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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1.  

     

    Questo è il Forum Italiano di Chitarra Classica, e nel suo manifesto non vi è nulla che escluda discussioni a carattere musicologico, quando queste hanno attinenza diretta con la musica per chitarra. Non vedo perché si dovrebbe bandire la musicologia: qui si parla - piacevolmente e utilmente - di liuteria e di tanti altri argomenti...

     

    Io non ho mai detto di doverla mettere al bando.

     

     

    Lei ha scritto delicatamente (testuale): "Fra musicisti, su di un forum specialistico, si parla di musica." Io ho precisato che di musica si può benissimo parlare da diversi punti di vista, incluso quello del musicologo, senza alcun rischio di improprietà derivante dal fatto che ci troviamo in un forum. Su questo punto non credo possano sussistere disaccordi.

     

    Il confronto tra le Sue idee di interprete - proprio perché manifeste nei Suoi concerti e nelle Sue incisioni - e quelle degli altri concertisti, è già in atto, perché anche molti altri suonano e incidono. Un esecutore le cui scelte interpretative si stampano fedelmente nell'atto del suonare - tanto meglio se messo al sicuro da buone registrazioni - non ha bisogno di confronti con quelle altrui: è tutto alla luce del sole, è tutto ascoltabile e giudicabile da coloro ai quali l'interprete si rivolge: gli ascoltatori.

     

    Questo accade già nelle sale da concerto, nei saloni, ovunque si ascoltino i miei dischi.

     

    E anche quelli di tutti gli altri concertisti. La diffusione delle registrazioni è un processo che si sta sviluppando in ampiezza e rapidità, al punto che non esistono quasi più zone d'ombra, qualunque cosa un artista produca è immediatamente esposta in vetrina, resa accessibile hic et nunc, e di conseguenza anche i mezzi che gli ascoltatori hanno a disposizione per formarsi le loro opinioni e i loro giudizi sono cresciuti enormemente. Direi che possiamo incominciare a intravvedere un futuro diverso e, almeno da questo punto di vista, migliore.

     

    Ma qui siamo su di un forum. Lei scrive, io scrivo. Lei passa le sue illuminate intuizioni, io le mie modestissime conoscenze proprio a quei cinquecento (e più, magari qualcuno non si è iscritto e legge solo) che frequentano questo forum. Lo faccio di tanto in tanto, quando mi pare che l'argomento possa beneficiare di un mio intervento e quando sono convinto di avere informazioni utili. O non dovrei?

     

     

    Non sta a me dirlo, perché io non sono né il creatore di questo forum, né colui che lo mantiene, ma mi pare che la Sua presenza sia stata onorata dalla massima ospitalità. Quello che dovrebbe o non dovrebbe fare è affidato ovviamente soltanto al Suo criterio.

     

     

    Ho indicato impersonalmente, con qualificazioni negative, categorie di interpreti le cui scelte sono a mio giudizio inaccettabili. Sono due comportamenti molto diversi, e l'adottare uno rifuggendo dall'altro è, nel mio codice etico, una questione fondamentale. Lo stile è l'uomo.

     

    Vede, Angelo, siamo molto diversi. Michelangeli non rifuggiva il dire pubblicamente ciò che pensava,

     

     

    Non ho mai letto di una dichiarazione pubblica rilasciata da Michelangeli in cui fosse menzionato con apprezzamenti negativi un altro pianista né, tanto meno, suggeriti confronti con le sue esecuzioni. Può dirmi dove le ha lette?

     

     

     

    Celibidache nemmeno (potrei continuare la mia lista). Lungi da me suggerire "assonanze" comportamentali trovate più che cercate ma mi sembra che non vi sia alcunchè di eticamente scorretto nel pubblicare le proprie convinzioni.

     

     

    Dipende da come lo si fa.

     

     

    Questo sono io. Insinuare subdolamente dubbi senza prendermi alcuna responsabilità non è nel mio stile. Parlar male delle persone alle spalle non è nel mio stile. Sminuire il talento altrui non è nel mio stile.

     

     

    Chiunque faccia qualcosa del genere, è decisamente privo di stile, e nel mio stile il riferirmi a persone simili per precisare che sono diverso da loro

    si definirebbe come una deplorevole caduta di stile.

     

     

     

    Io dico ciò che penso.

     

     

    Io no, perché il tempo che trascorro a pensare è molto più lungo di quello che trascorro parlando. Dico solo una parte di quello che penso.

     

     

    Senza mezze misure. Lo dico anche a rischio di sembrare antipatico o carente di stile a chi magari confonde quest'ultimo con l'ipocrisia o il perbenismo.

     

     

    Plaudo. D'altra parte, non v'è chi non veda come sia possibile - senza rischio di incorrere nel vizio di ipocrisia - chiamare franchezza la propria intemperante aggressività.

     

     

    La pacchianeria è una cifra dell'anima, è iscritta nel codice genetico, e non scompare nemmeno con gli studi più raffinati.

     

     

     

    Io sono allibito. L'uomo è una macchina per apprendere. La pacchianeria non è una cifra dell'anima è una cifra dell'educazione ricevuta. Non si nasce "bollati". Lascio a chi legge trarre le conclusioni su questa Sua affermazione.

     

    Può contarci. Ne stia certo, è già avvenuto.

     

    dralig

  2.  

     

    Fra musicisti, su di un forum specialistico, si parla di musica. La musicologia la lascio volentieri a chi se ne occupa per mestiere e lo fa molto meglio di me. In tema di interpretazione, invece, le mie idee sono abbastanza chiare e, oltre ad essere suffragate da tutto l'apparato pubblico di dischi e concerti, sono accessibili per un eventuale confronto con chi ne sappia un po' di analisi interpretativa. Non si tratta di tracotanza ne di hybris, semmai di un atto di umiltà e disponibilità.

     

     

    Questo è il Forum Italiano di Chitarra Classica, e nel suo manifesto non vi è nulla che escluda discussioni a carattere musicologico, quando queste hanno attinenza diretta con la musica per chitarra. Non vedo perché si dovrebbe bandire la musicologia: qui si parla - piacevolmente e utilmente - di liuteria e di tanti altri argomenti...

     

    Il confronto tra le Sue idee di interprete - proprio perché manifeste nei Suoi concerti e nelle Sue incisioni - e quelle degli altri concertisti, è già in atto, perché anche molti altri suonano e incidono. Un esecutore le cui scelte interpretative si stampano fedelmente nell'atto del suonare - tanto meglio se messo al sicuro da buone registrazioni - non ha bisogno di confronti con quelle altrui: è tutto alla luce del sole, è tutto ascoltabile e giudicabile da coloro ai quali l'interprete si rivolge: gli ascoltatori.

     

    Infatti, saranno gli ascoltatori a istituire i confronti, ai più vari livelli di competenza, dal "mi piace-non mi piace" all'esame analitico dei come e dei perché, ma non vedo un motivo valido, per un interprete che abbia già realizzato la sua arte in concerti e dischi, per reclamare un confronto con gli altri interpreti. Se la sua superiorità, la sua autenticità, il suo valore risultano dallo specifico linguaggio della musica che egli fa, che bisogno c'è di impegnarli in ordalie verbali con gli altri interpreti? Ha mai sentito Pollini sollecitare un confronto con Ivo Pogorelich sulle libertà che costui si è preso nell'interpretare - che so - gli Studi Sinfonici di Schumann?

     

    Sarebbe interessante, messo da parte il musicologo (che in sede interpretativa serve solo come riferimento esterno e che, come ha lei stesso detto in precedenza non può entrare in questioni interpretative), cosa pensa il compositore (ed il didatta) dell'interpretazione del segno. Nello specifico, elementare, dello staccato sulle ottave, dei crescendo indicati in partitura. E' Sua cognizione che dove c'è scritto staccato si suoni staccato o le risulta diversamente?

