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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1.  

    Per dralig:

    Scusi, Maestro, che brano ha dedicato a Stanley Yates?

     

    Più di uno. Gli ho dedicato un brano per chitarra sola che mi aveva richiesto lui stesso, per un'antologia di compositori contemporanei che avrebbe poi pubblicato presso Mel Bay. Il brano s'intitola "Winterzeit", fu scritto nel 2000 ed è una meditazione su un motivo di Robert Schumann, precisamente sul brano per pianoforte così intitolato nell'album per la gioventù. La richiesta di Yates mi giunse in un periodo in cui stavo ascoltando - anzi, fresandolo a furia di ascoltarlo - il disco LP di Benedetti Michelangeli con quel pezzo. Era da nove anni che non scrivevo un pezzo per chitarra sola, e disperavo di poterlo fare. Invece, con quel pezzo mi riaffezionai alla chitarra sola e negli anni seguenti scrissi parecchie altre composizioni per sole sei corde. Nel 2004 scrissi "Ikonostas", e la dedicai a Yates perché mi aiutò nel mettere a punto alcune diteggiature che io avevo in mente, ma alle quali lui mi suggerì alternative migliori. Era la prima volta che scrivevo per l'accordatura in sol e avevo bisogno di aiuto. Yates si era impratichito della chitarra russa e mi diede una mano. Infine, gli ho dedicato - un po' ironicamente - la mia versione per flauto, viola e chitarra di "Asturias". L'ho fatto perché lui ha realizzato una bella trascrizione per chitarra sola, e allora l'ho un po' provocato. Va da sè che è un amico e un ottimo interprete della mia musica.

     

    dralig

  2. Ho comprato un bellissimo cd con registrazioni di Rubinstein fine anni '40-primi anni '50...che dire...eccezionale.

     

    Da consigliare a tutti quelli che vanno ancora in giro dicendo che Albeniz suona meglio sulla chitarra...c'è una Cordoba da cardiopalma, e la danza n.5 di Granados...che tocco, e che suono 'sto pianoforte...escono anche i rasgueados.

     

    Quando questo cd uscì, gli stessi spagnoli ne rimasero stupefatti, fece davvero un gran clamore. Davvero un cd importante da possedere.

     

    I pianisti spagnoli storici fecero mirabilie con i loro autori. Cominciarono Ricardo Viñes e Joaquin Malats (l'autore della famosa Serenata fu il primo interprete del ciclo "Iberia" di Albéniz), poi vennero pianisti del calibro di Eduardo del Pueyo, e il vertice fu toccato, intorno alla metà del secolo, dal fenomenale Gonzalo Soriano, un genio del pianoforte che non volle percorrere le tappe di una carriera internazionale perché - pare - gli piaceva troppo star bene nella sua Alicante...Conosciamo tutti Joaquin Achucarro e Alicia de Larrocha, ma io ho avuto il privilegio di ascoltare anche (quando sia lui che io eravamo giovani), Rafael Orozco, al quale ora è già intitolato un conservatorio a Cordoba (Dio l'ha chiamato a sé molto presto). Ricordo una sua esecuzione di "Corpus Christi en Sevilla" di Albéniz, alla fine della quale avevo i brividi...

     

    E comunque, non dimenticate "Rumores de la caleta" suonata da Arturo Benedetti Michelangeli. Metafisica del pianoforte.

     

    dralig

  3. capisco il tuo punto di vista..però sì, stiamo pagaiando OT (scusa ma sono appena tornato da un bel giro in kayak). La mia ovviamente non è una differenza etica, non è buono il colto e malvagio il popolare, neppure estetica, non credo sia bell oil colto e brutto il popolare. La mia è una differenza epistemologica, logica ed ontologica se vuoi: la musica colta esiste ed è qualcosa di diverso dalla musica popolare, con suoi propri parametri, caratteristiche, ecc...l'esperienza estetica per essere coinvolgente deve essere compresa all'interno di un certo quadro di riferimento. non è che non mi interessino questo tipo di problemi, ma è che, appunto, il tiro è un po' spostato...

     

