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Angelo Gilardino

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  1. Si, è una cosa complessa. Se vuole distaccarsene, proceda pure. Senza ulteriori annunci pubblici, auspicabilmente. dralig
  2. Sulla grandezza del primo, non corrono dubbi. Il secondo fu un eroe della resistenza. Il terzo è un grande di cui Cuneo debba fregiarsi? Me ne sfugge il motivo. Nella provincia cuneese, nacque, visse e morì Matteo Olivero, sicuramente un assai ragguardevole artista. dralig
  3. Così come per diventare concertisti occorrono un'istruzione, un addestramento, un tirocinio - ai quali poi si aggiunge l'esperienza - anche per diventare insegnanti occorre prepararsi specificamente, altrimenti si rischia di caricare sulla fase della prima esperienza il prezzo di una formazione non abbastanza specifica e incompleta. Se un insegnante che suona in modo decente, e nulla più, si proponesse di colpo come concertista, gli si prescriverebbe - giustamente - di completare la sua preparazione, non lo si manderebbe nelle sale a far esperienza. dralig Certo, mi sembra che sia condivisibile quello che dice, tuttavia, di grazia, mi potrebbe spiegare quali conoscenze specifiche posseggono gli insegnanti delle scuole medie in più rispetto ad un concertista, se anch'essi nelle graduatorie salgono di 18 punti ogni anno di insegnamento, potendo presentare 1 punto a concerto, così come può farlo un concertista, e tre punti un concorso vinto? Di grazia, Glielo spiego. Il mio ragionamento è impostato sul paradigma di una realtà ordinaria, cioè su profili professionali valutati correttamente, con senso di equità e di giustizia. Nel ragionare, non assumo come paradigmi le deformazioni che, nel valutare tali profili, e nell'assegnare loro punteggi nelle graduatorie delle scuole pubbliche, si verificano come conseguenza di manovre corporative. Il fatto che io abbia insegnato in conservatorio a partire dall'età di 40 anni, dopo che le mie innovazioni alla tecnica della chitarra allora corrente erano state sperimentate per una decina d'anni, cioè solo dopo essermi accertato della loro efficacia e della loro applicabilità in generale, e non prima (benché il mio curriculum di concertista fosse, già quando avevo 25 anni, tale da permettermi di ottenere ampiamente la famosa "idoneità artistica", necessaria per guadagnarsi una cattedra), testimonia senza ombre il mio grande rispetto per l'insegnamento come attività specifica, e non genericamente accessibile a partire soltanto dal proprio status di concertista. Così come la mia uscita per dimissioni dal conservatorio, nel 2004, testimonia il mio disagio nei confronti di una situazione nella quale era divenuto impossibile continuare a insegnare onorando i presupposti e le finalità proprie di una scuola per futuri concertisti. Quindi, caro Francesco, io non ho parlato accademicamente, ma a partire dalle mie azioni, visibili a chiunque, e ho parlato in base a principi di etica artistica e professionale che stanno al di fuori (oserei dire al disopra) delle "logiche" con le quali vengono regolate le assunzioni dei docenti nei conservatori e nelle scuole pubbliche: "Io son fatta da Dio, sua mercé, tale..." etc. etc. dralig
  4. Il decadentismo ci ha dato pagine di poesia e di prosa sublimi, e non c'entra niente con gli errori di ortografia e di grammatica, che riflettono invece quella che Pier Paolo Pasolini chiamava "degradazione antropologica del popolo italiano". "La Catedral" è un buon pezzo (piaceva anche a Segovia), ed è normale che piaccia fin dal primo ascolto. Altri pezzi, ancora più belli ma più complessi, richiedono, per essere apprezzati, un livello di ascolto più raffinato: si affretti a raggiungerlo, così potrà usufruire dell'immenso privilegio che si guadagna imparando ad ascoltare, oltre che "La Catedral", anche i quartetti di Bartok. Così vedrà