Vai al contenuto
Novità discografiche:

Angelo Gilardino

Membri
  • Numero contenuti

    2241
  • Iscritto

  • Ultima visita

  • Giorni Vinti

    37

Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. Il grande violinista francese che a quarant'anni è all'apice della sua arte e a cinquanta si suicida perché non riesce a mantenere il suo livello, e perde vistosamente di qualità, sa benissimo qual è il suo problema: l'alcoolismo invincibile.

    dralig

    Non ce n'erano mica tanti che suonavano come lui il Concerto di Sibelius...

    Facessi io una registrazione così, sarei a posto per sempre...

     

    Secondo me, tu potresti fare cose di quel livello. La questione è: vorrai farle? Cioè, sarai disposto a pagare il prezzo che l'arte esige, quando si vuole raggiungere la vetta? Solo l'interessato può rispondere, e agli altri spetta, al massimo, porre la domanda.

     

    Quanto a lui, il programma di musica classica di Sky ha recentemente trasmesso una serie di vecchi filmati di sue esecuzioni. Mi ha fatto impressione riascoltare quel suono, che era proprio di un modo di suonare il violino (suo, di Arthur Grumiaux, e ancor prima di Jacques Thibaut), e devo dire che, anche nello strumento ad arco, come nella chitarra, i grandi progressi tecnici sono stati pagati con la perdita di quel suono.

     

    Mi fa piacere che ascolti il concerto di Sibelius. Io ho 11 registrazioni di 11 violinisti diversi. Se ti piace quel concerto, salta addosso prima che puoi al concerto per violoncello di Elgar, diventerai matto.

     

     

    dralig

  2.  

    In questo senso, come si collocano gli enfants prodiges? Dal punto di vista musicale piu' compiuto, è da considerare maggiormente apprezzabile la freschezza e perfezione tecnica di un musicista giovanissimo, o l'interpretazione piu' personale e virtuosa ma meno "perfetta" di un musicista piu' "maturo" (penso al precedente esempio di Horovitz)?

     

    Entrambe. Il progredire dell'età appanna i riflessi ma tale perdita è compensata dalla chiaroveggenza che si acquista con il lavoro e con l'esperienza. Gli interpreti, come i compositori, percorrono un itinerario: alcuni di loro hanno inciso la stessa opera due o tre volte in momenti diversi della loro carriera proprio per lasciare traccia del mutamento di visione della musica verificatosi nel tempo.

     

     

    E' mai stato individuato il "momento migliore" di un artista oppure ogni caso è a sé e possono anche esserci enfants prodiges dotati di virtuosismo tecnico e profondità di interpretazione? Nella chitarra come funziona questo processo di maturazione artistica?

    Non so come esprimere i termini corretti, spero si capisca quello che intendo.

     

     

    Ogni artista ha la sua storia, che in genere è fatta di alti e bassi, di oscillazioni. In genere - ancora - gli alti e i bassi coincidono con le vicende personali extra-musicali. Il grande violinista francese che a quarant'anni è all'apice della sua arte e a cinquanta si suicida perché non riesce a mantenere il suo livello, e perde vistosamente di qualità, sa benissimo qual è il suo problema: l'alcoolismo invincibile. Lo stato di salute è determinante nel rendimento di uno strumentista. Ugualmente importanti sono le relazioni personali. L'arte è specchio della vita...

     

    dralig

  3. Ho trovato 5 file audio intitolati Villa-Lobos play's Villa-Lobos. Come li ho trovati non dovrebbe interessare :lol: credo.. però sapere se possono essere veritieri si! I brani eseguiti sono "A lenda do caboclo, for piano"; "Choro No.1 for solo guitar, 1926"; "Nhapope, for soprano and piano, No.6 from Modinhas Brasileiras"; "Prelude for piano, from Bachianas Brasileiras No.4" e infine "Prelude No.1 for solo guitar, 1940". Questi sono i cinque brani, la qualità audio non è delle migliori però i vari brani si riconoscono, o almeno io riconosco choro e preludio, gli altri non li ho mai suonati quindi... Qualcuno sa darmi informazioni? Prego cortesemente anche Mantaya e Dralig di aiutarmi/aiutarci nelle loro vesti di musicologi..

     

    Un saluto caloroso a tutti,

     

    bye bye

     

    Quelli dei pezzi chitarristici sono considerate registrazioni autentiche - non c'è motivo per supporre che non lo siano, perché si sa che HVL, da giovane, era anche un chitarrista. Come tale si esibì, ad esempio, in casa della sua futura moglie, la sera in cui furono presentati.

     

    dralig

  4. Duarte poi è la perfetta icona dell'intellettuale marxista reduce dalla distribuzione dei ciclostili davanti al liceo; a dire il vero tutto l'insieme sembra l'istantanea di un summit per decidere le mosse strategiche d'autunno.

     

    :)

     

    ma il concorso che fine ha fatto?

     

    ps. a me le poltrone non dipiacciono affatto.

     

    Culturalmente (politicamente non so) Jack Duarte era l'opposto di tutto ciò: era il tipico inglese liberale, con evidenti nostalgie colonialistiche.

     

    dralig

  5. La musica da camera non è un ripiego per solisti mancati, è comunque un traguardo di eccellenza per ottimi strumentisti,...

     

    ...un esecutore che abbia buona tecnica, sonorità ampia e prontezza di lettura (tutte cose acquistabili con lo studio, senza essere dei geni).

