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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1.  

    Il motivo di non dare un titolo ad una composizione serve a offrire molteplici piani di interpretazione a chi legge (o ascolta) il brano, senza veicolarne in alcun modo la lettura e le sensazioni che provoca.

     

    Nel caso delle opere strumentali, la musica offre uno dei suoi lati più suggestivi, cioè la sua impalpabilità, avendo il potere di non dire mai completamente quello che intende offrire e dimostrando quanto possa essere libera e in(de)finita. Un oceano.

     

    Nessun titolo può catturare completamente l'essenza di un brano musicale, ma può solamente suggerire un percorso, un sentiero.

     

    Senza entrare nel merito della complessa questione, e solo perché la discussione è nata riguardo uno studio di AG, vorrei precisare che quasi tutti i 60 studi hanno un titolo e un sottotitolo: ad esempio, Elegia di marzo (Omaggio a Juan Ramon Jimenez), Ophélie (Omaggio ad Arthur Rimbaud), etc. La numerazione serve a identificarli velocemente - essendo i chitarristi in genere poco inclini alle arti e alla letteratura, al di là di quello che chiamano "il nostro strumento", torna loro più facile riferirsi gergalmente al "quattordici di Gilardino", come al "due di Villa-Lobos". Poi, per i più "colti", ci sono i titoli letterari. L'autore non è un esperto di marketing, ma ha un editore che si, lo è, e dannatamente bravo. Infatti, dai suoi dati risulta che gli Studi "vendono" , rispetto alle altre opere del medesimo autore, nella proporzione di venti a uno.

     

    dralig

  2. Giallo

    Help Help Help Gilardino

     

    Come si chiama esattamente Noche Oscura, c'è davanti un numero oppure no ????????

     

    Previa accurata consultazione dei volumi in questione, confermo: Studio n. 23, Noche oscura (Omaggio a san Juan de la Cruz). Mistico spagnolo del sec. XVI, carmelitano. Lo studio fu scritto nel 1983 a Lagonegro. Pioveva - è l'unica cosa che ricordo. Cioè, pioveva nel senso che pioveva anche nella stanza d'albergo in cui ero ospitato. Stavo leggendo i poemi di san Juan de la Cruz (poeta oltre che santo, altro che dralig!), e in fatto di noche oscura, a quei tempi avevo le...idee chiare.

     

    dralig

  3. [

    La settimana scorsa ho sentito suonare Studio n.10 Noche Oscura da un ragazzo molto bravo. Sono rimasto di sasso perchè è una vera genialata anche quella e se devo esprimermi meglio penso che lei al posto della chitarra ha in mano una macchina del tempo. Noi viviamo nel 2006, ma le sue composizioni mi portano nel 2506.

    L'unica cosa che mi fa inc........re :) (simpaticamente) è il fatto che .......come si fa a chiamare un opera d'arte Studio N. ?????????????? Non è meglio solo Noche Oscura ???

    Grazie e ancora complimenti.

     

    Considerando che Chopin ha scritto degli "Studi" come i pezzi dell'op. 10 e dell'op. 25, che Brahms ha chiamato "Studi" le Variazioni su un tema di Paganini, e visto il livello delle Etudes di Debussy, non credo di essermi buttato via. Ma rifletterò sulle Sue osservazioni, grazie.

     

    dralig

  4. "Snare drum" significa "rullante" e mi sembra il nome più appropriato in quanto il suono prodotto è molto simile a quello di un rullante con la cordiera tesa.

     

    Certo che è un effetto che va usato con una certa cautela, non conosco il lavoro di Arnold (che immagino sia qualitativamente ottimo) ma nella Jota del povero Tarrega (che in realtà è di Arcas, no?) mancano solo i tori che escono dalla buca con le narici fumanti!

     

    La variazione in esame non figura nella versione di Arcas, ed è quindi una delle aggiunte inventate da Tarrega. Non credo che lui credesse di aver avuto un colpo di genio. Si arrabattava suonando nei pueblos, dove dubito che avrebbero incassato i suoi Preludi o la sua trascrizione della Fuga per violino di Bach.

     

    dralig

  5. Ciao amici,

    volevo chiedere come si chiamasse quella tecnica chitarristica consistente nell'accavallare 5° e 6° corda, e da percuotere poi ritmicamente seguendo la partitura, a mo' di rullante da batteria ( scusate ma l'effetto sembra proprio quello ).