    Mi pare che questo sia il punto. E' sufficiente, nella vita, saper far bene il proprio mestiere, uno solo può bastare, non c'è da aver paura ad ammettere che non se ne sanno fare altri: io questa paura non ce l'ho. Non so nulla di musica elettronica - salvo quello che ne può sapere un ascoltatore qualsiasi - e, rispetto a quello che io considero il mio mestiere di compositore, non avverto questa ignoranza come una lacuna: non intendo scrivere musica elettronica. Il punto che io sollevo da tempo è un altro, ed è semplicissimo: chi compone deve essere istruito nella composizione. Se non lo è, non componga. Se compone lo stesso, non pretenda di essere preso sul serio. Se qualcuno finge di prenderlo sul serio, non si illuda: il problema è sempre lì. Culturalmente, non c'è diversità tra chi compone "gestualmente" - e pretende che i suoi articoli siano considerati composizioni - e un tizio che, un bel giorno, decide che è diventato di colpo architetto. Gli lasciassero progettare un pollaio, povere galline! In arte, questo modo di agire non è sanzionato dalla legge, il tizio viene lasciato a piede libero e circola tra noi. Posso dire che non ci voglio avere che fare, per nessuna ragione? Io scrivo musica ricollegandomi al profilo artigianale, al mestiere, di coloro che considero gli ultimi maestri della storia della musica: Schoenberg, Berg, Bartok, Ravel, Hindemith, Prokofiev, Stravinskij, Falla e altri della stessa tempra. Rispetto compositori successivi, dal valore indiscutibile, come Petrassi e Ligeti. Nel panorama contemporaneo, apprezzo coloro che hanno acquisito un buon mestiere - la settimana scorsa facevo il nome di Solbiati, parlando di compositori italiani attivi - e non gli altri, quelli che la danno a bere: agli uffici cultura dei partiti che finanziano i festival con il denaro pubblico, ma non ai musicisti e tanto meno agli ascoltatori. I quadri di Squittinna, io no li compero e non li guardo, nemmeno riprodotti. E non c'è discorso dipartimentale che possa farmi cambiare idea.

     

    dralig

  4. Il problema, (come mi sembra voglia fare kokis parlando di capcità analitiche nei confronti della composzione) credo, non è stabilire chi sia compositore da chi non lo è (è interessante ai fini analitici?) ma stabilire se è possibile, parlare di composizione musicale condividendone alcune considerazioni di base. La cosa implica alcune valutazioni sul ruolo del gesto nell’attività compositiva e direttamente connessa alla domanda: la composizione musicale è cosa solo dei compositori?

    Non credo sia possibile sminuire il ruolo del “gesto” nell’attività compositiva, almeno, non meno di quanto potrebbe essere legittimo farlo anche per ciò che il gesto non “dovrebbe” implicare integralmente: la fissazione di un’idea musicale concepita indipendentemente dall’espressione gestuale (in parole povere: la composizione a tavolino). Ferneyhough fa delle interessantissime osservazioni a riguardo...

    La musica è piena di esperienze compositive che contraddicono l’esclusivo utilizzo del tavolo (a cominciare dalle superficiali considerazioni di Stravinsky ma anche Debussy e i suoi bemolli blu) e basare unicamente queste per definire, magari in un modo anche un pò sprezzante, chi è compositore da chi non lo è è un torto che facciamo alla bella musica che ha il peccato originale di non usufruire delle condizioni di un “Colto” Compositore. Certo, alla fine è un viziaccio di tutti, io poi per primo...ma non è condizione necessaria essere composiotore o non compositore (per come qui mi sembra venga inteso) per giudicare se una musica è bella o brutta

    Ma questa è una mia opinione sulle cui importantissime implicazioni e conseguenze in ogni caso, sarebbe opportuno, sempre a mio parere, una riflessione generale in altri contesti...

    ah kokis

    non sono un utente windows, ma apple!!!

    a w. costretto sono sul lavoro

     

    Comporre è un mestiere. Ci sono tanti modi di impararlo, ma non c'è modo di esercitarlo se non lo si è imparato: questo e solo questo è il crivello che discrimina chi è compositore da chi non lo è. Così come non si va nel laboratorio di un calzolaio a farsi curare i denti e nello studio di un dentista a farsi risuolare le scarpe, non si considera composizione "qualcosa" scritto da chi non ha imparato a scrivere musica. E' semplice e inequivocabile. Un foglio di carta con delle note sopra parla chiarissimamente. E dice tutto.

     

    dralig

  5.  

    Sono assolutamente in linea con quello che dice, Maestro: fatta salva la possibilità di comporre per un autore ovunque, comunque e in qualunque modo (se gli sia necessaria una penna blu o un lapis viola), sono convinto che il nodo centrale stia da un'altra parte. Sono confortato dal fatto che anche un compositore (di quelli dal raro dono di capire in senso quasi analitico quello che fanno) confermi alcune intuizioni che ho.

     

    Dobbiamo inoltre considerare un fatto importante, del quale finora non si è detto nulla: comporre con uno strumento alla mano può risultare effettivamente utile solo nel caso in cui si stia scrivendo un pezzo per quello strumento e basta. Se si scrive anche solo per un duo di violino e pianoforte, adoperare il pianoforte porta il compositore in un ambito fittizio, in cui solo la parte pianistica è rappresentata realmente, mentre l'altra è simulata. A questo punto, a che cosa serve lo strumento? Serve solo nel caso in cui l'autore non riesca a scrivere correttamente le note che pensa: ma allora, non è un compositore, deve tornare al corso di solfeggio e dettato musicale. Lo stesso discorso vale per i programmi di notazione con annesso playback: lì la simulazione è ancora più insidiosa, perché con Finale si può scrivere una scala cromatica per arpa, con semicrome in tempo rapido: il programma la farà ascoltare impeccabilmente, ma in realtà è una cosa ridicola oltre che impossibile. Quindi, nel caso di uno Stravinskij, possiamo concludere che il pianoforte è un appoggio esterno (Castelnuovo-Tedesco non usava il pianoforte per comporre, ma fumava, ed era praticamente la stessa cosa, se non che gli abbraviò la vita). Dobbiamo fare un'eccezione per i chitarristi-compositori che cercano le idee sulla tastiera e poi trascrivono le note trovate con le dita? Siamo seri, se quelli sono compositori, allora io sono il centravanti della nazionale.