     

     

    In poche parole ai geni lasciamo il solismo e a quei chitarristi non geniali la musica da camera? e gli altri strumentisti che dovrebbero suonare con questi chitarristi che non hanno bisogno di essere geni, possono anch'essi a loro volta essere dei "non geni"? O devono sopperire alla mancanza di genialità del loro collega?

     

     

    Oltre a sembrarmi vagamente contraddittorie, trovo che le sue affermazioni non tengano conto del semplice fatto che moltissimi esecutori "geniali" curano al tempo stesso solismo e musica da camera.

     

     

     

     

    Rispondo di quello che ho affermato. Ho detto - e Lei lo ha riportato - che la musica da camera è un traguardo di eccellenza, mentre il solismo dovrebbe essere riservato a persone dotate di capacità straordinarie. Non ho né detto né implicato che i solisti non possano e non debbano fare anche musica da camera.

     

     

    E che sarebbe una vera imprudenza consigliare ad alcunchì una carriera professionale i cui orizzonti siano già limitati in partenza. E' un escamotage obsoleto che (per la sovrabbondanza di ottimi esecutori attualmente in circolazione) garantirà al povero sventurato che lo farà suo le famose "pietre in faccia"...

     

    .

     

    Poveri sventurati non sono coloro che cercano di realizzare fedelmente i doni che Iddio ha dato loro, ma coloro che cercano di persuadere se stessi e gli altri di essere ciò che non sono e di avere ciò che non hanno.

    Di questi c'è sovrabbondanza. Patetica e disperata.

     

    dralig

  6. Mi hai fatto ridere di cuore :D Le poltrone sono un esempio di architectural design tipico dell'epoca. Viste in quel contesto non sono brutte, anzi è da notare l'alternanza dei colori.

    Invece non pensavo che il M.° Gilardino fosse così alto, ecco cosa succede a vedere i musicisti soltanto in foto o seduti con la chitarra. ;)

     

    Nel 1979 in Svezia mi fu presentato un chitarrista anziano che, fino al 1939, aveva vissuto isolato nel nord del suo paese lavorando come taglialegna. Autodidatta, aveva basato la sua impostazione chitarristica sulle fotografie di Segovia pubblicate nel frontespizio delle edizioni Schott, e aveva imitato perfettamente la postura del maestro. Però, siccome le foto di Segovia erano a mezzo busto, fino a quando non ebbe occasione di andare a un suo concerto in Svezia, suonò sempre stando in piedi, e fu enormemente sorpreso nel vedere Segovia suonare seduto.

     

    dralig

  7. Duarte poi è la perfetta icona dell'intellettuale marxista reduce dalla distribuzione dei ciclostili davanti al liceo; a dire il vero tutto l'insieme sembra l'istantanea di un summit per decidere le mosse strategiche d'autunno.

     

    :)

     

    ma il concorso che fine ha fatto?

     

    ps. a me le poltrone non dipiacciono affatto.

     

    Ma quanti pettegolezzi! In fondo, è una fotografia con cinque musicisti che erano stati convocati in un albergo veneziano per esaminare un centinaio di composizioni per chitarra. Mica l'avevano arredato loro, l'albergo!

     

    dralig

  8. Certo di fare cosa gradita agli utenti del Forum pubbico in allegato a questo messaggio una foto (storica) della Giuria del 'Concorso di composizione Mario Castelnuovo-Tedesco' del 1973.

     

    Da sinistra:

    Angelo Gilardino

    Ruggero Chiesa

    Alexandre Tansman

    John Duarte

    Alvaro Company

     

     

    Per la verità, la giuria erano loro. Io ero lì chiamato a far da badilante, cioè a leggere a vista i pezzi che loro selezionavano. Comunque, mi diedero da mangiare e mi pagarono bene. Nella circostanza - questo ci tengo a ricordarlo - salvai la vita - o comunque risparmiai una lunga degenza in ospedale - a Tansman, che stava attraversando una strada senza accorgersi del sopraggiungere di un taxi. Rischiò di finire all'obitorio la mia Ramirez: per afferrare lui, la lasciai cadere per terra (nell'astuccio beninteso), ma finì invece sui piedi del passante che mi seguiva, e che ruzzolò in terra. Finì tutto in una risata generale - rideva soprattutto il taxista veneziano. Tansman un po' meno.

     

    dralig

  9. Come è possibile individuare le proprie capacità? Intendo dire come si fa sapere se si sarà o una cosa o l'altra...? L'unico modo per sapere se si arriverà in fondo alla strada è provare a percorrerla o si intravede da subito una validità di riuscita? Sono quasi convinto di provare a suonare musica da camera, mi cercherò una formazione che ne abbia voglia.. Credo che partire da questo sia un buon inizio, percorrere la strada del musicista di fila per capire se si può essere musicisti solisti.. Sbaglio qualcosa? L'approccio di cercare le cose è da considerarsi sbagliato?

     

    La musica da camera non è un ripiego per solisti mancati, è comunque un traguardo di eccellenza per ottimi strumentisti, che trovano maggior gratificazione, sia artistica che professionale, nel repertorio cameristico piuttosto che in un'improbabile attività solistica.

     

    La chitarra ha un buon repertorio di musica da camera, che può tranquillamente riempire l'attività professionale di un esecutore che abbia buona tecnica, sonorità ampia e prontezza di lettura (tutte cose acquistabili con lo studio, senza essere dei geni).