     

    L'ho riscontrato nella 'Gran Jota da Concerto', di Tàrrega, e sulla partitura che ho (Volume III° delle 'Opere per chitarra', composizioni originali, ed. Bérben) c'è scritto 'Tamburo', ma la cosa che mi ha fatto riflettere è che lo stesso nome è usato anche per il 'Tamburo' tradizionale, - sempre utilizzato da Tarrega nel brano in questione - vale a dire quella tecnica mediante la quale si percuote col palmo della mano destra sulle corde terminanti sul ponticello, al fine di ottenere sempre un effetto ritmico-percussivo.

    Se è vero che entrambe le tecniche possano essere chiamate 'Tamburo', volevo semplicemente chiedere se esiste un nome alternativo per la prima da me citata.

     

    Vi ringrazio.

     

     

    Antonio

     

    Per la verità, Tarrega ha chiamato nella "Gran Jota", indipendentemente da quello che ne riporta l'edizione Bèrben, "tambora" la percussione della mano destra vicino al ponticello (nella variazione ad accordi contrassegnata con "tutti"), e "tabalet" l'effetto delle corde 5 e 6 incrociate all'altezza della nona barretta, usandolo sia come accompagnamento che da solo. L'effetto non ha un nome canonizzato. Malcolm Arnold, che lo impiega nella sua Fantasiy, lo chiama "Snare drum".

     

    dralig

  6. X DRALIG ALIAS M.GILARDINO

     

    Io sono un compositore (non classico) ma fingerstyle, faccio tipo canzoncine alla Marcel Dadì (non so se lo conosce), e mi rendo conto di avere un grande Handicap che è quello di non voler imparare a scrivere la musica e a leggerla. So solo le note in chiave di violino e faccio fatica a riconoscere quelle oltre il rigo. Conosce un modo per impararle velocemente. Io so solo che bisognerebbe arrivare al punto di riconoscerla immediatamente e dargli il nome. Non pensa che forse sarebbe meglio tornare al pentagramma con 15 righe come utilizzava Frescobaldi, tanto per non confonderle quelle che stanno sopra ???????

    Grazie e complimenti per le sue composizioni.

     

    Se quello del non saper leggere/scrivere la musica è avvertito come un handicap da lei , non deve aspettare neanche un giorno in più, e deve mettersi al lavoro. In altre parole, non deve accettare limitazioni al Suo lavoro di compositore - qualunque cosa Lei componga o intenda scrivere. Da giovane ho lavorato parecchio (per necessità) come penna per compositori del tastino (dicesi di chi scrive melodie senza sapere la musica), e spesso mi è capitato di avere che fare con persone musicalmente molto dotate, alle quali ho consigliato di imparare la musica: non è difficile, basta crederci e rimboccarsi le maniche, in un paio di anni può arrivare a scrivere quello che immagina e a leggere quello che Le serve, senza dover più patire limitazioni.

     

    Avendo familiarità con il computer, Le conviene servirsi di software per l'apprendimento, invece che di libri. Sono più diretti ed efficaci.

     

    dralig

  7. Non so se c'entra qualcosa, ma mi sono ricordata che la mia professoressa di educazione musicale, alle medie, diceva che la musica prima di suonarla dovevamo imparare a "leggerla" perchè che nel suo linguaggio potevamo trovarci non solo tutti i segni "ortografici" della lingua parlata e scritta: virgole, punti e punti esclamativi ma anche i respiri e l'alternarsi dei sentimenti che racchiudeva. Se fossimo riusciti a vedere così uno spartito, avremmo avuto la chiave per capire "come" era la musica che conteneva, anche senza bisogno di suonarla.

     

     

     

    Butterfly

     

    Esattamente. Suonare serve per rendere partecipi della musica gli ascoltatori. Non è necessario - non deve esserlo - per mettere chi legge il testo in grado di capire com'è la musica, come "suona": se chi legge, per "sentire" i suoni, ha bisogno di udirli fisicamente (suonandoli), è un musicista imperfetto. Certo, l'audizione mentale, interiore, non equivale all'audizione reale, ma è più che sufficiente per conoscere la musica. Così come è vero il contrario: ascoltando un brano suonato, il musicista compiuto "vede" mentalmente comporsi il testo musicale, immagina la partitura.