che al bello non c'è limite. La ricetta su misura per Lei? Eccola: tutto il tempo che dedica a scrivere al forum di chitarra messaggi con strafalcioni "decadentistici" o "futuristici", lo trascorra invece davanti al Suo apparecchio ad alta fedeltà e scriva solo un messaggio la settimana, breve, in cui riferirà i risultati dei Suoi ascolti: d'accordo? Allora, aspetto. Per cominciare, Debussy: tutto quello che trova in dischi con "scritto sopra" (un po' di decadentismo me lo concedo anch'io) Debussy, Lei lo ascolta tre o quattro volte. Ci risentiamo venerdi prossimo e, da qui ad allora, niente messaggi, intesi? In un messaggio precedente, il Guadalquivir era diventato Guadaquivir ("al" è importante nelle parole in lingua spagnola, perché riporta davanti a un nome l'articolo "al" della lingua araba "Guad Al Quivir"), adesso si è ristretto fino a diventare Guadavir: di questo passo, me lo prosciuga, e spiazza la mia Sonata, che evoca un fiume, non un deserto. Le parole hanno un grande valore, sono belle: impari a rispettarle, non pensi che scriverle in qualche modo, storpiandole, sia indizio di disinvoltura - "tanto si capisce lo stesso" -, è invece indizio di superficialità, di pressapochismo e, in certi casi, di volgarità. Impari a scrivere bene, con pulizia, con precisione: fa parte dello stesso processo che La condurrà a capire meglio le musiche che ora non capisce. Scriva un messaggio al mese, ordinato, non tre al giorno, caotici. Si conceda questo credito. Il "volo dell'arbatro" non è, come sembrerebbe se fosse così intitolato, una variante ammosciata de "il volo del calabrone", è uno studio da concerto che s'intitola "Elogio di un albatro". Per capirlo bene, legga una pagina tratta da "Moby Dick" di Herman Melville, nella quale il protagonista-narratore, il giovane marinaio Ismael, racconta del suo primo incontro con l'albatro, il grande uccello dei mari, e dei sentimenti che questo evento suscita in lui. E' una pagina meravigliosa, di una bellezza dantesca, e lo studio per chitarra intitolato "Elogio di un albatro" è stato scritto come una cortina sonora intorno alle parole di Ismael. Nel suo "Concerto dell'albatro", Giorgio Federico Ghedini, il grande compositore piemontese della prima metà del Novecento, musicò quella pagina (nella traduzione di Cesare Pavese) per voce recitante, trio di violino, violoncello e pianoforte e orchestra. Riascolti il pezzo per chitarra dopo aver letto Melville, poi, se vorrà, ne riparleremo. dralig
  5. Posso assicurare che, nel mio linguaggio musicale, un'espressione corrispondente a quello che è nel linguaggio parlato "su a che" non troverebbe mai posto. Mi scuso per aver colto solo molto tiepidamente l'opportunità che mi è stata offerta. Un forum non è un luogo per conferenze sulla propria musica. Così come si impara a suonare, si impara anche ad ascoltare, e si migliora la propria comprensione di ciò che si ascolta (o si legge). Definitiva non direi. Chi è in grado di capire una costruzione può spiegare come e perché non gli piace, ma non dovrebbe attestarsi sulle sue posizioni presumendo che siano definitive. Un vecchio adagio dice che solo gli imbecilli non cambiano mai idea. Per stare nel piccolo mondo della chitarra, Segovia emise giudizi incineranti sulla musica di Villa-Lobos, ma, nel tempo, ebbe modo di correggerli e scrisse, per la pubblicazione dei Dodici Studi, una prefazione lusinghiera. Era un voltagabbana, una banderuola, un opportunista? No, era un uomo che stava seguitando una sua ricerca e, nelle varie tappe della medesima, ebbe modo di cambiare opinione su parecchi argomenti (naturalmente, questo accadde perché era una persona di somma intelligenza). dralig
