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Angelo Gilardino

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  1. La richiesta a Sacchetti di svolgere ricerche negli archivi romani è stata formulata dal sottoscritto sulla scorta di quanto scrive Domingo Prat nel suo Diccionario, e cioè: Velletri, Fray Cassio de. Disitinguido aficionado a la guitarra y organista de capilla, en Roma, año 1920 (seguono apprezzamenti riguardo alla sua Mazurka). Conoscendo l'acribia con la quale Prat svolgeva le sue ricerche, non ci si può esimere dal ritenere che le sue informazioni fossero, se pur sommarie, precise, altrimenti non si capisce come avrebbe potuto corredare la notizia che Fra' Cassio era organista con una datazione di tale incarico (1920) e del luogo in cui lo svolgeva (Roma). Per questo motivo ho chiesto al maestro Sacchetti di cercare negli archivi ecclesiastici di Roma. Io, di Poggio Mirteto, del fatto che Fra' Cassio si chiamasse Gentili, che nel 1937 fosse vivo, non ho alcuna certezza, anzi non so proprio nulla. Come tu ben sai, in campo musicologico, se si afferma qualcosa, bisogna essere pronti alla fatidica e salutare domanda: quali sono le tue fonti? Per localizzare l'attività di Fra' Cassio a Roma, una fonte io ce l'avevo. E solo per quello. Comunque, una cosa è certa: l'autore che ha scritto la "Mazurka" firmata Fra' Cassio da Velletri e l'autrice del brano pubblicato come opera di Lisanella Gentili non possono essere la stessa persona celata da due diversi pseudonimi. I loro stili sono troppo dissimili. La Gentili scriveva per chitarra molto meno bene di Fra' Cassio: è evidenza inequivocabile. Tra l'altro, io non ho letto una composizione di Fra' Cassio intitolata "Gavotta" (che Giulio ha in programma). Io ho svolto una ricerca su L'Ecrivain, proprio partendo dai ricordi di Ciurlo, prima di ripubblicare, nella biblioteca di "Seicorde", il brano intitolato "Sogno". Sono arrivato alla fine di un vicolo senza sbocco. L'unico discendente di L'Ecrivain ancora in vita al momento in cui io ricercavo, era un imprenditore di grande successo attivo a Milano, che ricordava benissimo l'antenato Luigi come procuratore della Cartiera Italiana - e fu lui a dirmi che aveva casa a Palazzo Barberini - ma che, quando seppe che era anche un valente chitarrista-compositore e didatta, cadde dalle più alte nuvole e si meravigliò moltissimo. Di recuperare vecchie carte appartenute allo zio Luigi, nemmeno parlare: negli archivi di famiglia non c'era traccia. Pensai a Ciurlo, che mi aveva mostrato un manoscritto di L'Ecrivain, ma anche del suo lascito documentale si è persa ogni traccia. dralig
  2. Mi riferivo unicamente e in particolare all'ambiente della borghesia colta della capitale, non all'Italia in generale. Intendevo dire che, a Roma, dove esordì nel 1927, Segovia trovò un terreno fertile. Il panorama nazionale poteva contare su una figura della forza di Luigi Mozzani, concertista, compositore, liutaio (nel senso più ampio del termine) e didatta, che emergeva su tutti per il suo ingegno e per la sua severità. Nel mio libro biografico su Andrés Segovia - di prossima pubblicazione - ho cercato di far luce sulla relazione tra il maestro spagnolo e il maestro italiano. dralig
  3. Purtroppo delle ciliegine sono rimasti soltanto i noccioli: fu Fra' Cassio non sappiamo praticamente nulla. E' uno degli sconosciuti dei quali la storia della chitarra trattiene solamente una vaga memoria. Guardando alla poca musica che di lui ci è pervenuta, lo collocherei - sia cronologicamente che artisticamente - accanto a Luigi L'Ecrivain, esponente dell'alta borghesia romana, procuratore della Cartiera Italiana, che aveva casa a Palazzo Barberini, e che suonava e insegnava chitarra a Roma nei primi due decenni del Novecento. Il suo "Sogno" per chitarra - ripubblicato a cura dello scrivente per le Edizioni Bèrben - è una pagina che può stare benissimo accanto a quelle di Fra' Cassio. Le poche notizie che affiorano ci inducono a constatare che a Roma, tra Ottocento e Novecento, esistette una cultura chitarristica diffusa non soltanto tra il popolo, ma anche nella borghesia. Branzoli, L'Ecrivain, Fra' Cassio da Velletri, poco più tardi la Mancinelli, e altri, furono esponenti di una passione che evidentemente collocava la chitarra nei salotti buoni della capitale, accanto all'immancabile pianoforte. Quando, nel 1927, Segovia arrivò per la prima volta a Roma, non predicava al deserto... dralig
