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Angelo Gilardino

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  1. Per valutare la correttezza, o meno, dell'impostazione del mancino, converrà - è ovvio - valutare la correttezza dell'impostazione del destrimane. Supponendo il caso - verificabilissimo, e da me personalmente verificato molte volte, fino a costituire una certezza sperimentale - di un destrimane che non abbia ricevuto la benché minima istruzione su come imbracciare la chitarra, osserveremo che, invariabilmente, egli prenderà lo strumento in modo da poter pizzicare le corde con la destra: lo farà ignaro di ogni altra ragione, seguendo il suo istinto, il quale lo guiderà a riconoscere nell'atto del pizzicare le corde, non la funzione più importante, ma la funzione primaria. Il preparare le note sulla tastiera viene poi, nella percezione istintuale: ed è del tutto naturale che la prima cosa da fare, pizzicare le corde a vuoto, la si faccia con la mano primaria, cioè, nel destrimane, la destra. Si badi bene che, a questo punto, il destrimane farebbe lo stesso (sperimentato da chi scrive) una chitarra con le corde capovolte: egli non sa ancora nulla dello strumento, vede solo un arnese, e il suo accesso primario al medesimo. Cento destrimani su cento pizzicano con la destra. A questo punto, il neurologo interviene e spiega come, per la stessa, stessissima ragione, il mancino lasciato ignaro farà esattamente le stesse cose del destrimane, ma con la sinistra: non gli passerà nemmeno per la mente di accostare per la prima volta lo strumento pizzicando le corde con la destra. Ho appurato questo con uno stratagemma: mettendo una chitarra su un banco, riposta nell'astuccio aperto, e esortando il candidato a pizzicare le corde senza estrarre lo strumento, si appura all'istante qual è, per l'interessato, la mano primaria. Da lì in poi, trasformare i mancini in destrimani è chiarissimamente una forzatura. Nessun calciatore, pugile, schermitore, lanciatore di giavellotto, scrivano, portinaio (che infila le chiavi nelle serrature), etc etc, viene sottoposto a una siffatta sopraffazione. Non è vero che i chitarristi mancini sopraffatti e trasformati in destrimani non ne risentono. Infatti, suonano con una concentrazione mentale e visiva sbilanciata a favore della sinistra, perché quella, ancorché deputata ad altra funzione, resta nella loro mente la mano primaria, e hanno quasi sempre notevoli problemi di suono, nonostante impostazioni ineccepibili. dralig
  2. Ponce, Fuga conclusiva nelle Variazioni sulla Follia: Castelnuovo-Tedesco: idem nella Passacaglia (Omaggio a Roncalli) Duarte: Variazioni e Fuga su Torre bermeja Reichlin: Preludi e Fughe (24) Desderi: Toccata e Fuga (IV tempo della Sonata in mi) dralig
  3. Perché il progetto delle ventiquattro fughe (con relativi preludi) vincola troppo strettamente al sistema tonale, la cui utilità diviene a mio modo di sentire dubbia. Posso scrivere un dittico Preludio e Fuga in una determinata tonalità - il che significa riprendere transitoriamente un aspetto del sistema tonale -, ma scriverne 24 implica inevitabilmente una troppo tardiva e anacronistica celebrazione di tale sistema, e io non credo che, oggi, sia il caso. MCT lo fece, ma lui era nato nel 1895... dralig
  4. Come compositore, io sono attratto dalla maestria compositiva, che non è soltanto un fatto tecnico (imprescindibile), ma anche qualcosa di intrinsecamente artistico: la mano del maestro, in Hindemith e in Shostakovich, si riconosce dopo due battute. Mi domando di continuo se un'impresa del genere - già tentata da un compositore russo, Igor Reichlin - sarebbe possibile con la chitarra, e ovviamente mi domando chi potrebbe provarci. Domanda interessata e - questa si - retorica... dralig Dal mio punto di vista, lo scoglio principale di un lavoro del genere è quello del materiale tematico. Problema che non si pone per il preludio, forma libera per eccellenza, ma per la fuga che formalmente chiude ogni dittico e che è legata al preludio... Prima di risolvere il dilemma della scrittura chitarristica in tonalità "poco agevoli", credo arginabile con una certa facilità se si lavora con un idea di tonalità "allargata", c'è quello molto più infido dell' astrazione tematica puramente musicale e del suo sviluppo. 