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Angelo Gilardino

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  1. Llobet lasciò una figlia. Miguelina. Fu lei la sua unica erede. Evidentemente, costei non ebbe una famiglia - non ne ho certezza documentale, ma credo che sia stato così - e questo spiega l'oblio in cui cadde la tomba. dralig
  2. Maurizio Baglini, un pianista che sa il fatto suo. dralig
  3. Più di uno. Gli ho dedicato un brano per chitarra sola che mi aveva richiesto lui stesso, per un'antologia di compositori contemporanei che avrebbe poi pubblicato presso Mel Bay. Il brano s'intitola "Winterzeit", fu scritto nel 2000 ed è una meditazione su un motivo di Robert Schumann, precisamente sul brano per pianoforte così intitolato nell'album per la gioventù. La richiesta di Yates mi giunse in un periodo in cui stavo ascoltando - anzi, fresandolo a furia di ascoltarlo - il disco LP di Benedetti Michelangeli con quel pezzo. Era da nove anni che non scrivevo un pezzo per chitarra sola, e disperavo di poterlo fare. Invece, con quel pezzo mi riaffezionai alla chitarra sola e negli anni seguenti scrissi parecchie altre composizioni per sole sei corde. Nel 2004 scrissi "Ikonostas", e la dedicai a Yates perché mi aiutò nel mettere a punto alcune diteggiature che io avevo in mente, ma alle quali lui mi suggerì alternative migliori. Era la prima volta che scrivevo per l'accordatura in sol e avevo bisogno di aiuto. Yates si era impratichito della chitarra russa e mi diede una mano. Infine, gli ho dedicato - un po' ironicamente - la mia versione per flauto, viola e chitarra di "Asturias". L'ho fatto perché lui ha realizzato una bella trascrizione per chitarra sola, e allora l'ho un po' provocato. Va da sè che è un amico e un ottimo interprete della mia musica. dralig
  4. Quando questo cd uscì, gli stessi spagnoli ne rimasero stupefatti, fece davvero un gran clamore. Davvero un cd importante da possedere. I pianisti spagnoli storici fecero mirabilie con i loro autori. Cominciarono Ricardo Viñes e Joaquin Malats (l'autore della famosa Serenata fu il primo interprete del ciclo "Iberia" di Albéniz), poi vennero pianisti del calibro di Eduardo del Pueyo, e il vertice fu toccato, intorno alla metà del secolo, dal fenomenale Gonzalo Soriano, un genio del pianoforte che non volle percorrere le tappe di una carriera internazionale perché - pare - gli piaceva troppo star bene nella sua Alicante...Conosciamo tutti Joaquin Achucarro e Alicia de Larrocha, ma io ho avuto il privilegio di ascoltare anche (quando sia lui che io eravamo giovani), Rafael Orozco, al quale ora è già intitolato un conservatorio a Cordoba (Dio l'ha chiamato a sé molto presto). Ricordo una sua esecuzione di "Corpus Christi en Sevilla" di Albéniz, alla fine della quale avevo i brividi... E comunque, non dimenticate "Rumores de la caleta" suonata da Arturo Benedetti Michelangeli. Metafisica del pianoforte. dralig
  5. Mi pare che questo sia il punto. E' sufficiente, nella vita, saper far bene il proprio mestiere, uno solo può bastare, non c'è da aver paura ad ammettere che non se ne sanno fare altri: io questa paura non ce l'ho. Non so nulla di musica elettronica - salvo quello che ne può sapere un ascoltatore qualsiasi - e, rispetto a quello che io considero il mio mestiere di compositore, non avverto questa ignoranza come una lacuna: non intendo scrivere musica elettronica. Il punto che io sollevo da tempo è un altro, ed è semplicissimo: chi compone deve essere istruito nella composizione. Se non lo è, non componga. Se compone lo stesso, non pretenda di essere preso sul serio. Se qualcuno finge di prenderlo sul serio, non si illuda: il problema è sempre lì. Culturalmente, non c'è diversità tra chi compone "gestualmente" - e pretende che i suoi articoli siano considerati composizioni - e un tizio che, un bel giorno, decide che è diventato di colpo architetto. Gli lasciassero progettare un pollaio, povere galline! In arte, questo modo di agire non è sanzionato dalla legge, il tizio viene lasciato a piede libero e circola tra noi. Posso dire che non ci voglio avere che fare, per nessuna ragione? Io scrivo musica ricollegandomi al profilo artigianale, al mestiere, di coloro che considero gli ultimi maestri della storia della musica: Schoenberg, Berg, Bartok, Ravel, Hindemith, Prokofiev, Stravinskij, Falla e altri della stessa tempra. Rispetto compositori successivi, dal valore indiscutibile, come Petrassi e Ligeti. Nel panorama contemporaneo, apprezzo coloro che hanno acquisito un buon mestiere - la settimana scorsa facevo il nome di Solbiati, parlando di compositori italiani attivi - e non gli altri, quelli che la danno a bere: agli uffici cultura dei partiti che finanziano i festival con il denaro pubblico, ma non ai musicisti e tanto meno agli ascoltatori. I quadri di Squittinna, io no li compero e non li guardo, nemmeno riprodotti. E non c'è discorso dipartimentale che possa farmi cambiare idea. dralig
