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Angelo Gilardino

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  1. Semmai Ravel no, Bartok sì... specie i quartetti. Non c'è bisogno di andare indietro di cento anni: lo scoglio contro cui ho cozzato si chiama MaMaMa (Malipiero, Maderna , Manzoni) BeBoBu (Berio, Boulez, Bussotti), e NoNo (lui da solo). Ma anche Petrassi che è molto apprezzato per me è ostico. Come è ostica tutta la musica comunemente definita atonale, pantonale, dodecafonica, cromatica... Delle ultimissime tendenze so poco o nulla essendomi, dopo la cozzata, rifugiato nel passato tranquillizzante dei Wagner e degni predecessori. Ma il mio è un problema che ricorre anche con altre forme d'arte contemporanee (nel senso di odierne, attuali). Il mio è essenzialmente un approccio estetico, quindi è proprio l'approccio che devo cambiare per poter apprezzare certe opere (e non è detto che ci riesca comunque). Quindi chiedevo a chi di voi ha studiato, conservatorio o meno, e ha già fatto questo percorso, di consigliarmi una via da percorrere per comprendere la musica di oggi e capire le esigenze artistiche che hanno portato a crearla. E' una domanda cretina e lo so da me, ma posso continuare a ignorare il problema e cambiare frequenza quando incappo in qualche composizione contemporanea e continuare ad ascoltare il Tristano, o cercare di comprendere quello che voi avete compreso. Spero che da quaggiù le mie richieste riescano ad arrivare fino a voi. Grazie Andrea Se ascolta senza problemi i quartetti di Bartok, non ha limiti di comprensione nei riguardi di nessuna opera del Novecento, e può tranquillamente considerare il Suo rifiuto della musica che non Le va a genio come la manifestazione di un Suo modo di essere. Non c'è nulla di male nel non amare determinati autori, stili, linguaggi, quando si è oltre la soglia della comprensione di quel che dicono. L'unica cosa che mi sembra un po' incongrua in quel che scrive è l'accostamento di Malipiero a Maderna e a Manzoni. Malipiero è un classico della generazione dell'Ottanta, ha scritto musica tutto sommato allineata alla tradizione - principalmente modale - e aveva la musica dodecafonica in gran dispitto. Sarebbe come dire che non le vanno giù Le Marteau sans Maitre le Fontane di Roma. dralig
  2. Gli direi che è un edificio a otto-dieci piani dei quali il primo - o i primi - sono stati resi invisibili. dralig
  3. I suoni armonici sono multipli (per frequenza di oscillazione) di ogni suono fondmentale. Una determinata nota assume il proprio timbro dalla propria ricetta armonica, cioè a seconda dell'ordine e dell'intensità relativa dei proprii armonici. Nella pratica degli strumenti a corda, produrre dei suoni armonici significa filtrare un determinato suono naturale eliminandone la fondamentale (in questo caso si ode il suono a partire dall'ottava superiore), oppure anche altre armoniche: il risultato è un suono con poco corpo, con effetto di trasparenza. Per eliminare la fondamentale si divide la corda in due parti uguali; per filtrare ulteriormente il suono, la si divide in tre, quattro, cinque parti uguali (si può anche frazionarla oltre, ma il suono risultante non è molto utile). Ovviamente, così come si può frazionare una corda a vuoto, si può frazionare anche una corda con una nota preparata dalla m.s.: la parte in vibrazione è divisibile per due esattamente come una corda intera a vuoto. Nella pratica della chitarra, gli armonici derivanti dalle corde a vuoto vengono chiamati naturali, mentre quelli derivanti dalle corde premute vengono chiamati artificiali: distinzione sciocca, perché tutti i suoni armonici sono il risultato di un artificio. E' notevole anche il fatto che , degli armonici "artificiali", si usi, da parte dei chitarristi, solo quelli dell'ottava (che infatti vengono chiamati anche "ottavati") e non gli altri. dralig