24(!) fughe...che non siano esercizi di contrappunto...onore e gloria a chi è in grado di scriverle! Chi ha scritto delle Sonate (che non siano tali solo per il titolo) non ha problema a scrivere delle fughe, quello che osta non è la complessità del problema dal punto di vista tecnico, ma i dubbi sull'utilità di un lavoro del genere oggi. dralig
  5. Io guardo la cosa dal punto di vista musicale. Mi sta bene la musica tonale con successioni armoniche elementari negli autori dell'Ottocento, ma negli autori di opere didattiche del Novecento dovrebbe essere sviluppata una ricerca un po' più ampia. Gli studi specifici si costruiscono a partire dalle combinazioni di diteggiatura considerate fondamentali, e sulle note risultati e disponibili vanno inventate le melodie, i bicordi, etc. Che un'operazione del genere possa dar luogo a piccoli brani modali è del tutto naturale (vista l'accordatura della chitarra). Si sviluppa un linguaggio musicale ampio, sia dal punto di vista armonico che ritmico. Sostituire un modello di ricerca di questo genere con musica già pronta - come per esempio le melodie popolari - è come tirare un sasso alla cieca, sperando che caschi il piccione. Gli intervalli delle melodie popolari non hanno nulla che vedere con quelli derivanti dalla ricerca delle combinazioni utili tra dita e corde, a livello di principianti. Sagreras offre una serie di pezzi facili si, ma armonicamente banali e, per la formazione del gusto musicale, deleteri. dralig
  6. Come compositore, io sono attratto dalla maestria compositiva, che non è soltanto un fatto tecnico (imprescindibile), ma anche qualcosa di intrinsecamente artistico: la mano del maestro, in Hindemith e in Shostakovich, si riconosce dopo due battute. Mi domando di continuo se un'impresa del genere - già tentata da un compositore russo, Igor Reichlin - sarebbe possibile con la chitarra, e ovviamente mi domando chi potrebbe provarci. Domanda interessata e - questa si - retorica... dralig
  7. Andateci piano, giovani maestri, con questa impostazione didattica. Sagreras è un chitarrista argentino che compone pezzetti grondanti musica popolare del suo paese fin dalle "prime lezioni": dominante-tonica e nient'altro. Ricordatevi che i principianti di pianoforte vengono introdotti alla musica con i pezzetti di Bela Bartok. Non dico di mettere Sagreras al bando, ma insomma, cercate anche, per i vostri allievi, che non sono dei futuri gauchos, della musica didattica un po' meno rurale... dralig
  8. E' un gran bel lavoro, sia musicalmente che pianisticamente. Lo metterei accanto ai "Ludus tonalis" di Paul Hindemith - stesso respiro, anche se stilisticamente si tratta di compositori molto diversi. dralig
  9. Ecco, ne discutevo proprio con Gilardino ieri pomeriggio. Nel Concerto di Novgorod non c'è nulla di nuovo, a parer mio. Questo non vuol dire che l'opera possa considerarsi ripetitiva. C'è sempre Gilardino dentro al concerto, lo si sente bene. Ma non è certo un altro Gilardino. Parlo in generale: lo stile rende unico - e riconoscibile fra tutti - l'autore (ovviamente, quello che ha uno stile). All'interno della coerenza stilistica, si danno le varianti, i cambiamenti, le gradazioni, le evoluzioni (e purtroppo anche le involuzioni). Cristiano - non parlo per lui, ma interpreto il suo pensiero - parlando di "nuova dimensione", intendeva riferirsi al tipo di chitarra impiegato (una chitarra a sette corde accordata in sol è cosa ben diversa dalla chitarra ordinaria) e, data l'accordatura (re-sol-si-re-sol-si-re) all' impianto armonico generale del concerto di tipo modale, e non atonale, come è quello dei precedenti concerti. Che poi, adoperando la scala diatonica o la scala cromatica, un compositore riesca comunque a manifestare il proprio mondo poetico, è naturale. dralig