     

    Nel campo della chitarra, ci sono molti buoni strumentisti che si impegnano in un'attività solistica di scarsa soddisfazione, da ogni punto di vista. Sarebbe molto più remunerativo, per loro, e assai più utile, per la musica, se si versassero con passione nella musica da camera, dove le loro qualità potrebbero risaltare e i loro limiti non risulterebbero in modo evidente, come invece avviene quando si presentano da soli.

     

    La noia che molti ascoltatori sentono nell'ascoltare un chitarrista non è causata dal fatto che questi non è bravo, ma dal fatto che è soltanto bravo. Per suonare in pubblico una chitarra da soli non basta essere bravi, bisogna essere molto più che bravi.

     

    Se lo si è, risulta chiaro fin dai primi mesi di studio. A meno che gli insegnanti siano degli stolti, se un allievo ha qualcosa di eccezionale lo si percepisce anche da come suona le corde a vuoto.

     

    dralig

  10.  

     

     

    Mi aiuta gentilmente a capire una cosa? Potrebbe darsi che chi studia uno strumento più tradizionalmente destinato ad esprimersi in formazioni strumentali, parta già con la mentalità di un "aspirante orchestrale" perchè questa è la sua aspirazione e quindi si sentea realizzato se è questa che realizza?

     

    Secondo me non ci si iscrive a Lettere perchè si desidera diventare scrittore (anzi, forse è più facile diventarlo se ci si guarda bene dal frequentare questa facoltà ;)). Allora mi chiedo: ci si iscrive al conservatorio pensando principalmente a una carriera da solista, o forse questo pensiero è prevalente in chi sceglie determinati strumenti e quindi il non diventarlo può essere fonte di frustazione?

     

     

    Strumenti come il pianoforte e la chitarra, il cui repertorio solistico è ricco,

    non richiamano soltanto esecutori eccezionali, ma anche - e per la maggior parte - esecutori normali che, con una buona preparazione, possono raggiungere una conoscenza approfondita del repertorio e anche un livello di esecuzione soddisfacente in ambito personale, familiare, scolastico. Il solista destinato a fare il concertista è, in questa categoria, un'eccezione, non diversamente dal flautista che, invece di suonare in orchestra, farà il concertista di flauto: questa è la realtà. Darsi rappresentazioni diverse di tale realtà significa dannarsi l'anima e l'esistenza. La paura, di cui qui si discorreva, è spesso - quasi sempre - un sintomo tipico di tale dannazione.

     

     

     

     

     

     

     

    Il desiderare di suonare da soli o in una formazione, potrebbe talvolta essere anche l'espressione di una impronta caratteriale?

     

     

    Può darsi. L'importante è che tale aspirazione si fondi sulla reale disponibilità di mezzi adeguati, e non solo sul desiderio.

     

    dralig

  11.  

    Pongo questa domanda in punta di piedi, considerate che più che studiare ho solo letto tanto sulla storia della chitarra, quindi ci sono molte cose che non so e ricordo ancora bene:

     

    Il fatto che chi studia chitarra sia portato ad aspettarsi (o desiderare) una carriera da solista, potrebbe essere indotto dal maggiore repertorio storico di brani per sola chitarra che non per formazioni da camera?

     

    Praticare un repertorio solistico non implica essere destinati a eseguirlo in pubblico. La tradizione borghese del pianoforte, che alimenta da due secoli un'industria, un'editoria e una serie correlata di consumi, è a propria volta alimentata da esecutori che familiarzzano con il repertorio dello strumento solista per eccellenza, ma che non si sognano di puntare a una carriera concertistica. Chi si laurea in lettere pensa necessariamente di fare lo scrittore? Chi si diploma all'accademia di belle arti sarà perciò stesso un pittore o uno scultore? Analogamente, chi va al conservatorio a studiare chitarra, e vi si diploma, dovrebbe capire che ciò non lo conduce necessariamente a svolgere un'attività concertistica in qualità di solista. Si dirà: allora, perché studiare qualcosa in cui non si eccelle? Non so rispondere, ma so di non dover rispondere. Ciascuno fa della sua vita quello che vuole.

     

     

     

     

    Quanto incide la maturità personale (e in qualche modo anche l'età anagrafica) nella migliore espressione artistica di un musicista?

     

    Scusate, a volte mi sento un po' come la punta del Monte Toc :oops:

     

     

    Butterfly

     

    Maturità personale e maturità artistica non possono essere scisse, sono consustanziali. Può accadere che l'interazione dell'artista e quella dell'uomo con il mondo diano luogo a situazioni diverse (l'artista ammirato, l'uomo detestato, etc.), ma questo appartiene alla sfera esterna: l'artista maturo è immancabilmente anche un uomo maturo.

    Che - come osservava Baudelaire - pur maturando, ha saputo conservare intatta l'immaginazione e la sensibilità dell'infanzia (vedere Elemire Zolla, Lo stupore infantile, Ed. Adelphi, e James Hillman, Il codice dell'anima, id.)

     

    dralig

  12. Vedo verità (indiscusse) nelle parole dei M° che hanno scritto qui sopra. Grazie a questo non si vede solo una facciata delle cose, ma più facciate, tante verità che a mio parere costituiscono una buona vista.

    Farò monito del pensiero del M° Gilardino e Catemario, perchè sono pensieri nati non da presupposizioni ma da vita vera e non mi spaventa il fatto che possono sembrare in contraddizione, anzi, come detto sopra farò tesoro di quanto detto senza tralasciare nulla.