     

    dralig

  6. [quote name="F

    Il quesito posto da prf era di altro segno' date=' e cioè se un compositore possa essere guidato in qualche modo da un gesto nella composizione, se sia possibile che uno struemtno (come il painoforte) gli indichi la via come la stella ai magi]

     

    Comporre è un'operazione complessa guidata dala mente, e può riferirsi e appoggiarsi a (o essere ostacolata da) una quantità imprevedibile di agenti esterni, la cui influenza può essere valutata solo da compositore stesso. Ho conosciuto bravi compositori (Franco Margola ad esempio) che amavano scrivere seduti a un tavolino del caffè che frequentavano abitualmente, per nulla molestati dall'andirivieni, dalle chiacchiere e dai rumori. Altri, come Dodgson, hanno scritto le loro opere migliori rifugiandosi per un mese in un bosco e in una casa diroccata, lontani dal consorzio civile. In questa sfera di influssi esterni va considerato anche l'uso di uno strumento, che può soggettivamente risultare utile o dannoso

    Personalmente, lo evito come la peste: con la chitarra in grembo, mi si svuota la testa di ogni capacità di immaginare musica non ancora scritta, e mi vengono solo in mente idee altrui. Rarissimamente mi è capitato, all'epoca degli Studi, di dover consultare corde e tastiera per assicurarmi di stare scrivendo quello che avevo in mente e non un'altra cosa. E francamente ci rimasi male, perché scoprii che la mia mente musicale non era ancora abbastanza sviluppata. Oggi non è più così. Stravinskij diceva di comporre sempre al pianoforte. La sua affermazione, secondo me, è da intendere nel senso in cui Margola amava comporre al caffè. Conforti esterni. Se venissero meno, l'autore - che ha il sacrosanto diritto di procurarseli - si sentirebbe meno a suo agio.

     

    dralig

  7. Ascoltando le innumerevoli incisioni della Suite 996(che inserisco nel mio programma di diploma) ho notato, nelle esecuzioni di vari chitarristi, modi molto diversi di intendere i mordenti (semplici) che abbelliscono la scrittura nell'originale per liuto. Molti noti esecutori (Isbin, Williams...) vi sostituiscono mordenti doppi; inoltre inseriscono trilli alla fine di numerose cadenze.

     

    Vorrei sapere dunque se, nella prassi esecutiva barocca, l'esecuzione del mordente semplice non corrisponde a quella odierna (in tal modo sarebbero storicamente fondate le interpolazioni dei chitarristi citati); oppure se la scrittura (sull'originale x liuto) di Bach sia incompleta e dunque è necessario "integrarla" con abbellimenti, attraverso uno studio di altre composizioni barocche; oppure se, infine, è preferibile un'esecuzione "letterale" (solo mordenti semplici).

     

    Grazie a tutti!

     

    Andrea

     

    La prassi esecutiva barocca è abbastanza ben documentata da alcuni trattati, ma questi non riguardano la fattispecie dell'esecuzione chitarristica. Nell'adottare tali prassi, è importante tenere conto di alcuni fattori importantissimi, che poi determinano in pratica il modo di eseguire gli abbellimenti e di aggiungere eventualmente le ornamentazioni non scritte. Il fattore più importante è la strumentalità. Gli abbellimenti venivano scritti (o improvvisati) sulla tastiera del clavicembalo si in base a un criterio estetico, ma sempre e comunque anche in base a un criterio di praticità e di efficacia. La condizione primaria dell'abbellimento è la sua spontaneità digitale: il cembalista lo colloca in corrispondenza alla disponibilità delle dita, alla convenienza delle alternanze, e non dove risulta digitalmente problematico. Quindi, nell'eseguire con la chitarra le musiche scritte per altri strumenti, è del tutto legittimo conservare gli abbellimenti originali solo nella misura in cui combaciano favorevolmente con le diteggiature chitarristiche. Altrimenti, è lecito sopprimerli. Così come è lecito collocare abbellimenti non scritti dove la diteggiatura li mette sul piatto d'argento.

     

    I trilli cadenzali vanno suonati in genere forte, e con la chitarra spesso ciò non è possibile. Piuttosto che un trillo abbreviato e stenterello, è meglio lasciare la cadenza non ornata.