     

    Questo non lo afferma urbi et orbi il fanatico dralig. Lo scrive, nei suoi precetti agli studenti di musica, Herr Robert Schumann.

     

    dralig

  8. Pensavo proprio a questo infatti. Una delle cose che mi mette più tensione è il classico vuoto di memoria.

     

    Bene, siamo arrivati - e non sono stato io a spingere in questa direzione - a un punto cruciale: una delle cause che scatenano il panico o la tensione quando si deve suonare in pubblico è l'insicurezza che l'esecutore nutre nei confronti della propria tenuta, specialmente mnemonica. L'esecutore non si fida di sé, teme di venire tradito da qualche frana interiore. Posso osservare che, nella stragrande maggioranza dei casi, ha perfettamente ragione di aver paura? La memoria gestuale è il risultato di una mappatura di una serie di fenomeni che il cervello fa durante l'esercitazione. Il cervello mappa quello che gli diamo, né più né meno.

    Quindi, mappa anche l'ambiente nel quale ci esercitiamo, la sedia sulla quale sediamo durante lo studio, etc., e questi dati ingloba nella sua memorizzazione del "suonare il pezzo". Quando ci trasferiamo in un luogo diverso e in una situazione nuova (una sala mai vista, con la presenza di ascoltatori), la mappatura mnemonica della musica non è traducibile: mancano i riscontri ambientali. Inoltre, rispetto alla condizione di studio, muta la chimica del corpo: esce l'adrenalina, e i gesti non corrispondono più a quelli memorizzati (per esempio le mani sudate non rispondono come le mani in condizioni normali, per non parlare dei tremori), e l'eventualità che, in un sottosopra del genere, non si verifichi il vuoto di memoria, è nell'ordine del miracolo. Quindi, l'esecutore ha paura. Ne ha ben donde.

     

    Tuttavia, anche nel panico del momento, l'esecutore non ha problemi a fornire a memoria la proprie generalità e il proprio indirizzo, o a enunciare il teorema di Pitagora, o a raccontare la propria vita, o a recitare le poesie che ha imparato a memoria a scuola. Si ricorda di tutto, nonostante il trac. Perché? Semplice, perché ha fissato tali dati nella propria memoria centrale, non in quella periferica. La conclusione è elementare: fino a che la musica da suonare non è immagazzinata nella memoria "mentale", e risiede in quella periferica, l'esecutore avrà vuoti di memoria e panico.

     

    dralig

  9. Per le tecniche di memorizzazione ricordo un bell'articolo del maestro gilardino apparso sul fronimo un po' di anni fa

    Se il maestro può ricordare su che numero era...perchè a parlare di memoria ,la mia mi ha tradito

     

    Ho un baule nel quale sprofondo perdutamente tutti i miei scritti e gli scritti riguardanti la mia opera. Metter mano lì dentro è impresa superiore alle mie possibilità. Mi sono occupato una vita dell'opera altrui, della mia si occuperà qualcun altro. Quindi, mi devo scusare, ma non sono in grado di recuperare quello scritto.

     

    dralig

  10. e ho detto "chitarristi" perchè secondo me per noi la cosa è molto piu complessa rispetto , ad esempio, ai pianisti per i quali il gesto e la notazione spesso sono piu ordinati . Ad esempio un pianista si esercita prima con una mano e poi con l' altra..ma noi come facciamo? e poi la prima vista e la lettura per noi sono molto piu complicate dato il prolificare di diteggiature e posizioni.

     

    Quando, non troppo recentemente, mi sono ritrovato a dover studiare un po di panoforte ( e male non mi ha fatto di sicuro)..mi sono reso conto del fatto che ero pefettamnte in grado di ricopiare a memoria gli studi ( seppure semplici) che eseguivo, e che los studio risultava molto razionale ed ordinato e alla fine avevo stampato tutto in testa..con la chitarra, tranne che per alcne eccezioni, questo tipo di procedimento è sempre stato imposiibile per me.

     

    Per la verità, la memorizzazione della musica per chitarra è più facile di quella della musica per pianoforte. Polifonicamente, il testo chitarristico è ordinariamente assai meno denso di quello pianistico.