  4. Riproduco - tramite il servizio "copia e incolla" - il testo della nota introduttiva che ho scritto per la pubblicazione di un brano dell'autore nell'inserto della rivista "Seicorde" del trimestre aprile-giugno 2008. Da allora, non ci sono stati progressi nella ricerca sulla figura di Fra' Cassio da Velletri, tolta la constatazione - alla quale sono pervenuto tramite un'indagine svolta dal maestro Arturo Sacchetti nel registro in cui sono annotati i nomi degli organisti in servizio attivo presso le parrocchie di Roma nel ventennio 1920-1939 - del fatto che non risulta alcuna annotazione riguardante l'autore (resta dunque un mistero la fonte dell'informazione riportata da Domingo Prat): ----------------- Non sappiamo quasi nulla di questo compositore del quale La Biblioteca del Chitarrista dell'editore A. Vizzari di Milano pubblicò negli anni Trenta del secolo scorso alcuni pezzi brevi per chitarra sola. Il suo nome e la sua musica ci sono stati segnalati dal collega e amico Mario Dell'Ara - che ringraziamo sentitamente. Ma nemmeno lui, nella sua infaticabile ricerca, ha saputo dirci qualcosa in più di questo misterioso autore, . se non che il dizionario Gangi-Carfagna lo identifica con un compositore del quale indica il solo cognome, Gentili, senza peraltro fornire ulteriori informazioni. Le nostre ricerche nelle annate della rivista La Chitarra - la rivista chitarristica italiana dell'epoca - sono risultate infruttuose. Con il cognome Gentili, fu pubblicato dallo stesso editore un Tempo di Gavotta , ben scritto anche se non pro­pria mente chitarristico: era opera di un'autrice, Lisanella Gentili, a noi sconosciuta quanto Fra' Cassio. Qualcosa in più allega Domingo Prat che, nel suo Diccionario de Guita mstas, lo presenta come "distinto della chitarra e organista di cappella a Roma nel 1920. Ciò farebbe supporre che si trattasse effettivamente di un religioso, e che Fra' Cassio da Velletri non sia quindi uno pseudonimo. Alla luce dei brani che abbiamo letto, non possiamo infatti sostenere che dietro tale nom de plume si celi Lisanella Gentili, il cui brano per chitarra non ha nulla che vedere con lo stile di Fra' Cassio. Nella speranza - per la verità alquanto fioca - di poter far luce sulla sua figura, presentiamo uno dei pezzi pubblicati nel 1937 da Vizzari, una Mazurka nella quale Fra' Cassio si rivela compositore ben più fine della pletora di autori italiani che scrissero musica di genere. Egli è un autore ben preparato, la sua scrittura è ortodossa (si veda, ad esempio, l'impiego delle legature di frase, inusuali nella musica per chi­tarra), la sua armonia ricercata e il suo gusto salottiero, improntato a un elegante e controllato sentimenta­lismo. Ulteriori informazioni potrebbero arricchire la nostra conoscenza del repertorio italiano per chitarra d'inizio Novecento. ----- dralig
  5. Ritengo più opportuno rimandare alla lettura del libro che ho scritto. Dopodiché - se necessario - mi metterò doverosamente a disposizione dei lettori. dralig
  6. Tra qualche settimana, le Edizioni Curci pubblicheranno un mio libro intitolato "Andrés Segovia, l'uomo, l'artista". Si tratta di un profilo biografico e, al tempo stesso, di uno studio interpretativo dell'arte segoviana. dralig
  7. Per avere risposte chiare, bisogna formulare domande precise. Nel lessico musicale, il termine "stoppato" non significa nulla di preciso, è un'espressione gergale. Vuol dire "staccato"? Oppure "pizzicato"? Oppure gli equivalenti di "pizzicato" in altre lingue, come lo spagnolo "apagado", il francese "etouffé"? Sono effetti diversi. dralig