     

    Fondamentale come sempre è la base e la preparazione, l'aver fatto un percorso "giusto" e soprattutto guidato da un buon insegnante è già come dice il M° Catemario, quasi garanzia di successo. Poi le cose da considerare sono tante, la storia personale, i traumi subiti, il carattere, e tantissime altre cose. Tutto questo mi fa dire che per fare il concertista bisogna aver risolto tutto questo PRIMA di salire sul palco, se non è stato fatto non è certo il momento di fare una esibizione (e non uso a caso questa parola) perchè appunto si avrà paura.

    Fare un recital è una cosa piccola e grande, bisogna farlo solo se si è davvero in grado di farlo.

    Avevo scritto un lunghissimo messaggio ma l'ho cancellato perchè sono arrivato a capire il significato di ciò che ha scritto il M° Gilardino, che subito mi sembrava molto duro e quasi ingiusto a dire "chi ha paura fa bene ad avercela perchè non è degno di essere un concertista" (non sono le esatte parole ma credo renda bene l'idea del pensiero). Resisto alla tentazione di riportare ciò che ho capito perchè credo che sia inutile e forse fuorviante, certe scoperte hanno valore solo se sono scoperte personali. Un sasso viene gettato....

     

    Lei è alle soglie della comprensione. Faccia ancora un passo avanti e la paura scomparirà una volta per tutte. Le vorrei offrire un aiuto. Si procuri alcune incisioni di colui che è stato uno dei massimi pianisti del Novecento, Vladimir Horowitz. Come forse Lei sa, dovette allontanarsi per una decina d'anni dall'attività concertistica a causa di problemi psichici che, al momento di presentarsi in pubblico, si manifestavano in un panico devastante. Provi ad ascoltare le sue registrazioni prima e dopo l'eclissi.

    Ad esempio, Le suggerisco di ascoltare il secondo concerto di Brahms o il concerto famosissimo di Tchaicovskij (diretti, tra l'altro, da Toscanini), e avrà l'impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di sovrumano. Poi, ascolti una registrazione del vecchio Horowitz ottantenne, evidentemente dimidiato nella tecnica e nella potenza di suono, che esegue la Kreisleriana op. 16 di Robert Schumann, e fissi la Sua attenzione in particolare sull'ultimo tempo (dove troverà alcuni gravi accroc pianistici: il vecchio leone aveva perso gli artigli...). Dopo, se vuole, ne riparleremo, ma consideri un fatto importante: il vegliardo che compie quel miracolo di poesia musicale nella Kreisleriana non aveva più alcuna paura, anzi scherzava sulla sua tecnica ormai andata su per il camino. Il titano che invece trascinava l'orchestra della NBC, mettendo alla frusta anche la bacchetta di Toscanini, giunse ad accumulare in sé una tale paura da non poter più, letteralmente, mettere le mani sulla tastiera per un decennio.

    Buon ascolto e buona riflessione.

     

    dralig

  13. Si, ma qual è il modo migliore per dominarla? Assalirla con contrasti allopatici? Opporle resistenza? La paura sarà sempre lì, e ad essa si aggiungerà l'aggravante della resistenza. E' chiaro che l'unico modo di dominare la paura è comprenderne l'essenza e l'origine alle radici. Questo comporta un'operazione di verità che, nei riguardi di se stessi, non tutti, anzi non molti, sono disposti a compiere. E' più facile alimentare un mito di se stessi, costruire su ciò che si è l'immagine di ciò che si vorrebbe essere, e a quella sacrificare ogni evidenza di verità: questa simulazione è la fonte di una infinita serie di paure e di terrori. Paradossalmente, si dà talvolta (anche se di rado) il caso di musicisti che sono potenzialmente assai migliori del modello che si sono imposti: in tali casi, la paura arriva a livelli patologici.

     

     

    Angelo carissimo, dominare le proprie paure è operazione delicatissima e importantissima. Vai a toccare il DNA dell'uomo con tutte le modificazioni che questo comporta. Mi vengono in mente, ad esempio, i cibi transgenici che non sanno più di nulla, gli alberi senza chioma, gli animali tutti uguali. e così via. Non voglio diventare così. Voglio combattere le mie paure attraverso i mezzi che la natura mi offre, senza forzare nulla. Ho paura di diventare quello che non vorrei mai essere, un'uomo che affronta la vita con indifferenza o saccenza. So bene, e Montale me lo ricorda divinamente, che sono uno strumento nelle mani dell'arte e che il tutto mi è stato affidato solo in prestito. Niente di quello che faccio è opera mia. Cerco di tirarlo fuori solo perché mi è stato dato. Quello che è mio, invece, è tutta la debolezza umana, fatta di carne che sanguina se si ferisce, di lacrime che sgorgano se si è tristi o di occhi che brillano per la gioia. Queste cose non posso addomesticarle. Smettere di piangere o ridere, perchè devo dimostrare a tutti i costi che non devo emozionarmi, equivale a mangiarsi un pollo vissuto per tutta la vita in condizioni che conosciamo benissimo.

     

    Lontanissimo un miliardo di anni luce dalle poesie che ci regali, ti offro anch'io la mia visione in versi di cosa provo durante un concerto.

