Vai al contenuto
Novità discografiche:

Angelo Gilardino

Membri
  • Numero contenuti

    2241
  • Iscritto

  • Ultima visita

  • Giorni Vinti

    37

Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. Un intento mirabile, offrire a tutti i chitarristi la possibilità di esaminare con i propri occhi e i propri mezzi le partiture originali del repertorio segoviano. E poi, suvvia, un po' di curiosità verso gli originali non l'ha mai avuta nessuno? Io ho quasi tutto l'archivio Segovia e anche alcune opere di Ponce nell'edizione curata da Hoppstock: è divertente constatare - per me, assolutamente in disaccordo con quasi tutte scelte del maestro spagnolo - come alla fine ho preferito le revisioni segoviane sia del Theme Variè di Ponce che della Sonata di Castelnuovo Tedesco.

    Poi, a ognuno la sua parrocchia.

     

     

    La curiosità può essere uno degli stimoli, ma quello di ricercare i testi e di confrontare tutte le fonti disponibili è un preciso e imprescindibile dovere di etica professionale, e non esito a definire dilettantesco l'approccio di quegli esecutori che, avendo a disposizione diverse fonti, si ritengono esentati dal dovere di studiarle tutte e di compararle: ciò dev'essere fatto oggettivamente, cioè a prescindere da quelle che saranno le proprie, individuali scelte interpretative.

     

    Nel "Thème variè et Finale" Segovia non ha modificato quasi nulla delle note, ha semplicemente espunto tre variazioni, disponendo le rimanenti in un ordine diverso da quelle dettato da Ponce. Dal punto di vista compositivo, non c'è alcun motivo per fare questo: la successione delle variazioni ordinata da Ponce segue un preciso schema formale, e cambiarlo significa modificare l'architettura della composizione. Segovia l'ha indebolita, addossando al tema una variazione metamorfica propria di una fase ben più inoltrata della composizione, cioè disposta dall'autore nel punto dove ha una funzione formale - e anche "drammatica" - molto importante. Come compositore, Ponce si sarà sentito imbarazzato da tale modifica, perché la forma di una serie di variazioni non è tale soltanto in seguito all'accumulo di ciascuna delle frazioni che la costituiscono, ma anche - e non di meno - nella successione delle medesime. Restaurare l'ordine dettato da Ponce non è una questione di gusto personale, ma di conoscenza delle forme musicali e i rispetto della dottrina che, nell'adoperarle, Ponce - allievo di insigni compositori europei - dimostra. Non c'è scelta di gusto che abiliti chi vuole arredare una casa a smantellarne i muri portanti. Esiste una meravigliosa serie di modelli della forma variazione, dalle Goldberg e dalla Passacaglia e Fuga in do minore al Nocturnal di Britten. Ponce vi si inserì degnamente, non c'è gusto personale che ci autorizzi a fargli fare la figura del parente povero o del somarello.

     

     

     

    dralig

  2. Ma come può formarsi (credetemi, chiedo allo scopo di sapere non allo scopo di polemizzare) nella mente di una persona anche la semplice idea di preferire un testo modificato (usate revisionato, corretto, rivisto) a scapito dello scritto originale?

    In quale altra materia (scientifica, umanistica, artistica) la versione originale dello scritto è paradossalmente offuscata dalle interpretazioni dei suoi destinatari?

     

    Solo tra chitarristi.

     

    dralig

  3. Forse gli esempi più eclatanti si possono avere leggendo o facendo parte alle discussioni riguardanti i lavori di MCT, due a caso la Sonata e il famigerato Capriccio Diabolico...Quanti hanno detto di preferire l'edizione segoviana? sopratutto avendo letto solo quella??? :)

    La mia vuol'essere una domanda innocente: versione e revisione hanno lo stesso significato? Quelle di segovia sono revisioni o versioni?

    Oggi, nell'era della ragione (presunta), che senso ha interpretare una versione appartenente ad una poetica "passata" (passata in quanto sono passati quel tipo di interpreti)? Perchè, disponendo di un originale, non crearsi una propria versione(se proprio non si può suonare l'originale)?

     

    Io sono pronto a discutere con chiunque lo possa fare il tema delle revisioni di Segovia: ne ho studiato per decenni tutti gli aspetti, so esattamente che cosa faceva e come lo faceva, e lo so al punto che oggi sono in grado, in una sua revisione, di separare gli strati - quello originale e quello sovrapposto da lui - dove ha aggiunto e di individuare i vuoti lasciati dalle sue semplificazioni, anche senza poter consultare l'originale. Segovia non lavorava all'insegna dell'umore della giornata: aveva un criterio preciso, che attuava con coerenza, e io sono in grado di descriverne tutte le caratteristiche. Inoltre, ho studiato a fondo anche il profilo storico della sua evoluzione di interprete, e ho capito come e perché si danno differenze notevoli tra quello che pubblicava e quello che suonava nei concerti e registrava nei dischi: conosco la strada che ha seguito, i suoi ripensamenti, le sue idiosincrasie.

     

    Per questo oggi ripubblico le musiche scritte per lui - e già pubblicate con la sua revisione: perché la sua personalità di interprete - già appartenente alla storia della musica - risalti nell'evidenza incontrovertibile dei documenti, delle carte scritte, e smetta di correre sull'onda risibile degli aneddoti e delle fanfaluche.