  6. Così come per diventare concertisti occorrono un'istruzione, un addestramento, un tirocinio - ai quali poi si aggiunge l'esperienza - anche per diventare insegnanti occorre prepararsi specificamente, altrimenti si rischia di caricare sulla fase della prima esperienza il prezzo di una formazione non abbastanza specifica e incompleta. Se un insegnante che suona in modo decente, e nulla più, si proponesse di colpo come concertista, gli si prescriverebbe - giustamente - di completare la sua preparazione, non lo si manderebbe nelle sale a far esperienza. dralig
  7. Si può scrivere musica con il possesso di una buona tecnica compositiva ma con poche idee, o con idee prese a prestito da altri. Sarà musica decente, noiosa, in fondo inutile o quasi. Si può tentare di comporre a partire da un'idea - magari fresca - senza disporre di una adeguata tecnica compositiva. L'idea non andrà al di là del proprio enunciato, e lì si fermerà: per proseguire, l'autore dovrà creare un'altra idea (che abbandonerà, come la precedente, subito dopo averla enunciata), oppure menerà il can per l'aia, con digressioni prive di senso, oppure ricercherà qualche effetto irrelato con l'idea primaria, per buttar fumo negli occhi a se stesso e ai suoi ascoltatori. E' quello che succede nella maggioranza delle composizioni scritte dai chitarristi che si improvvisano compositori: scrivono successioni di gesti "ideati" sullo strumento, ma non organizzati in una forma, non partecipi di una costruzione. Queste due posizioni sono abbastanza evidenti nel repertorio chitarristico, che è pieno di musica artigianale ma priva di creatività e di musica naif sprovvista di decenza compositiva. Un'idea che sorge da sé dà luogo a un motivo, a una successione di accordi, a un ritmo: due battute, forse una sola. Da lì in poi, immaginazione e tecnica procedono senza distinguersi: non è possibile stabilire dove operi l'una o l'altra, perché operano sempre di concerto, e quando manca una delle due, il risultato è scadente. dralig
  8. Te lo immagini un compositore che, alla domanda, rivoltagli in pubblico, di spiegare come scrive, si dichiara investito del dono di Dio? Nella legislazione italiana, esiste il reato di oltraggio al pudore, credo. Quanto al cuore, il mio è orientato al contrario, cioè verso destra, e quindi vado soggetto a terribili angine ogni volta che mi si forma una bolla d'aria nello stomaco. Quindi, deglutisco con estrema cautela. E' tutto quello che so dirti del cuore, ma - confermo - nella composizione musicale il suo apporto è indispensabile, perché, se si fermasse, temo che il compositore sarebbe costretto a interrompere il suo lavoro, temporaneamente o definitivamente. dralig
  9. La Suite fur Gitarre allein di Krenek si presta molto bene a un'analisi esemplificativa della tecnica seriale. Ieri mattina il maestro Biscaldi, in visita, mi faceva notare un pesante errore di stampa da lui rintracciato grazie all'analisi della serie (e non rintracciabile altrimenti). dralig
  10. Posso, ma non mi piace farlo qui e ancor meno mi piace analizzare le mie composizioni. Lei ha un eccellente maestro, che tra l'altro esegue benissimo molti miei lavori, domandi a lui. dralig
  11. "A caso" è una locuzione che, nel lavoro di un compositore, non può esistere. Tutto dev'essere sotto controllo, ogni nota al suo posto, con un perché, e tutte le relazioni devono essere calcolate e controllate. Altrimenti, un buon impiego in banca o, se uno ama viaggiare, in ferrovia, sono senz'altro più adatti. dralig
  12. A volte (Sonata n. 1) sovrappongo nella stessa armonia due modi diversi; a volte - più spesso - a partire dalla stessa nota, costruisco, avvalendomi di scale modali diverse, linee simili ma non identiche. Non uso, di regola, la tonalità, se non in modo allusivo - p. es. simulo una cadenza, ma poi non ne adopero i risultati. Qualche volta però (Studio "Tema con variazioni" in omaggio a F. Sor, Sonata n. 2) adopero la tonalità con qualche licenza. Quando impiego le scale cromatiche, non mi muovo in ambito modale né, tanto meno, tonale, ma in ambito atonale, con uso di serie incomplete. dralig