     

    CONCERTO

    L’anima si spoglia

    per guardare il mondo in solitudine

    e volare sulle teste indistinguibili

    di un pubblico di sabbia

     

    piccoli granelli luccicanti

    che formano un mare

    bellissimo

    che a volte ruggisce

    altre no

     

    ancora rumoreggia

    ma poi si placa

     

    come le onde

    come la pioggia

     

    come le stelle

    che ardono e illuminano il buio della sala

    che tristemente si svuota

    quando l’anima

    rientra nel suo involucro di plastica

     

    e aspetta di riveder la luce

     

     

    Francesco

    Milano, ven21gen2004

     

    Caro Francesco, quello che leggo nei tuoi versi - e che ho ascoltato molte volte nelle tue esecuzioni - è poesia, non paura. Che tu raggiunga uno stato poetico vincendo la paura è molto bello, ma non è necessario. E senza paura non smetteresti di essere il poeta-musicista che sei.

     

    Ho sempre creduto e pensato che l'arte è un modo di vivere, ed è la sostanza della vita dell'artista. Basta a ogni giorno la pena del creare, non occorre aggiungerne altre. Quando ci si presenta in pubblico, ci si trova dinanzi all'umanità. Altro che provarne paura, ci assale compassione. Come meglio non si poteva, ce lo dice Jorge Luis Borges:

     

    "Parlano di umanità.

    La mia umanità è sentire che siamo voci della stessa miseria.

    Parlano di patria.

    La mia patria è un palpito di chitarra, alcuni ritratti e una vecchia spada,

    L'evidente preghiera dei salici nell'ora dei tramonti".

     

    Ma quale paura? Di chi e di che cosa?

     

    dralig

  14.  

    La paura va dominata, altrimenti il messaggio che portiamo dentro non passa. D'accordo.

     

    Si, ma qual è il modo migliore per dominarla? Assalirla con contrasti allopatici? Opporle resistenza? La paura sarà sempre lì, e ad essa si aggiungerà l'aggravante della resistenza. E' chiaro che l'unico modo di dominare la paura è comprenderne l'essenza e l'origine alle radici. Questo comporta un'operazione di verità che, nei riguardi di se stessi, non tutti, anzi non molti, sono disposti a compiere. E' più facile alimentare un mito di se stessi, costruire su ciò che si è l'immagine di ciò che si vorrebbe essere, e a quella sacrificare ogni evidenza di verità: questa simulazione è la fonte di una infinita serie di paure e di terrori. Paradossalmente, si dà talvolta (anche se di rado) il caso di musicisti che sono potenzialmente assai migliori del modello che si sono imposti: in tali casi, la paura arriva a livelli patologici.

     

     

     

     

    Ma qual'è questo messaggio che vogliamo trasmettere? E' questo il punto. L' essere umano, con tutte le sue debolezze, o l'essere riusciti a sconfiggere la paura stessa?

     

     

    Per trasmettere fedelmente un messaggio, caro Francesco, non occorre conoscerne letteralmente il contenuto. Il mistero dell'arte si serve degli artisti per consolidarsi nella sua iterazione, non per svelarsi. E' ancora la poesia che ci aiuta a capire:

     

    "La mia venuta era testimonianza

    di un ordine che in viaggio mi scordai,

    giurano fede queste mie parole

    a un evento impossibile, e lo ignorano."

     

    E più avanti:

     

    "...Non sono

    che favilla d'un tirso. Bene lo so: bruciare,

    questo, non altro, è il mio significato".

     

     

     

    dralig

  15. Giustissimo.

     

    Non bisogna dimostrare niente a nessuno, bisogna far musica.

     

    Per fare bisogna essere, caro Vladimir, e qui si apre un capitolo dolente. Qualche accenno. Il chitarrista si presenta in pubblico da solo per fare un recital (dicesi recital l'esibizione di un solo attore, e la definizione viene estesa anche a chi suona da solo). Ne ha il diritto, artisticamente? Lo studente che in conservatorio frequenta la classe di oboe o di violino, e che è bravo, aspira a far parte di un'orchestra o di un gruppo da camera. Non gli passa nemmeno per la testa l'idea di diventare un solista. Ogni mille studenti di violino, i professori ne individuano uno che, per le sue doti particolarissime, sembra poter aspirare alla carriera di solista. Il bravo violinista, che magari arriverà anche a diventare la spalla in orchestra, non si sente affatto sminuito dal fatto di non essere Perlman, suona con precisione, puntualità, flessibilità ai comandi del direttore, ed è contentissimo. Ancora più contento se la vita gli ispira e gli permette di entrare in un quartetto. Non si sogna di essere un solista, e sta benissimo.

     

    Chi ha insegnato per decenni in conservatorio e scuole affini, può testimoniare che uno studente di chitarra, nella norma, non è affatto superiore a uno studente di clarinetto o di violoncello. Ma il repertorio della chitarra chiama il solista, e l'allievo risponde sulla presunzione di esserlo, anche se il suo talento, la sua tecnica, la sua statura musicale sono appena pari a quelle del coetaneo che studia nella speranza di trovare posto in una fila orchestrale. Ho impartito lezioni di musica da camera a gruppi in cui il chitarrista era lungi dall'essere il più bravo, eppure era l'unico ad alimentare una carriera solistica. Ci si rende conto dell'assurdità di tutto ciò? Petrassi diceva giustamente: tolto il caso di Segovia, un concerto di chitarra è una noia mortale. Si riferiva evidentemente al fatto che troppi, normalmente bravi, chitarristi, si ritengono chiamati a un compito speciale - quello del solista - e si presentano in pubblico con un recital. Hanno paura? Direi che dovrebbero: sono fuori posto, e in fondo lo sanno.