  10. E' vero ma io preferisco Giuliani diecimila volte... non pensi che paganini usi la chitarra solo per "gli accordi"?? Fermo restando il Suo sacrosanto diritto di preferire Giuliani, direi che la scrittura di Paganini non è tanto "accordale", quanto melodica: usa la chitarra principalmente per cantare, come se fosse una viola, e si limita ad aggiungere dei bassi. Armonicamente, è molto parsimonioso. A differenza di Giuliani, che armonizza in modo più completo, per non parlare di Sor... dralig
  11. Mi dispiace, ma non me la sento. Ne lascerò testimonianza nelle mie memorie, quando le scriverò. dralig
  12. Lì c'è di mezzo una storia incredibile, che non racconto più neanche a me stesso, da tanto che mi ha impressionato. dralig
  13. Non interferisco con i giudizi e le opinioni degli interpreti, ne prendo rispettosamente atto, anche perché non mi considero un buon giudice della mia musica. Penso di aver iniziato a comporre nel 1981, con il primo libro degli Studi. Quello che ho scritto prima, è solo un preannuncio. dralig
  14. Si, cavalli pezzati, molto usati dagli indiani perché più facili da cavalcare a pelo (senza sella e finimenti). Non mi pento di aver scritto quella piccola Suite, ma sarebbe stato meglio non pubblicarla: è aliena alla ricerca compositiva che - sia pure di là da venire - avrei svolto in seguito, è un lavoro di musica di scena affidata a una chitarra invece che a un insieme, e suonato senza scena non ha molto senso. Comunque, ecco le spiegazioni dei titoli dei singoli brani: Longhorn ghosts: sono i fantasmi delle mandrie che venivano governate dai cowboys; Peace-maker 45: era il nickname della Colt 45, il paciere per eccellenza, che metteva fine alle discussioni e alle contese; Boot hill: la collina degli stivali, dove venivano sepolti coloro che erano morti con gli stivali ai piedi (essendo mancato loro il tempo di levarseli, per sopravvenuta sparatoria); Saguaro: il nome messicano del grande cactus, l'albero della solitudine e del pianto; The riders in the sky: titolo della leggenda dei cavalieri del cielo, che apparivano in una cavalcata sulle nubi al cowboy agonizzante (se si era comportato bene) per portarlo con sé nei pascoli del cielo. Avevo scritto questa suite per un giovane lettore di fumetti western. Nel suo genere, funziona benissimo, e tuttora la ritengo valida, ma senza le immagini e le vicende, non serve a nulla. dralig dralig
  15. Uña del pulgar muy cerca del puente significa unghia del pollice molto vicina al ponte. Un suono di oboe udito dalla lontananza. Bitetti era uno dei pochi chitarristi di allora interessati alla ricerca timbrica, e con "Araucaria" gli diedi pane per i suoi denti. Quando suonò "Araucaria" a Città del Capo, il critico del quotidiano locale mi paragonò al poeta britannico Gerald Hopkins. Con poco sollievo del mio editore, i cui impiegati faticavano moltissimo a scrivere quel titolo nella contabilità: Aruacaria, Aucararia, Auacraria, etc. dralig
  16. Precisamente - si fa un portamento sia con la sinistra che con la destra. Era l'epoca in cui mi piaceva inventare "effetti speciali". Mi sforzavo, tuttavia, di fare in modo che avessero una causa. Deve creare un senso di irregolarità, spezzando la scansione ordinaria. Non c'è nulla di male nel solfeggiarla rigorosamente, ma la sua ragion d'essere è l'increspatura che porta nel ritmo: può essere ottenuta anche senza solfeggio rigoroso. Si, è una buona diteggiatura. Bitetti - come Castelnuovo-Tedesco - credeva nelle capacità compositive di AG, lo esortava a scrivere (cosa che allora AG non faceva) e una sua lettera, dove l'esortazione era più forte e sentita che mai, giunse ad AG mentre questi aveva sul leggio, insieme alla musica di tutti i giorni, un libro di poesie di Ungaretti ("Il dolore"), e stava leggendo: "...E la recline, che s'apriva all'unico Raccogliersi dell'ombra nella valle, Araucaria, anelando ingìgantita, Volta nell'ardua selce d'erme fibre Più delle altre dannate refrattaria, Fresca la bocca di farfalle e d'erbe Dove dalle radici si tagliava, - Non la rammenti delirante muta Sopra tre palmi d'un rotondo ciottolo In un perfetto bilico Magicamente apparsa?" Tutto chiaro, Vladimir? dralig