     

    dralig

  11. Mamma mia è una parola!!

    Ricordare le figure ritmiche, il tempo, i cambi di andamento presenti nel pezzo e le ''sezioni'' armoniche era una tecnica di cui già ero al corrente

    ma sinceramente tenere a mente tutte le note della partitura mi sembra un tantino faticoso.. :?

     

    Saluti ;)

     

    Allora si risparmi la fatica di memorizzare le note e memorizzi i gesti ripetendoli alcune migliaia di volte (operazione che non costa nessuna fatica). Non c'è da vergognarsi a imparare ripetendo i gesti: Darwin ci ha spiegato da dove veniamo, perché non ritornarci suonando la chitarra?

     

    dralig

  12. Vorrei chiedere gentilmente al M.° Gilardino cosa intende per apprendimento "astratto, senza strumento". E' un metodo di studio opportuno anche per chi inizia a studiare?

     

    Cercherò di spiegarmi con un esempio. Un esecutore - un chitarrista, supponiamo, dato che la musica per chitarra non è in genere monodica e quindi presenta una certa complessità polifonica - suona un pezzo. Lei gli tolga la chitarra di mano, gli dia un foglio pentagrammato e una penna, e gli chieda di scrivere quello che ha appena suonato. Constaterà come ben pochi siano in grado di farlo. Constatazione: non hanno affatto memorizzato la musica che suonano, ma una serie di gesti manuali che conducono all'esecuzione del pezzo, esecuzione che loro controllano con il riconoscimento auditivo di quello che suonano. Se il rifornimento della memoria gestuale si spezza (per esempio, a causa di una scarica di adrenalina indotta dal trac), il riconoscimento auditivo non può soccorrerli, perché non funziona all'indietro. Ed ecco il vuoto di memoria.

    Per "sapere" veramente un pezzo a memoria, bisogna saperne ricordare le note in tutti i paramentri anche senza avere lo strumento in mano, in altre parole bisogna poterlo riscrivere o recitare. A rendere sistematico questo metodo di apprendimento del testo musicale in un'opera didattica, fu il didatta tedesco Carl Leimer, maestro di Walter Gieseking, che pubblicò negli anni Cinquanta uno scarno "metodo di perfezionamento pianistico", che io adottai subito per i miei affari chitarristici e cercai poi, con alterne fortune, di trasmettere ai chitarristi miei allievi.

     

    Questo metodo di apprendimento e di memorizzazione della musica è da adottare quando serve imparare i brani a memoria. Il principiante fatica di più, l'esecutore esperto di meno.

     

     

    dralig

  13. Gentili lettori, soprattutto butterfly e dralig, spiego meglio la mia frase.

    Così come nella vita, nella musica gli errori si fanno.

    Tutti, anche i più grandi chitarristi.

    Io volevo solo dire che l'importante è saperlo correggere continuando a suonare, senza interruzioni o lunghe pause, magari improvvisando :).

    Chi riesce a farlo (conosco due persone che lo riescono a fare) dimostrano solamente che conoscono la musica e chi non lo riesce a fare dimostra solamente che si basa sulla memoria. Basarsi sulla memoria è come stare in equilibrio su un filo, se lo perdi cadi.

    Spero di essere stato chiaro :)

     

    Se per errore Lei intende - come sembra chiaro - il vuoto di memoria, allora il porvi rimedio riagganciandosi a quello che segue, senza fermarsi e senza rendere palese a chiunque la smagliatura (gli esperti se ne rendono comunque conto), è in genere alla portata di un normale, buon esecutore. Il vuoto di memoria è pressoché inevitabile se si impara per ripetizione, limitandosi a ripetere molte volte il brano. Se invece lo si impara astrattamente, cioè senza strumento, fissando i vari parametri nella memoria visiva, oltre che in quella musicale, è pressoché certo che l'eventuale cedimento di una delle memorie sarà compensato dalle altre, e non darà luogo alla minima interruzione.

     

    dralig

  14. Si Angelo, hai ragione, la chitarra da questo punto di vista è uno strumento tremendo, impietoso e non risparmia nessuno.