  6. gli abbelliemnti su 2 corde mi sa che non li ha inventati lui... l trillo su due corde lo ha inventato Mauro Giuliani - o perlomeno non si conosce altri che prima di lui lo abbia esplicitamente prescritto. dralig
  7. Comporre è un mestiere. Ci sono tanti modi di impararlo, ma non c'è modo di esercitarlo se non lo si è imparato: questo e solo questo è il crivello che discrimina chi è compositore da chi non lo è. Così come non si va nel laboratorio di un calzolaio a farsi curare i denti e nello studio di un dentista a farsi risuolare le scarpe, non si considera composizione "qualcosa" scritto da chi non ha imparato a scrivere musica. E' semplice e inequivocabile. Un foglio di carta con delle note sopra parla chiarissimamente. E dice tutto. dralig
  8. Dobbiamo inoltre considerare un fatto importante, del quale finora non si è detto nulla: comporre con uno strumento alla mano può risultare effettivamente utile solo nel caso in cui si stia scrivendo un pezzo per quello strumento e basta. Se si scrive anche solo per un duo di violino e pianoforte, adoperare il pianoforte porta il compositore in un ambito fittizio, in cui solo la parte pianistica è rappresentata realmente, mentre l'altra è simulata. A questo punto, a che cosa serve lo strumento? Serve solo nel caso in cui l'autore non riesca a scrivere correttamente le note che pensa: ma allora, non è un compositore, deve tornare al corso di solfeggio e dettato musicale. Lo stesso discorso vale per i programmi di notazione con annesso playback: lì la simulazione è ancora più insidiosa, perché con Finale si può scrivere una scala cromatica per arpa, con semicrome in tempo rapido: il programma la farà ascoltare impeccabilmente, ma in realtà è una cosa ridicola oltre che impossibile. Quindi, nel caso di uno Stravinskij, possiamo concludere che il pianoforte è un appoggio esterno (Castelnuovo-Tedesco non usava il pianoforte per comporre, ma fumava, ed era praticamente la stessa cosa, se non che gli abbraviò la vita). Dobbiamo fare un'eccezione per i chitarristi-compositori che cercano le idee sulla tastiera e poi trascrivono le note trovate con le dita? Siamo seri, se quelli sono compositori, allora io sono il centravanti della nazionale. dralig
  9. La prassi esecutiva barocca è abbastanza ben documentata da alcuni trattati, ma questi non riguardano la fattispecie dell'esecuzione chitarristica. Nell'adottare tali prassi, è importante tenere conto di alcuni fattori importantissimi, che poi determinano in pratica il modo di eseguire gli abbellimenti e di aggiungere eventualmente le ornamentazioni non scritte. Il fattore più importante è la strumentalità. Gli abbellimenti venivano scritti (o improvvisati) sulla tastiera del clavicembalo si in base a un criterio estetico, ma sempre e comunque anche in base a un criterio di praticità e di efficacia. La condizione primaria dell'abbellimento è la sua spontaneità digitale: il cembalista lo colloca in corrispondenza alla disponibilità delle dita, alla convenienza delle alternanze, e non dove risulta digitalmente problematico. Quindi, nell'eseguire con la chitarra le musiche scritte per altri strumenti, è del tutto legittimo conservare gli abbellimenti originali solo nella misura in cui combaciano favorevolmente con le diteggiature chitarristiche. Altrimenti, è lecito sopprimerli. Così come è lecito collocare abbellimenti non scritti dove la diteggiatura li mette sul piatto d'argento. I trilli cadenzali vanno suonati in genere forte, e con la chitarra spesso ciò non è possibile. Piuttosto che un trillo abbreviato e stenterello, è meglio lasciare la cadenza non ornata. dralig