     

     

     

    Ebbene si, in certi - seppur rari - momenti di illuminazione visionaria, arrivo a comprendere che staccato vuol dire staccato. E' una conquista recente, però. Negli anni scorsi, ero all'oscuro di questa verità esoterica.

    Per i crescendo, bisognerà aspettare ancora qualche anno, ma vedrà che ci arrivo. I segni di staccato e di crescendo presenti nella mia musica, e in quella altrui, della quale ho curato la pubblicazione, sono stati scritti per puro decoro grafico, scrivendoli - da 50 anni a questa parte - non sospettavo che servissero ad altro che a infiorettare graziosamente la pagina scritta.

     

     

     

    Ai suoi allievi queste cose le dice o preferisce che personalizzino loro, secondo libertà e talento, il testo di un brano?

     

     

    A parte il fatto che io non mi permetterei mai di domandarLe che cosa Lei dice ai Suoi allievi (lo stile è l'uomo), se proprio lo vuol sapere lo domandi a loro. Io ho del ritegno.

     

     

     

    Ci sono diversi modi di dipartirsi dalla lettera dei segni dinamici, di articolazione, dalle indicazioni agogiche e di espressione. Un modo deplorevole è quello di non valutarli attentamente, procedendo in modo difforme su basi istintive: questo modo è inaccettabile.

     

    Ma allora sta dicendo quello che dico io da tempo! Confesso di essere sorpreso. Voglio immaginare che non eserciti la Sua dialettica per il puro piacere di polemizzare con me.

     

    .

     

    Non provo alcun piacere nel polemizzare con Lei, e la ragione per la quale scrivo in questo forum è nota a coloro che dai miei scritti traggono motivo di interesse. Non ha mai pensato che, conversando con Lei, io stia in realtà parlando soprattutto ad altri? Le ripeto che ci leggono 500 persone, qui, e può darsi che, per ragioni del tutto mie, io abbia a cuore qualcosa che le riguarda.

     

    In altri topic (troppi per citarli testualmente) e per molto tempo non ho fatto altro che ripetere questa frase. Lei ci aggiunge "deplorevole", "inaccettabile" e (altrove) "mente offuscata"... Suppongo che non volesse essere offensivo nei confronti dei deplorati, inaccettati ed offuscati?

     

     

    Io non mi sono mai rivolto, né qui né altrove, a persone singole, ben individuate nella loro identità, con aggettivi ingiuriosi. Ho indicato impersonalmente, con qualificazioni negative, categorie di interpreti le cui scelte sono a mio giudizio inaccettabili. Sono due comportamenti molto diversi, e l'adottare uno rifuggendo dall'altro è, nel mio codice etico, una questione fondamentale. Lo stile è l'uomo.

     

     

    Che glie ne parrebbe di assumere che nel Suo caso (e, se vuole, nel mio) i termini che stiamo usando sono un'esortazione a fare un po' di attenzione al testo? E' inaccettabile una esecuzione in cui i segni non vengano rispettati! Semplice. E' un atto di amore farlo notare a chi potrebbe suonare molto bene ed invece continua ad appoggiarsi ad una tradizione consolidata di ascolto perdendo l'occasione di diventare un grande musicista invece di restare un semplice chitarrista come tanti.

     

    Il Suo modo di amare il prossimo, e di esserne riamato, è diverso dal mio.

     

     

     

    In altre parole, occorre valutare, caso per caso, misura per misura, se la difformità dell'interprete rispetto alle indicazioni del testo è conseguenza sciagurata di una lettura disattenta e superficiale o se è invece il risultato di una ricerca ulteriore rispetto ai segni, e quindi un'offerta di devozione ermeneutica deposta ai piedi della musica da un artista che non è meno grande di quanto fosse il compositore.

     

    Io mi domando (probabilmente con una passionalità diversa dalla Sua, io sono napoletano) chi stabilisca il limite.

     

     

    Ciascuno per sè, ovviamente, appellandosi al sommo privilegio della propria coscienza di uomo, di artista, di musicista. Pretendere di varcare, con le proprie convinzioni, il limite della propria persona è un atto di violenza che nessun proposito didattico può giustificare.

     

     

    Se non è disattenzione cambiare la quasi totalità delle indicazioni in partitura, mi spieghi cosa lo è. L'esempio che ho scelto (la prima pagina del capriccio) è pretestuoso. Le difformità che io ho notato (ma se ne accorge chiunque conosca un poco poco la partitura in oggetto) in quelle esecuzioni che io avevo bollate come "offuscate" (!) erano talmente tante e talmente pacchiane da farmi sorgere enormi dubbi sulle capacità di lettura degli interpreti in questione. Altro che devozione ermeneutica!!

     

     

     

    Parlando di devozione ermeneutica, io mi riferivo, ovviamente, alle difformità interpretative di un Benedetti Michelangeli rispetto ad alcuni dettagli del testo dei Préludes di Debussy, o di altre, e ugualmente alte, difformità. Per gli interpreti pacchiani, non ho tempo, e non credo proprio che, istituendo un giudizio di Dio in un forum, li si possa convertire. La pacchianeria è una cifra dell'anima, è iscritta nel codice genetico, e non scompare nemmeno con gli studi più raffinati.

     

     

     

     

    Sono perfettamente in grado di distinguere un'idea originale (plausibile e contestualizzata) da un errore di lettura (solfeggio, note, indicazioni dinamiche ed agogiche). Nel caso di idea originale o di genialità (e qui in più d'uno possono testimoniare) non sono certo parco di complimenti. Anzi. Sono estremamente interessato a quella (piccola o grande) differenza che intercorre tra più interpretazioni coerenti.

     

    Bene, allora si sforzi di comprendere che questa Sua capacità di discriminazione non è esclusiva della Sua persona, e non attribuisca, a chi non le ha mai assunte, difese d'ufficio degli interpreti confusi e pasticcioni.

     

    dralig

  3. Tutta questa cavalcata galoppa sul nulla: io non ho fatto il minimo riferimento al passo specifico del "Capriccio diabolico" da Lei preso in esame, ho solo stabilito una premessa come criterio di base per comprendere l'approccio di MCT alla scrittura chitarristica. Tra l'altro, si sta delineando un paradosso comico: a offrire ai chitarristi l'edizione urtext del "Capriccio diabolico", che ha levato di mezzo la lettura personale di Andrés Segovia, per 80 anni assunta come volontà del compositore, sono stato io. Mi sembra - come dire - un po' bizzarro essere richiamato all'osservanza del testo che io ho recuperato e pubblicato.

     

    Mi scusi, Angelo, ma credo di non aver capito prima (e continuare a non capire) cosa c'entri la pubblicazione dell'urtext con quelle interpretazioni che bellamente se ne infischiano di quanto scritto da MCT (Urtext o Segovia). Si sta delineando una situazione che è veramente paradossale. Lei pubblica i testi, invita alla comprensione del testo e non esorta i concertisti ad eseguire con attenzione i segni espressivi indicati? Io ho il massimo rispetto dei suoi lavori musicologici ma, in tema di utilizzo interpetativo degli stessi, mi aspetto una posizione precisa riguardo l'importanza dei segni (tutti i segni) contenuti in una edizione a stampa e nel manoscritto.

     

     

    Il recupero e la pubblicazione del testo originale sono operazioni musicologiche che costituiscono il fondamento essenziale per l'interprete.

