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Angelo Gilardino

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  1. Non ho trovato finora spiegazioni convincenti né, tanto meno, dimostrazioni scientifiche del fenomeno. Si tratta di vere e proprie elisioni, non di armonici, ma di fondamentali, che vengono di colpo "mangiate" dallo strumento che le ha appena emesse. dralig
  2. La posizione classica della buca mi pare corrisponda anche a una precisa posizione della mano destra, che si allontana o si avvicina ad essa per ottenere effetti sonori diversi. Con una apertura della tavola armonica strutturata in questo modo, cosa cambia nel modo di suonare del musicista? Mi sono posta la stessa domanda anche per la chitarra che spesso usava Abel Carlevaro. Butterfly Nel modo di suonare non cambia niente, salvo qualche aggiustamento mentale di poco conto. L'idea che ha guidato alcuni costruttori alla sostituzione della bocca tradizionale con due bocche spostate verso le fasce superiori è teoricamente fondata: la tavola concorre alla formazione del suono (intensità, durata e modi di vibrazione, cioè timbro) nella misura in cui vibra, e trattandosi di una sospensione elastica, è ovvio che al suo centro - cioè più lontano dai punti di ancoraggio ai bordi perimetrali - la vibrazione sia più ampia. In questo senso, è indubbio che la bocca sottragga una porzione di tavola potenzialmente utile alla vibrazione. Spostando la bocca (semplice o doppia, o sostituita dalle effe) verso i bordi, dove la tavola tende a irrigidirsi e a vibrare poco, si aggiunge superficie vibrante, e non si perde nulla, perché le bocche vicino ai bordi prendono il posto di parti della tavola non utili alla formazione del suono. Fin qui, tutto bene - gli esperimenti confermano un incremento di intensità del suono. Nascono però dei problemi - finora misteriosi - di armonici che scompaiono o che aumentano a dismisura e, in certi casi, di note (il do sulla prima corda) che non fanno nemmeno in tempo a farsi udire, e già sono sparite. dralig
  3. Lo studio delle prassi esecutive non è un punto d'arrivo, ma un sussidio che si integra alla preparazione dell'esecutore aggiungendosi alle sue conoscenze (solfeggio, armonia, contrappunto) e alla sua tecnica: come il saper decrifrare le note, scandire il ritmo, comprendere la concatenazione delle armonie, il saper trattare l'ornamentazione, le inegalités, etc., secondo lo stile dell'epoca, giova per rendere la musica in modo appropriato, senza costituire né una garanzia (se un esecutore è mediocre o scadente rimarrà tale anche dopo aver appreso le prassi, posto che ci riesca) né una gabbia vincolante (al contrario, nella musica antica il margine di libertà lasciato all'esecutore è maggiore di quello di cui egli dispone nello stile classico). Menar vanto della propria conoscenza delle prassi non ha maggior senso di quanto ne avrebbe dichiarare nel proprio curriculum di saper leggere la musica e di saper classificare le successioni di accordi. Prepararsi a dovere è indispensabile, ma far musica con arte è qualcosa che, presupponendo la preparazione, è di dominio del singolo artista. dralig
  4. Non è detto. Un compositore parte con un'idea e poi, strada facendo, la modifica "imparando" dalla sua stessa opera in costruzione come deve procedere, e dunque che cosa fare. L'idea iniziale può rimanere salda dal punto di vista poetico, ma è pressoché certo che, nel processo costruttivo, quello che era il progetto originario subisce, dal punto di vista formale, tali e tante modifiche da risultare, alla fine, qualcosa di inaspettato anche agli occhi dell'autore. Scrivere per quattro chitarre è difficile, perché non ci sono modelli "alti". Chi vuole scrivere per quartetto d'archi trova, da Beethoven a Bartok, una tale dovizia di modelli altissimi da permettergli di sapere tutto, o quasi, su come si scrive un quartetto prima di cominciare: quei diavoli hanno fatto proprio il possibile, l'impossibile e anche i miracoli. Il quartetto di chitarre, invece, è cosa nuova. Non si può pensare di adottare i modelli dei maestri che hanno scritto per quartetto d'archi e adattarli al quartetto di chitarre: è partita improba, può che persa in partenza. Bisogna quindi studiare molto ed elaborare un proprio modello mentale, un'idea a partire da niente, o quasi. E questo richiede già un impegno notevole. Ma poi, escogitato il modello, bisogna creare la musica per renderlo esplicito, manifesto, vivo: e Le assicuro che è un gran brutto affare. Comunque, "anche questa è fatta", e speriamo che sia stata fatta bene. Non ho finora potuto ascoltare il lavoro, ma il 20 ottobre andrò a Brescia a sentire il concerto di Antonio Rugolo e colleghi: sono molto fiducioso. dralig