     

    Veniamo alla Fantasia-Sonata di Joan Manén (compositore che non ebbe che fare personalmente soltanto con Segovia ma anche, molto prima, con Tarrega). Manén scrisse il suo capolavoro nel 1929. Il luogo in cui Segovia mise a punto la sua interpretazione della "Fantasia-Sonata" fu...mobile. La imparò infatti nei 17 giorni di viaggio compiuto in treno nella linea Transiberiana, da Vladivostok a Mosca, nella seconda metà del mese di novembre del 1929 (giunse nella capitale sovietica ai primi di dicembre). Non sono in grado di precisare - al momento - quante furono le esecuzioni pubbliche date da Segovia, ma è certo che egli si curò del pezzo: lo fece pubblicare presso Schott nel 1930 e dovette coltivarlo a lungo, prima di convincersi a registrarlo in disco - cosa che fece soltanto nel mese di dicembre del 1956: ci pensò, dunque, per ben 27 anni.

     

    Segovia lavorò assiduamente e - direi - con una certa sofferenza alla "Fantasia-Sonata": il manoscritto di Manén, come si vedrà nell'edizione che ne offrirà il facsimile, è crivellato di segni, e il compositore dovette scrivere una lunga serie di rattoppi per rispondere alle richieste di modifiche che gli provenivano dall'amico chitarrista. Segovia, però, non tenne in gran conto nemmeno le controproposte di Manén: infatti, il testo pubblicato da Schott diverge in molti punti sia dal primo originale che dalle modifiche offerte dal compositore messo sotto pressione. Alla fine, Segovia diede a Schott un manoscritto suo, elaborato indipendentemente dall'autore. E non aveva ancora risolto tutti i suoi dubbi - per esempio la sezione con l'effetto del tremolo (orchestrale, non chitarristico) appare nell'edizione segoviana in forma indefinita - non si può capire bene che cosa esattamente significhi.

     

    Che cosa pensava Manén di quest'edizione? Sappiamo che i due maestri si stimavano ed erano amici. Fu proprio Manén, nel 1933 a Barcelona, a condurre a casa Madriguera il suo amico chitarrista, dove ebbe luogo l'incontro decisivo tra quest'ultimo e colei che sarebbe diventata la sua seconda moglie, la pianista Paquita Madriguera vedova Puig. L'amicizia e la stima non significavano però che Manén fosse convinto di tutto ciò che Segovia aveva fatto nella "Fantasia-Sonata". La prova di quello che Manén aveva in mente si manifesta in modo inequivocabile nel 1937 (data non ancora appurata con certezza, può darsi che sia stato il 1936). Il compositore scrive un "Divertimiento" per orchestra al quale assegna il numero d'opera A-32 (la Fantasia-Sonata ha il numero A-22): non è altro che l'orchestrazione del pezzo per chitarra - un'orchestrazione splendida. Qui Manèn non ha bisogno di consulenza: scrive quello che vuole, come vuole. Ebbene, qual è il testo chitarristico sul quae basa la sua orchestrazione? Il primo, quello che aveva scritto nel 1929, prima che Segovia intervenisse. Manén non tiene conto nemmeno delle sue stesse modifiche - quelle apportate su richiesta di Segovia. Segno che le considerava un ripiego e che, per lui, la Fantasia-Sonata era come l'aveva scritta di prima intenzione. Tutto il resto è Segovia.

     

    Ora, perché mai sulla terra le decine di migliaia di chitarristi potenzialmente interessati allo studio di questa composizione - unica, dal punto di vista formale, nella sua epoca - dovrebbero essere private della possibilità di leggere quello che Manén aveva scritto prima che Segovia adattasse il testo al suo modo di suonare? Sono dei cretini interdetti, incapaci di leggere la musica, di formarsi un'opinione, di decidere che cosa fare per sé e da sé?

     

    E - posto che alla fine decidano di attenersi al testo segoviano (cosa ammissibilissima) - la nuova edizione non sarà servita per motivare e rinforzare la loro scelta? Dovevano scegliere prima di leggere e prima di capire? Solo in un caso: che non sappiano leggere e che non possano capire.

    Ma allora nessun testo servirà a scioglierli dalla catena dell'ottusità.

     

    dralig

  4. Già: è sempre la stessa... dubito che il lavoro di riedizione di Gilardino abbia, tra i suoi intenti, quello di screditare quanto mirabilmente fatto da Segovia: è un'altra versione, diversa, non più né meno valida. A più di cinque anni dalla pubblicazione dei manoscritti, c'è ancora chi esegue la sonata di Castelnuovo-Tedesco nell'edizione Schott revisionata da Segovia, e di ciò credo nessuno si lamenti. Rinunciare, senza averlo letto, all'esame del lavoro di riedizione mi sembra - è una mia opinione personale - un procedimento aprioristico un pò frettoloso, una chiusura pregiudiziale di fronte a nuovi punti di vista e, in ultima analisi, un limite.

     

    EB

     

    Caro Ermanno, solo un imbecille malintenzionato potrebbe supporre che scopo del mio lavoro nella collezione "The Andrés Segovia Archive" sia quello di screditare quello che ha svolto, a suo tempo, Andrés Segovia. E' appena il caso di ricordare che io lavoro per designazione dello stesso maestro Segovia su materiali da lui destinati alla Fondazione che porta il suo nome, ai quali non avrei potuto avere accesso, nè, tanto meno, facoltà di operare, se lui stesso non ne avesse impartito disposizione in tal senso, e se i suoi eredi non avessero dato puntuale esecuzione della sua volontà.