  4. Si Giorgio, ricordo che ci fu segnalato da Fabio Selvafiorita, testo interessante che svela molte curiosità. Se fai una ricerca, ricordo che anche AG segnalo una serie di libri fondamentali al riguardo o più propriamente dei link. buon inizio d'anno (scolastico e artistico ) mr Gli americani hanno curato molto la notazione. I manuali che io avevo segnalato (Gardner Read e Ted Ross) però non furono scritti, come quello di Ferrero, per i software in uso oggi, ma astrattamente, come codici di regole auree per l'incisione. Alcune dei precetti di Ross possono oggi essere considerati come obsoleti. Faccio un esempio. Ross dedica moltissimo spazio all'inclinazione delle aste (o travi) che uniscono i gruppi di crome, semicrome, etc., e alla collocazione degli angoli che tali aste formano con gli steli delle note rispetto alle linee del rigo. C'era una ragione per tale cura un po' ossessiva: se l'angolo formato dall'asta e dallo stelo della nota, e la collocazione del medesimo rispetto a una determinata linea del pentagramma, era acuto, nella stampa l'inchiostro ne fuoriusciva, lasciando una macchia. Bisognava che gli angoli fossero abbastanza ampi, e per questo Ross tendeva a inclinare assai poco le aste, il meno possibile. Questa costrizione con il tempo divenne un canone di eleganza. Oggi, con i nuovi processi di stampa, il pericolo delle sbavature d'inchiostro non esiste più, e ci si accorge che le travi un po' più inclinate stanno benissimo... dralig
  5. Mi prendi in castagna, Vladimir. So dell'esistenza di questa composizione, pubblicata da Leduc, e so che si ispira a Goya, ma non l'ho mai letta. dralig
  6. Lo credo anch'io e direi che finalmente si riesce ad avere anche l'idea di questo suono grazie alle registrazioni di Cristiano dei suoi studi...penso però che i risultati di questa concezione siano, a modo loro e di chi ne sappia disporre, retroattivi, in qualche modo, e applicabili al repertorio tradizionale...nei suoi studi c'è la musica che fa la differenza ma certamente, Biscaldi ad esempio, ha saputo fare astrazione del suo pensiero, stilizzandolo in figure importantissime e poco frequentate... a suo modo anche Bogdanovich, con gli studi poliritmici, ad esempio, può gettare nuova luce didattica sui 3 su 2 ottocenteschi, ancora oggi di grande ostacoloper lo studente... Certamente, la tecnica pensata a partire da un'astrazione e non da una pratica "ruspante" funziona a meraviglia sull'intero repertorio, ed è precisamente lo strumento della volontà di poter disporre del repertorio di ogni epoca, senza preclusioni e impedimenti. Bogdanovic ha sorvolato sul capitolo della tecnica meccanica, dandolo per scontato, e ha preferito lavorare (con la genialità che gli è propria) nell'area dell'applicazione alla chitarra di "tecniche" musicali sofisticate, quali la poliemetria e la poliritmia, mete quasi obbligate per chi ami il contrappunto e lo collochi al centro del far musica. Biscaldi - pur essendo stato mio allievo - ha emancipato una visione della tecnica chitarristica molto più avanzata della mia: diciamo che io ho indicato una direzione, e lui l'ha imboccata fino a che, sebbene io abbia continuato a guardare avanti, voltandosi indietro non ha visto più nessuno. Anche se, purtroppo, lo "sfruttamento" personale della sua tecnica è stato spezzato dalla distonia focale, molti si giovano oggi dei suoi studi proprio per saltare il fosso, cioè per constatare che il confine tra possibile e impossibile non è netto come si pensava. Strano a dirsi (lo noto a pie' di pagina), le maledizioni che si sono levate dal pollaio chitarristico nei riguardi della mia ricerca, non sono state invece gettate contro la sua - molto più audace. Dev'essere una questione di simpatia personale. dralig
  7. Per quanto mi riguarda, credo di essere andato oltre la concezione della tecnica che nasce dal repertorio: in tale visione si erano forgiate le tecniche ottocentesche e anche quelle del primo Novecento, compresa quella segoviana. La conseguenza fu una visione settaria del repertorio: le musiche che permettevano l'accesso a un tipo di tecnica-suono erano valide, le altre no, venivano squalificate. Inutile fare l'elenco delle scomuniche, sono note, così come le loro esiziale conseguenze nell'insegnamento. La tecnica nata "dopo", tra mille diffidenze e alcune maledizioni, si è posta invece - almeno nella mia concezione, quella che ho proposto nelle due edizioni del mio manuale - come il risultato di un'analisi neutrale e obiettiva di tutti i fattori in causa: quelli morfologici, quelli acustici, quelli fisico-meccanici e quelli fisiologici. Prospettata e concepita in questo modo, la tecnica diventa onnicomprensiva - o, come dice Biscaldi, onnivora - e permette di suonare qualsiasi repertorio, inducendo il giudizio sul medesimo sui valori puramente musicali, e sgombrando il campo dalle incompatibilità. Mi pare che non permangano dubbi sulla correttezza di tale operazione, né sui suoi risultati, ma è un fatto che almeno nella metà dei conservatori italiani tale tecnica sia tuttora oggetto di diffidenze e di sospetti, a demolire i quali non basterebbe nemmeno Gesù Cristo fatto chitarrista. dralig