    Quando il musicologo ha pubblicato i testi, ha onorevolmente assolto il suo compito, e non ha alcun diritto di invadere l'area degli interpreti. Io non ho il mandato di esortare i concertisti a valutare attentamente i testi che ho messo a loro disposizione: farei torto alla loro intelligenza, alla loro serietà professionale e alla loro onestà se aggiungessi, all'esortazione implicita nel recupero e nella pubblicazione degli urtext, una sorta di ars dictandi, spiegando loro che cosa devono, possono, non devono e non possono fare. Se un interprete mi rivolge una domanda, sono in genere disponibile a rispondere, ma non prendo l'iniziativa di correggere e di ammonire gli interpreti che non mi hanno domandato nulla, non sono sono tentato dal demone della hybris.

     

     

     

    Quindi, riassumendo, io non prendo lezioni di fedeltà al testo da nessun chitarrista al mondo, dico nessuno, e riguardo alla pagina specifica del Capriccio non ho detto una parola. Ho fatto invece molto di più: ho cercato, trovato e pubblicato l'urtext, che i chitarristi - se vogliono - possono leggere solo da quando io l'ho messo a loro disposizione, non da prima.

     

    Questo lo avevo capito. Lei continua ostentatamente a mescolare musicologia e interpretazione come se la prima si identificasse con la seconda.

     

    Come ho appena precisato dianzi, io faccio esattamente il contrario. Come musicologo, ho recuperato e pubblicato i testi originali, e li ho messi a disposizione degli interpreti, dopodiché - proprio perché distinguo la musicologia dall'interpretazione - mi sono guardato bene dal dire alcunché a coloro che hanno eseguito i pezzi il cui testo io ho recuperato e pubblicato. Il mio silenzio al riguardo non significa però mancanza, da parte mia, di una cognizione di come le musiche vadano suonate, ed è tale cognizione che rivendico come parte simbiotica del mio lavoro di musicologo. Recuperare e studiare i testi per la loro pubblicazione è un lavoro che - ove il musicologo, com'è normale, abbia anche una specifica preparazione musicale, di tipo compositivo - avvicina molto alla comprensione della musica in senso interpretativo. Non legittimerebbe invece, dal punto di vista civile, culturale e professionale, la tracotanza della quale peccherei se pretendessi di richiamare gli interpreti all'osservanza delle mie cognizioni.

     

     

    Io ho domandato, a più riprese, senza ottenere una risposta soddisfacente, se la "libertà" di cui parla MCT, delle cui dichiarazioni Lei è stato testimone, nella sua esperienza diretta, giustifica l'attitudine di molti chitarristi di ignorare i segni grafici di interpretazione. Ripeto, in che modo uno staccato, compreso profondamente, nella musica di MCT, diventa legato? A meno che non voglia dirmi che il manoscritto della prima pagina contiene questa indicazione. Spero mi scuserà se insisto su questa pagina, è un pretesto per parlare di qualcosa che dovrebbe essere comune ad entrambi. Un testo musicale.

     

     

    Ci sono diversi modi di dipartirsi dalla lettera dei segni dinamici, di articolazione, dalle indicazioni agogiche e di espressione. Un modo deplorevole è quello di non valutarli attentamente, procedendo in modo difforme su basi istintive: questo modo è inaccettabile. Peraltro - ed è questa cognizione ampiamente condivisa da tutti i grandi interpreti, direttori in primis - la valutazione attenta e scrupolosa del segno testuale non conduce soltanto a un'esecuzione conforme (parliamo sempre di tendenzialità, perché i segni in partitura non sono misurabili in assoluto, e quindi la fedeltà è una tendenza, non una risposta certamente esatta), ma può condurre anche a delle scelte difformi, che realizzano un risultato musicale diverso da quello suggerito dal testo, ma non per questo meno valido artisticamente. I primi a riconoscere questa evidenza sono i compositori, la stragrande maggioranza dei quali ammette di aver fruito di vere e proprie rivelazioni della propria musica grazie agli interpreti. L'interprete non è solo un esecutore, in certi casi può essere capace di intuizioni che illuminano aspetti musicali nascosti agli stessi autori.

     

    In altre parole, occorre valutare, caso per caso, misura per misura, se la difformità dell'interprete rispetto alle indicazioni del testo è conseguenza sciagurata di una lettura disattenta e superficiale o se è invece il risultato di una ricerca ulteriore rispetto ai segni, e quindi un'offerta di devozione ermeneutica deposta ai piedi della musica da un artista che non è meno grande di quanto fosse il compositore.

     

     

    Ma perchè, Lei è convinto che Milhaud non sapesse cosa scriveva? Non era in grado di indicare con una certa approssimazione neanche l'andamento della sua propria musica?

     

     

    Tra le mie convinzioni, c'è quella che chiunque sappia perfettamente che cosa scrive, vestendo panni umani, può incorrere in un banale lapsus calami e scrivere una cosa diversa da quella che pensava. Succede a tutti: scrittori, musicisti, etc., tanto è vero che esistono, nelle case editrici, dei personaggi chiamati editor che hanno il compito di leggere i testi destinati alla pubblicazione e trovare gli errori di penna (nulla che vedere con i correttori di bozze, che entrano in scena dopo). Ebbene, a parte il fatto che nessuno degli interpreti della "Segoviana" ha finora scandito l'improbo tempo scritto dal compositore (semiminima = 84), io sono andato a studiarmi il manoscritto, e ho constatato che il compositore aveva prima scritto un valore, poi lo aveva ricoperto con dei tratti di penna (risultandone una macchia illeggibile) e sostituito con un altro valore, scritto chiaramente in epoca successiva a quella della redazione del manoscritto. Quindi, siamo già di fronte a un'indicazione non univoca e rimasticata. A questo punto, è lecito non sentirsi affatto sicuri, e conviene lasciar parlare il carattere del brano, che finora nessuno ha pensato di suonare con il tempo scritto dall'autore. E non sarò certo io a esortare chicchessia a fare ciò.

     

    dralig

  4. [ Questa è la distinzione che io intendevo operare: non mi assocerei di certo, negando il valore e l'importanza degli studi sulla musica, alle posizioni dei bruti apparentemente paghi della convinzione che il far musica si identifichi soltanto con il far parte di quella che il memorialista Hamilton definiva "raclerie universelle" ("grattarolla universale"), e che chi non gratta sia un incapace o un perditempo: anche gli analisti non freudiani non esiterebbero un istante a rinvenire il senso della locuzione "il nostro strumento"...

     

    dralig

     

    :mrgreen:

    certo poi concordo con la distinzione... questa però probabilmente è chiara a me, a lei, probabilmente oggi alla maggioranza dei musicisti "classici"...mi chiedevo come mai non sia chiara anche ai legislatori e alle cosiddette associazioni di categoria quando fanno da tramite tra le classi e i ministeri...questo a mio parere è un grande problema per la musica in Italia...che deve essere risolto perchè è un'insidia oltrechè un limite enorme alla crescitasia dal punto di vista culturale che sociale...corrode e arriccia le parti che perseverano a guardarsi in cagnesco...facendo di quella che a "noi" pare una logica distinzione culturale, ognuna con le proprie complesse competenze (generalizzando sappiamo quanta vita dura abbiano le scienze, ancor prima che umane, nel mondo), una querelle (non de brest!) ma tra comari con i rispettivi orticelli da tutelare...

    penso però che qualcosa stia cambiando...voglio essere ottimista...

     

    Vedo con piacere, e senza sorpresa, che Lei ha letto Genet.

     

    dralig

  5.  

     

     

    Molti compositori, anche quelli molto dotati strumentalmente, compongono per uno strumento virtuale che esiste innanzitutto nella propria testa. Non conosco nessun compositore che scrive opere sinfoniche in grado di suonare tutti gli strumenti dell'orchestra.