     

    "Nuovi punti di vista"? Un momento. Ti pare "nuovo", rispetto alla "Fantasia-Sonata" di Manén, il "punto di vista" di Manén? Io sto solo dissotterrando quello che lui ha scritto nel 1929, e lo sto mettendo in piena luce: con ciò, la revisione di Segovia potrà essere valorizzata nei suoi dettagli, non resa oggetto di devozione canina a prescindere dalla conoscenza di che cosa effettivamente abbia fatto e in che cosa sia consistito il suo intervento sul testo. La storia dell'interpretazione della musica per chitarra non può - è ovvio - fare a meno della conoscenza dei testi: ma chi potrà responsabilmente apprezzare quello che Segovia ha fatto sui testi delle musiche scritte per lui, se non avrà avuto la possibilità di effettuare una comparazione testuale tra gli originali e le sue revisioni?

     

    Kirkpatrick ha rinunciato a ripubblicare le Sonate di Scarlatti perché alla maggioranza dei pianisti stupidi di 60 anni fa andava bene la versione di Longo? E l'edizione di Kirkpatrick ha segnato le colonne di Ercole dell'esegesi scarlattiana? Non sono forse in atto altre pubblicazioni delle Sonate?

     

    Io, poi, non ho nemmeno una maggioranza di chitarristi avversi alla ripubblicazione del repertorio segoviano, contro i quali combattere: anzi, le nuove edizioni - nonostante il taglieggiamento della pirateria e delle fotocopie - sono ricercate da migliaia di esecutori e di studiosi: dunque, io lavoro per una committenza che vuole e si aspetta da me esattamente quello che sto facendo. E i primi nomi di questa committenza sono quelli della moglie e del figlio di Segovia.

     

    A un reduce dell'armata Brancaleone del chitarrume parasegoviano che agitava l'edizione Schott-Segovia della Sonata di Castelnuovo-Tedesco proclamando che quella era la "vera" versione dell'opera, ho domandato: "Si? E allora come mai il primo a non usarla è stato Andrés Segovia che, nella sua registrazione del brano ha fatto tutt'altro che quello che ha pubblicato?".

     

    Lo stesso vale per la Fantasia-Sonata di Manén.

     

    Segovia era un uomo di genio, meritava seguaci meno stupidi.

     

    dralig

  5. Uno dei capolavori del repertorio per chitarra della prima metà del Novecento è la "Fantasia-Sonata" scritta nel 1929 per Andrés Segovia dal compositore catalano Joan Manén. Finora, questo lavoro è stata disponibile soltanto nella revisione dello stesso Segovia, pubblicata dalle edizione Schott nel 1930.

    Sono lieto di annunciare che molto presto sarà disponibile una nuova edizione. Si aggiungerà al catalogo - già ricco di 31 volumi - della collana "The Andrés Segovia Archive" pubblicata dalle edizioni Bèrben. La nuova edizione offrirà la riproduzione in facsimile del manoscritto originale, un testo musicale pronto per la lettura e un'introduzione storica.

    La nuova versione farà luce su molti dubbi tuttora nutriti da quegli interpreti che hanno scavato a fondo il testo della composizione, soprattutto coloro che hanno confrontato la versione segoviana con la realizzazione che, della sua opera per chitarra, Joan Manén fece nel 1937, trascrivendola per orchestra con il titolo "Divertimiento".

    Restituire il testo chitarristico alla sua forma primaria non è stato precisamente un "divertimiento", ma era un mio dovere etico-artistico, e mi sento sollevato nel poterne finalmente annunciare il compimento.

    dralig

  6. Questo è un forum di chitarra, e ben di rado - quasi mai - ho proposto argomenti che non riguardassero la musica. Tuttavia, come musicisti, facciamo parte di un tessuto sociale, ci viviamo, e il tentare di rendersi conto della propria situazione è importante per gli artisti non meno che per qualunque altra categoria di cittadini e di lavoratori. Al di fuori di ogni orientamento politico, la lettura dell'articolo di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato dal Corriere della Sera di stamane, può risultare molto utile, perché l'autore è capace di guardare con chiarezza e con capacità di sintesi la realtà dell'Italia di oggi.

     

     

    http://www.corriere.it/editoriali/10_dicembre_30/un-disperato-qualunquismo-ernesto-galli-della-loggia-editoriale_2120c614-13e4-11e0-96ea-00144f02aabc.shtml

     

     

    dralig

  7. Personalmente sono da tempo molto scettico, per così dire, sulla riforma del conservatorio, e l'ho anche scritto qui.

     

    Mi pare però altrettanto onesto ricordare che il progetto di secondarizzare i conservatori era reale, almeno dai tempi del famoso progetto di legge Mascagni (primo firmatario Marino Raicich, membro, come Andrea Mascagni, del PCI).

    Nel 1978 la caduta della VII legislatura impedì di approvare una legge che unificava vari progetti di riforma ed il cui articolo 8 recitava:

    "l'indirizzo musicale della scuola secondaria superiore si attua nei conservatori di musica e nelle istituzioni musicali pareggiate".

     

    L'illusione in cui molti, credo, sono caduti era che la legge 508 fosse, a questo punto, il male minore; se appariva inevitabile togliere al conservatorio la sua atipicità, che pareva indifendibile di fronte a tali progetti ampiamente condivisi, almeno che lo si facesse verso l'alto (università) e non verso il basso (scuola secondaria, come da tempo era nei progetti).

     

    Proposta: visto che tanto la "laurea" non ce la vogliono dare, perché non unire le forze e formulare un progetto che salvi il meglio di quello che il vecchio conservatorio offriva, migliorando quello che andava migliorato?