     

    dralig

  8. La musica di Dogdson e' pubblicata e acquistabile anche via Internet.

    Ti ricordo che nel Forum Italiano di Chitarra Classica non e' consentito, se non con la diretta autorizazione dell'autore, lo scambio di musica edita e protetta da diritti di autore.

     

     

    mi chiedevo se, nel caso di brano edito, possa bastare la sola autorizzazione dell'autore (e non anche dell'editore)... :?:

     

    No, non basta, perché l'editore è spesso comproprietario o addirittura proprietario dell'opera, e all'autore vanno soltanto delle partecipazioni (in genere il 50% dei diritti di esecuzione e registrazione e il 10% o meno del ricavo delle vendite cartacee). E questa categoria di autori è considerata in grazia alla fortuna, perché ormai molti autori pagano gli editori per essere pubblicati, e non prendono un centesimo.

     

    dralig

  9. A me Nyman piace molto.

     

    Oggettivamente il pianoforte è uno strumento da composizione, hai tutte le note a disposizione nelle diverse ottave e avendo un background teorico puoi mettere le dita dove vuoi senza preoccuparti di cosa suona e come.

     

    La chitarra è molto più truffaldina dal punto di vista meccanico, infatti una grande parte delle composizioni dei chitarristi-compositori è scritta sulle capacità tecniche del chitarrista-compositore di turno: le idee musicali diventano una conseguenza del grado di abilità manuale.

     

    Ovviamente ci sono le eccezioni (Bodganovich era -o è non saprei - anche un ottimo chitarrista) e se uno sa cosa vuole può anche scrivere con la chitarra in mano.

     

    Lo strumento per i quale si scrive dev'essere sempre presente - è ovvio, altrimenti si rischia di scrivere qualcosa che non funziona. Quando si dice comporre senza strumento, non s'intende dire "ignorando lo strumento", ma "senza averne bisogno": sono due cose ben diverse. Il compositore che si è formato provenendo dalla pratica della chitarra invece che da quella del pianoforte, proprio in quanto ha un cervello da compositore, dopo qualche anno passato a suonare e a leggere musica con la chitarra, ha assimilato lo strumento nella propria mente (gli psicoanalisti di vecchia scuola direbbero che l'ha "introiettato"), al punto che può immaginare perfettamente una tastiera di chitarra e i relativi suoni, senza aver bisogno di imbracciare lo strumento. Il compositore immagina i suoni e li scrive, e se scrive per chitarra, nel momento stesso in cui scrive le note, immagina automaticamente anche la tastiera e la diteggiatura, e magari scrive anche quella - t per informare il futuro lettore di quello che aveva in mente mentre scriveva. Questo s'intende per comporre senza strumento: far ricorso a uno strumento virtuale che si ha nella propria cognizione, e che esime dalla necessità materiale di suonare materialmente quello che si scrive. E' una condizione ideale? No, è normale. D'altronde, quando si compone, che so, per quattro chitarre, che si fa, si convoca un quartetto?

     

    Nulla che vedere con l'operazione del cercare su una chitarra note che altrimenti non verrebbero mai in mente, e nel trascrivere su un incolpevole pentagramma i risultati di tali operazioni babbuinesche: chiamare composiitore chi adopera un processo del genere è come chiamare Schumacher uno che sale su un taxi.

     

    dralig

  10. se Lipatti o Michelangeli avessero suonato la chitarra, sarebbero stati né più né meno come Segovia o Bream!

     

    In realtà, credo che sia molto arduo immaginare un grande interprete al di fuori dello specifico strumento con il quale si è manifestato. Lipatti e Michelangeli - e potremmo aggiungere una mezza dozzina di altri artisti di quella caratura - li conosciamo sotto specie pianistiche, come figurarsi un loro suono violinistico, o chitarristico, o una loro voce? Proprio perché mi sento di riconoscere il loro sound pianistico tra mille altri, avendone colto la cifra irripetibile, non riesco a "sentirlo" diversamente da come in effetti era e, grazie alle incisioni, almeno in parte continua a essere. Il concerto di Grieg suonato da Lipatti, e quello di Ravel suonato da Michelangeli, sono monumenti della storia del pianoforte.

     

    dralig

  11. http://www.cdklassisk.dk/product_info.php/products_id/1029?osCsid=279b6a0efb32c10cc6c65aa827042f45

    Premesso che Sarenko lo possiedo su vinile, qualcuno mi sa dire delle altre opere registrate?

    E' un'interpretazione che merita?

    Lo compro?

    E' l'unica integrale delle op.6 e 29 di Sor, mi pare.

    tnx

     

    No, non è l'unica registrazione degli Studi di Sor, ma Christensen sapeva il fatto suo e i dischi che ha lasciato meritano di essere ascoltati.

     

    dralig

  12. ieri parlavo con un liutaio che sta producendo tre chitare modello Hauser, a cui aveva accordato le tre tavole sul Sol#.