  8. Da decenni rivolgo inutilmente ai signori liutai la seguente domanda: perché mai sulla terra la barretta reggicorde posta tra la paletta e la tastiera e la barretta (detta traversina o ossicino) posta sopra il ponticello devono essere costituite dallo stesso materiale (avorio, plastica, etc. ultimamente anche mammut)? Infatti, hanno funzioni opposte. La barretta reggicorde dovrebbe fare da barriera di impedenza delle vibrazioni, evitando che si trasmettano alla paletta, dove la loro energia andrebbe dispersa inutilmente; quindi l'avorio va benissimo, perché è impedente (un liutaio di mia conoscenza addirittura collocava una masserella di piombo); la traversina del ponticello, al contrario, deve trasmettere le vibrazioni alla tavola armonica, e allora che senso ha collocare sul ponticello un ossicino? Ci si tormenta per rendere la tavola elastica - e la si assottiglia fino al limite della tenuta - e poi, a monte, si alza una bella barriera, che taglia le vibrazioni delle corde? Le risposte ricevute sono state diversissime, da "non so, ma si fa così da sempre" a "sono tutte fisime, le vibrazioni passano lo stesso e la traversina non deve essere sostituita ogni due settimane perché le corde l'hanno tagliata"... Finalmente, il giovane liutaio Fabio Zontini da Finale Ligure ha provato a seguire il mio suggerimento, e ha collocato sul ponte di una chitarra di mia proprietà, da lui restaurata, una traversina di ebano (potrebbe anche essere di bosso o di altra essenza molto dura). E accidenti se funziona! Invito chiunque abbia a cuore la ricerca del massimo rendimento della propria chitarra a buttar via la traversina di osso - anche se di animale preistorico - o di farsi fabbricare una dozzina di traversine di ebano o di bosso - magari di diverse altezze. E poi a verificare i risultati. Attenzione: allentando le corde, la tavola si distende, e per farla tornare alla sua resa sonora abituale occorre qualche ora - quindi, nel fare le vostre verifiche siate pazienti. dralig
  9. Tutto ciò è esemplare, limpido e - ne sono certo - efficacissimo. Non resta che dotare gli insegnanti che lavorano bene di un solido repertorio di musica per chitarra scritta a fini didattici da compositori che - come i docenti il cui profilo Lei ha appena tracciato - sappiano fare il loro mestiere, e mettere chi insegna con scrupolo e passione su una linea di partenza musicalmente dignitosa, senza infliggergli l'handicap di musichette vuote e sgrammaticate da convertire in qualcosa di utile e di decente. dralig
  10. Dalla Prefazione agli Studi facili per chitarra di AG: "Io ritengo invece che il potenziale di molti scolari sia assai superiore a quello che certi autori di volumi didattici sembrano presumere, e con questi studi mi propongo di invitare al lavoro chi voglia seriamente accostarsi al repertorio del Novecento, indicandogli una via che lancia sì alcune sfide, ma che offre anche le relative, e proporzionate, ricompense." dralig
  11. Caro Giorgio, come avrai notato, nel mio messaggio precedente ho parlato della formazione dei futuri cittadini, non di quella dei (necessariamente) futuri musicisti. Pur nella mia mancanza di conoscenza della scuola media, mi rendo perfettamente conto che non si tratta di un luogo didattico il cui obiettivo primario è la fabbricazione di virtuosi, ma di un laboratorio dove si impartisce anche un'istruzione musicale. Quella che - se attuata responsabilmente - salverà il futuro della musica, perché gli allievi di oggi, anche se non diventeranno dei musicisti, avranno acquisito quella dimestichezza con il linguaggio dei suoni tale da fare di loro perlomeno degli ascoltatori capaci di distinguere il grano dalla paglia e soprattutto capaci di integrare la musica nella loro cultura generale. Aggiungo - ma questo è secondario - che io non ho pensato a questa categoria di scolari come ai lettori ideali della mia raccolta di Studi facili. Ho messo in conto, invece, che andassero sul leggio di studenti già determinati nella loro scelta di fare della musica - a titolo più o meno professionale - la materia di uno studio condotto con il massimo impegno, senza riserve e senza reticenze. Ed è rispetto al diritto culturale e alle esigenze specifiche di tale categoria che ho criticato l'inadeguatezza di parecchie pubblicazioni che ho esaminato prima di scrivere il mio lavoro. Tutto ciò risulta chiarissimo da una lettura non capziosa della mia prefazione e anche dei messaggi che ho scritto in questa discussione. dralig