     

    Io mi ricordo di concerti con stecche e senza stecche, magari dello stesso chitarrista...non so dire ora se in quelli senza stecche effettivamente queste non ci furono, so che ero in una dimensione sensoriale altra, extra quotidiana, fatta di un qualcosa razionalmente inesplicabile.

     

    Dei nomi mi vengono in mente, Ghiglia, de Santi, Diaz,...gente che in quei concerti ha dato vita a qualcosa di dionisiaco, di sconvolgente per i sensi...

     

    A de Santi dobbiamo riconoscere cristallina, indefettibile onestà artistica: quando - ancora giovane - ha sentito affievolirsi in lui l'ispirazione, non ha fatto leva sulla sua immensa bravura per continuare a suonare: con gesto di estrema coerenza, ha attaccato la chitarra al chiodo, noncurante dei contratti che aveva in tasca, e ha dedicato il suo talento ad altre attività. - nelle quali ha avuto successo quanto ne aveva come chitarrista (il talento non è acqua). Abbiamo potuto ascoltare il suo ultimo concerto di artista dionisiaco - come dici tu - ma ci ha risparmiato il suo successivo concerto, quello che sarebbe stato il primo di una routine professionale.

     

    dralig

  15. Ti assicuro che la maggioranza delle persone che vanno abitualmente ai concerti di musica classica non è in grado di sentire una stecca..

     

    Dipende dallo strumento, Alfredo. Uno spiazzamento di un dito da parte di un pianista si traduce nella chiamata di una nota che non c'entra con quella che si deve suonare: estranea quanto si vuole al discorso musicale in atto, è pur sempre un suono, un bel suono, che si differenzia da quelli giusti solo per la sua impertinenza. Già più delicata si fa la situazione per un violinista: un piccolo spiazzamento di un dito produce si un suono, ma un suono non intonato: è vero che, se non si tratta di una nota brevissima in un contesto veloce, il violinista la può sempre aggiustare, ma la prima impressione è indubbiamente sgradevole - ne ho ricevute molte, una sera ricordo Oistrakh sistematicamente calante nel primo tempo della Sonata a Kreutzer, e Dio sa se dava fastidio. Nel caso del chitarrista, il danno è massimo: uno spiazzamento di un dito, anche sul tasto giusto, ma non preciso rispetto alla barretta, ha come conseguenza un rumore, che rovina il suono. Ricordo un concerto di Segovia nel 1959, con la sua Hauser ormai al lumicino, e la frizione immancabile ogni volta che suonava un si bemolle in seconda corda - una cosa atroce.

     

    Quindi veramente il chitarrista balla sui fili, e ha la vita più difficile di qualunque altro strumentista. Un concerto interamente limpido di un chitarrista è cosa rarissima...Giustamente, ci appuntiamo su altri aspetti dell'"offerta musicale", ma è indubbio che l'errore disturba. D'altra parte, certi "flash" di Bream si verificavano principalmente nei suoi concerti più disastrosi, quasi a compensazione...

     

     

     

    Quando l'interprete è un vero artista è in grado di stendere una sorta di coperta sensoriale nei confronti del pubblico per portarlo su territori altri.

     

    Certo, ma dobbiamo ammettere che capita di rado, molto di rado, nel caso dei concerti di chitarra. Per cui, si finisce per dare importanza al fattore meccanico e alla pulizia, in mancanza d'altro...

     

    dralig

  16. Un chitarrista che fa un errore e non lo corregge al millesimo di secondo, non è un chitarrista valido, e non è neanche un chitarrista pronto.

    Quando sei preparato e padrone dello strumento non puoi sbagliare. E' matematico. E quindi non puoi avere la paura di sbagliare. Resta il divertimento ................... :)

     

    Certo che deve restare un gran divertimento, sapendo che chi si ha davanti la pensa così.

    Che si debba saper proseguire in modo che un eventuale errore non incida o interrompa l'insieme, posso capirlo, ma questa propensione all'ascolto col fucile puntato sull'interprete un po'meno.

     

     

    Butterfly

     

    Ho conosciuto e ascoltato in carne ed ossa tutti i grandi chitarristi attivi nella seconda metà del Novecento e posso assicurare che nessuno è, o era, infallibile. Nessun ascoltatore che sia mosso da un interesse musicale appunterà mai la sua attenzione sul piccolo errore che accade inevitabilmente, anche nell'esecuzione del virtuoso più capace di controllo.