  5. I tre tempi della composizione s'intitolano rispettivamente: Danubiana Veneziana Vesuviana Il primo tempo evoca il valzer viennese e la Wassermusik; il secondo tempo, le notti veneziane (è una barcarola, infatti); il terzo tempo, evoca un baccanale pompeiano (l'ultimo prima della catastrofe) e le canzoni napoletane. L'idea viene da Falla ("Fiesta lejana en un jardin", da "Noches en los jardines de Espana"). Non importa, all'autore, se le feste che egli evoca con la sua musica si siano effettivamente svolte come lui le immagina, o se siano invece frutto della sua invenzione. Aere perennius. dralig
  6. Non parlo per nessun editore, ma Le assicuro che, se vengono richiesti contributi, è perché non c'è stima nei confronti del compositore. Se questi paga, butta il suo denaro dalla finestra. Quello che farebbe comprando 200 copie della sua musica e regalandole (o vendendole) nella cerchia delle sue relazioni, lo può fare benissimo da sé e per sé, stampando e/o mettendo on line la sua musica, e senza cedere né denaro né diritti a un editore che, in cambio, non offre nulla. Quindi, se ha rispetto di Lei stesso e della Sua musica, non si lasci andare a una simile debolezza. Per la Sua battuta sui mecenati, converrà con la mia esortazione a versare, a titolo di ammenda, 10 euro alla più vicina associazione di beneficenza o volontariato. E mi trattengo. dralig
  7. sarebbe necessario prima intendersi su cosa sia "il nostro mondo classico"... Cito a memoria - scusandomi per la possibile imprecisione - una immortale battuta del principe Salina (il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa) rivolta a chi lo informa che non ha nulla da temere dai garibaldini appena sbarcati in Sicilia, grazie alle buone referenze che su di lui verranno rilasciate dalla servitù, sempre ben trattata. "Va a finire", commenta don Fabrizio, "che avrò salva la vita perché tengo in casa Bendicò" (un grosso cane). Suvvia Fabio, usciamo dai nostri recinti, e ammettiamo che tra noi e Nilla Pizzi c'è solo qualche anno di differenza, tutto lì: "il nostro mondo classico" ha tutto da guadagnare nel tonificante contatto con "Grazie dei fior" (Umberto Eco docet). dralig
  8. a livello formale? Formalmente, il pezzo (un rondò all'antica) sembra a posto, salvo un'indicazione di tempo che è fuori luogo. Non è sicuramente di Ponce l'accordo a sei note all'inizio di ogni ritornello - tipica espressione segoviana -, da ridurre a quattro parti (senza raddoppi nella quinta e quarta corda), e l'accordo successivo è incompleto (manca una parte). Cioè, si trattava di due accordi a quattro parti (equilibrati) e non di un accordo a sei e di un altro subito dopo a tre parti (il che musicalmente non ha senso). L'accordo all'inizio della misura 5 non è originale, a misura 9, sul secondo tempo, manca un'armonia, eccetera eccetera. dralig Angelo, ti chiedo, ma secondo te, non sarebbe più giusto eseguire la versione segoviana? voglio dire, in fondo tra di loro esisteva una strettissima collaborazione e se vogliamo, anche un patto d'intesa non scritto. Ponce scriveva per Segovia ed è grazie a questi che oggi abbiamo tutte queste opere bellissime. Oltretutto le armonizzazioni e la revisione di Segovia sono ben fatte, curate, efficaci e secondo me vi sono molti casi in cui sono più interessanti dell'originale. Che ne pensi? Mi sto accingendo a studiare l'intera opera ponciana ed ho deciso appunto di seguire quella revisionata da Segovia. Secondo te è sbagliato? Caro Francesco, sta per uscire, a cura della rivista Guitart, un mio saggio biografico su Ponce, nel quale ho spiegato qual era la situazione del compositore nel suo mondo, nel mondo della musica e nei riguardi di Segovia. Per comprendere l'arrendevolezza del compositore rispetto alle modifiche apportate alla sua musica da Segovia, occorre conoscere a fondo il loro rapporto: ho cercato di renderne chiare le singolari modalità. Penso che, se tu hai già raggiunto la conclusione che le versioni segoviane sono "più interessanti dell'originale", non ci sia motivo per dissuaderti: non sei uomo e artista dalle idee labili e facile alle conversioni, e io rispetto la tua scelta. Mi sembra però che, nel caso di esecuzioni pubbliche e ancor più nelle registrazioni (specialmente se integrali), ove si adotti la versione di Segovia, sia necessario scrivere nei programmi: Manuel Ponce, revisione di Andrés Segovia. Ovviamente, io potrei spiegare per filo e per segno perché, in un determinato passo, Ponce ha usato un'armonia a quattro parti, e come sia eccentrico modificare quest'armonia, da un lato aggiugendo raddoppi superflui e dall'altro togliendo voci essenziali. Però non credo che queste argomentazioni abbiano valore agli occhi dei chitarristi che sono stati folgorati da Segovia. Il loro è un punto di vista influenzato dall'autobiografia e dai sentimenti, e farli ragionare è impossibile. Specialmente quando, come nel tuo caso, suonano in modo eccellente. dralig
  9. a livello formale? Formalmente, il pezzo (un rondò all'antica) sembra a posto, salvo un'indicazione di tempo che è fuori luogo. Non è sicuramente di Ponce l'accordo a sei note all'inizio di ogni ritornello - tipica espressione segoviana -, da ridurre a quattro parti (senza raddoppi nella quinta e quarta corda), e l'accordo successivo è incompleto (manca una parte). Cioè, si trattava di due accordi a quattro parti (equilibrati) e non di un accordo a sei e di un altro subito dopo a tre parti (il che musicalmente non ha senso). L'accordo all'inizio della misura 5 non è originale, a misura 9, sul secondo tempo, manca un'armonia, eccetera eccetera. dralig
  10. Fatto salvo il principio che l'editore - in quanto imprenditore - non può addossare agli autori il rischio d'impresa, e muoversi solo nell'area del non-rischio o del profitto garantito, gli autori di composizioni che richiedono capacità di lettura e di comprensione da parte degli interpreti, sanno benissimo di non poter fare affidamento su introiti significativi dalla vendita delle copie stampate della loro musica. Le entrate dei compositori risiedono principalmente nei diritti d'autore provenienti dalla esecuzioni e dalle registrazioni e dalle commissioni per scrivere pezzi riservati in esclusiva ai rispettivi committenti. dralig
  11. Pochissimi nel primo movimento (di natura grafica più che di sostanza), alcuni nel secondo, parecchi nel terzo. dralig
  12. Dipende. Se un autore ha effettivamente bisogno di un numero rilevante di copie per distribuirle tra coloro a cui ritiene di doverle dare, è giusto che le comperi e che le paghi (in genere, gli editori praticano all'autore lo sconto accordato ai negozi). Se invece l'autore non ha bisogno di una quantità rilevante di copie, e gli bastano le cinque o dieci copie gratuite previste dal contratto, è chiaro che, comprandone 100 o 150, sta in pratica contribuendo a pagare le spese di stampa. E, se ha stima di se stesso, non deve farlo. dralig
  13. Certo, acquistando conoscenza dello stile del compositore, si può capire, leggendo le sue opere di cui non esiste manoscritto, qual è lo strato originale e qual è lo strato segoviano. Ho fatto questo lavoro, ad esempio, per le Variazioni sulla Follia. dralig
  14. Nessun editore - né grande né piccolo - può garantire alcunché. Ciascuno deve fare la sua parte: il compositore deve scrivere musica valida, l'editore deve spendere denaro e lavoro per farla conoscere. Però nessuno dei due ha in mano le chiavi del "successo", intendendo con questo termine la buona riuscita di un sano proposito di diffusione della musica tra gli interpreti e, tramite loro, nell'apprezzamento degli ascoltatori potenzialmente interessati. Comunque, non ci sono segreti: l'editore acquisisce il copyright, e deposita alla Siae, congiuntamente all'autore, l'opera da pubblicare. La stampa a sue spese, riserva all'autore dieci copie gratuite, e divide con il medesimo i diritti di esecuzione pubblica, di registrazione e di utilizzo da parte di terzi in ragione del 50% ciascuno. Questi diritti vengono pagati semestralmente dalla Siae sia all'editore che al compositore. Inoltre, l'editore corrisponde all'autore il 10% delle vendite delle copie stampate (percentuale calcolata sul prezzo di copertina). Questo lo standard per un contratto serio, gli altri contratti sono capestri per compositori di poco o nessun valore - ma spinti dall'ambizione e, ahiloro, illusi - o molto ingenui. dralig