     

    Il solista non è figura ordinaria nella vita musicale. E' figura eccezionale: in qualunque campo è rara avis. Il chitarrista, no: sta studiando il programma del corso inferiore senza rivelare alcunché di speciale, e già si propone per suonare come solista. A questa follia, bisognerebbe porre un argine, un freno. La musica da camera mi sembra un ottimo farmaco.

    Il chitarrista che suona con altri strumentisti ha modo di rendersi conto della realtà, e di lavorare seriamente. Se Dio lo ha toccato del carisma solistico, ciò apparirà nella più pacifica evidenza dei fatti, e non sarà il frutto di una follia. Scoprire tardi di essere soltanto un bravo esecutore quando invece si credeva di essere un solista potrebbe essere molto doloroso. In questo senso, la paura di suonare in pubblico significa molte cose, e sarebbe bene prestarle molta attenzione.

     

    dralig

  16.  

     

    E' vero! A casa funziona tutto perchè siamo veramente noi stessi (e lo studente lo è ancora di più), e non dobbiamo dimostrarlo a nessuno. .

     

    Nemmeno quando si suona in pubblico non vi è nulla da dimostrare. Se si è consapevoli di poter far musica, perché si è musicisti, intus et in cute, non si avverte alcun bisogno di dimostrarlo: lo si è e basta. Se si deve dimostrarlo, vuol dire che non si è certi di esserlo. E se non si è certi, perché mai proporsi a un pubblico?

     

    Non occorre la psicoanalisi per sapere tutto ciò. E' patrimonio dell'umanità da molto tempo:

     

    "Temer si dee di sole quelle cose

    Ch'hanno potenza di fare altrui male,

    De l'altre no, ché non son paurose".

     

    Il sapere di Aristotele e di san Tommaso aveva già appurato l'essenza della paura e la sua ragione d'essere, e Dante, loro scolaro, ne indica l'origine:

     

    "Come falso veder bestia quand'ombra".

     

    dralig

  17. Poiché ho introdotto io il termine paura, e in conseguenza delle cose dette, ritengo di dover aggiungere qualche piccola precisazione.

     

    Un'uomo senza paure, è un uomo evidentemente molto sicuro di sé, che non ha alcun dubbio o ansia prima di salire su un palco.

     

    Ecco, io cerco accuratamente di evitare di andarli ad ascoltare perché ormai, secondo me, non v'è in loro più alcuno spazio alle emozioni.

     

     

    Sta nascendo un equivoco, caro Francesco, Vediamo se è possibile dissiparlo. Sembrerebbe, da quello che scrivi, che la paura sia il vettore indispensabile delle emozioni che l'interprete deve trasmettere al pubblico e che, in assenza di paura, non ci sia alcuna trasmissione di valori e di contenuti - quelli proprii e specifici dell'arte, che generano emozione. Non è così. La musica è quello che è, i suoi messaggi transitano benissimo anche senza paura - anzi, la paura è un grave ostacolo che offusca la chiarezza del messaggio. La ricerca dell'origine della paura conduce sempre alla scoperta del fatto che chi suona intende (più o meno consciamente) proiettare non soltanto e non principalmente la musica, ma un'immagine di sé alla quale nel profondo non crede, e che quindi ha bisogno di dimostrare continuamente (prima a se stesso e poi agli altri): la paura scaturisce da questa incertezza, cioè dall'ipotesi paventata che la dimostrazione fallisca e che l'immagine non corrisponda a ciò a cui l'interprete agogna. Faccio un esempio riferendomi a un assunto fondamentale della celebrazione della Messa cristiana (non occorre essere credenti o praticanti per comprendere il concetto). Essa si basa sul valore della transustanziazione, ossia sul fatto che il pane e il vino dell'eucarestia diventano il corpo e il sangue di Cristo. Il credente, sia esso colui che celebra la Messa, cioè il sacerdote, o colui che vi assiste, sa che questo fenomeno - la transustanziazione - si verifica per volontà del Creatore, e non ha alcuna ragione di aver paura che, nella singola circostanza, esso non abbia luogo, fallisca: ciò indipendentemente dal modo con cui la cerimonia liturgica viene "recitata". Il sacerdote non ha alcuna paura: questo non significa che il messaggio potentissimo non venga trasmesso e che il miracolo non abbia ogni volta puntualmente luogo. Se il sacerdote avesse paura, non trasmetterebbe nulla di più di quello che è proprio dell'evento della transustanziazione: renderebbe soltanto più difficile la sua partecipazione al medesimo.

     

    La paura non ha alcun ruolo essenziale nella trasmissione del messaggio musicale dall'interprete al pubblico. E' solo la spia di una condizione imperfetta nella psiche di chi suona, o addirittura, in certi casi, del fatto che il musicista è fasullo. Eliminarla o meno è una scelta dell'inteprete. Credere che sia essenziale per trasmettere i valori musicali è - perdona la franchezza - un errore inutile.

     

    Detto questo, occorre naturalmente dissipare possibili equivoci anche il relazione alla natura della sensazione che può accompagnare i momenti che precedono il presentarsi in pubblico. Occorre concentrarsi, questo non è facile, e la presenza di ostacoli alla concentrazione può causare un po' di nervosismo. Tutto ciò non ha nulla che vedere con la paura. E' un preliminare da svolgere accuratamente, con l'aiuto delle circostanze. Non si accorda soltanto lo strumento, prima di suonare, si accorda anche se stessi. Con il tempo, si impara a farlo in molte situazioni, ma non è possibile farlo in tutte: allora, ci si può innervosire. Ma non avere paura.