    Almeno così si potrebbe denunciare i danni della riforma avendo da proporre una immagine alternativa che non sia la secondarizzazione del conservatorio...

     

    Caro Piero, in quale stato di questo mondo e in quale ordine di scuola si è mai visto traghettare una categoria di alcune migliaia di docenti dall'istruzione secondaria all'istruzione universitaria senza una verifica, un esame, un qualsiasi vaglio dell'effettiva idoneità degli insegnanti? Eppure, questa era la pretesa della categoria, in qualche modo accolta nella riforma. Riforma convertita in una beffa in sede di applicazione, cioè mantenendo i ruoli e le retribuzioni dei docenti del conservatorio al livello precedente. Mascagni era un tipico esponente della sinistra che voleva fare del'istruzione musicale un feudo del potere già esercitato nei teatri e nelle istituzioni concertistiche. I sindacati dei docenti sventarono questa manovra e inventarono la riforma grazie alla quale oggi insegnanti di strumento appena capaci di leggere e scrivere diventano relatori di tesi di laurea: una vera buffonata.

     

    Questa situazione sfocerà inevitabilmente verso la nascita di scuole private di altissima qualità - modello Juilliard, Curtis, Manhattan - dove andranno a studiare coloro che vogliono fare sul serio. Sulla qualità delle orchestre che usciranno dai conservatori riformati, ci sentiremo tra alcuni anni: anzi, sentiremo i loro archi - intonazione e suono.

     

    dralig

  8. Aggiungo che sembrerebbe che i regolamenti da emanare previsti dalla legge Gelmini sarebbero un centinaio....

     

    Mi scuso d'aver caricato il file di'iimagine a rovescio. La pagina è tratta dal volume "Non è il paradiso" di Antonella Cilento, Sironi Editore, 2003. L'esimia scrittrice napoletana aveva citato il documento ad altro proposito, ma io trovo che esso descriva molto bene quello che è accaduto - e sta accadendo - con la riforma dei conservatori.

     

    Analogamente, Shakespeare intitolò una sua opera teatrale: "Much ado about nothing".

     

    dralig

  9. Non serve studiare scale già diteggiate da altri, l'unico profitto che si può trarre dallo studio delle scale - cioè un profitto specifico, che non sia conseguibile con esercizi molto più mirati e molto più efficaci - è quello di esercitare la mente nell'applicazione alla tastiera degli schemi intervallari dei vari tipi di scale.

    dralig

     

    Quello, cioè, che fanno i chitarristi "elettrici" da diversi decenni?

     

    Non ho dimestichezza con i "chitarristi elettrici", ma se hanno imparato a schematizzare mentalmente la struttura delle scale diatoniche e ad applicarla alla tastiera della chitarra per moduli, il loro IQ dev'essere molto più alto di quello dei chitarristi classici che imparano le scale una alla volta, separatamente, avvalendosi delle diteggiature di un illuminato.

     

    Se, dopo un anno di studi teorici e di osservazione dell'accordatura e della tastiera della chitarra, uno studente non è arrivato da sé a capire i moduli delle scale, è certo che non farà nulla di notevole, né con la chitarra né in altri campi. Il precetto che impone agli esaminandi di dar prova di saper suonare le scale dopo la bellezza di cinque anni di studio e l'aggiunta della precisazione "nelle tonalità più agevoli" sono una ennesima dimostrazione del fatto che non sono tanto gli altri a ridere di qualcuno, se prima questo qualcuno non si rende ridicolo da sé.

     

    dralig

  10. E' vero che l'interpretazione dell'"agevole" è libera e quindi, teoricamente, qualsiasi interpretazione è sostenibile (tranne quella di portare una sola tonalità perché il testo, usando il plurale, suppone che siano più di una). Credo però, pensando almeno alla mia lunga esperienza di commissario d'esame in conservatorio - dal 1983 - che se invece di sei scale se ne portano otto o dieci sia più facile evitare (per quel che valgono) perplesse alzate di sopracciglia di qualche commissario.

     

    Le scale sono dei moduli - uno per le scale maggiori, tre per le scale minori (naturale, armonica, melodica). Imparando - o meglio ancora creando - una diteggiatura per ciascuno dei moduli, si imparano tutte e 24 le scale, e poco importa quale si dovrà eseguire in una stupida prova d'esame (nemmeno agli esami di scuola elementare si chiede ai bambini di recitare l'alfabeto). Non serve studiare scale già diteggiate da altri, l'unico profitto che si può trarre dallo studio delle scale - cioè un profitto specifico, che non sia conseguibile con esercizi molto più mirati e molto più efficaci - è quello di esercitare la mente nell'applicazione alla tastiera degli schemi intervallari dei vari tipi di scale. Esteticamente, le scale sono un punto debole della chitarra: basta ascoltare i concerti per chitarra e orchestra i cui compositori hanno ingenuamente messo a confronto le scale chitarristiche con quelle - che so - di un clarinetto, sortendone, per lo strumento concertante, una magra figura.

     

    dralig

  11. Mi accodo.

    http://www.delcamp.it/index.phpstrumento differente dalle lire in possesso del Re, più simili a ghironde, e più vicine per certi versi alla chitarra o liuto, specialmente per il corpo (una delle denominazioni di questo particolare strumento settecentesco è infatti quello di "ville en guitare", proprio perché i liutai utilizzavano delle casse di chitarra o di liuto nell'assemblaggio degli strumenti).