  15. Hoppstock ha saggiamente ripubblicato le opere delle quali aveva il manoscritto, non la Sonata III, perché il ms. della medesima è andato perso. dralig
  16. Non lo faccia. Se un editore crede nella Sua musica, lavorerà per sostenerla, cominciando con l'investire i suoi denari nella stampa, nella pubblicità e nella diffusione (copie omaggio, etc.). Se chiede contributi, è perché non si fida della musica e ritiene che non sia un buon investimento: si fa quindi pagare per non rischiare. Si può star certi che, una volta incassato il corrispettivo, non muoverà un dito per sostenere e promuovere la musica e l'autore. Chi vuole la mia musica - dice il compositore consapevole del suo valore - la deve pagare come io pago qualunque cosa che mi serve e/o che mi piace. Non defletta. dralig
  17. Io non conosco la versione del manoscritto.... è stata pubblicata o registrata? Si, è stata pubblicata da Schott in un nuovo volume di opere di Ponce a cura di Tilman Hoppstock e, prima ancora di tale pubblicazione, la chitarrista Piera Dadomo l'aveva registrata in un suo CD monografico dedicato a Ponce e pubblicata da Map. dralig
  18. Il manoscritto si trova a Città del Messico. Oneste fotocopie si trovano presso i rispettivi possessori, e quelli non affetti da gelosia rilasciano senza problemi repliche leggibilissime. dralig
  19. La mia domanda sorge dal tuo racconto degli epiteti che ti sono stati rivolti, e che tu, in alcuni tuoi messaggi, hai riferito testualmente. Ho supposto che ciò sia avvenuto in ambito scolastico o comunque formato da tuoi coetanei. dralig
  20. Ci puoi fare il necessario per essere te stesso, e non un cuneese da bettola. Tu capisci che un conto è l'ironia di un genio, e un altro conto è il dileggio di un cialtrone: del resto, mi pare che tu ne sappia qualcosa, imparato sulla tua pelle, nella scuola che frequenti, no? dralig
  21. Alla tua età, è facile sembrare volgari anche quando - come nel tuo caso -non lo si è per niente. Definire come tu fai il lavoro di Castaldi è una semplificazione grossolana, una scorciatoia che permette di usare una metafora tipica del gergo della massa, e questo è l'aspetto volgare del tuo comportamento: usare un gergo da stadio per definire un'operazione artistica. Non farlo, non perché non sta bene, ma perché non è da te: tu non sei un cialtrone, sei un ragazzo molto intelligente e dotatissimo per la musica, parla per quello che sei, non renderti simile alla maggioranza che le persone come te, se appena può, le tortura psicologicamente con la propria volgarità. Castaldi è un compositore ironico e dissacrante, certo, ma è un compositore colto, raffinato, originale, non è un centravanti o uno stopper. dralig
  22. Non direi che sia quello che tu dici. E' una contemplazione nichilista della musica tonale. dralig
  23. come ho fatto io sopra. Anche perchè così Lei fa capire che io suono anche quel tipo di brani solo per sentrimi applaudire, mentre, io credevo di essere stato chiaro nello spiegare che la mia è una scelta dettata dalla volontà di parlare a tutti (chitarristi e non) Cordialmente, Mi sembra che, sia pure tangenzialmente, si sia toccato un punto importante, che forse vale la pena di sviluppare, alla ricerca di una maggior comprensione tra i soggetti diversamente interessati al far musica. Anche i compositori che scrivono musica apparentemente difficile da comunicare tendono a comunicarla a tutti. Se non ci riescono, è a causa una serie di impedimenti culturali che si frappongono tra la loro opera e il pubblico. Tra la musica esistente nei suoi valori da comunicare e il pubblico, stanno gli interpreti. E' giusto che questi cerchino di realizzare il loro progetto di comunicazione e che, per fare questo, selezionino il repertorio che meglio lo asseconda. Tuttavia, non è male domandarsi se, nel valutare le potenziali risposte del pubblico, e la loro stessa capacità di comunicare al medesimo la musica, i concertisti non commettano talvolta errori di sottostima e non si lascino vincere dal timore di chiedere troppo, a se stessi e ai loro ascoltatori. Questa domanda non ha nulla che vedere con una censura dei cercatori di applauso a buon mercato: non è di loro che si ragiona, ma dei musicisti che possono trovarsi in bilico tra il procedere su sentieri già battuti e garantiti e il rischiare intraprendendo qualche ricerca più avventurosa. Ciascuno risponde per sé, è naturale, ma io credo che molti abbiano dimenticato di porsi la domanda. dralig