  12. Per la precisione, io ho scritto (copio e incollo senza modificare una virgola): "La paidocrazia consumistica che induce autori fradici a pubblicare libri intesi a far divertire i ragazzi è uno degli aspetti più visibilmente deteriori dell'incombente sconfitta della cultura. Non servirà a molto l'aver composto qualcosa che viri decisamente in direzione opposta, ma almeno testimonia la resistenza di qualche vecchio musicista a questo sterminio dell'intelligenza: fanciulli, se volete rincretinire davanti alla televisione, fatelo, ma non cercate l'appoggio e la complicità dei maestri di musica, meno che mai quella dei maestri di chitarra, e se qualcuno di loro vi offre la chitarra-divertimento, offritegli in cambio corda e sapone. " Come ognuno vede, non c'è ombra di "Bernardo Gui" nella mia asserzione, né si fa riferimento, in essa, alle scuole medie a indirizzo musicale. Se Lei si sente toccato personalmente (il sottoscritto), non è a motivo di quello che io ho inteso dire, e ho chiaramento detto. dralig
  13. A sottoscriversi è Lei - perché chiunque abbia letto senza vanità protagonistica quello che io ho scritto avrà constatato - e può tuttora constatare - che io mi sono riferito a una categoria di insegnanti - e più specificamente a un modo di insegnare - e che di Lei - persona di cui ignoro totalmente l'identità - non c'è - nel mio scritto - la minima traccia. Io mi sono riferito a libri, a testi di musica scritti con finalità didattiche, e a quelli, e ai loro autori, ho rivolto una critica. Le scuole medie - delle quali non c'è traccia nello scritto introduttivo del mio libro - sono state implicate nella discussione. ma non per mia iniziativa, e quello che ho scritto al riguardo non è certo accusatorio nei confronti dell'istituzione né, tanto meno, dei ragazzi che la frequentano. Basta rileggere i messaggi per constatare che i soavi apprezzamenti nei loro riguardi sono stati manifestati da altri, e non da me. Chi iniziasse a leggere questa discussione dal Suo messaggio, penserebbe che io mi sia scagliato contro le scolaresche SMIM o, indiscriminatamente, contro tutta la categoria dei loro docenti di chitarra. Seguendo l'intera discussione, i lettori constateranno che non è vero. A parlare di allievi svogliati, aritmici e privi di orecchio e di insegnanti rovina-ragazzi sono stati, in questa discussione, i docenti delle SMIM, non io. Se è un problema, lo è per Lei, non certo per me. Io confermo la mia testimonianza. E, del resto, basta leggere la prefazione del mio libro, che ho ripubblicato in questo forum. Non occorre che Lei cerchi un senso alla mia "filippica": per me non è mai stato un problema assumere le posizioni corrispondenti al mio modo di essere e di pensare e manifestarle senza reticenze. Non smentisco mai quello che effettivamente ho dichiarato, e perciò rifiuto che mi si ascriva quello che non ho, non soltanto detto, ma nemmeno pensato. Per esempio, io non ho menzionato una generalità di pubblicazioni, ma una categoria: ad attribuirmi la generalizzazione è Lei. Sono comunque ben lieto di constatare che la mia testimonianza è stata letta e ascoltata da molti lettori. Il gran maestro tempo - al di là delle scaramucce verbali - emetterà il suo verdetto. Io non ho partecipato alle guerre puniche, non ero a Lepanto nella battaglia navale contro i turchi e non ho sparato a John Fitzgerald Kennedy: la mia assenza da tali eventi mi impedirebbe di diventarne un conoscitore profondo, qualora io decidessi di indossare i panni dello storico e di dedicare la mia vita allo studio dell'immensa bibliografia esistente su quei temi? "Come si fa a parlare di futuro della musica in mano ai giovani professori"? Semplicissimo: si fa il musicista, si impara a farlo a dovere, si seguita a imparare tutta la vita a farlo sempre meglio, e si vive da