    Il ritrovamento successivo di questi strumenti negli archivi della reggia di Capodimonte (vedi il link: http://museodicapodimonte.campaniabeniculturali.it/itinerari-tematici/galleria-di-immagini/OA900461) ha chiarito alcune cose, specialmente riguardo l'epoca nella quale furono in uso nella Reggia da parte del Re Ferdinando IV e del suo "maestro" con cui si dilettava a suonare in duo. Queste date sono infatti compatibili con il soggiorno a Napoli di Mozart.

     

    Enzo Amato lavora da anni su questa partitura (mi ha mostrato copia del manoscritto), e sta completando un articolo dove più dettagliatamente descriverà l'opera, facendo pendere l'ago dell'attribuzione più decisamente su Mozart alla luce di una serie di dati e approfondimenti analitici da lui condotti.

     

    La versione per le due chitarre (anche se si tratta di una "trascrizione") sembrerebbe più che plausibile, alla luce anche della tessitura e della perfetta eseguibilità delle parti (è un concerto anche abbastanza "brillante"!).

     

    Per ora posso anticipare solo questo, poi il lavoro che pubblicherà a breve il musicologo napoletano Enzo Amato certamente chiarirà meglio la questione!

     

    Saluti

    Piero Viti

     

    Grazie Piero. Intanto, dall'ascolto, è già possibile comprendere alcuni aspetti caratterizzanti della composizione. Dirò la mia al momento opportuno, e comunque non prima di aver visto la partitura.

     

    Ciao.

     

    dralig

  12. Nello Alessi - Piero Viti (chitarre)

    Orchestra da Camera di Napoli

    Enzo Amato (direttore) - Carlo Dumont (1° violino)

     

    W. A. Mozart

    Extract from: Concerto di Napoli per due Lire e Orchestra (inedito) - versione per due chitarre e orchestra by Enzo Amato

    18-12-2010

    Basilica di S. Maria Maddalena - Ischia-Casamicciola (NA)

    [YouTube Video]

     

     

    Un estratto del Concerto di Napoli per due Lire e Orchestra inedito di W.A. Mozart, eseguito World Premiere nella versione per due chitarre da Nello Alessi e Piero Viti (chitarre) con l'Orchestra da Camera di Napoli diretta da Enzo Amato nella Basilica di S. Maria Maddalena a Ischia-Casamicciola il 18 Dicembre 2010.

    Il Concerto, ritrovato manoscritto a Napoli, probabilmente fu composto da Mozart giovane durante il suo soggiorno napoletano, per il Re Ferdinando IV che si dilettava suonando la Lira (strumento settecentesco simile a una ghironda e a una chitarra).

     

    Ciao Piero, sono a dir poco sorpreso per il fatto che la notizia della scoperta di un concerto inedito di Mozart, non imcluso nel catalogo K, venga data per così dire in sordina in un forum di chitarra; tutti ricordiamo la fanfara che fece udire i suoi squilli nell'estate dello scorso anno (2009) per il ritrovamento di due pezzetti infantili per strumento a tastiera - oltretutto di identificazione assai dubbia - subito presentati in pompa magna al festival di Salisburgo. Ben altra cosa è un concerto...

     

    Permettimi quindi di rivolgerti le domande che, ovviamente, ogni musicologo ti rivolgerebbe, e che non occorre che io formuli in modo esplicito - dal momento che, oltre a essere un eccellente chitarrista, sei anche uno studioso, e dunque sai benissimo quali credenziali sono indispensabili per poter effettuare un'identificazione tanto importante.

     

    Non sono certamente il solo a restare in attesa di lumi.

     

    Ciao.

     

    dralig

  13. [

     

     

    Grazie Fabio, io conoscevo una versione del fatto diversa nella sequenza temporale, ma identica nella sostanza - quella che fornisce Lei è ancora più significativa del coraggio civile della Yudina, perché la lettera non la scrisse a uno Stalin moribondo. ma vivo e vegeto, quindi il pericolo di essere deportata o giustiziata a causa della sua missiva era molto più incombente. E' curioso osservare come questi grandi criminali - Stalin, Hitler, etc - amassero la musica.

     

    La pianista è davvero insigne. Io udii il suo nome per la prima volta nel 1956, quando - facendo il voltapagine a un pianista russo che accompagnava un violoncellista suo compatriota in tournée in Italia - gli chiesi chi fossero i più importanti pianisti del suo paese. Mi aspettavo che nominasse Emil Gilels, che già era venuto in occidente, invece nominò due artisti il cui nome ignoravo completamente: Sviatoslav Richter (che avrebbe debuttato a Milano lo stesso anno) e Maria Yudina, della quale potei ascoltare un'incisione solo molti anni dopo - in occidente, non le permisero mai di venire.

     

    dralig

  14. A conforto della convinzione di Lulù cito una frase della grande pianista russa Marija Judina (1899-1970), tratta da una sua lettera del 1961:

     

    " Posso ascoltare all'infinito, con gioia, Brahms...oppure la Johannes Passion o suonare ogni giorno a casa il clavicembalo, perché questa ormai non è più musica, ma Religione. Ma suonare, suonare tra la gente e per la gente è possibile soltanto con il linguaggio e la tensione della nostra epoca".

     

    Mi pare notevole che lei trovasse una ragione per suonare musica contemporanea (e anche per questo fu perseguitata in Unione Sovietica) proprio nel suo desiderio di comunicare con la gente.

     

    Del resto, questo incide anche sul modo di suonare la musica del passato.