  8. Gieseking intendeva dire che la necessità dello studio meccanico-ripetitivo è inversamente proporzionale alla capacità di concentrazione. Con altri termini, Alfredo Casella, nel suo libro sul pianoforte, afferma la "cerebralità della tecnica". E Dio sa se lui di tecnica ne avesse... dralig
  9. Poiché è stato chiamato in causa in questo thread - non ricordo più da chi - Walter Gieseking, sarà bene ricordare una sua affermazione al riguardo: "Chi studia è come chi si lava: segno che ne ha bisogno". dralig
  10. Calma. Bisogna prima leggere, poi capire e poi giudicare. Sono inutili le pubblicazioni che si limitano a riportare, in forma più o meno diversa, cose già note dai tempi del metodo di Aguado. Molte pubblicazioni appartengono a questa categoria, ma ne esistono altre che contengono dei contributi originali allo sviluppo della tecnica, e queste non sono "fuffa commerciale". dralig
  11. Non tutti gli studenti hanno le tue mani e la tua mente musicale: sei un'eccezione. Secondo alcuni pedagoghi, non bisogna dire ai ragazzi dotati che sono tali, perché si monterebbero la testa. Io penso che chi si monta la testa è - a qualunque età - poco intelligente, e credo che chi ha talento debba invece esserne consapevole per diventarne responsabile: il talento è solo una dotazione naturale, poi occorre svilupparlo, e per fare ciò bisogna essere consci del proprio stato. Fai bene a far tecnica sul repertorio, ma non è così per tutti. dralig
  12. Chi agisce in questo modo non è un maestro. E' un laido mercante. dralig però accade spesso.... ce n'è tanta di roba fatta così sul mercato. I mezzi di informazione ci informano spesso dei mali derivanti dalla piaga della prostituzione e da quella della droga, come se fossero dei virus influenzali o delle alluvioni: non dicono mai che chi ne è colpito agisce consapevolmente per procurarseli. Il successo dei falsi maestri è decretato dai loro clienti. Contenti loro... dralig
  13. Chi agisce in questo modo non è un maestro. E' un laido mercante. dralig
  14. Mi riferivo al caso posto dal M° Signorile (crome suddivise in gruppi da 3+3+2). E' stato comunque molto chiaro, La ringrazio. Mi chiedo se la scelta della metrica nelle musiche popolari possa rispecchiare quei fattori esterni (come il ballo) o la presenza di accentuazioni particolari che influenzano il pensiero di quei popoli. Vedo che ad esmpio nel trascrivere "compas" flamenchi, molti autori scrivono in 3/4, altri invece si attengono al modo particolare di "pensare" e di contare il tactus proprio dei flamenchisti (ad esempio nei tempi di bulerias) e di traslare questo pensiero anche nella scelta della metrica, che in questo caso sarà inevitabilmente 12/8 (e conterrà la famosa suddivisione 3+3+2+2+2) Il cante è difficile da metrificare, però i compositori bravi che si sono dedicati anche a quello, l'hanno fatto egregiamente: Ohana, in primis. dralig
  15. Non mi trovo tra coloro che sostengono la necessità di iniziare a suonare uno strumento in tenera età, e l'impossibilità di imparare benissimo a farlo iniziando più tardi. Ho condotto al diploma un allievo - oggi direttore artistico di un ben noto festival di chitarra - che iniziò a suonare a 32 anni, essendo già sposato e padre di famiglia: la passione per la musica e per la chitarra, se pur esplosa in lui tardivamente, era tale da poter dare un senso alla sua vita, e facendo leva sulla sua buona volontà fu possibile superare tutti gli ostacoli. Del resto, nemmeno io ero stato un enfant prodige: iniziai a quasi tredici anni. Quello che sostengo è che, a seconda dell'età in cui si inizia lo studio della chitarra, occorre seguitare percorsi differenti: un principiante di 20 anni può fondare la propria tecnica sull'assimilazione di concetti che, come tali, a un bimbo di sette anni non risultano né utili né facili da imparare: in questi casi, l'apprendimento