    Non so però che metodo abbia utilizzato e non so perchè proprio il Sol#. M'informerò meglio...

     

    E' una nota critica, non in se stessa, ma come armonica particolarmente intensa della sesta corda a vuoto. L'armonica in doppia decima maggiore è, in certe chitarre, così intensa da trasformare automaticamente il solo mi basso in un bicordo maggiore non controllabile, con risultati strazianti quando tale armonica risulti incompatibile con l'armonia. Ho ascoltato una volta il primo preludio di HVL in versione bitonale...

     

     

    dralig

  13. Penso che l'ebano sia per la maggior parte di noi chitarristi un'abitudine. alcune chitarre elettriche hanno le tastiere in pero, i mandolini spesso in palissandro. Ma i violini sono in ebano...

    Ieri parlavo con un amico che ha affrontato l'argomento con il Liutaio Giovannetti che afferma che il palissandro sia se non migliore altrettanto valido dell'ebano. anzi, secondo lui dovrebbe dare un timbro più brillante allo strumento.

    Penso che i problemi principali per una produzione di chitarre con tastiere alternative all'ebano siano innanzi tutto la vendibilità dello strumento e l'insicurezza sulla durata della tastier stessa.

     

    Tocca ai liutai fare la necessaria sperimentazione: se altre essenze risultassero altrettanto resistenti, magari concorrendo a migliorare il suono, chi mai le rifiuterebbe? Certo, in mancanza di risultati sperimentali certi, non si può chiedere agli strumentisti di comperare chitarre con tastiere dalla tenuta e dalla durata affidate alla speranza...

     

    dralig

  14. Se non erro in quegli anni si aggirava per Parigi anche Llobet.

     

    Ho letto che era solito frequentare de Falla e altri importanti compositori...e che nei suoi recital proponeva Ponce o Torroba...

     

    La domanda é: era veramente pigro? gli difettò l'intuizione di commissionare?

    Se ne andò in Sud America per evitare un confronto/scontro con Segovia?

     

    Non sono in grado di stabilire se Llobet non agì più incisivamente sul mondo musicale a causa di pigrizia o di mancanza d'intuito. Certo questi non erano i problemi di Segovia, che era brillante e perspicace. Llobet andò in Sud America non per scappare, ma per dare concerti: il suo "agente" (per così dire) era il padre della Anido, che gli organizzava il lavoro in Argentina, dove del resto, una quindicina d'anni dopo, incominciò a recarsi anche Segovia. Il quale però non lavorava per un organizzatore-chitarrista, ma per le agenzie concertistiche più potenti: fu proprio questa capacità di collocarsi ai livelli massimi della vita musicale, che fece di lui il vincitore.

     

    Tra lui e Llobet ci fu inizialmente, a Barcelona, un rapporto cordiale, diciamo cameratesco - come poteva esserlo tenendo conto della differenza d'età e del fatto che Llobet non poteva non rendersi conto di quello che stava succedendo...A leggere Segovia, la zizzania fu sparsa dalla moglie di Llobet, che vedeva il giovane andaluso come il fumo negli occhi. E la si potrebbe, se non giustificare, comprendere...

     

    dralig

  15.  

    Ovviamente, è meglio rispettare, fin dove possibile, l'originale. La revisione pubblicata da Universal, nell'ultima ristampa, dà conto delle differenze tra originale e testo revisionato.

     

    dralig

    Effettivamente nella prefazione, firmata dalla moglie/figlia, spiega la questione del manoscritto e dell'edizione pubblicata dalla Universal. Dice anche che Martin approvò la trasposizione a un ottava piu bassa delle battute 16-20 del Plainte. Questo significa che Martin non approvò i restanti cambiamenti?

     

    Bisognerebbe sapere - e purtroppo non lo sappiamo - rispetto a quale proposta Frank Martin approvò la trasposizione. Che cosa gli fu detto, e da chi? In base ai documenti che possiamo leggere, ci risulta che la versione originale fu revisionata in primis da José de Azpiazu, e che questi si indignò quando vide la sua revisione pubblicata da Universal con il nome di un altro revisore. In quale modo Azpiazu prospettò la questione a Martin, quali alternative gli offrì? Su quali basi fu rilasciata l'autorizzazione da parte del compositore?

     

     

    A livello più prettamente pratico, volendo si può usare la versione del manoscritto (in cui a mio parere la seconda parte del IV, con la verticalizzazione delle serie iniziali è molto più bello) limitandosi ad abbassare di un ottava le sovracitate battute del Plainte? Oppure sarebbe fuori luogo (visto che il barre in XII e XIII proprio non viene!!! :) )?!