    Quando dopo un concerto le chiesero perché aveva suonato così velocemente un Preludio di Bach, lei disse "Ma perché adesso c'è la guerra!"

     

    Grande pianista, grande persona. Per me, nella sua epoca e nel suo mondo. sta accanto a Pavel Florenskij. Fari dell'umanità.

     

    Lo sai Piero che il grande criminale, quando sentì avvicinarsi la morte, chiese di ascoltare la Yudina nel concerto in re minore di Mozart?

     

    dralig

  15. La natura di un opera, che se di qualche secolo fa classificate come "vestito vecchio", non credo dipenda dal secolo in cui è stata scritta ma dall'interprete.

     

    Io amo Dante, così come amo Bach e la musica di Gilardino. Se le opere di questi autori sono attuali o meno dipende - chiaramente dopo i dovuti approfondimenti, senza letture libere - anche da chi le legge e le studia.

     

    Ecco, questo mi sembra un punto molto importante, da sottolineare. La storia di un'opera d'arte (non soltanto di una composizione musicale) è intrecciata in modo inseparabile dalla storia della sua interpretazione. Prima che Pablo Casals ne desse rivelazione, le Suites per violoncello solo di Bach erano sepolte, e prima di Schnabel la musica per pianoforte di Schubert era ignorata - si suonavano due o tre dei suoi Momenti Musicali, ma le Sonate erano lettera morta. In Italia, fino al terzo decennio degli anni Venti, i quadri degli impressionisti erano considerati come bizzarrie, e furono gli studi di Lionello Venturi a far capire al di qua delle Alpi chi erano Monet e Renoir. In compenso, anche in quelle epoche, andavano per la maggiore pittori retorici o addirittura autori di immonde crostacce. Nulla è cambiato, da allora: l'arte dev'essere interpretata, altrimenti non giunge al bersaglio.

     

    Le musiche diventano vive e vere solo attraverso i loro interpreti, altrimenti rimangono come sogni nelle mente di chi le ha create, e come simboli muti scritti su carte impolverate. La storia della musica la fanno insieme i compositori, gli interpreti e gli ascoltatori: se una delle categorie è mal rappresentata o assente, la musica non c'è.

     

    dralig

  16. Tanto per restare in tema di musica .. molto eseguita..

    e i 12 Preludes di Henk Badings (1907-1987) ?...

     

     

    potremmo prendere spunto dal titolo del VI preludio..(vedere sotto) :)) ... una...?

     

    12 Preludes:

    I Intrada

    II Interludio

    III Canon

    IV Yaya

    V Tricinium

    VI Utopia

    VII Fuga

    VIII Bicinium

    IX Scherzo

    X Arpeggio

    XI Canzonetta

    XII Rasgueado Finale

     

    buona musica

    m

     

    Eh, vorrei proprio vedere chi riesce a spiegare il titolo di quel preludio in relazione alla particolare sonorità di cui è costituito (tutti armonici). Perché "utopia"? Forza, interpreti!

     

    dralig

     

    azzardo un'ipotesi: Gli armonici naturali della chitarra riflettono gli intervalli dell'accordatura della chitarra, per quarte..mentre la scrittura che usa il compositore tende ad esaltare, attraverso l'uso degli armonici, agglomerati di sequenze di tritoni, terze minori ecc..(usando la scala ottofonica?) e..."distruggendo" la percezione "naturale" del contesto tonale, entrando in uno spazio sonoro "utopistico" implicito nel mondo della chitarra ..

    ho detto un sacco di fesserie? ... ;)

     

    m

     

    Fesserie no di certo: la tua interpretazione riflette la tua condizione di intellettuale tormentato. "Utopia" è il nome dell'isola vagheggiata da Tommaso Moro nella sua opera filosofico-politica omonima - una sorta di repubblica platonica perfetta. La sua capitale si chiama Amauroto, dal greco "amauros", che vuol dire evanescente. Ecco quindi Badings edificare tutta la sua "costruzione" in armonici, il simbolo sonoro dell'incorporeità. E' il momento più alto della serie dei Preludi, il suo vertice.

    dralig

  17. Tanto per restare in tema di musica .. molto eseguita..

    e i 12 Preludes di Henk Badings (1907-1987) ?...

     

     

    potremmo prendere spunto dal titolo del VI preludio..(vedere sotto) :)) ... una...?

     

    12 Preludes:

    I Intrada

    II Interludio

    III Canon

    IV Yaya

    V Tricinium

    VI Utopia

    VII Fuga

    VIII Bicinium

    IX Scherzo

    X Arpeggio

    XI Canzonetta

    XII Rasgueado Finale

     

    buona musica

    m

     

    Eh, vorrei proprio vedere chi riesce a spiegare il titolo di quel preludio in relazione alla particolare sonorità di cui è costituito (tutti armonici). Perché "utopia"? Forza, interpreti!

     

    dralig

  18. [quote name="draligCredo che' date=' in questo caso, raggiungere un elevato grado di concentrazione non sia possibile, e nemmeno importante. Quella che Lei descrive è la situazione di un amateur che ritaglia un'ora della sua laboriosissima giornata da dedicare alla musica - fatto in sé straordinariamente bello e pieno di valore - mentre si trova in seno alla sua famiglia (con i bimbi che giocano, ovviamente, e meno male!). A che diavolo Le serve concentrarsi? Non è già un uomo felice?

     

    dralig[/quote]

     

    Sono già un uomo felice, è vero. Dovrei ricordarmene più spesso.

    Per quanto il mio Bach sia esitante, per quanto il mio Bennett stenti, quello che ho è già tanto.