e l'insegnamento passano, devono passare, per altre vie (e i diversi modi di insegnare a suonare la chitarra ai bambini formano ormai una vera e propria letteratura). E' altrettanto chiaro che, una volta imparati i fondamenti, a un bambino che abbia praticato regolarmente per alcuni anni, risulterà disponibile una sorta di capacità preternaturale, che gli consentirà di suonare tranquillamente per il resto dei suoi giorni senza dover ripetere quotidianamente gli esercizi di tecnica: è ovvio. Che, per giungere a tanto, debba avere talento specifico per la musica, è altrettanto ovvio: in mancanza del talento, non esiste nemmeno una motivazione allo studio, una qualsiasi remunerazione al dispendio di tempo e di fatica. Non sarà lo stesso per chi abbia imparato la tecnica incominciando a 18 anni o più: per quanto ben assimilati, i fondamenti non si integrano più - non nella stessa misura - alla "natura", rimangono disponibili a patto che la persona seguiti a coltivarli con un esercizio quotidiano. E - anche se non può esistere una prova scientifica al riguardo - io sono convinto che l'interessato potrà sviluppare le sue potenzialità e suonare in modo corrispondente al suo talento, ma non nella stessa misura in cui avrebbe potuto farlo se avesse iniziato a sette anni: ciò almeno riguardo ad alcuni aspetti dell'esecuzione, ad esempio la velocità e l'agilità. Inoltre, non bisogna confondere l'apprendimento di materie che implicano soltanto un lavoro della mente (come nei casi che tu citi) con l'imparare a suonare uno strumento, il che comprende anche una sorta di iper-abilità manuale comandata dal cervello. Sono due cose diverse. Se così non fosse, le persone più intelligenti sarebbero anche le più dotate nella musica, ma non è così, non necessariamente. dralig
  16. Caro Maestro,questa differenza, in riferimento all'età, mi incuriosisce. E' un dato scientificamente dimostrato o si basa sulla esperienza personale? Io ne do una testimonianza derivante dalle mie osservazioni di parecchie centinaia di studenti, ma suppongo (anche se non ne sono specificamente informato) che esistano anche degli studi scientifici sull'argomento. dralig
  17. Nel caso in questione Lei come tradurrebbe il concetto e per quale soluzione, di conseguenza, opterebbe? Anche io in passato ho avuto dubbi se scrivere ritmiche di tango in 4/4 o in 8/8. Poi, per non sbagliare, mi sono attenuto al riferimento Piazziolliano (4/4) Non so a quale caso si riferisca, ma se mai scrivessi un tango non avrei dubbi: 2/2, come ha fatto Stravinskij. Si mantiene la metrica binaria (il tango si diluisce un po' nel tempo di 4/4) e nello stesso tempo si limita al minimo l'ingrombro del pentragramma. dralig
  18. Le posizioni sostenute dal maestro Bonaguri sono giuste ed equilibrate. Esistono - devono esistere - sia gli esercizi puramente meccanici che gli esercizi di tecnica applicata (o studi). Lo scopo dell'esercizio di tecnica meccanica è quello di concentrare lo studio sul movimento in sé, osservandone con la massima attenzione gli aspetti fisiologici e dinamici. Questo esercizio è particolarmente utile nella fase di impianto della tecnica meccanica e può risultare utile anche più avanti, per la messa a punto di aspetti molto specifici o per la correzione di errori compiuti in precedenza. Ogni insegnante ne deve avere contezza, e deve disporre non soltanto di un ricco repertorio di esercizi di tecnica meccanica, ma anche della capacità di inventare ad hoc esercizi specifici per problemi specifici del singolo allievo. Gli esercizi di tecnica applicata e gli studi appartengono a un livello successivo dell'apprendimento. Quando l'allievo ha assimilato perfettamente un tipo di tecnica (ad esempio l'arpeggio) in vitro, cioè senza alcuna applicazione musicale, gli studi lo obbligano a impiegare tale tecnica a fini musicali, cioè tenendo conto dell'espressione, della dinamica e del fraseggio. In questo senso gli arpeggi di Giuliani (che derivano direttamente da quelli del Metodo di Federico Moretti) sono fin troppo "applicati": ritengo sia più utile, ai fini della concentrazione sulla tecnica meccanica, far studiare gli arpeggi fondamentali sulle corde a vuoto (alcuni trattati lo fanno), e riservare alla fase degli studi l'impiego della mano sinistra. Successivamente, cioè