    Questa constatazione non deve indurre nella tentazione di apprezzare l'errore in quanto tale - perché, denunciando la fallibilità umana, esso avvicinerebbe l'esecutore all'ascoltatore: questo non è vero, l'errore, grande o piccolo, dà sempre fastidio a chi lo commette e a chi lo percepisce. La neurologia ci spiega peraltro come sia umanamente impossibile mantenere al massimo livello la concentrazione su una serie complessa di comandi per più di alcuni minuti, anche da parte del cervello più pronto ed efficiente. Poiché un recital dura un'ora o più, il livello della concentrazione dell'esecutore sarà quindi soggetto a un certo numero di cadute, ed è in quelle fasi che l'errore accade. Come tale, viene tollerato, e non influisce sull'apprezzamento dell'esecuzione, che si accetta o si rifiuta in relazione - per fortuna - ad altri contenuti.

     

    C'è errore ed errore: il piccolo incidente si tollera. L'errore causato invece da problemi tecnici di fondo o da una assimilazione imperfetta della musica da parte dell'interprete, quello no, non è scusabile: chi lo commette non dovrebbe avere l'impudenza di presentarsi in pubblico.

     

    dralig

  17.  

    Io, per quello che ho capito della chitarra, mi permetto di dire, assumendomene tutta la responsabilità, che l'apporto di conoscenza alla tecnica della chitarra moderna data da Segovia è di una utilità incalcolabile, per non parlare di altri aspetti più profondi.Da 25 anni ci scavo dentro, scoprendo sempre più.

     

    Se lui avesse scritto un metodo, del resto, credo che tutti lo comprerebbero. Negli anni 50 in una intervista dichiarò di averlo fatto, ma il metodo non si è visto.

     

    Quel che c'è sono le 24 scale diatoniche (con la prefazione che è ne parte integrante), i 20 studi di Sor (anch'essi con la loro prefazione); gli esercizi sulle legature (idem), qualche indicazione contenuta in un disco della MCA, e poco altro. E poi ci sono le diteggiature. Io da anni le studio con meraviglia; ci sono in esse dettagli che - mi assumo ancora le mie responsabilità nel dichiararlo - rivelano la mano e la mente del genio, fin dalle cose degli anni '20. Potrei fare numerosissimi esempi, un po' li ho documentati e motivati nel mio corso di editing che ho tenuto in conservatorio a Bologna l'anno passato. Lo stesso Segovia poi cambiava spesso le sue diteggiature, era un processo in continua evoluzione anche per lui; comunque, partire da quelle pubblicate è già qualcosa, i criteri sono quelli che si possono intuire là, usando l'intelligenza.

     

    Segovia in queste pubblicazioni sulla tecnica o gli studi era parco di parole come lo era nell'insegnamento - chi ci è passato direttamente, come me, lo sa. Bisognava leggere tra le righe, o capire da una parola tante altre cose, o interpretare una battuta o una espressione; anche qui, si potrebbe dire: "chi vuole, capisca".

     

    Chi non vuole, padronissimo di gettare al macero tutto; io ribadisco che a mio giudizio sarebbe un peccato, come sperperare un patrimonio: è oro puro e invito ad approfittarne con intelligenza. Provare per credere.

     

    Piero Bonaguri

     

    Carissimo Piero, non vi è chi non veda l'assennatezza e la profondità del tuo pensiero riguardo Segovia e, se persona ragionevole e specificamente istruita, non ne condivida la sostanza: quello che dici è vero e incontestabile. Potremmo aggiungere - l'ho fatto in un articolo recentissimamente pubblicato da "Suonare News", che l'influsso esercitato da Segovia nella storia della chitarra ha agito, e seguita ad agire, forse persino al di là della stessa consapevolezza del maestro: l'arricchimento del repertorio constatato e reso pubblico dal 2001 ad oggi, grazie ai ritrovamenti verificatisi nel suo archivio personale, hanno conferito un nuovo profilo alla storia della chitarra della prima metà del Novecento, inglobando nel repertorio della chitarra pagine di grande valore, che furono scritte soltanto perché esisteva Segovia, e che ci sono giunte da Segovia, anche se egli non volle, non poté o semplicemente non ebbe il tempo di curarsene: le ha però tenute in serbo per i posteri. Come tu osservi, spesso parlava tacendo, e vorrà dire qualcosa - io credo - il fatto che, non potendo essere lui l'interprete-modello di queste pagine - abbia preferito lasciarle silenti piuttosto che affidarne l'esecuzione ad altri. Non occorre aggiungere nulla.