  13. No, io non scrivo musica seriale in senso stretto, anche se talvolta adopero la serie, ma senza vincoli e impedimenti dogmatici. Scrivo a volte adoperando la scala cromatica, in un'area atonale, altre volte adoperando le scale modali (con eventuali mescolanze tra modi diversi), il che può far sembrare che io adoperi due stili diversi, mentre in realtà costruisco sempre con gli stessi procedimenti. Tengo molto invece a dare a ogni lavoro un carattere proprio, non ripetitivo di lavori precedenti, e per questo scrivo meno di quello che potrei se fossi più indulgente nei confronti delle repliche, che invece evito come la peste. Il mio modo di organizzare i suoni viene da uno studio scolastico e da una mia spontanea adesione al modo di comporre di alcuni maestri del primo novecento, che ho preso a modelli: Bartok, Prokofiev, Stravinskij, Ravel, Falla, Ghedini. Poi, ho elaborato un mio stile, e con quello campo, senza curarmi di due opposti tipi di critica: quella che mi rimprovera di essere troppo legato alla tradizione e quella che mi rimprovera di scrivere musica troppo difficile. Credo nei valori della forma, dell'espressione dei proprii pensieri musicali e - senza bisogno di impormelo - punto a scrivere musica ascoltabile da parte di chiunque abbia una certa dimestichezza con il Novecento. La mia musica piace molto anche ai musicisti di jazz e di rock. Compongo a memoria, controllo quello che scrivo con l'orecchio interiore, posso scrivere in qualunque condizione (anche su un treno, pur di avere carta e penna) e, per quanto riguarda la chitarra, penso e diteggio a mente, senza bisogno di imbracciare lo strumento. Adopero sia la penna che il pc, e porto avanti i lavori con entrambi i mezzi. Spero di aver risposto in modo soddisfacente per chi ha posto la domanda. dralig
  14. Le credo, invece. E plaudo alla Sua decisione - saluberrima - di studiare composizione: se terrà duro, sarà senz'altro un chitarrista diverso dalla massa, e magari, chissà, un compositore. dralig
  15. Si, ma se, nella scena finale, mentre risuona il Deguello, io devo battermi con un chitarrista più veloce di me nell'estrarre, come andrà a finire? Come posso difendermi io, a Dallas o a Tucson o a San Antonio o a Laredo, dove le discussioni si fanno "chitarra alla mano"? E Lei, caro Francesco, è sicuro che, dalle Sue parti, non ci sia qualcuno più veloce nel maneggiare "il nostro strumento"? (la trasparenza della metafora freudiana è crudele, ma i gagliardi suonatori la ignorano, e credono, in pubblico, di esibire solo le mani). dralig
  16. Non esageriamo. Se suonassi la chitarra una volta la settimana, andrei in superallenamento. Una volta al mese, è il massimo che posso raggiungere, di questi tempi. Quanto all'insegnamento, mi sono ritirato da tutte gli incarichi ufficiali, sia presso il conservatorio di stato che presso le accademie private. Mi limito a tenere un corso annuale nella mia città, a numero chiuso (sei allievi, quest'anno), per rispondere ad almeno una parte minore delle richieste di lezioni che ricevo ogni giorno, pur essendo nota e conclamata la mia condizione di ex-chitarrista che molto difficilmente, durante una lezione, prende in mano lo strumento, e se lo fa, è solo per qualche istante, a supporto di una spiegazione. Essendo il "mondo della chitarra" decorato da numerosi leoni rampanti, che offrono (con buone ragioni) il loro insegnamento insieme ai loro (brillantissimi) concerti, l'idea di venire a studiare con me, che non suono più dal 1981, è davvero bizzarra, e non sono stato io a diffonderla. dralig
  17. Non lo concepisce, ma lo fa, perché scrive pubblicamente le sue opinioni su autori e opere. dralig