  10. mi chiedevo se, nel caso di brano edito, possa bastare la sola autorizzazione dell'autore (e non anche dell'editore)... No, non basta, perché l'editore è spesso comproprietario o addirittura proprietario dell'opera, e all'autore vanno soltanto delle partecipazioni (in genere il 50% dei diritti di esecuzione e registrazione e il 10% o meno del ricavo delle vendite cartacee). E questa categoria di autori è considerata in grazia alla fortuna, perché ormai molti autori pagano gli editori per essere pubblicati, e non prendono un centesimo. dralig
  11. Lo strumento per i quale si scrive dev'essere sempre presente - è ovvio, altrimenti si rischia di scrivere qualcosa che non funziona. Quando si dice comporre senza strumento, non s'intende dire "ignorando lo strumento", ma "senza averne bisogno": sono due cose ben diverse. Il compositore che si è formato provenendo dalla pratica della chitarra invece che da quella del pianoforte, proprio in quanto ha un cervello da compositore, dopo qualche anno passato a suonare e a leggere musica con la chitarra, ha assimilato lo strumento nella propria mente (gli psicoanalisti di vecchia scuola direbbero che l'ha "introiettato"), al punto che può immaginare perfettamente una tastiera di chitarra e i relativi suoni, senza aver bisogno di imbracciare lo strumento. Il compositore immagina i suoni e li scrive, e se scrive per chitarra, nel momento stesso in cui scrive le note, immagina automaticamente anche la tastiera e la diteggiatura, e magari scrive anche quella - t per informare il futuro lettore di quello che aveva in mente mentre scriveva. Questo s'intende per comporre senza strumento: far ricorso a uno strumento virtuale che si ha nella propria cognizione, e che esime dalla necessità materiale di suonare materialmente quello che si scrive. E' una condizione ideale? No, è normale. D'altronde, quando si compone, che so, per quattro chitarre, che si fa, si convoca un quartetto? Nulla che vedere con l'operazione del cercare su una chitarra note che altrimenti non verrebbero mai in mente, e nel trascrivere su un incolpevole pentagramma i risultati di tali operazioni babbuinesche: chiamare composiitore chi adopera un processo del genere è come chiamare Schumacher uno che sale su un taxi. dralig
  12. In realtà, credo che sia molto arduo immaginare un grande interprete al di fuori dello specifico strumento con il quale si è manifestato. Lipatti e Michelangeli - e potremmo aggiungere una mezza dozzina di altri artisti di quella caratura - li conosciamo sotto specie pianistiche, come figurarsi un loro suono violinistico, o chitarristico, o una loro voce? Proprio perché mi sento di riconoscere il loro sound pianistico tra mille altri, avendone colto la cifra irripetibile, non riesco a "sentirlo" diversamente da come in effetti era e, grazie alle incisioni, almeno in parte continua a essere. Il concerto di Grieg suonato da Lipatti, e quello di Ravel suonato da Michelangeli, sono monumenti della storia del pianoforte. dralig
  13. No, non è l'unica registrazione degli Studi di Sor, ma Christensen sapeva il fatto suo e i dischi che ha lasciato meritano di essere ascoltati. dralig
  14. Certo. Io io ho in uno dei "cancioneros" spagnoli. Lancia una ricerca con google e probabilmente li trovi anche in Internet. ag
  15. E' una nota critica, non in se stessa, ma come armonica particolarmente intensa della sesta corda a vuoto. L'armonica in doppia decima maggiore è, in certe chitarre, così intensa da trasformare automaticamente il solo mi basso in un bicordo maggiore non controllabile, con risultati strazianti quando tale armonica risulti incompatibile con l'armonia. Ho ascoltato una volta il primo preludio di HVL in versione bitonale... dralig
  16. Tocca ai liutai fare la necessaria sperimentazione: se altre essenze risultassero altrettanto resistenti, magari concorrendo a migliorare il suono, chi mai le rifiuterebbe? Certo, in mancanza di risultati sperimentali certi, non si può chiedere agli strumentisti di comperare chitarre con tastiere dalla tenuta e dalla durata affidate alla speranza... dralig