  24. Non ho risposto prima perché non avevo seguito bene il thread e mi era sfuggito il Suo invito. Me ne scuso. Albéniz è un autore tardo ottocentesco, che ha scritto principalmente musica per il suo strumento, il pianoforte, talvolta evocando atmosfere chitarristiche. La sua musica è bella, ispirata e, nella sua opera conclusiva, il ciclo pianistico "Iberia", dodici pezzi divisi in quattro quaderni, è uno dei capolavori della musica spagnola. Nessuno può mettere oggi seriamente in discussione il valore della sua opera. Le trascrizioni per chitarra di molti dei suoi lavori appartengono ormai al repertorio chitarristico per tradizione: non è più il caso di discutere se sia opportuno o no eseguirle. Piuttosto, è importante scegliere le trascrizioni migliori. Conviene studiare le prime (Tarrega trascrisse quattro pezzi di Albéniz, poi si aggiunsero le trascrizioni di Llobet e, su queste basi, Segovia elaborò le proprie, che si possono considerare come varianti delle trascrizioni dei maestri precedenti), e conviene lasciare da parte tutte le successive, che sono solo degli aggiustamenti individuali, più o meno riusciti, di quelle storiche. E' però importantissimo studiare un nuovo ciclo di trascrizioni da Albéniz realizzate dal chitarrista e musicologo statunitense (di origine britannica) Stanley Yates, che ha svolto una ricognizione completa su tutta l'opera pianistica del compositore catalano, scegliendo ben 26 pezzi. Molti di essi sono quelli già noti nelle trascrizioni storiche, ma ve ne sono altri mai trascritti prima. Yates ha fatto un lavoro molto ingegnoso e originale, diverso dai precedenti e, secondo me, decisamente migliore. Credo che, dal suo libro in poi, le trascrizioni storiche si possano considerare superate, a meno di volerle eseguire sugli strumenti d'epoca, come ha fatto molto bene Stefano Grondona. "Asturias", per esempio, è stata ri-trascritta da Yates in modo molto più efficace e musicale di quanto non risulti nella trascrizione di Segovia (che riprendeva una precedente trascrizione di Garcia Fortea). Lauro è un chitarrista-compositore con doni melodici rari, capace di scrivere piccoli pezzi molto piacevoli, ispirati e di fattura impeccabile. La sua relazione con la musica popolare venezuelana è autentica, pulita, priva di intellettualismi e di sofisticazioni, e i suoi pezzi fanno parte del repertorio latino-americano per chitarra ai suoi livelli più elevati. Credo che non abbia ottenuto risultati altrettanto validi quando ha tentato la Sonata e il Concerto. Era un caratterista e un miniaturista, e non un compositore di grandi forme. Non conosco la musica di Domeniconi abbastanza bene da potermene fare un giudizio. Ho solo ascoltato inevitabilmente il suo pezzo più famoso qualche volta nei concorsi, e mi è stata attribuita - da un collega tanto famoso quanto stupido e bugiardo - nei confronti di tale pezzo un'avversione della quale non ho mai dato il minimo segno. E' vero che ho forgiato un acrostico ("Aranbabazzolla") per etichettare il conformismo di molti chitarristi che si avventano sui pezzi alla moda, ma senza alcun disprezzo nei confronti dei titoli in questione, perché non ho nulla contro Aranjuez e contro Piazzolla (delle cui "Cinco Piezas" sono stato l'editor). Non credo, francamente, che con questo tipo di repertorio i chitarristi potrano riqualificarsi nella programmazione musicale ai livelli ai quali era pervenuto Segovia, e dopo di lui Bream. Questo non significa che tale repertorio vada scartato, e non dà diritto a nessuno di irridere chi lo suona: occorre solo essere serenamente consapevoli del fatto che la musica di intrattenimento si rivolge a un pubblico che ama essere intrattenuto, divertito, stupito, e non può quindi persuadere e convincere ascoltatori abituati ad autori e musiche di maggior spessore. Allo stesso modo, chi si dedica al repertorio più elevato del Novecento deve essere serenamente consapevole del fatto che non potrà ottenere i favori di un pubblico vasto, e dovrà accontentarsi di farsi apprezzare da chi ha sviluppato le proprie conoscenze musicali e le proprie capacità di ascolto. Non occorre che le due tendenze si costituiscano in fazione e si avventino l'una contro l'altra armate. Si possono criticare vicendevolmente e utilmente, senza ingiuriarsi. dralig
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