  18. Anche quella di chi scrive recensioni a titolo professionale è un'opinione, nessun esponente della categoria - per quanto arrogante possa essere - ha mai preteso di dire l'ultima parola sull'opera recensita. Anzi, è comunemente acquisito, e non da poco tempo, il fatto che il recensore o il critico non rappresentano l'ultima istanza del processo culturale che si verifica intorno a un'opera, ma si collocano essi stessi, con i loro scritti, nel flusso di un dibattito in cui, nella stessa misura in cui sono critici, automaticamente diventano criticabili. In altre parole, anche la critica e la recensione sono delle performances, o delle opere, infatti possono essere scritte bene o scritte male, con o senza stile, in modo rigoroso e coerente oppure pretenzioso e fatuo, etc. , ed essere a loro volta prese a modello oppure ignorate o stroncate. Quindi il diffidare a priori delle recensioni e dei recensori come categoria ha lo stesso senso che avrebbe il diffidare delle opinioni di chiunque, prima ancora di averle ascoltate. Cioè, a dirla in breve, non ha nessun senso. dralig
  19. Sarà meglio che tu frequenti persone meno "provvedute". dralig
  20. ...e lo fa sapere, qui sul forum, senza remore: dunque, recensisce, eccome. Ma, secondo Lei, dei recensori non c'è da fidarsi. Dunque, che cosa deve fare chi legge le Sue recensioni? Fare, per Lei, un'eccezione alla regola del non fidarsi, e credere a quello che scrive, oppure diffidare anche di Lei? dralig
  21. Grazie Giulio per il link - io non mi sentivo autorizzato a proporlo e, d'altra parte, pensavo di non poter riprodurre, dall'articolo, più di una citazione (timori di un vecchio che ha lavorato una vita per gli editori). dralig
  22. Ha detto bene, non capisce. Allora, cerco di spiegarGlielo. E' chiaro che, alla mia età, e anche molto prima, chi "produce" in campo artistico si è assuefatto agli elogi e alle detrazioni, e non ci bada particolarmente, a meno che le critiche negative non sconfinino nell'ingiuria personale (accade più spesso di quanto non si pensi), nel qual caso è opportuno "mettere al loro posto" i "critici". Il punto è un altro. Il mondo della musica colta tiene la chitarra, i chitarristi e i compositori di musica per chitarra ai suoi margini. E' sufficiente aprire una delle enciclopedie italiane della musica (Deumm, Garzanti, De Agostini, Rizzoli, etc.) per constatare la ridottissima presenza del "mondo della chitarra" in pubblicazioni che rappresentano la musica agli occhi non solo dei musicisti, ma anche delle persone di buona cultura che desiderano informarsi. Questa è la realtà: fare il chitarrista e ignorarla è cosa da ingenui o da sciocchi. Il pericolo per chi, essendo compositore, si dedica principalmente a scrivere musica per e con chitarra, è quello di rimanere sommerso, agli occhi del "mondo musicale", nella indistinta pletora dei chitarristi - siano essi virtuosi o, come dice il recensore di "Musica", "prestati alla composizione", e lì rimanere, anche se la propria musica, per contenuti e forma, non ha nulla da invidiare a quella di compositori che, scrivendo per altri strumenti, hanno normale accesso alla vita musicale. Questo è il punto, e il ricevere da un critico rispettato che si occupa di musica in generale e non di chitarra, un segnale forte e chiaro, con il quale gli si dà atto che quello che scrive è musica, e non "raclerie universelle", è, per un compositore rivolto principalmente alla chitarra, un sollievo. Se Lei non capisce, pazienza. Io invece capisco, e so quando è ora di marcare un punto. Ho riferito qui il giudizio del critico perché mi sembrava significativo nei confronti della musica per chitarra, come segno di attenzione, di apertura e di disponibilità a capire. Perché? "Quello che recensisce" non è una persona? Nel momento in cui ha preso la penna in mano ha perso il battesimo? Lei se ne intende di musica? Se si, nel momento in cui scrive - e Dio sa se lo fa spesso - il Suo giudizio diventa inferiore a quello di una persona qualsiasi? E se non se ne intende, perché scrive? dralig