  17. Non sono in grado di stabilire se Llobet non agì più incisivamente sul mondo musicale a causa di pigrizia o di mancanza d'intuito. Certo questi non erano i problemi di Segovia, che era brillante e perspicace. Llobet andò in Sud America non per scappare, ma per dare concerti: il suo "agente" (per così dire) era il padre della Anido, che gli organizzava il lavoro in Argentina, dove del resto, una quindicina d'anni dopo, incominciò a recarsi anche Segovia. Il quale però non lavorava per un organizzatore-chitarrista, ma per le agenzie concertistiche più potenti: fu proprio questa capacità di collocarsi ai livelli massimi della vita musicale, che fece di lui il vincitore. Tra lui e Llobet ci fu inizialmente, a Barcelona, un rapporto cordiale, diciamo cameratesco - come poteva esserlo tenendo conto della differenza d'età e del fatto che Llobet non poteva non rendersi conto di quello che stava succedendo...A leggere Segovia, la zizzania fu sparsa dalla moglie di Llobet, che vedeva il giovane andaluso come il fumo negli occhi. E la si potrebbe, se non giustificare, comprendere... dralig
  18. Effettivamente nella prefazione, firmata dalla moglie/figlia, spiega la questione del manoscritto e dell'edizione pubblicata dalla Universal. Dice anche che Martin approvò la trasposizione a un ottava piu bassa delle battute 16-20 del Plainte. Questo significa che Martin non approvò i restanti cambiamenti? Bisognerebbe sapere - e purtroppo non lo sappiamo - rispetto a quale proposta Frank Martin approvò la trasposizione. Che cosa gli fu detto, e da chi? In base ai documenti che possiamo leggere, ci risulta che la versione originale fu revisionata in primis da José de Azpiazu, e che questi si indignò quando vide la sua revisione pubblicata da Universal con il nome di un altro revisore. In quale modo Azpiazu prospettò la questione a Martin, quali alternative gli offrì? Su quali basi fu rilasciata l'autorizzazione da parte del compositore? Richiamandomi a quanto ho detto prima, se io avessi dovuto revisionare quei pezzi, non avrei detto al compositore: come è scritto quel passo è impraticabile. Gli avrei detto, invece: capisco la Sua necessità compositiva di adoperare il registro acuto per creare una sezione diversa dalla precedente, aumentando la tensione drammatica. Purtroppo, non è possibile accogliere interamente la Sua versione, e allora Le propongo un compromesso. Manteniamo il registro acuto solo nella parte superiore, e gli accordi mi-la-re-sol-li li trasportiamo all'ottava inferiore, adoperando le corde a vuoto, dove suonano benissimo, soprattutto in combinazione con le note sovracute sul cantino. Così, Lei ottiene la Sua diversificazione formale ed espressiva, e noi chitarristi possiamo far suonare la chitarra. Non potremo però mantenere questa soluzione nelle battute 19-21, dove l'accordo, formato dalle note sib-mi-lab-do ci obbliga a rinunciare alle note sovracute nella parte superiore. Eseguiremo quindi, in quell'armonia, anche le note superiori all'ottava inferiore. Tuttavia, riporteremo il soprano all'ottava superiore alla fine della sezione, suonando i "mi" con armonici: in questo modo, potremo collegarci alla cadenza successiva, quella in terzine, che inizia per l'appunto con un mi acuto. Arrivarci dall'ottava inferiore sarebbe infatti una soluzione molto goffa (qual è appunto quella dell'edizione Universal). Spero, con questo piccolo esempio, di averLe reso chiaro qual è il compito del revisore, e che cosa dobbiamo capire noi, oggi, in prospettiva storica, quando ci si vuole far constatare - come fa il buon Bonaguri - che una determinata revisione è stata approvata dal compositore, e quindi sostituisce legittimamente l'originale... Qual era l'alternativa offerta a Ponce, qualora non avesse accettato le modifiche di Segovia? Chi altri avrebbe preso cura della sua musica, suonandola, incidendola, pubblicandola? Lei, nei panni di Ponce, che cosa avrebbe fatto? dralig
  19. Verissimo. Una precisazione: il tema a cui lei fa riferimento è quello della straordinaria ballata conosciuta con il nome, guarda caso, de “Il testamento dell’avvelenato” la cui diffusione (dagli Stati Uniti all’Inghilterra colonie comprese) è testimoniata da differenti versioni del medesimo modello letterario cche però sembra essere di origine italiana (la fonte sembrerebbe essere una canzone, documentata, della prima metà XVII°secolo). Non è difficile, leggendo questi testi, individuare i vari livelli di stratificazioni epocali - spesso, in una ballata soltanto la prima strofa è nata insieme alla melodia, e le strofe successive sono invece parodistiche, e ben più tarde. Me ne sono accorto molti anni fa, analizzando il testo strofico della canzone (certamente più antica di quella del cavaliere avvelenato) del giovane re guerriero (il cui cognome è lo stesso che io porto) che, ferito in guerra, torna a casa a morire dalla madre. Nelle strofe successive, si svolge un dialogo tra madre e nuora, il quale farebbe supporre che, in punto di morte, il giovane re abbia scelto di andare dalla madre invece che dalla moglie. Ma è un inganno. Originaria è solo la prima parte della narrazione, la seconda e la terza sono evidentemente posteriori, e aggiungono un dialogo tra madre e nuora, poi tra sposa e chierichetto, del tutto irrispettoso del fatto che il re è anche un marito. Interessante è, in questa ballata, la forma ternaria del periodo musicale. dralig