quando la tecnica di base è stata assimilata sia in senso puramente meccanico che nella fase applicativa degli studi, ogni singolo esecutore decide per sé, e solo per sé, se sia meglio continuare a fare esercizi di tecnica o se sia invece più redditizio esercitarsi direttamente sul repertorio: a questo punto, non esistono più regole valide per tutti, ciascuno ha il suo motore, e per quello deve trovare il carburante giusto. Così come esiste il talento musicale (orecchio, memoria, etc.), esiste anche il talento "tecnico", cioè una particolare destrezza della mente che permette ad alcuni, e non ad altri, di sviluppare abilità manuale: a chi possiede questo talento, non occorre fare tecnica, la si fa direttamente sui pezzi, ed è ovviamente una tecnica applicata; chi non dispone di questo talento, ha invece bisogno di esercitarsi anche in senso puramente meccanico, solo che, dopo aver assimilato i fondamentali, non gli servirà più esercitarsi genericamente, ma dovrà forgiare un breviario di tecniche adatto alle sue, personali necessità. In generale, chi inizia a studiare nell'infanzia, e ha talento, non ha bisogno di fare tecnica; chi invece inizia a diciott'anni, dovrà probabilmente mantenere in esercizio per tutta la vita anche una serie di applicazioni, in mancanza delle quali avvertirà qualche problema. dralig
  19. Non occorrono accenti, la metrica binaria del brano è così elementare da non richiedere alcuna accentazione. dralig
  20. In quale pezzo? Solo sapendo di quale brano si tratta si può rispondere correttamente. dralig Ah, ecco, io mi credevo che esistesse una tabella di corrispondenze univoca. Cmq, mi riferisco allo studio n. 3 Op. 50 Giuliani (= allo studio 4 del Giuliani-Chiesa, II ed.). Io lo sto studiando con semiminima= 104. Ma poi quando si arriva alle semicrome, mi sembra troppo veloce. No, non è troppo veloce, perché si "porta" sempre sulla semiminima, valore che unisce e amalgama il temino e la variazioni - che sono dei puri ornamenti per diminuzione. Quindi, in pratica, si suonano sempre due semiminime per battuta, con un po' di florilegli attorno, che non cambiano né il carattere né l'andamento del pezzo. dragli
  21. In quale pezzo? Solo sapendo di quale brano si tratta si può rispondere correttamente. dralig
  22. Ho trovato una copia nella biblioteca di como... Cmq, pare che sia ancora in commercio. Grazie, la cercherò, mi piacerebbe riaverla. Ricordi di gioventù...Benvenuto Terzi mi disse peste e corna - se pur mitemente, come soleva fare lui - di una versione del preludio in re minore di Bach inclusa nel Metodo. dralig
  23. Era una sorta di antologia didattica, nella quale l'autore convogliava un mucchio di roba presa qua e là, con un buon criterio e con adeguati commenti e istruzioni per ogni studio o brano. Un volumone, che ho purtroppo smarrito durante uno dei miei traslochi (un'intera cassa di musica e di documenti prese il volo). Dovrei cercarne una copia da qualche parte... dralig
  24. Antonio Sinopoli, nato a Buenos Aires nel 1878, morto nella stessa capitale nel 1964, fu uno dei maggiori esponenti della "scuola" bonoarense. Allievo di Sagreras,poi partner del medesimo in un duo, che divenne anche un trio con l'arrivo di Domingo Prat. Fu un didatta e un concertista, ma soprattutto un discreto compositore - aveva studiato composizione e non era quindi uno sprovveduto. Tutti i suoi pezzi, ispirati alla musica nazionale, furono pubblicati da Ricordi BA. Ricordo benissimo, per averla letta in gioventù, una sua singolare revisione del Metodo di Dionisio Aguado, nella quale aveva inserito studi di molti altri autori, costruendo una sorta di itinerario che copriva tutto il campo della formazione, dagli elementi fino al virtuosismo. A tale metodo (noto come Aguado-Sinopoli) aveva aggiunto un "Suplemento" di esercizi, studi e brani contenente, tra le altre cose, la sua trascrizione della Ciaccona di Bach, realizzata nel 1920 (quindi ben prima di quelle di Sainz de la Maza e di Segovia), nel tono di mi minore. Si pensava che fosse quella la prima trascrizione per chitarra del capolavoro bachiano, ma recentemente è saltato fuori un programma da concerto del 1913, in cui Antonio Jiménez Manjon presentava, sempre in Argentina, la Ciaccona. dralig
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