     

     

    Richiamandomi a quanto ho detto prima, se io avessi dovuto revisionare quei pezzi, non avrei detto al compositore: come è scritto quel passo è impraticabile. Gli avrei detto, invece: capisco la Sua necessità compositiva di adoperare il registro acuto per creare una sezione diversa dalla precedente, aumentando la tensione drammatica. Purtroppo, non è possibile accogliere interamente la Sua versione, e allora Le propongo un compromesso. Manteniamo il registro acuto solo nella parte superiore, e gli accordi mi-la-re-sol-li li trasportiamo all'ottava inferiore, adoperando le corde a vuoto, dove suonano benissimo, soprattutto in combinazione con le note sovracute sul cantino. Così, Lei ottiene la Sua diversificazione formale ed espressiva, e noi chitarristi possiamo far suonare la chitarra. Non potremo però mantenere questa soluzione nelle battute 19-21, dove l'accordo, formato dalle note sib-mi-lab-do ci obbliga a rinunciare alle note sovracute nella parte superiore. Eseguiremo quindi, in quell'armonia, anche le note superiori all'ottava inferiore. Tuttavia, riporteremo il soprano all'ottava superiore alla fine della sezione, suonando i "mi" con armonici: in questo modo, potremo collegarci alla cadenza successiva, quella in terzine, che inizia per l'appunto con un mi acuto. Arrivarci dall'ottava inferiore sarebbe infatti una soluzione molto goffa (qual è appunto quella dell'edizione Universal).

     

    Spero, con questo piccolo esempio, di averLe reso chiaro qual è il compito del revisore, e che cosa dobbiamo capire noi, oggi, in prospettiva storica, quando ci si vuole far constatare - come fa il buon Bonaguri - che una determinata revisione è stata approvata dal compositore, e quindi sostituisce legittimamente l'originale...

     

    Quello che intendevo con "è meglio" era proprio a livello "estetico": quale vi piace di più ascoltandola? Nel senso: prendiamo ad esempio " Thème Varieè et Finale" di Ponce. Ho studiato la versione revisionata da Segovia e poi ho dato un'occhiata a quella del manoscritto. Mi pare che Segovia abbia tolto tre variazioni, cambiato l'ordine e aggiunto i ritornello su ciascuna variazione (qualche accordo leggermente diverso forse?!): personalmente mi piace di più la versione revisionata.

    Poi mi chiedo: Ponce acconsentì alla revisione? Nel caso di risposta positiva, sarebbe giusto ritenerla come "versione ufficiale"? Stessa domanda in generale per le composizioni affidate, dal compositore stesso, allo strumentista per la revisione.

     

    Vado a preparare il pranzo!

    Grazie! Ciao a tutti

    Baolo

     

    Qual era l'alternativa offerta a Ponce, qualora non avesse accettato le modifiche di Segovia? Chi altri avrebbe preso cura della sua musica, suonandola, incidendola, pubblicandola? Lei, nei panni di Ponce, che cosa avrebbe fatto?

     

    dralig

  16. [

    Non sono un letterato - tanto meno un comparatista - ma faccio ugualmente osservare che il tema della madre sciagurata ricorre anche nella tradizione piemontese (il cavaliere che detta il testamento lasciando la forca alla madre che lo ha avvelenato con un'anguilla marinata). Retaggi di culture evidentemente dominate dal matriarcato.

     

    dralig

     

    Verissimo. Una precisazione: il tema a cui lei fa riferimento è quello della straordinaria ballata conosciuta con il nome, guarda caso, de “Il testamento dell’avvelenato” la cui diffusione (dagli Stati Uniti all’Inghilterra colonie comprese) è testimoniata da differenti versioni del medesimo modello letterario cche però sembra essere di origine italiana (la fonte sembrerebbe essere una canzone, documentata, della prima metà XVII°secolo).

     

    Non è difficile, leggendo questi testi, individuare i vari livelli di stratificazioni epocali - spesso, in una ballata soltanto la prima strofa è nata insieme alla melodia, e le strofe successive sono invece parodistiche, e ben più tarde. Me ne sono accorto molti anni fa, analizzando il testo strofico della canzone (certamente più antica di quella del cavaliere avvelenato) del giovane re guerriero (il cui cognome è lo stesso che io porto) che, ferito in guerra, torna a casa a morire dalla madre. Nelle strofe successive, si svolge un dialogo tra madre e nuora, il quale farebbe supporre che, in punto di morte, il giovane re abbia scelto di andare dalla madre invece che dalla moglie. Ma è un inganno. Originaria è solo la prima parte della narrazione, la seconda e la terza sono evidentemente posteriori, e aggiungono un dialogo tra madre e nuora, poi tra sposa e chierichetto, del tutto irrispettoso del fatto che il re è anche un marito.

    Interessante è, in questa ballata, la forma ternaria del periodo musicale.

     

    dralig

  17. La raccolta delle canzoni popolari catalane curata da Llobet è diversa da tutta l'altra sua musica che ho avuto modo di ascoltare e il brano del Testament d'Amelia è ancora diverso dagli altri, così struggente e con una abbondanza di armonici (giusto?) che lo rendono davvero particolare.