  20. Le "Canciones" sono diverse dagli altri pezzi perché diverso è il punto di partenza. Armonizzare una melodia popolare in forma strumentale - prescidendendo dalla voce umana e dal testo - è cosa ben differente dallo scrivere un brano strumentale partendo da zero, e quindi Llobet ha forgiato un'armonia e uno stile chitarristico adatti allo scopo. Non è difficile capire il suo modus operandi: citando la melodia nella chitarra egli non fa altro che darsi un percorso lineare che non è di per sé un valore estetico. Lo diventa dal momento in cui egli inventa le sue armonie chitarristiche intorno a quel profilo. E' un processo molto delicato, il suo, che cammina sul filo del rasoio...Alla fine ci si accorge che è come se avesse iniziato da zero, la melodia popolare in sé non conta nulla, è solo il suo "trattamento" che costituisce l'opera. Nella composizione che Lei cita ci sono gli armonici, si, come in quasi tutte le altre canzoni: fu Llobet a farne dei protagonisti nel corpo della frase musicale, mentre prima di lui gli armonici erano colori aggiunti ai margini (non bisogna però dimenticare quel diavolo di Sor). Senz'altro è il pezzo più elaborato della raccolta, il più ampio e vario. Non risulta che lo sia stato. Da bambino, disegnava. Ma non sembra che abbia mai coltivato questo talento, né si è mai saputo di un suo dipinto, anche solo di un pastello. dralig
  21. Ovviamente, è meglio rispettare, fin dove possibile, l'originale. La revisione pubblicata da Universal, nell'ultima ristampa, dà conto delle differenze tra originale e testo revisionato. dralig
  22. Tarrega fu un artista tardo romantico ignaro dei cambiamenti che, alla fine del secolo XIX, incominciavano a delinearsi nella musica e nelle arti. Da buon romantico dell'ultima ora, coltivò l'intimismo, il folclorisimo, il nazionalismo e l'esotismo (in quella particolare visione del romanticismo iberico, oggi chiamata dagli storici "ahlambrismo"). Non ebbe mai percezione della "modernità": al massimo, arrivava a Wagner e a Bizet. Llobet fu un artista della generazione successiva, e andò giovane a Parigi: suonò per Debussy (Tarrega al massimo ne aveva sentito parlare), conobbe la nuova musica francese, la assorbì, fu un uomo del suo tempo. Ovviamente, la sua musica è imbevuta di tutto ciò, è fine, sofisticata, elaborata, e anche il suo modo di trattare la musica popolare è diverso d< quello di Tarrega. Molto diverso. Secondo Mimita Anido, che ben lo conobbe, era pigro e ipocondriaco. Non fu restio a pubblicare, piuttosto scrisse pochissimo. Le canzoni catalane da lui elaborate per chitarra sono tredici, non dieci. "El testament d'Amelia" è una sorta di tenzone tra una giovane gentildonna morente e sua madre, che la esorta a fare testamento. La fanciulla infatti testa, lasciando un castello ai poveri, quattro castelli a suo fratello e, all'amata madre: I a vós, la meva mare, us deixo el marit meu perqué el tingueu en cambra com fa molt temps que feu. Evito di tradurre, affidandomi all'affinità tra catalano e lingue locali italiane. Non sono un letterato - tanto meno un comparatista - ma faccio ugualmente osservare che il tema della madre sciagurata ricorre anche nella tradizione piemontese (il cavaliere che detta il testamento lasciando la forca alla madre che lo ha avvelenato con un'anguilla marinata). Retaggi di culture evidentemente dominate dal matriarcato. dralig
  23. Grazie per la preziosa puntualizzazione! Forse pleonastico da parte mia, aggiungere che in questo caso c'è molta più "Spagna" in Martin che in Rodrigo. ...una Spagna molto elaborata dalla mente musicale del compositore. La "Plainte" è in buona parte un brano bitonale... dralig
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