente normale (professionisti, ingegneri, medici, avvocati, lavoratori) parli e ragioni di chitarra, anche se sbagliando.

    Capisco le reazioni di Angelo, più rivolte ad un sistema che alle singole persone anche se, come già ha concordato con me, credo che al suo livello abbia ben altro da pensare, per il bene nostro e di tutta la musica, non solo per chitarra. :)

     

    Caro Giulio, suppongo che l'indulgenza da te invocata possa esercitarsi non solo nei confronti degli "ingegneri, medici, avvocati e lavoratori". ma anche nei confronti di chi scrive libri di storia della chitarra: se regaliamo magnanimamente agli amateurs il diritto di sparare fandonie sul conto dei musicisti e dei musicologi, dovremo anche -necessariamente - riconoscere a questi ultimi - dal cuore generoso della nostra indulgenza - il diritto di incavolarsi - non sempre, ma come dicevo dianzi, una volta su cento - e di mandare un paio di lavoratori a quel paese, non ti pare? Altrimenti, potremmo suscitare il sospetto di offrire la nostra indulgenza solo a chi fa numero,spargendo "serene chiacchiere", e non anche a chi sfanga da solo, e ha spesso la mala ventura di vedersi al centro dei bei conversari chitarristici di medici e ingegneri. Con reazioni che vanno dall'indifferenza al fastidio, dalla nausea al raccapriccio: così reagisce la "gente normale", della quale mi sento di far parte a pieno titolo.

     

    dralig

     

    dralig

  23. Caro amico vorrei non te la prendessi, credo ci sia un equivoco alla fonte di questo post, Angelo si è risentito proprio perchè non non è stato compreso il suo lavoro, è stato un pò travisato il senso del suo scritto...non intendeva di certo mettere te alla berlina del mondo chitarristico, ha solo preso lo spunto per dire delle cose, senza nascondersi come fanno altri. Quello che scrivi parlando di te è bellissimo, segno di una vera passione, ce ne fossero di professionisti così innamorati! Non sentirti affatto escluso, anzi, credo sia meglio chiarirsi bene le idee, la musica è fonte di gioia e bellezza non di frustrazione, soprattutto per un "amatore" come sei tu. Dai, è stato credo un "travisamento" reciproco, diciamo così, pensa anche che il buon Gilardino viene perennemente chiamato in causa a destra e a manca e sovente gli mettono in bocca frasi che manco si sogna di aver pensato, ci avrà magari fatto l'abitudine ma .......

    Un caro saluto ciao!

     

    Caro Giorgio, "un po' travisato"? No, capovolto! Il Cherubino prende posizione contro un mio giudizio, dicendosi in disaccordo con il medesimo, e assume la difesa delle Sonate di Paganini che, dunque, io avrei tentato di sminuire. "Nome utente" non fa una piega: non si corregge, non dice a Cherubino: "Guarda che stiamo parlando a vanvera, alle spalle di un autore che tu non hai letto per niente, e che io cito a sproposito". Ma poi, sensibilissimo, si profonde in un racconto - commosso e da commuovere - della Sua vita sacrificale di amateur, si fa vittima di un "attacco" - lui, invece, quando stravolge il pensiero altrui è impegnato in una "serena chiacchiera" - e si butta in una patetica captazione di benevolenza da parte dei lettori.

     

    Tu mi domanderai perché io abbia reagito - con tutto quello che si scrive e si legge nei fora del chitarrume riguardo al mio lavoro: non lo so, vado a campione, ne ignoro 99 e uno lo metto in piazza. Non che mi aspetti di cambiare la situazione, forse sono solo ciclotimico...

     

    dralig

  24. Gent. Sig. Gilardino,

     

    l'utente che ha scritto la frase "Nota che tra l'altro, se non ricordo male, lo stesso Gilardino nella sua recente pubblicazione ha ritenuto opportuno soffermarsi unicamente sulla Grande Sonata." sono io.

     

    L'ho scritta all'interno di una serena chiaccherata in un altro forum.

     

     

    Se io citassi a memoria e a sproposito quello che un autore ha scritto, sarei ben lungi dal potermi sentire sereno. Mi sentirei alquanto stupido, e mi preoccuperei del danno che sto arrecando all'autore in questione, sfigurandone il pensiero e attribuendogli posizioni che non ha mai assunto.