  17. Improvvisamente sento l'irresistibile impulso di ascoltare l'Andante con moto del trio in mib di Schubert... alle due del pomeriggio può essere fatale... disgraziati, vi citerò per incitamento alla decadenza Chi decade non prova impulsi irresistibili, ma stanche voglie, insufficienti a motivare un ascolto così impegnativo. Quindi, invece di citarci, mandaci un messaggio di ringraziamento per averti fatto venire in mente un'ottima idea. Comunque, ho in mente il castello di Schoenbrunn, inverno del 1816. Una nobildonna sale il grande scalone che conduce alla sala delle udienze per chiedere grazia alla granduchessa a favore di un giovane ufficiale ingiustamente accusato di tradimento e perciò condannato alla fucilazione. Sono le cinque del pomeriggio, le prime tenebre stanno avvolgendo il palazzo e le fiamme delle torce appese ai muri vacillano al soffio del vento. In lontananza, da una sala non visibile nella scena, giunge una voce di tenore lirico-leggero, donizettiano, che canta l'aria "Alle mie tante lagrime", accompagnata da una chitarra che arpeggia in sestine...Un famoso cantante del teatro imperiale sta intrattenendo la granduchessa, accompagnato da un chitarrista dai capelli bruni e dall'aspetto gentile ma pensoso, affilato. Herr Mauro Giuliani è stanco - la notte precedente non ha dormito, preso com'era dal gioco, con le carte sfavorevoli e un pensiero fisso che non lo lasciava: e se un giorno tutto questo dovesse aver fine? dralig
  18. In un articolo pubblicato anni fa, avevo fatto notare la somiglianza tra le parabole esistenziali di Mauro Giuliani e di Barry Lindon, entrambi parvenu nell'aristocrazia, per un certo tempo vezzeggiati e poi tristemente reietti. Se Stanley Kubrick avesse realizzato un film su Mauro Giuliani, oggi il Concerto op. 30 o la romanza "Alle mie tante lacrime" sarebbero famosi come il Concierto de Aranjuez. dralig
  19. Signore, se le contrarietà salutatoriali non me ne faciessero impedimento, io Le domanderei sodisfazione di questa ingiuria nei rispetti dei compositori italiani, e specialmente dico del eminente autore dei ghiribizzi per chitarra e della sonata per l'amandolino, che letterato fu in tutte le sue prove, come si denota nelle sue lettere all'amico Germi. Mia sorella Emmanuelle, mostro infernale, che io la informo dell'offesa recata a tutta la nazzione, Le manderà un maleficcio di sfortuna che Lei avrà da rimpiangere di non trovarsi a Pariggi con i Suoi amici della musica colta, intanto sappia che io La disdegno e La indico al publico ludibrio e indignazione. Suo Mauro Giuliani
  20. No, non è cambiato niente. Non fu Segovia a ostacolare Barrios in Europa - primo, Barrios non ebbe, dove suonò, che un blando successo; secondo, andare in Germania nel 1935 a cercare fortuna in campo artistico, da parte di un mezzo sangue che fino a pochi mesi prima ostentava la sua discendenza dalla stirpe guarani e si chiamava con il nome di un cacicco indio, Mangoré, era comunque una causa persa. dralig