    Porterò questo commento sempre con me.

    Grazie

     

    Egregio Cla, ci sono parecchi - dovrei forse dire tanti - ottimi professionisti in svariati campi - dal giornalismo all'agricoltura, dall'insegnamento universitario alle attività imprenditoriali - che, da ragazzi, hanno trovato la loro strada grazie anche al mio aiuto: mi sono sempre guardato bene, nell'insegnamento, dal trascurare o sottovalutare gli indizi che dimostravano, negli allievi, inclinazioni diverse da quelle del far musica con la chitarra, e non ho mai pensato che questa fosse cosa da eletti, e l'andare in ufficio o in fabbrica cosa da reprobi. Dal mio punto di vista, il far musica per il proprio piacere spirituale, mentre ci si cura di una famiglia, è condizione ideale, e Bach - ottimo padre di una ventina di figli - approverebbe Lei molto più di molti dei suoi interpreti, grandi musicisti e pessimi genitori.

     

    dralig

  19. [

    Grazie mille per la risposta, veramente stimolante. Tenendo conto di questo ragionamento sono sicuro di poter migliorare.

    L'argomento, che peraltro ho aperto io, mi ha suggerito però di aprirne un altro (che non è OT): l'assunzione di medicinali. Cosa ne pensate? Sono utili per rendere di più nello studio? Li avete provati? Si può tirare in ballo, se esiste, l'"etica musicale"?

     

    Tolti i casi clinici, l'uso dei medicinali è da escludere.

     

    dralig

  20. Ecco, lo sgomberare il campo mentale da ciò che sicuramente non appartiene al pensiero-azione su cui ci si vuole concentrare è il primo esercizio. dralig

     

    Più che il primo esercizio, mi sembra il fulcro del problema.

    Io lavoro, ho due figli e mi ritrovo a studiare la sera, chiuso in camera. Per quanto io mi sforzi, durante l'ora che riesco a dedicare allo strumento, non riesco a non essere subissato da pensieri differenti: qualcosa capitata in ufficio, cose da fare l'indomani, oppure i bambini che fanno un capriccio in sala, o il grande che vuole venire a giocare sotto il leggio ed altro. Un'ora non è molta, anzi, ma se poi è pure condita da distrazioni diventa quasi nulla. Magari riuscissi a concentrarmi di più: non posso dimenticarmi dei bambini, ma già tagliare fuori dai miei pensieri il lavoro sarebbe un grande passo avanti...

    Saluti

     

    Credo che, in questo caso, raggiungere un elevato grado di concentrazione non sia possibile, e nemmeno importante. Quella che Lei descrive è la situazione di un amateur che ritaglia un'ora della sua laboriosissima giornata da dedicare alla musica - fatto in sé straordinariamente bello e pieno di valore - mentre si trova in seno alla sua famiglia (con i bimbi che giocano, ovviamente, e meno male!). A che diavolo Le serve concentrarsi? Non è già un uomo felice?

     

    dralig

  21. Che voi sappiate esistono esercizi per aumentare la concentrazione - non la tecnica meccanica o il virtuosismo - quando si suona?

     

    Anche la concentrazione può giovarsi di esercizi specifici. Sono esercizi della mente. La mente può osservare sé stessa? Prova, mentre suoni, a domandarti quante altre cose sono presenti nel tuo campo mentale in quel momento. Ti sorprenderai nel constatare quante esse siano, e quanto problematico risulti il collegarle all'atto principale che stai compiendo (o almeno credi) in quel mentre: il suonare. Ecco, lo sgomberare il campo mentale da ciò che sicuramente non appartiene al pensiero-azione su cui ci si vuole concentrare è il primo esercizio. Scopriremo poi che esistono delle associazioni inestirpabili: quando si suona un determinato pezzo, può sorgere nella mente l'immagine di un luogo che solo nella nostra mente trova attinenza con quello che suoniamo. Non tutto ciò che non è il suonare va eliminato dal campo mentale di chi sta suonando. Ma questo si scopre dopo, e non può essere un alibi per menti pigre e caotiche, sempre piene di cose che "non c'entrano". La mente impara a distinguere l'essenziale dal superfluo, l'utile dall'inutile (o dannoso). In una forma, impara a riconoscere la struttura e a distinguerla dal resto. Applicazioni nella vita? Per esempio entrare in un luogo dove ci sono cento persone che fanno apparentemente la stessa cosa, e capire in pochi istanti chi è il boss, quello che tiene le redini del gioco, che la la mente più forte, e andare dritto da lui, saltando le calzette.

     

    dralig

  22.  

     

    Non sono d'accordo.

    Parlerei, a questo punto di un problema che definirei " del complementare" e di cui la chitarra ha sempre sofferto e, in parte (piuttosto consistente), continua a soffrire.

    Nell'ambito della storia dell'interpretazione degli altri strumenti musicali, diverse "scuole" hanno sempre contribuito ad esaurire, e sempre ai massimi livelli, le richieste che provenivano dalle diverse poetiche compositive e dall'evoluzione del linguaggio musicale (e scusate se semplifico). Faccio un esempio banale, ma ci fu sempre, tra gli interpreti un Hermann Scherchen o un Paul Sacher in grado di cogliere questi cambiamenti ed interpretarli e sostenerli al meglio.