     

     

    Il grado di controllo che un compositore acquisice nell'orchestrare - l'orchestrazione è parte essenziale dello studio della composizione - è cosa diversa da quello che può acquisire nei confronti di uno strumento qual è la chitarra, la cui tecnica e il cui idioma non fanno parte dell'istruzione accademica dei corsi di composizione, specialmente se si tratta di scrivere non una parte d'orchestra, ma brani solistici o parti concertanti. Del resto, basta vedere gli urtext e i manoscritti di MCT per rendersene conto: non solo scriveva segni dinamici e di espressione problematici, ma anche accordi impossibili. E lo sapeva, e faceva affidamento "sui suoi amici chitarristi" per rendere eseguibili le sue pagine. Castelnuovo-Tedesco era un ottimo orchestratore, ma questo non lo metteva in grado di scrivere per chitarra sola in modo realistico.

     

     

     

    La precisazione di dralig, va a margine delle mie considerazioni circa la interpretazione del segno (sostituire un segno grafico con un suono, comprendere il significato del sistema di segni per restituire un'idea musicale). Considerazioni, queste semiologiche, assai secondarie (o perlomeno da affrontare in un momento successivo) rispetto alla semplice lettura del testo. Le considerazioni di tipo estetico-musicologico pongono l'ulteriore problema dello stile. Ma non vedo come possano giustificare la non osservanza di quanto scritto dal compositore. In parole povere, se il compositore scrive sostenuto e pomposo, ff, accentuato, ottave staccate, diminuendo, due accordi marcato e due ancora accentuati e poi una successione ascendente di arpeggi associata an un mf crescendo etc etc, su quali basi (di comune comprensione, non una semplice dissertazione autoreferenziale) la non osservanza dei semplicissimi segni della partitura dovrebbe significare una più corretta interpretazione? In che modo comprendere un segno (che so, mettiamo lo staccato) profondamente, dovrebbe portarmi alla convinzione che il compositore voleva invece un marcato o un legato?

     

     

     

    Tutta questa cavalcata galoppa sul nulla: io non ho fatto il minimo riferimento al passo specifico del "Capriccio diabolico" da Lei preso in esame, ho solo stabilito una premessa come criterio di base per comprendere l'approccio di MCT alla scrittura chitarristica. Tra l'altro, si sta delineando un paradosso comico: a offrire ai chitarristi l'edizione urtext del "Capriccio diabolico", che ha levato di mezzo la lettura personale di Andrés Segovia, per 80 anni assunta come volontà del compositore, sono stato io. Mi sembra - come dire - un po' bizzarro essere richiamato all'osservanza del testo che io ho recuperato e pubblicato.

     

    Quindi, interpretativamente, non possiamo collocare la musica per pianoforte e la musica per chitarra di MCT allo stesso livello di lettura: nel suonare i brani pianistici, l'esecutore non trova alcuna discordanza tra lettera testuale e sonorità reale, nel suonare i brani per chitarra legge una dichiarazione d'intenti, tutta da verificare. Infatti, il compositore era incline a lasciare la massima libertà ai suoi interpreti chitarristi, anche se, ovviamente, aveva un suo preciso criterio di valutazione delle loro esecuzioni.

     

     

    Mi faccia capire, vuole dire che MCT incoraggiava i chitarristi ad infischiarsene (mi consenta la parafrasi del suo "lasciare massima libertà") di quanto lui stesso scriveva in partitura?

     

     

     

    Vista la Sua pervicace tendenza ad attribuire ai Suoi interlocutori affermazioni che non hanno mai pronunciato né pensato, mi sembra davvero impresa ardua il farLe capire. Che l'accurata lettura del testo in tutti i suoi aspetti sia l'operazione primaria da eseguire da parte di ogni interprete non l'ha mai contestato nessuno, né io mi sono mai sentito così debole di mente da permettermi di pensarlo: se non erro - ancora lo devo ribadire - sono stato io, 36 anni fa, a pubblicare per primo gli urtext di Castelnuovo-Tedesco (e poi di altri autori), mettendoli in primo piano avanti le revisioni, e a insegnare ai signori chitarristi che, per prima cosa, andava letto quel che il compositore aveva scritto, dopo di che si sarebbero affrontati i problemi posti dai dettagli della scrittura. Basta leggere una delle edizioni che ho curato (Capriccio dabolico, Tarantella, Sonata, Suite Compostelana di Mompou) e confrontarne il testo musicale con quelli disponibili in precedenza per rendersi conto di quale sia il mio criterio di lettura e il mio approccio al testo: questi sono fatti pubblici, non dichiarazioni autoreferenziali. Che MCT intendesse lasciare massima libertà ai suoi interpreti non è frutto di speculazione mia, ma esplicita dichiarazione Sua, testuale, di cui ebbi il privilegio di essere partecipe in una delle molte lettere che Egli mi scrisse nel 1966-67-68. E' a disposizione di chiunque la voglia leggere. Ovviamente, MCT supponeva di rivolgersi, con la Sua esortazione a sentirsi liberi, a interpreti intelligenti, non a lettori dalla mente offuscata e, una volta concessa tale libertà, si riservava (come ho chiaramente scritto nel mio messaggio precedente, ma "far capire" talvolta è davvero difficile) di giudicare l'uso che ne veniva fatto. Tant'è vero che la Sua scarsa soddisfazione per le esecuzioni che Segovia diede del Capriccio quasi portò a una rottura tra i due musicisti. Non esortò mai nessuno a "infischiarsene" di quello che scriveva: spiegò invece, con saggezza e umiltà, qual era la posizione dalla quale aveva scritto per chitarra. E questo per me è un dato primario, fondamentale per la lettura delle sue musiche chitarristiche.

     

    Quindi, riassumendo, io non prendo lezioni di fedeltà al testo da nessun chitarrista al mondo, dico nessuno, e riguardo alla pagina specifica del Capriccio non ho detto una parola. Ho fatto invece molto di più: ho cercato, trovato e pubblicato l'urtext, che i chitarristi - se vogliono - possono leggere solo da quando io l'ho messo a loro disposizione, non da prima.

     

    Ha conoscenza di altri compositori che la pensavano in maniera analoga? che so anche Henze, Britten, Walton o per andare un po' più indietro nel tempo, magari, Turina?

     

     

    La mia conoscenza del "Nocturnal", dei cinque pezzi per chitarra di Turina e della "Royal Winter Music" è basata sulla lettura dei manoscritti originali, dei quali sono fortunatamente in possesso. Nessuno di tali manoscritti pone problemi dell'ordine di quelli posti dai testi di Mario Castelnuovo-Tedesco. Nel caso di Turina, si tratta di ripristinare il testo primario. Per gli altri autori da Lei citati, non c'è il minimo problema a osservare i segni prescritti. Non ho la disposizione il ms di Walton, ma ho corrisposto con lui al tempo della pubblicazione delle Bagatelle, e non mi disse nulla al riguardo, se non che riteneva l'interpretazione di Bream conforme alle sue aspettative, e del tutto soddisfacente.

     

     

    Sa, io ho usato l'esempio della prima pagina del capriccio per analizzare lo scostamento dal testo (e la mia relativa inclinazione a definirla cialtronaggine) di molti presunti interpreti.

     

     

    Di questo Suo ostentato bisogno di definire cialtronesche le scelte interpretative che divergono dalle Sue, Le lascio l'intera, e non lieve, responsabilità.

     

    Ho ascoltato, a sostegno della mancanza di attenzione al testo, le teorie più pittoresche (più o meno sacrosantamente basate sulla candida affermazione di libertà). Il trattamento tributato al buon MCT non è una eccezione. Mi è capitato di ascoltare "operazioni" analoghe su Walton, Henze, Ginastera, ma anche Sor, Giuliani...