     

    Sono un amateur, sposato, con figli, che cerca di portare avanti la propria passione nonostante il lavoro. Cerco di partecipare attivamente ai forum per imparare e per divertirmi un poco con tutto quello che ruota intorno a detta passione. Ho scritto più volte anche su questo forum e la mia condizione di amateur era stata anche benevolmente commentata. Ma forse farei meglio a dedicarmi ad altro. A guardare il grande fratello, piuttosto che pensare alla grande sonata. Forse farei meglio a non acquistare cd, partiture e libri, ma scarpe o playstation. E' quello il mondo che mi appartiene. Senza dubbio. Non ho un cane e non ho mai scritto ad una rivista o ad un direttore artistico. Tanto per chiarire.

     

    Sono sinceramente molto dispiaciuto nel vedermi oggetto di un simile attacco. Quando proprio al'inizio della frase ho messo le mani avanti dicendo di non esser sicuro di ricordare correttamente, volevo semplicemente lasciare la porta aperta ad un mio possibile errore. Mi aspettavo di essere eventualmente corretto, ma non aggredito in questo modo, non indicato come il Male, il chitarrume. Io che alla chitarra ed alla musica dedico diverse centinaia di euro l'anno, tra lezioni, musica stampata, cd e concerti. E perché no, uno strumento di qualche migliaia di euro. Tutti soldi sottratti, non senza fatica, alla mia famiglia, ricavati da un budget famigliare non certo ricco. Forse farei meglio a investirli altrove, visto che non faccio altro che danneggiare quel mondo che riesco solo a spiare di nascosto, da lontano.

     

     

    Sia detto rispettosamente: questi sono sffari Suoi. L'autocommiserazione è un animale che spesso ha per testa una grande sensibilità nei riguardi di se stessi, e per coda il più assoluto disprezzo degli altri. Non interessa a nessuno, qui, sapere quali siano le Sue faccende private: qui stiamo parlando di musica e di scritti sulla musica, non di questioni personali. La sensibilità che Lei dimostra nei riguardi della Sua condizione avrebbe dovuto guidarLa - una volta giunto a casa - a verificare se quello che aveva dichiarato pubbiicamente, chiamandomi in causa con nome o cognome (mente Lei sta acquattato dietro i Suoi nicknames), era corretto o no: e, constatato che non lo era, avrebbe dovuto subito emendarsi pubblicamente, là dove pubblicamente aveva detto cose non vere. A dire il vero, per fare tutto ciò, non occorre essere sensibili - come Lei è quando racconta delle Sue vicende personali -, basta essere corretti.

     

    Magari non ci crederà, ma sono davvero triste. Mi sento escluso, rigettato, frustrato. Penso molto alla musica ed alla chitarra in particolare. Forse troppo. Forse non dovrei togliere tempo e risorse alla mia famiglia per questo. Forse non ne vale la pena. E poi, che mondo è? E' più frustrato che felice, più teso che gioioso, pronto alla polemica, all'attacco, all'aggressione, pronto a vedere il Male ovunque. Ma forse sono ancora una volta in errore. Forse io sono davvero il male. Non me ne sono mai accorto, ma forse sono realmente qualcosa di deleterio e negativo per lo strumento che credevo di amare. Non fa evidentemente per me, ne lui ne il mondo che lo circonda. Perché sono un ciarlatano, sono "chitarrume", sono uno che porta fuori il cane e poi infanga il lavoro altrui. Sono tutto questo e non me ne ero mai accorto. Che stupido.

     

    Non continui la Sua opera di falsificazione di quello che io ho detto. Il Male se lo sta inventando Lei - io non mi sono mai arrogato il ruolo di giudice delle persone in senso morale, parlo e scrivo da musicista, e come tale rispetto i miei colleghi e da loro esigo di essere rispettato. E non piagnucoli affermando di essere stato "attaccato": citare il pensiero altrui in modo distorto, infischiandosene delle conseguenze, è assai peggio che attaccare il prossimo, e chiamare "attacco" l'autodifesa chiarificatrice di chi è stufo di sentirsi tirare in ballo in tutte le "serene chiacchiere" del chitarrume nazionale è un tentativo - non precisamente limpido - di autoassolversi.

    Si tenga per sé le Sue lamentele, o le racconti ai Suoi amici chitarristi: e, d'ora in poi, se non Le dispiace, mi lasci stare.

     

    dralig

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