musicista: si frequentano a titolo professionale istituzioni musicali (società di concerti, teatri, conservatori, accademie, università, case editrici e discografiche, emittenti radiofoniche, case editrici e discografiche, fondazioni e musei, biblioteche, archivi pubblici e privati, emeroteche), si lavora a contatto con personalità musicali (compositori, direttori, interpreti, critici, storici, musicologi,giornalisti, etc.), ci si guadagna onorevolmente da vivere per più di mezzo secolo nei centri deputati alla produzione della musica, e alla fine si giunge a una visione della realtà musicale, dei suoi valori e dei suoi disvalori, delle sue prospettive e dei suoi problemi. Incluso il suo problematico futuro. E se, da questa collocazione - alla quale nemmeno l'inquisitore de "Il nome della rosa" avrebbe potuto negare il riconoscimento della consapevolezza, ancorché dolente - si giunge alla conclusione che "il futuro della musica è in mano ai giovani professori" (e non allo star system), lo si fa con pieno diritto culturale, artistico e civile, anche se non si è mai messo piede nella scuola media (e si è presa conoscenza diretta solo delle scuole medie annesse ai conservatori:) il mettervi piede servirebbe ad aggiungere elementi atti ad appurare se le speranze riposte nei "giovani professori" siano fondate o meno, ma non è affatto indispensabile per comprendere che, laddove regna l'ignoranza, l'unico rimedio è l'istruzione, e che la sede più adatta alla lotta contro l'ignoranza è quella dove ci si cura della formazione dei cittadini di domani. Per essere consapevoli che la soluzione di un problema di salute è un farmaco, non occorre essere frequentatori abituali di farmacie. dralig
  14. Ecco, mi pare che Lei abbia colto il nocciolo della questione. Vediamo ora di mettere a fuoco un aspetto - secondo me fondamentale - della discussione. I maestri della prima metà dell'Ottocento che scrissero musica per chitarra con finalità didattiche adoperavano il linguaggio musicale della loro epoca. Aguado e Sor, Carulli e Carcassi, erano sì chitarristi, ma anche musicisti ben integrati nei rispettivi ambienti musicali: conoscevano la musica dei grandi compositori del tempo, spesso la bordeggiavano nelle loro composizioni, non di rado - in qualità di concertisti - condividevano la scena con i maggiori virtuosi del momento. La loro musica è specchio fedele della loro appartenenza a un quadro storico - non solo musicale, ma anche sociale, culturale e politico - in cui agivano, se non come figure di spicco, certo come dignitosi comprimari: Sor ricevette in Russia l'incarico di scrivere la marcia funebre per le esequie dello zar, Giuliani cenava con Beethoven... Vediamo, nelle loro opere, chiari riflessi di questa loro identificazione con il mondo musicale circostante: Giuliani compone sì le Arie nello stile italiano, ma - da buon viennese d'adozione - scrive eccellenti Lieder (con testi in lingua tedesca) in cui si riflette tutta la sua condizione di epigono dei maestri austro-tedeschi. Carulli, che se la passa bene a Parigi, non scrive Lieder, ma Ariette, bilanciando il suo impeto partenopeo e la sua ben imparata partecipazione alla vita musicale parigina - magari colta solo nei suoi aspetti più superficiali, ma comunque squisitamente francese. E potremmo continuare a lungo nella constatazione che, tra i pezzetti didattici per chitarra di questi Maestri e la grande musica del loro tempo, c'è un legame di affinità e di continuità e - quale che sia il giudizio di qualità che si vuole emettere su autori e opere (io ad esempio colloco gli Studi di Sor tra la musica strumentale di ottima lega scritta nella prima metà dell'Ottocento, indipendentemente dal fatto che si tratti di musica per chitarra) - un punto è incontrovertibile: dove si faceva musica ai più alti livelli, là c'erano anche dei chitarristi, e la loro musica dimostra questa loro condizione. Nel Novecento sono accaduti molti fatti anche in ambito musicale, e inevitabilmente i linguaggi si sono frantumati. Resta però il fatto che, anche in tanta pluralità di linguaggi, la