     

    Qualunque scelta interpretativa - anche quella di rimanere fedeli al testo - può essere descritta in modo spregiativo, canzonata, essere messa in ridicolo. L'ironia che Lei adopera nei riguardi di chi interpreta in modo diverso da Lei può essere adoperata nei riguardi delle Sue interpretazioni con lo stesso risultato: solo quello di dimostrare una fondamentale mancanza di rispetto per il prossimo. Non è un problema musicale, è un problema di civiltà. Non mi riguarda.

     

     

    La musica di Milhaud io proverei a farla al tempo suggerito da Milhaud. Convinto che, probabilmente, sapesse cosa faceva e possedesse un metronomo e fosse conscio della "scala" che vuole un allegro più rapido di un Andante. Al di là della sua sensazione sulla semicomicità del risultato, è in possesso di informazioni che portino a credere che Milhaud si sia sbagliato? O che, mi correggo, volesse indicare un tempo diverso da quello da lui effettivamente indicato in partitura?

     

     

    Mi arresto alla soglia invalicabile del fatto che Lei è "convinto che probabilmente" (espressione che uno come Lei definirebbe "pittoresca") e La lascio alle Sue convinzioni.

     

    dralig

  6.  

     

     

    In questo paese, purtroppo, non è del tutto scontato che la conoscenza della musica sia una conoscenza specifica...spesso, nell'ambito di discussioni anche istituzionali, essa è stata confusa con la conoscenza "sulla" musica, che è cosa differente...

     

    Fabio, io non contesto il fatto che esista una conoscenza che ha come oggetto la musica, così come non mi sognerei di contestare l'esistenza - e l'enorme valore - di quel ramo della filosofia chiamato estetica, che studia l'arte, ma che si pone come un "in sé" autonomo. Ho invece puntualizzato la non sostituibilità della conoscenza specifica del linguaggio e delle tecniche musicale nell'ambito del fare musica, cioè del suonare, del comporre, del dirigere, del cantare, etc. - fermo restando il mio sommo rispetto di chiunque scriva di musica come di un "oggetto" di studio.

     

    Lei non ha bisogno delle mie spiegazioni al riguardo, ma poiché ci leggono in molti, voglio fare un esempio. Thomas Mann, nel suo "Doktor Faustus", descrive con affascinante minuzia le caratteristiche formali delle composizioni del suo eroe Adrian Leverkuhn, e lo fa adoperando un lessico propriamente musicale. Non occorre sottolineare che, con ciò, il grande scrittore ha fatto della grande letteratura, ma non ha fatto una nota di musica. Questa è la distinzione che io intendevo operare: non mi assocerei di certo, negando il valore e l'importanza degli studi sulla musica, alle posizioni dei bruti apparentemente paghi della convinzione che il far musica si identifichi soltanto con il far parte di quella che il memorialista Hamilton definiva "raclerie universelle" ("grattarolla universale"), e che chi non gratta sia un incapace o un perditempo: anche gli analisti non freudiani non esiterebbero un istante a rinvenire il senso della locuzione "il nostro strumento"...

     

    dralig

  7.  

    mh

    non concordo molto...nel senso, ciò che dici è prerogativa del genio interpretativo...svelare verità altre rispetto a quello che oggettivamente è scritto in partitura non è prerogativa del concertista, bensì del genio (penso banalmente ad un Glenn Gould)

    io mi ha aspetto da chi legge la mia musica (escludo alcuni lavori in cui "gioco" con l'improvvisazione) una grande attenzione a ciò che c'è scritto, agogiche, metronomi e altre indicazioni comprese...questo non esclude affatto la libertà di interpretazione che può benissimo muoversi agevolmente (da premettere forse la capacità dell'interprete di farlo) entro quei parametri

     

    Attento Fabio, questo è vero e sacrosanto in linea di principio, ma bisogna poi inquadrare il testo in una prospettiva storico-estetica, e comprendere a fondo il valore delle segni dinamici, agogici e di espressione. Castelnuovo-Tedesco non aveva - per sua stessa, esplicita ammissione - il minimo controllo del suono "materiale" della chitarra, scriveva per uno strumento virtuale sovrapposto a quello reale, e non di rado le coincidenze tra i due livelli risultano problematiche: se un compositore scrive "ff" o "furioso", deve saper interpellare lo strumento nelle aree sonore che tali risultati permettono di ricavare. Questo lo può fare solo il compositore che abbia "le mani in pasta", e non il compositore che immagina uno strumento senza poterne verificare le risorse e la tenuta.

    Quindi, interpretativamente, non possiamo collocare la musica per pianoforte e la musica per chitarra di MCT allo stesso livello di lettura: nel suonare i brani pianistici, l'esecutore non trova alcuna discordanza tra lettera testuale e sonorità reale, nel suonare i brani per chitarra legge una dichiarazione d'intenti, tutta da verificare. Infatti, il compositore era incline a lasciare la massima libertà ai suoi interpreti chitarristi, anche se, ovviamente, aveva un suo preciso criterio di valutazione delle loro esecuzioni.

     

    Il problema non si pone soltanto per le musiche di MCT, ma anche per quelle di molti altri autori non chitarristi. Chi suonerebbe la "Segoviana" di Darius Milhaud seguendo l'indicazione metronomica del compositore? E se lo facesse, ottenendo come risultato un brano semicomico, renderebbe giustizia alla musica?

     

    dralig

  8. Pare che per realizzare, nel 1860, il dipinto conosciuto come "Il cantante spagnolo", Eduard Manet (1823-1883) si fosse ispirato a due virtuosi chitarristi parigini dell'epoca, A.T. Huerta e J. Bosch.

    Quest'ultimo, originario della Catalogna e amico del compositore Gounod, partecipava alle serate musicali organizzate da Madame Manet nella sua casa di Parigi. Non a caso restano di Manet diverse opere a soggetto musicale, tra le quali un bel ritratto della moglie, pianista.

     

    "Che ne dici", disse rivolto all'amico Antoine Proust, "Pensa che la testa l'ho dipinta di getto. Dopo due ore di lavoro, non vi ho piu' aggiunto un solo colpo di pennello".

    La figura del chitarrista ritratta quasi a grandezza naturale, nel dipinto conservato presso il metropolitn Museum di New York, appare tuttavia solo come un modello.

    Già durante la sua realizzazione l'autore si rese conto di aver rappresentato un suonatore mancino con una chitarra predisposta per essere suonata da un destro. ;)

     

    Esposto al Salon del 1861, il dipinto venne battezzato "Guitarero" da Théophile Gautier che così lo recensì nel Moniteur: "Velazquez lo saluterebbe con un lievo ammiccare pieno di simpatia".

    L'opera ebbe però critiche meno favorevoli da Hector de Callias, che scrisse su "L'Artiste": "Quale poesia nella figura di questo mulattiere, in quel nudo muro, in quella cipolla e in quel mozzicone di sigaretta i cui aromi si diffondono insieme per la sala".

     

    Della stessa opera esiste (con il medesimo "errore", una versione in acquarello, conservata alla Reves Collection di Dallas.

     

     

     

    Butterfly

     

    Edouard Manet era amico del chitarrista-compositoe catalano Jaime Bosch, che visse a Parigi. Per la pubblicazione di un brano di Bosch ("Plainte moresque"), il grande pittore preparò uno splendido disegno, riprodotto nella copertina dell'edizione. In questo disegno, il chitarrista tiene lo strumento in posizione normale (non è mancino). Non credo che Manet, nel dipinto, mirasse a una raffigurazione realistica, ma piuttosto a un'espressione, in cui anche il fatto di essere mancino conferisce al chitarrista quei tratti caratteriali che lo rendono così poco...raccomandabile.