     

    Spero di essermi spiegato chiaramente, e del resto non credo di averti detto nulla di nuovo, perché sull'argomento ti avevo già manifestato il mio pensiero.

     

    Ciao.

     

    dralig

  18. la maggior parte delle volte (95%) subisco (paura, ansia)... sono molto sensibile ed emotivo, e se pur mentalmente capisco che non c'è assolutamente nulla di cui aver paura.. quando sono davanti al pubblico quasi sempre la paura non mi fa suonare bene e cosa ancora peggiore non mi fa gustare il momento come una cosa bella. Cerco il controllo interiore da sempre e certamente continuerò a lottare perchè un'uomo non si può considerare libero se schiavo delle proprie paure. Quello che ricerco forse è tra le cose più difficili al mondo, ovvero lasciare la porta aperta alle emozini e alla creatività (che mi servono per vivere e per lavorare) la mente sempre attiva, la voglia di spingersi sempre oltre i propri limiti, ma diventare abbastanza forti interiormente da trasformare anche la paura in qualcosa di positivo, senza soccombere ad essa. Mi viene sempre in mente una bellissima perla di saggezza (che avevo già postato tempo addietro mi pare...):

     

    "Fortunato il leone che verrà mangiato dall'umano, perchè il leone diventerà umano. E disgraziato è l'umano che verrà mangiato dal leone, poichè il leone diventerà comunque umano."

     

    Forse è bene considerare la cosa dal punto di vista artistico. Suonare in pubblico significa rendere gli ascoltatori consapevoli di (e partecipi a) qualcosa che è proprio della musica eseguita e dell'esecutore. Perché ciò avvenga, è necessario che l'identificazione tra l'esecutore e la musica eseguita sia totale: se non lo è, perché mai suonare in pubblico? (ecco con ciò eliminato il primo equivoco: si suona in pubblico se si può). Inoltre, occorre che gli ascoltatori siano disposti ad accogliere la musica e l'arte dell'esecutore (ecco dissipato un secondo equivoco: il chitarrume che va ad ascoltare un concerto di chitarra con il proposito di cogliere il concertista in fallo, o di esserne comunque il giudice inesorabile, non fa parte degli ascoltatori, ma di una casistica di tipo patologico, che chi suona impara a non tenere nella minima considerazione). La musica pensata dal compositore e integrata dall'arte dell'interprete perviene all'ascoltatore attraverso un normale atto di comunicazione, non attraverso un miracolo che può aver luogo oppure no: dov'è dunque l'origine della paura, del panico, del trac? Evidentemente, in cause esterne. Primo, l'esecutore non è affatto identificato con la musica, diciamo che la sa suonare perché l'ha imparata con sforzo e ripetizioni coatte, ma non ne ha fatto cosa propria, non ha una presa diretta sull'opera. Ha paura? Direi che dovrebbe averne molta: la paura è la spia del fatto che sta giocando con carte truccate, e teme di venire scoperto.

    Secondo, l'esecutore ha un io smisurato, e si serve della musica per affermarlo: è chiaro che deve aver paura. Paura che gli ascoltatori non lo riconoscano come un superuomo, un genio, un fuoriclasse. Tutto ciò non ha niente che vedere con l'arte, con la musica, con l'essenza stessa del far musica per gli altri: è esibizione, tronfia ostensione di sé. Perché mai chi è affetto da una sindrome del genere non dovrebbe aver paura?

     

    Se chi suona fa musica nel senso proprio del termine, cioè "è" la musica (voce del verbo essere), perché mai sulla terra dovrebbe aver paura? Paura di che cosa? Gli ascoltatori presenti hanno qualcosa in più di lui, un battesimo speciale, un salvacondotto già in tasca per l'eternità?

     

    Non siate troppo teneri verso coloro che hanno paura di suonare in pubblico. Chi trasmette agli ascoltatori la paura che ha dentro di sè non ha il diritto di far pagare un biglietto per il proprio concerto: la paura, gli ascoltatori ce l'hanno già in proprio, per tanti motivi, e non vanno ad ascoltare un concerto per aggiungerne altra. Vanno per ascoltare musica. Si dia loro musica, non paura. E se si ha paura, invece di fare concerti si stia a casa propria.

     

    dralig

  19. senta inanzittutto i toni da lei adoperati mi sembrano un pò eccessivi e sicuramente poco gentili e garbati.lei ha già sperimentato quello che vuole ma non ha nessun diritto di rivolgersi in questo modo.questo è poco ma sicurissimo.inoltre vede tale tipo di reazione è pure iconcepibile io ho detto che secondo me su mestesso non potrebbe funzionare non le ho detto che ha sbagliato o che sono venuto a smentire la sua tesi scientifica dato che nel suo messaggio sembra quasi che l'abbia attaccata!!!!!!!!!!!

     

    Ah no? Lei ha scritto, testualmente:

    "maestro Gilardino ciò che lei ha enunciato è una bella teoria ma personalmente non credo che possa avere un effettivo risvolto pratico."