     

    Le "Canciones" sono diverse dagli altri pezzi perché diverso è il punto di partenza. Armonizzare una melodia popolare in forma strumentale - prescidendendo dalla voce umana e dal testo - è cosa ben differente dallo scrivere un brano strumentale partendo da zero, e quindi Llobet ha forgiato un'armonia e uno stile chitarristico adatti allo scopo. Non è difficile capire il suo modus operandi: citando la melodia nella chitarra egli non fa altro che darsi un percorso lineare che non è di per sé un valore estetico. Lo diventa dal momento in cui egli inventa le sue armonie chitarristiche intorno a quel profilo. E' un processo molto delicato, il suo, che cammina sul filo del rasoio...Alla fine ci si accorge che è come se avesse iniziato da zero, la melodia popolare in sé non conta nulla, è solo il suo "trattamento" che costituisce l'opera.

     

    Nella composizione che Lei cita ci sono gli armonici, si, come in quasi tutte le altre canzoni: fu Llobet a farne dei protagonisti nel corpo della frase musicale, mentre prima di lui gli armonici erano colori aggiunti ai margini (non bisogna però dimenticare quel diavolo di Sor).

     

     

    Secondo l'autore della monografia però il piu' significativo sarebbe "El mestre".

     

    Senz'altro è il pezzo più elaborato della raccolta, il più ampio e vario.

     

     

     

    Vorrei "indagare" ancora un po' sull'attività di Llobet pittore, gli schizzi a matita pubblicati nella monografia di Bruno Tonazzi non lasciano intuire appieno le sue caratteristiche di artista figurativo.

     

    Butterfly

     

    Non risulta che lo sia stato. Da bambino, disegnava. Ma non sembra che abbia mai coltivato questo talento, né si è mai saputo di un suo dipinto, anche solo di un pastello.

     

    dralig

  18. Faccio una domanda: è meglio, secondo voi, la versione originale del manoscritto o quella revisionata da Scheitz edita dalla universal. Premetto che mentre quella edita l'ho studiata e la sto studiando, quella dal manoscritto l'ho soltanto sentita incisa: mi sembra che ci siano delle differenze notevoli soprattutto nel finale del Prèlude, nela parte centrale del Plainte e nella parte centrele del Comme une Gigue.

    Sono curioso! :)

    Baolo

     

    Ovviamente, è meglio rispettare, fin dove possibile, l'originale. La revisione pubblicata da Universal, nell'ultima ristampa, dà conto delle differenze tra originale e testo revisionato.

     

    dralig

  19. Leggendo la monografia che Bruno Tonazzi ha dedicato a "Miguel Llobet, chitarrista dell'impressionismo" (Bèrbe, 1966) mi ha colpita l'asserzione dell'autore circa la maggiore "fertile musicalità" di questo musicista rispetto al suo maestro Tarrega (p. 13), che gli avrebbe permesso di superare, con la sua timbrica innovativa, le mete raggiunte da quest'ultimo.

    Mi piacerebbe capire meglio, con il vostro aiuto, questo concetto e perchè l'opera di Llobet sia da considerarsi in generale piu' "avanti" rispetto a quella del suo illustre maestro (se non ho compreso male il senso dell'analisi generale dell'attività dell'artista).

    Perchè poi Llobet fu così restio a pubblicare le sue composizioni, come ricorda la sua allieva Maria Luisa Anido?

     

    Mi piacerebbe anche sapere se esistono altri testi che riportino notizie sulle Dieci melodie popolari catalane, in particolare sul El testament d'Amelia (da chi fu ispirato, esistono storie della tradizione popolareal riguardo?)

     

    Mi hanno molto incuriosita, infine, i cenni relativi all'attività pittorica di Llobet: non risultando nei dizionari storici che ho attualmente a portata di mano, conoscete altre notizie? (studi fatti, esposizione di opere, collezioni ecc.).

     

    Grazie!

     

     

    Butterfly

     

    Tarrega fu un artista tardo romantico ignaro dei cambiamenti che, alla fine del secolo XIX, incominciavano a delinearsi nella musica e nelle arti.

    Da buon romantico dell'ultima ora, coltivò l'intimismo, il folclorisimo, il nazionalismo e l'esotismo (in quella particolare visione del romanticismo iberico, oggi chiamata dagli storici "ahlambrismo"). Non ebbe mai percezione della "modernità": al massimo, arrivava a Wagner e a Bizet. Llobet fu un artista della generazione successiva, e andò giovane a Parigi: suonò per Debussy (Tarrega al massimo ne aveva sentito parlare), conobbe la nuova musica francese, la assorbì, fu un uomo del suo tempo. Ovviamente, la sua musica è imbevuta di tutto ciò, è fine, sofisticata, elaborata, e anche il suo modo di trattare la musica popolare è diverso d< quello di Tarrega. Molto diverso.

     

    Secondo Mimita Anido, che ben lo conobbe, era pigro e ipocondriaco. Non fu restio a pubblicare, piuttosto scrisse pochissimo.