  21. Barrios non era quel che si dice un campione di coerenza. Quanto a Segovia, se anche poteva apprezzare, per alcuni aspetti, "La Catedral", non era certo in quel genere di musica che, nel 1921 - quando era ancora soltanto un giovane concertista in cerca di fortuna nella sua seconda tournée argentina - riponeva le sue speranze di richiamare su di sé e sulla chitarra l'attenzione del mondo musicale colto. A Buenos Aires, lui coltivava le relazioni con personaggi come Julian Aguirre, Lopez Buchardo, forse Gilardo Gilardi - cioè i musicisti che avrebbero potuto fare, in quel paese, la sua fortuna (e così avvenne difatti), e delle musiche di un chitarrista bohemien, che tra l'altro a Buenos Aires non godeva affatto di buona stampa (il padre della Anido scrisse contro Barrios la più distruttiva recensione che io abbia mai letto a carico di un chitarrista), non avrebbe saputo che cosa farsene. Segovia aspettava Ponce e i compositori che poi sarebbero arrivati, e se qualcosa è da rimpiangere, è che non abbia convocato Ravel e Stravinskij, Hindemith e Bartok: Barrios era Barrios anche senza Segovia. dralig
  22. Sull'argomento esiste tutta un'agiografia filobarriosiana, secondo la quale il cattivo e potente tiranno Segovia avrebbe ignorato, o addirittura umiliato e denigrato, il buono e povero Barrios, impedendogli di diventare famoso come chitarrista e poi ostacolando la diffusione della sua musica. Sono tutte storie senza il minimo fondamento. Segovia conobbe Barrios a Buenos Aires nel 1921. Barrios lo andò a trovare in albergo, suonò per lui, ne ebbe elogi e un trattamento cordiale e amichevole. Si rividero nel 1943 a San Salvador, Barrios era ormai alla fine della sua vita e Segovia lo trattò umanamene. In occasione del loro primo incontro, Barrios suonò a Segovia "La catedral". Segovia gli chiese la musica e Barrios disse che gliel'avrebbe data, ma poi non lo fece. Nella biblioteca musicale di Segovia di Barrios non c'è praticamente nulla, solo una copia manoscritta (non autografa) di "Julia Florida". Questo significa che Segovia non mise mai un pezzo di Barrios sul leggio, se conosceva qualcosa era solo dall'ascolto di qualche esecuzione (ma di chi?). Intervistatori petulanti hanno messo talvolta Segovia di fronte a domande sulla musica di Barrios. Lui rispose svogliatamente, la musica scritta dai chitarristi del Novecente non gli interessava. Tutto qui. Il resto, i mormorii, sono leggende o pettegolezzi. dralig
  23. Maestro nello specifico, fu l'amicizia che aveva con Moreno-Torroba (che già dal '19 si mise a scrivere per lui) ad indurlo a suonare i "Castillos de Espana"? Se non sbaglio il compositore spagnolo doveva la sua pur limitata fama proprio a Segovia (e non fu il solo ad avere questo genere di debiri come Lei ha affermato). Segovia e Moreno-Torroba furono amici, ma ebbero contatti tutto sommato sporadici e limitati. Tra di loro non ci fu un carteggio paragonabile a quello che Segovia intrattenne con Ponce, con Madariaga (scrittore e diplomatico), con Lopez Poveda (questi si, un amico, ancorché non musicista), o anche con compositori come Tansman, Castelnuovo-Tedesco, Duarte. Non credo che la decisione di Segovia di eseguire i "Castillos de Espana" sia stata motivata dall'amicizia con il compositore. Credo che, al punto in cui era arrivato con gli impegni, a partire dagli anni Sessanta, gli servissero, per il suo repertorio, musiche dignitose, si, ma anche facilmente comunicabili al pubblico e soprattutto non eccessivamente laboriose nella fase di apprendimento e di memorizzazione. Difatti, suonò i "Castillos" tralasciando - sempre di Moreno-Torroba - la Sonata-Fantasia scritta meno di un decennio prima, che avrebbe richiesto un lavoro ben più impegnativo. dralig