musica del Novecento ha caratteri ben riconoscibili: anche nei lavori dei Maestri che non hanno rinnegato la tonalità si denota a prima lettura la distanza dalla musica dell'Ottocento. La domanda successiva sorge inevitabile: nelle opere didattiche per chitarra del Novecento c'è un nesso autentico, diretto, riconoscibile con la musica strumentale coeva? Quali sono gli autori che hanno forgiato pezzi propedeutici ai vari linguaggi novecenteschi? Gli Studi della Escuela razonada hanno uno sbocco diretto anche solo nel repertorio di Segovia? Gli Appunti di Castelnuovo-Tedesco introducono gli studenti ad altro che non sia la musica per chitarra dello stesso autore? E badi che ho citato lavori degnissimi! Per trovare - in un'opera didattica del Novecento - qualche freccia puntata verso il repertorio dobbiamo sfogliare il Guitarcosmos di Smith Brindle, mentre gli Studies di Dodgson si manifestano in un ordine di problematicità tipico dei lavori orditi con sapienza musicale, ma da menti che non sanno governare la scrittura chitarristica dall'interno. Leo Brouwer indica risolutamente, con i suoi Etudes Simples, la strada della settorialità. Non crede - è evidente - che una raccolta di Studi possa abbracciare una vasta pluralità di linguaggi, ne sceglie uno, e in quello sviluppa la sua forma. E' un buon esempio. Ma ovviamente lascia deliberatamente scoperte molte aree. Io non credo che si possa scrivere un'opera didattica valida senza riferirsi a un repertorio. E' una questione elementare di forma musicale, di modo di scrivere (metrica, ritmo, armonia, contrappunto, etc.). Non vedo come sia possibile concepire una raccolta di Studi che, scritta agli albori del secolo XXI, adoperi sostanzialmente la scrittura chitarristica degli Studi di Matteo Carcassi, che insista nell'uso di armonie tonali già superate dagli autori di musica strumentale della seconda metà dell'Ottocento (figurarsi il Novecento!), che rimanga legata al vincolo più semplicisticamente melodico - e che, per giunta, denunci i limiti di una tecnica compositiva imparaticcia e - posso dirlo senza animosità? - dilettantistica. Mi si dirà che questo genere di musica serve per agganciare l'interesse di scolari del tutto privi di alfabetizzazione musicale, con la riserva di farli evolvere in seguito. Io rispondo che anche nel più semplice esercizio con cinque note in posizione fissa deve essere presente la mano del compositore vero, che sa manovrare il discorso musicale, e che fin dal primo contatto con la musica gli scolari hanno diritto di vedersi offrire il frutto dell'opera dell'ingegno e della sapienza, non quelli della faciloneria e del dilettantismo. Gli scolarsi sono ignoranti? Se così è, sono anche innocenti, e all'innocenza si deve dire la verità, non le bugie. dralig
  15. Mi sono sempre stupito del fatto che fosse permesso, al "professor" Regondi, di sequestrare un bambino, tenendolo praticamente in schiavitù, e di sfruttarne spietatamente il talento. Lo stupore aumenta ora: se il caso era noto a Balzac e ai lettori dei suoi articoli, come poteva non esserlo alla polizia? dralig
  16. Io non so nulla di scuola media, e riferendomi all'insegnamento della chitarra agli alunni della medesima avevo in mente quelli che frequentavano i primi tre anni del conservatorio (con annessa scuola media). Li rammento vivaci, ricettivi e pieni di interesse - anche se, ovviamente, non in tutti loro ardeva la fiamma della musica. So di eccellenti concertisti che insegnano nelle scuole medie (non quelle annesse ai conservatori) e francamente non riesco a immaginarli mentre fanno lezione ai loro studenti adoperando i testi che ho visto io. Anzi, sono certo che ne rifuggono forse in modo ancora più manicheo del mio. E' a loro che ho pensato scrivendo i miei Studi facili, ed è in questa stessa discussione che ho indicato la categoria dei docenti delle scuola medie come depositaria del futuro della musica - in misura molto più influente di quella rappresentata dallo star system. Veniamo ai metodi dei quali io mi ostino a tacere titoli, con Sua manifesta insoddisfazione. Quando ho