     

    dralig

  9.  

     

    Per una volta siamo d'accordo sulla sostanza. Non credo che le nostre posizioni, su questo specifico, siano mai state molto dissimili. Saper parlare e saper intendere le parole attiene alla parola ed al ragionamento. Saper ragionare di musica, però, non vuol dire saperla fare o saperla insegnare. I discorsi intorno alla musica non possono in nessun modo sostituire la musica perchè non lo sono.

     

     

    Ovviamente. La conoscenza della musica è una conoscenza specifica, e nessuno che vi si sia addentrato sosterrebbe mai che è sostituibile con altre conoscenze, le quali, semmai, si possono utilmente aggiungere e integrare. Io non ho mai sostenuto che il musicista si possa manifestare "musicalmente" al di fuori della musica, anche se (e per questo qui conveniamo nel dialogo) è del tutto ovvio che debba saper quel che dice, ed è altamente auspicabile che sappia distinguere un Picasso da un Rembrandt. In altre parole, su questo punto non c'è e non ci può essere disaccordo. Il mio intervento non aveva lo scopo di negare lo specifico della conoscenza musicale, ma di far notare che essa può fondarsi benissimo su studi e pratiche diverse da quelle dello strumentismo, e questa è un'evidenza che, per quanto manifesta in modo lampante, sembra essere difficile da intendere e da accettare da parte di una tipologia di strumentisti. Chi sa scrivere a tavolino una fuga a cinque voci in tre ore non è sospettabile di scarsa conoscenza musicale da parte di chi suona uno strumento: sono conoscenze diverse, e non è ammissibile che, per mettere in sospetto la competenza di qualcuno in campo musicale, gli si imputi il fatto di non suonare: questo, ribadito in termini diversi, è il senso del mio intervento. Nient'altro che questo.

     

     

     

     

    Da qualche tempo un certo numero di "pedagoghi puri" (per citare il mio caro Neuhaus) ha cominciato a far trapelare la convinzione che per essere un buon pedagogo non ci sia alcun bisogno di essere uno strumentista, non dico ottimo, ma neanche appena decente. Ora, non so cosa ne pensi Lei, Angelo, a riguardo, però a me la cosa lascia non pochi dubbi.

     

     

    Ovviamente, penso che sia una sciocchezza. Per insegnare l'arte dell'interpretazione musicale del repertorio di uno strumento, bisogna essere profondi, diretti, pratici conoscitori della tecnica e delle possibilità di quello strumento. Altrimenti, si insegna qualcosa di ipotetico. Un direttore d'orchestra è certamente in grado di sviscerare la forma di una Sonata di Ponce - e probabilmente riesce a farlo meglio della maggioranza dei docenti di chitarra -, ma non può trasferire i risultati di questa sua analisi sul terreno reale, perché ignora i segreti della tecnica, del suono, della scelta tra infinite soluzioni possibili. Quindi, è indispensabile che un maestro di chitarra sia un maestro di chitarra, non è ammissibile che non lo sia, e non è sufficiente che sia solo questo: deve sapere anche molte altre cose (la preparazione musicale generale dei chitarristi sta migliorando, ma è tuttora carente).

     

    Ciò detto, ci sono altri punti di specificare. Essere un maestro di chitarra (o di qualunque altro strumento) non implica necessariamente dedicarsi all'attività concertistica. Questa è una possibilità che si apre a persone dotate di una particolare forma di talento, che le abilita non solo a far musica in modo compiuto e brillante, ma anche a comunicare la musica agli ascoltatori "in carne e ossa", con tutto quello che di specifico l'atto della comunicazione comporta. Si può essere un ottimo strumentista, anche un virtuoso, ma non avere questo dono. Oppure, si può avere tutto, ma non la disposizione ad accettare il tipo di vita che l'attività concertistica impone.

     

    E qui la differenza tra il concertista e il didatta si fa divaricante. Il didatta non ha bisogno di memorizzare e di portare a livello di rifinitura tutto ciò che legge, che comprende, che sa analizzare e che è in grado di spiegare nei più minuti dettagli ai suoi allievi. Ha l'obbligo di sapere, su un determinato repertorio, tutto quello che c'è da sapere, e di sapere come si fa a suonarlo realmente, ma non ha l'obbligo di saperlo fare al livello richiesto al concertista che tale repertorio deve mantenere lustro, perfetto, memorizzato fino all'automatismo. In compenso, scegliendo di non lavorare all'estremo un certo numero di pezzi, ha la possibilità di leggerne e di comprenderne un numero molto maggiore: la cognizione del repertorio che ha chi ha scelto di fare il concertista - con l'enorme stress e la rilevante dispersione di tempo che la vita del virtuoso viaggiante impone - non può essere la stessa del maestro che, assiso nel suo studio, legge ogni giorno un pezzo nuovo, lo analizza, lo comprende, lo assimila mentalmente al punto da rappresentarselo perfettamente - suonandolo, è ovvio, in modo conforme - e il giorno appresso, invece di iniziare il duro lavoro di lima e di assimilazione digitale su quello stesso pezzo, ne legge un altro. A costui non fa difetto nulla per andare in aula e spiegare il brano, anche nei dettagli tecnici, ai suoi allievi, naturalmente esemplificando, dove, come e quando occorre, i vari punti: ma questo non lo abilita a presentarsi l'indomani in sala da concerto davanti a un pubblico: questo è un altro lavoro, un altro mestiere, un'altra vita.

     

     

     

     

     

     

    Ho anche sentito ripetere fino allo sfinimento la manfrina che un grande concertista solo di rado è un buon pedagogo. La cosa è falsa. Delle Vigne, Widmer, Widman, Ricci, Tsutsumi, Wibaut, Althoff, Dorenski, Battaglia, Amoyal (solo per citare a braccio alcuni dei miei colleghi alla SommerAkademie di Salisburgo) sono dei formidabili strumentisti, dei concertisti (la loro attività concertistica gli permette di vivere anche con un certo agio) e degli ottimi pedagoghi (ho ascoltato le loro lezioni e la quantità di ottimi strumentisti che escono dai loro corsi è davvero impressionante).

     

     

     

    Non credo che sia giusto fare generalizzazioni. Così come esiste una specificità dell'attività concertistica, esiste anche una specificità di quella didattica. La storia dell'inadeguatezza all'insegnamento da parte dei grandi concertisti è solo una semplificazione: in realtà, il concertista può benissimo imparare a insegnare, solo che lo voglia. Conosciamo eccellenti concertisti che, dopo essersi affacciati alla carriera in modo brillantissimo (per parlare di italiani, Corrado Romano, violinista, o Paolo Spagnolo, pianista, entrambi giovanissimi vincitori del concorso di Ginevra) poi rinunciarono ai concerti e si dedicarono fecondamente all'insegnamento. Per non parlare di Galamian, il più grande didatta di violino del secolo scorso (maestro di Perlman, di Zukermann, di Laredo, della Chung e di tante altre star), che non suonava mai in pubblico...

     

     

    Ora io non trovo corretto (anche se in parte ne capisco le motivazioni) insinuare dubbi in maniera sistematica sull'operato di chi la musica la fa. Non capisco neanche l'esigenza di stabilire in continuazione una gerarchia. Chi la musica la fa, evidentemente la può fare ed è felice così. Chi ha scelto altri modi di servire la musica è padrone e responsabile delle sue scelte.

     

     

    Infatti, io non mi sono mai sognato di stabilire gerarchie, e ho anzi negato fortissimamente che ne esistano. E' precisamente per sostenere tutto ciò che sono intervenuto, e che continuerò a farlo, se sarà necessario.

     

    dralig

  10.  