     

    Mentre concordo con te nella valutazione delle sue opere didattiche scritte a pagina bianca - quali le scale - credo che oggi le sue revisioni, specialmente quelle delle musiche scritte da maestri della chitarra non meno grandi di lui, come Fernando Sor, vadano considerate come documenti storici, lette come tali e non più adoperate in sostituzione degli originali. Se noi vogliamo studiare l'arte di Segovia, per comprenderne a fondo praxis e poiesis, allora non potremo fare a meno di esaminare con attenzione i suoi interventi sulla musica di sor (e, in misura anche maggiore, su quella di Ponce e degli altri autori del Novecento prediletti dal maestro). Se noi invece intendiamo suonare la musica di Sor, e nient'altro, allora i testi da adottare sono, senz'ombra di dubbio e di esitazione, quelli di Sor, e di nessun altro: come Segovia, anche Sor merita tutta la nostra attenzione e il nostro rispetto e, credimi - ti parla il compositore - per rispettare un autore, la prima cosa da fare è leggere quello che ha scritto, come l'ha scritto. Perché la figura di Segovia risplenda nella storia della chitarra - e mi pare che ciò stia avvenendo nel più forte dei modi - non occorre che le figure di altri maestri vengano offuscate.

     

    Non mi propongo, con questo ennesimo scritto al riguardo, di correggere le tue convinzioni, che rispetto profondamente e che, in un certo senso, ammiro (perché considero la nobiltà del tuo atteggiamento verso Segovia anche alla luce del comportamento spregevole di altri suoi allievi), ma quello di rappresentare, agli occhi di chi ci legge, specialmente degli studenti che di Segovia sanno poco e dei compositori da lui eseguiti ancora meno, una posizione diversa dalla tua, equidistante sia da Segovia che dai compositori dei quali egli si è occupato: la storia - come hai osservato - procede, e ci incalza con le sue evidenze, alle quali non possiamo sottrarci.

     

    Non essendo questo il primo episodio della nostra divergenza sull'argomento, suppongo che non sarà nemmeno l'ultimo: l'evenienza è lungi dal dispiacermi, perché è una discussione aperta e nessuno - credo - ha la pretesa di detenere la verità.

     

    dralig

  18. Pur rispettando il suo intervento, non sono d'accordo con l'admin sulla questione di "migliore" o "peggiore". Come tutte le passioni sincere, anche la musica viene vissuta da ognuno di noi non solo razionalmente, ma anche "di pancia", per cui abbiamo autori prediletti ed altri "odiati". Ovviamente il tempo e l'esperienza rimescolano continuamente le carte, per cui possiamo imparare ad amare un autore odiato e viceversa, ma è un peccato che non si chiacchieri di musica al bar: a mio parere sarebbe un segno di vitalità!

     

    E' parimenti importante che non si parli di musica con le argomentazioni e con il linguaggio tipici delle conversazioni al bar. Fuori discussione il sacrosanto diritto - che Lei giustamente rivendica - di "vivere" la musica "di pancia" (è un diritto civile) e di suonare/ascoltare la musica eletta dalle proprie viscere, si dovrebbe anche - da parte di color che non sono soltanto acquirenti di dischi, ma anche e soprattutto musicisti: studenti, insegnanti, concertisti, etc. -