  24. Consideri Maestro che a volte è la semplice curiosità di conoscere la gerarchia delle composizioni che avevano (ed hanno) i vari Bream, Segovia etc. a spingere i chitarristi, gli studenti a porre tali domande; è importante però che queste gerarchie non influiscano la propria. Ad esempio io adoro Segovia e il repertorio da lui inciso nei dischi (e sicuramente avrei amato anche quello -più vasto?- che proponeva nei concerti), ma non vedo l'ora di mettere mani sull' "Andres Segovia Archive". Se così non fosse molte composizioni e molti compositori non godrebbero della giusta fama. Mi viene in mente Tansman, del quale purtroppo Segovia suonò e rese famoso solo una piccola parte del repertorio per lui scritto..mi chiedo il perché..senza mettere in secondo piano tuttli gli altri ovviamente. Segiovia aveva idee molto chiare riguardo il suo repertorio, sapeva quello che voleva e quello che non voleva (suonare). Tuttavia - e questo i suoi famuli non lo sanno e non lo dicono - di quello che avrebbe voluto suonare, poté suonare solo una parte. Molti altri pezzi, che avrebbe voluto includere nel suo repertorio, gli furono preclusi dalla mancanza di tempo: Segovia era uomo da sessanta concerti l'anno (in media, ma in certi periodi superò i 100 concerti l'anno), carico di lavoro che accettava - e lo dichiarò più volte senza veli - perché doveva provvedere al sostentamento di parecchie persone, che senza di lui non avrebbero avuto di che vivere. E' vero che guadagnò molto denaro, ma è altrettanto vero che in parte considerevole tale denaro fu speso per gli altri, e la consapevolezza del fatto che altri dipendevano da lui per sopravvivere lo obbligò ad accettare molti concerti in più di quelli che avrebbe desiderato tenere. Ne fece le spese il tempo che gli rimaneva, tra un viaggio e l'altro, per studiare e per assorbire nuovi pezzi. Il diagramma della sua carriera mostra chiaramente che, crescendo la sua fama e i suoi cachets, diminuì il suo assorbimento di nuovo repertorio. Tutto ciò è umano e comprensibile, e non c'è nulla da obiettare. Ma chi sostiene oggi che i brani scritti per lui, che egli non suonò, sono scadenti, è un bugiardo oppure un imbecille: lo dico senza ritegno. Così come affermo che egli stimava certi brani che non poté suonare assai più di altri che, facili da imparare e di buona sonorità, ma musicalmente appena decenti - vedi "English Suite" di Duarte o "Castillos de Espana" di Moreno-Torroba - entrarono nel suo repertorio a motivo della loro "comodità" assai più che per la considerazione in cui egli li teneva. dralig
  25. Non credo sia del tutto vero. Molti pianisti , e non solo, si chiedono perchè Gould non avesse mai suonato Chopin, molti si chiedono perchè, infondo aveva deciso di registrarlo, suonasse a quel modo Mozart. Detto questo, io credo che un interpete che giudico estremamente intelligente come Bream possa sollevare dei dubbi: è motivo di domande in quanto, nonostante tutto, si trovano le sue registrazioni di Albèniz e Granados, quanto di altre trascr. per duo, ma non abbia mai approcciato Castelnuovo-Tedesco. Lo chiedo, e ne rimango stupito, poichè MCT non è uno qualsiasi, ma , nella mia modesta opinione, uno degli apici della musica per chitarra, tra i più completi e raffinati, e può sembrar strano sacrificarlo o scegliere solo la Sonata. Detto questo, Le assicuro che non avrei mai sollevato la stessa domanda per Williams, Barrueco, Russel ecc. Bream è Bream. Nion mi sono espresso chiaramente, e cerco di farlo ora. Non affermo che sia ozioso porsi domande sul repertorio di questo o di quell'interprete. Ovviamente, esiste una storia dell'interpretazione pianistica, nella quale si è esaminato il repertorio dei grandi interpreti. Ma nessuno - tra gli studiosi che hanno scritto sull'argomento - ha mai pensato di assumere le scelte di un pianista - e le sue ripulse - come metro di giudizio sul valore delle opere suonate (o no). I pianisti suonano Rachmaninoff almeno quanto Bartok (e probabilmente di più), ma questo non ha creato confusione nel giudizio di valore, mettendo i meriti dei due compositori alla pari. Faccio invece rilevare come la domanda riguardo il repertorio di Segovia, di Bream, etc., venga posta dai chitarristi al fine di stabilire gerarchie di merito sulle composizioni. Questo è unico ed esclusivo del "mondo della chitarra". E mi fermo qui. dralig
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