    Se è per questo, con buona pace dei grandi compositori da Lei citati, Angelo, ce ne sono una enorme quantità di completamente e meritatamente sconosciuti che, probabilmente, tali rimarranno anche a fronte di un lavoro di recupero musicologico che talvolta non va al di là dell'operazione commerciale. Magari potremmo fare una lista anche degli esecutori che una traccia infinitesimale l'hanno lasciata: Busoni (grande interprete oltre che compositore), Liszt (idem), Longo, Neuhaus, Gilels, Lipatti, Enescu,Oistrak, Heifez, Milstein, Segovia...

     

     

     

    La buona pace delle grandi ombre il cui nome ho citato con riverenza non si turba con l'annuncio che esistevano, al loro tempo, molti compositori di mezza tacca il cui nome è stato giustamente sepolto nell'oblio, né a musicisti della loro forza sarebbero serviti mementi intesi a sottolineare l'importanza dei grandi interpreti e la loro motivatissima candidatura a essere ricordati nella posterità: tutto ciò è risaputo, accettato, condiviso da sempre e da chiunque abbia un minimo di conoscenza della storia. Quindi il problema non è quasi di nessuno: solo di chi, scrivendo, dimostra di supporre che il suonare sia di per sé dimostrazione di superiorità. E solo contro questa supponente supposizione io ho fatto osservare che la storia insegna altro: ho negato una superiorità, non ne ho affermate altre, diverse o contrarie. In tutto ciò si vede che il buon uso della parola, nell'essere pronunciata e nell'essere intesa per quello che significa, e non per altro, non è questione formale, ma di sostanza, e che anche il saper parlare e il saper intendere è importante.

     

     

     

     

    Vado a studiare Giuliani e Bacarisse, con buona pace di chi lascia tracce ( e che tracce) e chi, come me, no!

     

     

    Chiunque viva e lavori lascia traccia di sé. Non può evitarlo. A decidere della profondità e del valore delle nostre tracce, non siamo noi, sono, saranno gli altri, non Tizio o Caio, ma la sintesi del giudizio di un grande numero di persone, attraverso varie generazioni: darsene pensiero mentre si sta lavorando è una futile distrazione.

     

    dralig

  11.  

     

    Suonare è solo una delle tante attività musicali: chi suona non è, per investitura divina o riconosciuta gerarchia artistica, la somma incarnazione della musica, e non detiene, in linea di principio, alcun primato rispetto a chi compone, a chi ricerca, a chi studia. Se chi suona si sente in condizioni di guardare a chi non suona con atteggiamento di superiorità, supponendo di stare al vertice dei valori, non ha capito niente della musica, dell'arte e della vita. E imparerà a sue spese.

     

    dralig

     

    Sono totalmente d'accordo. Chi non suona (e studia o ricerca o compone o, talvolta, solo parla),

     

     

     

    In un forum, non si può far altro che parlare (ossia, scrivere parole). Mi pare che nessuno dei 500 partecipanti abbia a disposizione altro mezzo che la parola, qui. E se ne può servire esattamente come chi suona si serve del proprio strumento: cioè con destrezza e proprietà, oppure in modo rozzo e volgare. Quanto a ciò che ognuno fa, oltre al partecipare a un forum - che è ovviamente attività marginale o un piccolo servizio reso alla propria comunità o un divertimento, o tutte queste cose insieme - non c'è proprio di che darsi pensiero: siamo tutti in piazza, esposti con le nostre opere, e non possiamo far altro che lasciar parlare quelle. Sono molto eloquenti.

     

     

    vieppiù, non è in condizioni di guardare chi suona con atteggiamento di superiorità. Anzi, in genere, se è onesto, lavora a favore di chi suona ed (implicitamente) di chi ascolta. Si tratta di restituire con mutua comprensione i rispettivi meriti. E' una questione di onestà intellettuale.

     

     

     

    In mancanza della quale, a chi rivolge ad altri l'accusa di non suonare - quasi che si trattasse di un'omissione colpevole nei confronti di un sacro dovere - viene rimandato a una sana consultazione della storia della musica, dove apprenderà degli Schubert, dei Wagner e dei Berlioz che non suonavano, ma che, nondimeno, hanno lasciato traccia di sè in modo ben più incisivo di tanti virtuosi dei quali oggi non si ricorda nemmeno il nome.

     

     

    In quanto alle lezioni che ci impartisce la vita, un antico detto napoletano recita più o meno le parole del Maestro Gilardino: "nun te fa maje masto dint' a vita..." (non supporre di essere esempio di maestria ineguagliabile nella vita...). E' una questione di puro buonsenso. L'unico modo di dirlo senza rischiare di cadere nella "presunzione di maestria" è (a mio avviso) riportarlo come esempio di saggezza popolare. Diversamente rischia di sembrare un "delirio egotistico".

     

    Rischia di sembrare. Bisognerà poi appurare che cosa rischia di essere. E a tal fine, lasciamo che ciascuno dei nostri lettori giudichi da sé le parole che legge.

     

    dralig

  12. gli pseudomaestri che insegnano dopo che hanno definitivamente smesso di studiare e di imparare
    e di suonare... ?

     

    Suonare è solo una delle tante attività musicali: chi suona non è, per investitura divina o riconosciuta gerarchia artistica, la somma incarnazione della musica, e non detiene, in linea di principio, alcun primato rispetto a chi compone, a chi ricerca, a chi studia. Se chi suona si sente in condizioni di guardare a chi non suona con atteggiamento di superiorità, supponendo di stare al vertice dei valori, non ha capito niente della musica, dell'arte e della vita. E imparerà a sue spese.

     

    dralig

  13.  

    guarda che,in giro,ci prendono parecchi.

    il mondo della chitarra contemporanea è sempre piu allo sbando.uno schifo.

     

    Se per "mondo della chitarra" s'intende quel sottobosco di pseudoconcertisti che tirano a campare propinando ai loro ascoltatori (paghi del "nome" di chi suona) un repertorio di una ventina di pezzi suonati per una vita; gli pseudomaestri che insegnano dopo che hanno definitivamente smesso di studiare e di imparare; i loro smarriti studenti; tutta la troupe che deambula da un "festival" all'altro; allora si, siamo allo sbando.

     

    Il "mondo della chitarra" però non è tutto qui. All'opera ci sono interpreti colti, che si dedicano a un repertorio di approfondimento e di ricerca, ottimi docenti, studenti dotati e ben guidati e - la cosa più importante - un repertorio in continua crescita: anche se l'altro "mondo della chitarra" non dà segni di accorgersene, e ammuffisce nella propria accidia.

     

    Forse, è il caso di svegliarsi e di rendersi conto che, allo sbando, ci finisce soltanto chi vuole.

     

    dralig

  14.  

     

    Forse ti è "capitato" di ascoltarne un adagio che Kubrick ha utilizzato per il suo film "2001: a space odyssey" nelle scene dove l'astronave viene ripresa nel silenzio siderale, un abbinamento esemplare.

     

    .

     

    Tratto dal balletto "Gayane", famoso per la "Danza delle spade" che - manco a dirsi - è il pezzo meno alto del balletto (scritto durante le prove per compiacere la prima ballerina che voleva cimentarsi in un solo di bravura). Il brano usato da Kubrik è stupendo.

     

    dralig

  15. si, mi piace Rachmaninov, ma in realtà impazzisco per Chopin, la sua musica ha in se il dramma che da sempre l'uomo porta dentro, ha in un certo senso il desiderio di verità e di felicità che tutti abbiamo...infondo la musica se non è un espressione del cuore, dell'anima (e quindi delle esigenze fondamentali che li costituiscono: libertà, felicità, verità, compiutezza) perderebbe per me il suo interesse. Ultimamente però ho una certa predilezione anche per Stravinskij e Bartok.