    Nella chitarra no. Il percorso è esattamente il contrario. La sua storia è una storia narrata e vissuta nel nome di una diffidenza sostanziale nel "moderno" (e non parlo di avanguardie) e il cui sommo interprete è Segovia. Non gli si può, o si deve, rinnegare "il sacrosanto diritto ad avere dei gusti musicali". Il problema qui è che non ci fu nessun altro (per questo lo chaimo il "problema del complementare") a completare la mappatura delle espressioni musicali novecentesche. Trovo per questo azzardato sostenere che egli meglio di chiunque altro seppe ridefinire il concetto stesso di timbro. Chi? Segovia??? Nell'epoca in cui la klangfarbenmelodie era già stata teorizzata nel 1911 e Debussy e Stravinsky ecc ecc???

    La storia della chitarra, ad oggi, continua ad essere (nel nome di Segovia e del suo insegnamento) la storia di uno strumento musicale la cui identità è segnata all'interno dell'evoluzione del linguaggio musicale da un freno a mano tirato. Il problema non è Segovia! Ma il suo complementare, inesistente. Direi: la chitarra non è uno strumento del tutto libero perchè non permette a chi lo frequenta di partecipare alla molteplicità delle esperienze musicali novecentesche, al pari degli altri strumenti. Nelle migliori delle esperienze postume (Bream o Gilardino ad esempio, intesi non come interpreti ma come promotori di un'altra cultura chitarrisitica) la chitarra ha avuto una spinta ulteriore verso nuovi linguaggi ma credo ci sia ancora parecchio lavoro da fare per completare il panorama dell' "esserci musicalmente nel mondo".

     

    L'essere promotori di un tentativo di spingere la chitarra a "esserci musicalmente nel mondo" è costato caro a chi l'ha intrapreso. Il chitarrismo - o chitarrume - è geloso delle proprie esclusività, pretende di rappresentare un sapere iniziatico che ha che vedere con la musica strumentale "altra" solo fino a un certo punto, teme l'integrazione e rivolge a chi la incoraggia e tenta di attuarla un'avversione feroce, settaria, viscerale. Bream si è tenuto in equilibrio, mantenendo una parte considerevole della sua attività concertistica e discografica in relazione - se non in simbiosi - con il "mondo della chitarra", ma faccio notare che, eccettuato il "Nocturnal" (anch'esso comunque tutt'altro che assimilato dal chitarrume) e le "Five Bagatelles" di Walton, il suo repertorio novecentesco non ha trovato accoglimento: i chitarristi non solo non suonano, ma non sanno nemmeno che esistano le composizioni breamiane dei vari Searle, Racine Fricker, Rawsthorne, Bennet, Tippett, e parlano delle due Sonate del ciclo "Royal Winter Music" di Henze per sentito dire, ma ne rifuggono come dalla lebbra.

     

    Nel libro delle mie memorie - se mai lo scriverò - racconterò - spero con il soccorso dell'ironia e del distacco, e senza ombra di risentimenti - che cosa accadde a partire dal 1968, quando io diedi l'inizio alle pubblicazioni della collana Bèrben-Gilardino: è una storia non di divergenze culturali con il "mondo della chitarra", ma di lotta contro la più ottusa, spietata, brutale repressione, condotta da personaggi che, sotto i panni decorosi della propria reputazione e dietro il paravento della cattedra in conservatorio, si comportarono in modo barbaro, oltre che cretino, abbandonandosi alle azioni più vili e abiette. La difesa del "mondo della chitarra" occulta paure e ossessioni che non hanno nulla che vedere con la musica. La chitarra ne costituisce un catalizzatore, l'emblema dignitoso di qualcosa che dignitoso non è, e quando affermo che il fenomeno Segovia non si può spiegare in termini puramente musicali, mi riferisco alla stessa fenomenologia, che ha diverse sfaccettature e modalità.

     

    dralig

  23. Andrebbe decisamente ridimensionato e meglio contestualizzato il suo ruolo, se non altro il continuo richiamarsi a lui come esempio da seguire, da parte di interpreti contemporanei.

    Nell'epoca in cui si sono affermati come modelli di interpretazione gli

    e gli Arditti i chitarristi si richiamano ancora a Rubinstein.

     

    La questione non è soltanto e puramente musicale, e un'indagine volta a spiegarla dovrà necessariamente svolgersi in ambiti interdisciplinari. Io mi sono formato un'idea abbastanza chiara al riguardo, cioè credo di aver capito come e perché Segovia giunse a rappresentare un emblema sul quale si è poi verificata una convergenza di fattori - non tutti di natura musicale - tali da costituire un mito. Insistere nell'additare l'incongruenza tra i valori incarnati dall'interprete sul piano strettamente musicale e la dimensione mitica assunta dalla sua figura è un'ingenuità culturale.. Bisogna invece comprendere e valutare quali altre forze furono chiamate a fare di Segovia un catalizzatore di miti tale da costituire - tra lui e la chitarra - una sorta di identificazione esclusiva, quale nessun altro virtuoso, nemmeno Paganini con il violino, riuscì a formare. Credo che il metodo più adatto per condurre un'indagine del genere sia - tra quanti io ne conosca - quello hillmaniano, e credo che il filosofo americano sarebbe la persona più adatta a spiegare il fenomeno Segovia. Dopo di lui, ovviamente, ci sarebbe anche qualcun altro, e non è detto che questo qualcun altro non si decida a surrogare l'apparente mancanza di interesse per il maitre à penser statunitense nei confronti di Segovia e della chitarra.

     

    dralig

×
×
  • Aggiungi...

Informazioni importanti

Usando il Forum dichiari di essere d'accordo con i nostri Terms of Use.