  23. No, non è meglio evitare. Non lo fu per Fernando Sor, che - lo leggiamo chiaramente nelle accorate e furenti parole del suo metodo - si trovava esattamente nella stessa situazione: un compositore vero, e un maestro della chitarra, che scriveva musica vera, circondato da una pletora di dilettanti che si agitavano, sia per valorizzare le loro pseudo-composizioni che per sminuire il valore delle sue. Avrebbe dovuto scrivere di più e polemizzare di meno (se oggi sappiamo dell'esistenza di quei tipi è solo perché lui si diede l'inutile pena di informarcene, altrimenti sarebbero sprofondati nel nulla), ma dobbiamo comunque riconoscergli il merito di non essersi accasciato a causa dell'assedio del chitarrume, e di aver scritto la sua bella musica per chitarra, non grazie ai chitarristi, ma nonostante loro. Occorre rendersi conto di qualcosa di molto importante: la chitarra ha avuto il momento aureo dei compositori come Sor e Giuliani, poi è venuto il momento aureo dei compositori come i molti che, da Falla a Berio, hanno nobilitato il repertorio "dall'esterno", cioè con una pura speculazione compositiva, senza conoscere "dall'interno" i segreti dello strumento. Oggi, caro Fabio, è il momento dei compositori che hanno capacità speculative puramente musicali e che hanno anche il dominio della chitarra "from within": è una specie rara (per ogni Bogdanovic ci sono cento autori di babefritte da festival chitarristico), ma è a essa che è affidata la nuova musica per chitarra. Se i pochi che incarnano questa categoria si ritirano per sgomento di fronte al chitarrume, la partita è davvero persa: il chitarrume è una disgrazia, certo, ma ricordi Baudelaire: un genio non si abbatte per un paio di disgrazie. E, anche senza essere un genio, chi sa deve testimoniare. dralig
  24. Come si dice in gergo, "quando ci vuole, ci vuole". Non è il fatto di essere elogiati, ma il fatto di essere riconosciuti nella propria specificità, nel proprio profilo personale, e di essere distinti da una categoria alla quale non si vuole appartenere semplicemente perché si è diversi nelle viscere, nella mentalità, nella formazione, nella cultura, nel modus operandi e perfino nel tratto personale - è tutto ciò che fa tirare un sospiro di sollievo e induce a esclamare: finalmente! In presenza di recensioni, è la seconda volta in 25 anni che mi accade di respirare a pieni polmoni l'aria di casa: la prima volta, fu quando lessi l'articolo che Bruno Bettinelli aveva scritto ne "il Fronimo" per le mie prime due Sonate. Ci voleva! dralig
  25. Il che ci induce a constatare come, nel suo saggio realismo, Segovia sapesse benissimo qual era la situazione dei suoi "perfezionandi". Basta, del resto, guardare i programmi di ammissione ai corsi dell'Accademia Chigiana: i pianisti, i violinisti, etc., dovevano, per essere ammessi come allievi effettivi, suonare pezzi pesantissimi dal repertorio, mentre, ai chitarristi, Segovia chiedeva di eseguire le scale, gli arpeggi e - micidiale - qualche preludio di Ponce (dalla serie che lui stesso aveva etichettato come "facili"). Una curiosità: nel leggere il programma di ammissione scritto a mano da Segovia, un impiegato della Chigiana decifrò in modo errato il nome "Milan" (Luis de Milan), scambiando la "a" (che Segovia scriveva come la alfa dell'alfabeto greco) per una "t", e la "n" finale per una "u": ne uscì - stampato nei programmi - il nome di un ignoto compositore chiamato "Miltu", che precedeva il nome del vihuelista Bermudo. Anni dopo, una chitarrista che raccontava degli elogi ricevuti da Segovia, li diceva motivati anche dal fatto che lei - allieva modello - era l'unica tra i presenti ad aver cercato, senza trovarle, le opere di Miltu. L'aveva detto al maestro il quale, con grave serietà, le aveva raccomandato di cercarle ancora - magari, le disse, in Giappone. dralig
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