     

    .

     

    Guardando sempre a est, forse Le conviene - senza espellere Rachmaninov dal Suo paradiso - guardare anche a Sergej Prokofiev, che non può mancarLe, accanto a Stravinskij e a Bartok. Cominciando dai suoi concerti per pianoforte, troverà tesori musicali immensi. E, accanto a Rachmaninov, potrà collocare compositori ugualmente ricchi di pathos, ma formalmente più alti e rifiniti, per esempio Aram Kachaturian, il cui Concerto per violino - a giudicare dalle preferenze che Lei manifesta - potrebbe davvero - come si dice scherzosamente dalle mie parti - "farLe del male".

     

    dralig

  16. Adesso però ci spiegate il perchè.

     

    Le due composizioni sono così diverse che un paragone può basarsi soltanto sul gusto personale, il "mi piace di più".

     

    Bisogna però riconoscere, o Alfredo, che l'op. 30, dal punto di vista formale, è un gran bel lavoro, che unifica - in un solo brano - la variazione motivico-ornamentale (in cui Sor è maestro da prendere a modello) e la forma-sonata, che regge strutturalmente la seconda parte della composizione (ragion per cui, a voler essere rigorosi, dovremmo includere anche questo lavoro tra le Sonate di Sor, insieme alle op. 14, 15, 22 e 25.

     

    Per questo pregio svettante nell'opera di Sor, anch'io inclino a riconoscere nell'op. 30 un capolavoro.

     

    dralig

  17. Nell'edizione della SZ curata da Chiesa, il revisore dichiara di essere a conoscenza delle varie edzioni del Grand Solo, e di prendere la III come riferimento, in quanto Egli la ritiene più equlibrata (cito a memoria, potrei confondere qualche termine, ma la sostanza è più o meno questa). Detto questo, consiglio anch'io di dare un'occhiata agli originali e di comparare le varie edizioni per avere un'idea più ampia di come l'opera è "cambiata".

     

     

    EB

     

    L'edizione Chiesa è basata su un'edizione Simrock, che risulta armonicamente più debole rispetto all'edizione Meissonier. Credo che quest'ultima sia la migliore, anche nell'introduzione, inutilmente appesantita nella versione scelta da Ruggero Chiesa.

     

    dralig

  18. Matanya Ophee ha pubblicato ieri nel suo blog il seguente annuncio:

    At the conclusion of our meeting in Lake Konstanz last month, it was decided to establish a mailing list so as to facilitate communications between interested parties. The main reason for the need for communication, was the general consensus that the effort should not terminate with the Lake Konstanz meeting, but that we should strive to organize a truly International Guitar Summit in a central location, drawing on a larger number of participants who share our interest in the history of the guitar. Since I have had some experience in establishing mailing lists, I volunteered to do the leg work involved. However, it should be noted that I am neither the owner nor the moderator of the list. This task falls to the original organizers, Gerhard Penn and Andreas Stevens.

     

    The list is now operational and can be reached at http://lists.topica.com/lists/guitar-summit/.

     

    I sent out some 200 invitations to people I know to join the list and as of now, some 4 hours later, 27 have signed in. If you have not received an invitation and wish to join, please be aware that you will need to fully identify yourself. No Anonymous, no screen names. This is a gathering of colleagues who are interesting in sharing knowledge. It will not be allowed to turn into yet another brawl space.

     

    -------

     

    Inutile tradurlo, perché l'accesso alla mailing list che Matanya annuncia presuppone la conoscenza della lingua inglese. E' un'iniziativa per studiosi di storia della chitarra che, dall'avvio, mi sembra molto seria e promettente. Il fatto che chiunque si iscriva debba presentarsi con il proprio nome e cognome è di per sé garanzia di serietà.

     

    Non mi sono fatto aspettare e ho subito accolto l'invito. Ma anche chi non è invitato può accedere via browser e iscriversi.

     

    dralig

  19. in terzo luogo riguardo il discorso delle trascrizioni, sappiamo tutti che l'atteggiamento verso le trascrizioni ai tempi di bach e da parte dello stesso bach era molto più accomodante,era naturale trascrivere pezzi,bach trascrisse alcuni concerti di vivaldi per clavicembalo solo;quindi non credo che si scandalizzerebbe vedendo sue composizioni violinistiche trascritte per chitarra (riguardo il duo pianoforte chitarra sì,ma vi ho già spiegato in che situazione ci troviamo)

     

    Perché non accontentarsi di studiare il repertorio originale per chitarra e pianoforte? Dall'Ottocento a Castelnuovo-Tedesco e Haug, offre pagine dignitose, scritte apposta per il duo. Meglio esercitarsi a fondo su una Sonatina di Diabelli piuttosto che accostare pagine lontane dalle possibilità e dalle caratteristiche del duo, no?

     

    dralig

  20. Salve a tutti e auguri passati!

     

    volevo fare una domanda, più che altro è una lamentela...io vorrei iscrivermi al corso decennale di composizione, è una fissa che ho da anni, ma quando vado lì e vedono le mie unghia, mi cacciano! Ma secondo voi è giusto?! Perchè un chitarrista non può studiare composizione solamente perchè ha le unghia e non può suonare il piano?! Insomma volevo chiedere se da voi è lo stesso.

     

    Un caro saluto, Francesco

     

    Il programma del corso di composizione presso i conservatori italiani è innecessariamente e ingiustificatamente un programma per pianisti, vocati o forzati. Il cosiddetto corso di lettura della partitura è in realtà un corso di pianoforte. Ricetta per i chitarristi che non intendono fare i pianisti controvoglia: infischiarsene del conservatorio e studiare composizione per proprio conto, con insegnanti di scuole private. Oggi poi, con i programmi di notazione musicale che permettono l'installazione e l'uso di un'intera orchestra sinfonica ascoltabile in playback, questa imposizione del pianoforte è intollerabile e ridicola.

     

    dralig

  21. Forse la Chiesa non lo farà santo, ma come suonava...

     

    ...non suona più? Ricordo un cd allegato a 6corde di qualche tempo fa dove faceva faville sul repertorio dell'ottocento, un suo ritiro sarebbe veramente un peccato.

     

    Tiento

     

    Si è ritirato dall'attività concertistica e musicale da tempo, e ora si dedica al business, con pieno successo, come nella musica. Ha mantenuto la presidenza di una nota società di concerti, nel cui cartellone non dimentica di includere un chitarrista in ogni stagione. L'anno scorso, ha chiamato Dimitri Illarionov.

     

    dralig

     

    Vero Angelo, anche se per la precisione nell'ultimo concerto che De Santi ha organizzato per la Societa' dei concerti nel novembre del 2006 ha invitato me con in programma Bach, Weiss, Donatoni e Berio.

     

    C'è un'aggravante: la sera in cui tu avresti suonato alla società dei concerti di Brescia accompagnai Illarionov, mio ospite, alla stazione, dove avrebbe preso l'ultimo treno utile per venire ad ascoltare il tuo concerto.

    Quindi, non resta che constatare i disastri dell'età. E scusarsene.

     

    dralig

  22. Forse la Chiesa non lo farà santo, ma come suonava...

     

    ...non suona più? Ricordo un cd allegato a 6corde di qualche tempo fa dove faceva faville sul repertorio dell'ottocento, un suo ritiro sarebbe veramente un peccato.

     

    Tiento

     

    Si è ritirato dall'attività concertistica e musicale da tempo, e ora si dedica al business, con pieno successo, come nella musica. Ha mantenuto la presidenza di una nota società di concerti, nel cui cartellone non dimentica di includere un chitarrista in ogni stagione. L'anno scorso, ha chiamato Dimitri Illarionov.

     

    dralig

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