     

    In questa proposizione non c'è alcun riferimento al Suo caso personale, è invece estesa impersonalmente a chiunque. In sostanza Lei ha contestato una mia affermazione, definendola una "bella teoria", laddove invece essa è il risultato di una sperimentazione didattica durata 40 anni e ancora in corso: questo è ben altro che un'eccezione al bon ton.

     

    dralig

  20. Ciao colleghi di strumento! Sto cercando parti per un duo chitarra e violoncello, solo che è piuttosto difficile trattandosi di strumenti dalla tessitura simile. ;)

     

    Io fino ad ora ho trovato due pezzi di Gilardino (una delle Canzoni Dimenticate e la Sonata Romantica -Homage to Franz Schubert-), una sonata di Matiegka originale e una trascrizione di Hoppstock da Vivaldi.

     

    Spero che qualcuno possa aiutarmi!

     

    & grazie :)

     

    Per la verità, oltre ai due lavori minori sopra citati, per il duo di violoncello e chitarra io ho scritto anche qualcos'altro: Concerto per Violoncello, Chitarra e Orchestra ("Star of the Morning"), eseguito in prima mondiale dal duo Boris Andrianov-Dimitri Illarionov nel maggio 2005 per il festival di Kaluga (Russia). E' pubblicato dalle Edizioni Bèrben.

     

    dralig

  21. maestro Gilardino ciò che lei ha enunciato è una bella teoria ma personalmente non credo che possa avere un effettivo risvolto pratico.Condivido pienamente che la musica non può essere un mezzo di ostentazione per coloro che la praticano.ma credetemi io che sicuramente non ho niente da ostentare e che concepisco la musica come una continua ricerca l'emozione ce l'ho sempre certo però come lei dice non ho la paura ossessionante di poter sbagliare.

     

    Io ho suonato in pubblico per 23 anni, e non enuncio belle teorie: parlo di ciò che ho fatto, carne e sangue. Quello che Lei personalmente crede o non crede non ha alcun peso su quello che io ho già appurato e sperimentato, sia attraverso la mia vita di artista che grazie alla mia attività didattica. Nessuno dei miei allievi divenuti concertisti ha mai sofferto di panico, perché ha imparato da me a far musica, non a esibirsi in pubblico. La paura è conseguenza dell'esibizionismo. Ripeto, chi fa musica non ha alcun timore di suonare in pubblico. E chi ha timore di suonare in pubblico dovrebbe rinunciare a farlo. Ne ha molte buone ragioni.

     

    dralig

  22. Ce chi affronta queste situazioni con spavalderia e si lascia galvanizzare da esse ed altri che invece le subiscono.

    Proviamo a fare un'indagine tra gli abitanti del forum?

    Sotto a chi tocca! :D

     

    Non sono un concertista come quelli che scrivono qui su questo splendo forum ma nella mia poca esperienza vi dico che....... me la faccio sotto!!!! :oops:

    A Lagonegro ad Agosto ho sentito un concerto di un certo Porqueddu che invece mi ha lasciato esterrefatto da questo punto di vista.

    ;)

    Mi piacerebbe che Tampalini, lo stesso Porqueddu, Saggese, Zigante, Gilardino e tutti coloro che sono stati e sono concertisti in attività ci spiegassero come si raggiunge quella tranquillità....... per me è per il momento impossibile anche solo da capire! :cry:

     

    Se il suonare in pubblico è un atto dimostrativo di capacità e di poteri speciali e punta all'affermazione della propria persona è inevitabile che sia accompagnato dalla paura: infatti, l'evenienza di non poter dimostrare in una determinata occasione la propria eccellenza è realistica, e qualora si verifichi dà luogo a un sentimento di sconfitta e di frustrazione.

     

    E' chiaro che tutto ciò è insensato. Bisogna quindi formare in sé una capacità di comprensione della musica come fenomeno che trascende l'importanza delle persone che la fanno (compositori, interpreti, ascoltatori) e disporsi all'esecuzione con animo ripulito dalla vanità. Solo questo atteggiamento rende sereni e capaci di accettare le variabili che possono dar luogo a oscillazioni nel rendimento.

     

    Uso dire che chi ha paura di suonare in pubblico fa bene ad averla, e che probabilmente non ne ha abbastanza: con questo intendo dire che un atteggiamento radicalmente sbagliato nel far musica non può non far male, e che non serve lottare contro la paura. Chi ce l'ha, cerca qualcosa che la musica non può dare.

     

    Chi fa musica, non ha paura.

     

    dralig

  23. [quote name="Butterfly

     

    Rifletto a volte sull'immortalità dell'arte rispetto alla fragilità corporea e penso all'angoscia dell'anima quando si ritrova più o meno temporaneamente "senza luce" e sul desiderio' date=' ancestrale, di non doversi mai separare da ciò o chi si ama.

    A volte diamo il meglio di noi quando la "luce" viene a mancarci, altre volte quando essa invece ci sfiora o ci avvolge con la pienezza dei suoi colori.

    Sono pensieri un poco incerti...così per condividere una riflessione in una mattinata autunnale. Quale "luce" saprò dare io?

     

     

    Butterfly[/quote]

     

    Nessuno può legittimamente rispondere, ma forse sarebbe meglio riformulare la domanda: "Quale luce voglio dare io?". Risponde il poeta Suo conterraneo: "Forse solo chi vuole s'infinita".

     

    dralig

×
×
  • Aggiungi...

Informazioni importanti

Usando il Forum dichiari di essere d'accordo con i nostri Terms of Use.