    esercitare tale diritto distinguendo, in due ben diverse categorie, la preferenza e il giudizio. La prima, si esercita in modo del tutto personale e soggettivo, e non necessita di giustificazioni. Il giudizio è invece, deve essere, il risultato di un'operazione critica, e non può essere emesso a partire dai riboboli dell'intestino: deve provenire dallo studio e dall'analisi dell'opera. Ma chi è in grado di leggere criticamente un brano di musica, specialmente per chitarra? Il compositore istruito, certamente: il suo giudizio è attendibile per ogni riguardo, meno che per l'aspetto idiomatico, che tuttavia è determinante, in un brano strumentale. Quindi, è un giudizio emessa su aspetti fondamentali dell'opera, ma non è un giudizio completo, esaustivo. I chitarristi? E come fanno, con la loro licenza di solfeggio e il loro stiracchiato biennio di armonia complementare ("cultura musicale generale") a valutare la qualità di un brano di musica la cui forma non sono in grado di comprendere, non soltanto nei dettagli, ma a volte nella stessa struttura? Che ne sanno della rudimentalità o della finezza con cui un compositore ha elaborato una forma? Dove hanno formato gli strumenti analitici che permettono loro di cogliere l'enorme distanza che corre tra la forma variazione come la forgia un Britten e come la applica, in modo rozzo e banale, un chitarrista-compositore che strizza l'occhio agli esecutori con quattro effetti senza causa?

     

    dralig

  19. Gilardino, mi toglie una curiosità? Ma il termine Studio non implica che quella composizione serva soprattutto per un utilizzo didattico? Oppure il termine Studio è da collegarsi ad uno studio del compositore?

     

    Il significato principale del titolo "Studio" attribuito a un brano musicale ne indica certamente la finalità didattica, ma occorre ammettere anche altre accezioni. "Studio" può riferirsi all'operazione svolta dal compositore che, scrivendo un brano per uno strumento, ne indaga (cioè ne studia) le caratteristiche e le possibilità; magari (se il compositore ha una mente creativa) espandendole. Oppure può riferirsi all'operazione con cui il compositore, scrivendo un brano per uno strumento che conosce perfettamente, e che quindi non deve più "studiare", "studia" invece se stesso, i suoi stessi pensieri musicali: il "conosci te stesso" - obiettivo tra i più complessi e meritevoli - implica uno studio che può benissimo essere svolto anche attraverso la composizione (personalmente, non conosco uno studio più efficace, al fine di conoscere se stessi, che quello di comporre musica).

     

    Usato come verbo, soggetto sottinteso "io", "studio" - secondo quanto ho constatato nella mia esperienza di didatta - significa che chi ha appena pronunciato quella parola si accinge a fare tutt'altro. Quelli che studiano, non lo dicono, lo fanno.

     

    dralig

  20. Come ben saprai quelli di Giuliani e Sor sono due fra i pochi metodi di chitarra classica esistenti; Per quanto ne so esiste anche il metodo di Aguado e Carlevaro ma forse un pò meno suonabili e più meccanici.. I due metodi (Giuliani e Sor), che comprendono anche gli arpeggi di uno e gli studi dell'altro, non dovrebbero mancare nella formazione iniziale di un chitarrista. Io non mi sentirei di sostituirli ma bensì di ampliarli con altri studi e altri metodi come per esempio i tre volumi di Biscaldi, Carlevaro, Aguado... Pongo una domanda: Quanti sono i metodi per chitarra classica esistenti oltre a quelli da me citati?

     

    Akaros, si ravveda: Giuliani non ha mai scritto un vero e proprio Metodo, ma uno "Studio" (op. 1) diviso in quattro parti che si può considerare alla stregua di una serie di esercizi la cui cooordinazione è del tutto misteriosa. Quanto al Metodo di Sor, non contiene affatto gli Studi - che sono pubblicati separatamente - ed è invece un trattato teorico sulla tecnica, con ben pochi esempi musicali. Il grande Metodo ottocentesco è quello di Aguado che, nelle sue varie redazioni, si pone veramente come uno strumento didattico: se ne può discutere l'organicità e la razionalità, ma non certo la struttura - che è propriamente quella di un metodo, con un equilibrio tra la parte teorica, gli esercizi e gli studi - e il valore, che è fondativo di una tecnica che, in larga misura, ha determinato il modo di suonare la chitarra. Nel Novecento, il tentativo di ripetere, aggiornandola, l'opera di Aguado, è stato effettuato da Emilio Pujol con la sua incompiuta "Escuela razonada de la guitarra": mentre il valore didattico e musicale degli esercizi e degli studi di Pujol è fuori discussione, la parte teoretica è disastrosa e, se presa alla lettera, foriera di nuovi disastri.

     

    Quindi, oggi, non esiste un Metodo da seguire univocamente: si prende da tutte le parti e si riassume, si unifica, si integra.

     

    dralig

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