     

    Le canzoni catalane da lui elaborate per chitarra sono tredici, non dieci. "El testament d'Amelia" è una sorta di tenzone tra una giovane gentildonna morente e sua madre, che la esorta a fare testamento. La fanciulla infatti testa, lasciando un castello ai poveri, quattro castelli a suo fratello e, all'amata madre:

     

    I a vós, la meva mare,

    us deixo el marit meu

    perqué el tingueu en cambra

    com fa molt temps que feu.

     

    Evito di tradurre, affidandomi all'affinità tra catalano e lingue locali italiane.

     

    Non sono un letterato - tanto meno un comparatista - ma faccio ugualmente osservare che il tema della madre sciagurata ricorre anche nella tradizione piemontese (il cavaliere che detta il testamento lasciando la forca alla madre che lo ha avvelenato con un'anguilla marinata). Retaggi di culture evidentemente dominate dal matriarcato.

     

    dralig

  20.  

    La "Plainte" delle "Quatre Pièces" è strutturata come un vocalizzo libero di cante jondo, ma stringato dalla scansione del basso e dell'armonia: esattamente la stessa cosa farà, sei anni dopo, Joaquin Rodrigo nel secondo tempo del "Concierto de Aranjuez".

     

    AG

     

    Grazie per la preziosa puntualizzazione!

     

    Forse pleonastico da parte mia, aggiungere che in questo caso c'è molta più "Spagna" in Martin che in Rodrigo.

     

    ...una Spagna molto elaborata dalla mente musicale del compositore. La "Plainte" è in buona parte un brano bitonale...

     

    dralig

  21. Nell'uso della tonalità, Frank Martin non è affatto più elaborato di quanto lo fossero stati, [...] Georges Migot con i tre brani che formano la suite "Pour un hommage à Claude Debussy"

     

    La stessa considerazione può essere estesa, a suo parere, anche alla "Sonate pour Guitare" dello stesso Migot, pur essendo stata scritta posteriormente (almeno, così ricordo) rispetto a "Pour un hommage à Claude Debussy"?

     

    Saluti.

     

    Tiento

     

    Devo aggiungere qualcosa, la mia precedente risposta non è abbastanza specifica. Limitandosi all'osservazione dei loro pezzi per chitarra, constatiamo una differenza fondamentale: per entrambi i compositori la chitarra è qualcosa che viene loro incontro (e a cui loro stessi vanno incontro) da altrove (chiaramente, dalla cultura e dalla mitologia ispanica). Tuttavia, Migot si ritrova questo regalo in casa, importato da una lunga tradizione della cultura francese, che inizia con l'esotismo filo-ispanico dei maestri ottocenteschi (in primis Bizet, ma non da meno Chabrier e Lalo, e la lista non finisce con questi nomi), e che trova il suo apogeo in certi pezzi di Debussy e di Ravel. Negli anni Venti, è naturale per un musicista colto qual era Migot imbattersi nella chitarra, per quegli illustri precedenti e anche, non da meno, per la persistente connessione tra Spagna e Francia mantenuta in vita da maestri francesi quali Henri Collet e Raoul Laparra, che fecero la spola per una vita tra le due nazioni e le relative culture. Quindi Migot accede alla chitarra dalla soglia di casa (consideriamo anche la sua amicizia con Jacques Tessarech, e il quadro è completo). Diverso è l'incontro con la chitarra da parte dello svizzero Frank Martin, che non ha nella sua genealogia musicale il fattore iberico. Si converte alla chitarra ascoltando Segovia (che, in quegli anni, abita a Ginevra e vi suona spesso). Martin identifica la chitarra con la Spagna, si, ma tramite la figura e l'arte di Segovia. La "Plainte" delle "Quatre Pièces" è strutturata come un vocalizzo libero di cante jondo, ma stringato dalla scansione del basso e dell'armonia: esattamente la stessa cosa farà, sei anni dopo, Joaquin Rodrigo nel secondo tempo del "Concierto de Aranjuez". E comunque Martin evoca una Spagna severa e penitenziale, e non si limita a quella: è evidente, nell'"Air", il richiamo alla musica barocca per clavicembalo e, nella sezione centrale della "Gigue", una visione allucinatoria del valzer viennese...Tutto questo è molto lontano dal

    gusto dei maestri francesi. I quali non erano, a quell'epoca, particolarmente inclini al fascino sinistro del tritono, usavano le scale modali si, ma evitando il modo locrio...

     

    AG

  22. Noto con piacere che nelle tonalità zeppe di bemolli si possono scovare un sacco di soluzioni interessanti.

     

    L'utilizzo marginale che la letteratura chitarristica ne ha fatto lascia la porta aperta ad una marea di situazioni timbriche interessantissime!

     

     

    Come marginale? Guardi Alfredo che di lì sono (siamo) già passati, e mica solo per dare una sbirciatina...

     

    dralig

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