accettato l'invito a comporre gli Studi facili, mi sono fatto spedire un certo numero di pubblicazioni (non soltanto italiane). Le ho guardate e poi le ho gettate nella spazzatura, e non sento alcun bisogno di rammentare i nomi dei loro autori. Credo sinceramente che siano non soltanto di infima qualità musicale, ma anche prive di fondamenti didattici, perché basate sull'assunto - secondo me fasullo - che i ragazzi rifuggano dall'impegno e dalla fatica necessari per imparare seriamente qualunque disciplina. Io non credo in questo genere di insegnamento, lo trovo ripugnante. La mia attenzione nei riguardi del lavoro che gli insegnanti delle scuole medie stanno svolgendo è piena di rispetto e di trepidazione, perché so benissimo - e l'ho scritto a chiare lettere - che da loro dipende la sopravvivenza della musica. Per questa precisa ragione, credo che debbano essere messi a loro disposizione gli strumenti didattici più affinati, e che non debbano essere obbligati a scegliere tra ciò che è mediocre e ciò che è scadente. La violenza verbale è parte strutturale di un genere letterario. Lei crede che, rivolgendo la sua invettiva contro Pisa, il sommo poeta desiderasse effettivamente vederla sommersa sotto le acque dell'Arno? Lei ha pensato per un solo istante che io desideri letteralmente l'impiccagione fisica dei cattivi maestri? Si può citare Leopardi o John Wayne, è sempre esercizio retorico, che in un forum a rischio di noia asfittica dovrebbe risultare persino divertente... Dopo aver inscenato il Suo raccapriccio per la mia violenza verbale, in quale categoria letteraria colloca questo Suo affondo? Quella dell'idillio? Mi permetta una rispettosa constatazione: Lei è davvero un bel tipo. Non mi dica adesso che il Suo non è un nom de plume, adottato con ironia evocativa dei bei tempi delle graticole... dralig
  17. Caro Giorgio, mi fa piacere che tu abbia capito una cosa fondamentale: le caratteristiche intrinseche e specifiche di un lavoro artistico scritto a fini didattici costituiscono anche il suo limite. Nello scrivere una raccolta di studi per chitarra per gli allievi dei primi anni bisogna per forza individuare un profilo al quale indirizzare il proprio lavoro, e questo comporta inevitabilmente l'esclusione di altri obiettivi. Io avevo in mente gli scolari del corso inferiore del conservatorio - la sola istituzione che conosco per averci lavorato - ed è quindi a loro che mi sono rivolto. Questi studenti, all'esame di compimento inferiore, portano un Preludio di HVL, o un Preludio di Ponce, o una Canzone Catalana di Llobet o un brano tratto dagli Appunti di Castelnuovo-Tedesco: tutta musica validissima, alla quale occorre però allegare qualcosa di più vicino al repertorio del Novecento, ed è in quest'area che io ho progettato e realizzato la mia raccolta, che parte da lontano e si spinge oltre i confini del linguaggio musicale dei Maestri che ho menzionato. Qualcosa di valido, in questo settore, l'ho riconosciuto negli Estudios Sencillos di Leo Brouwer (in forma compatta e sintetica) e nella collezione intitolata Guitarcosmos di Reginald Smith Brindle (in una forma più diluita e qualitativamente discontinua). La tua risposta è significativa dell'importanza che il ruolo dell'insegnante riveste nella tracciatura del giusto percorso formativo di ciascun allievo, e combacia con quello che ho esplicitato nella mia introduzione. Non mi sono sognato di scrivere una raccolta pervasiva e universale, ma una raccolta mirata... Non conosco il metodo di Paradiso, ma trovo che l'indirizzo perseguito dalla maggioranza degli autori sia quello dell'intrattenimento, non quello dell'istruzione. Non vedo nulla di utile, in tutto ciò, vedo solo il tentativo di ingraziarsi l'attenzione di una clientela adoperando la musica come un articolo ricreativo, che istituisce l'immobilità mentale del cliente-ragazzo (paidocrazia consumistica) come un diritto inviolabile. Detesto la denigrazione - opera di lividi mascalzoni - ma rivendico il diritto artistico e culturale di prendere le distanze da ciò che ritengo fasullo. Un grande critico d'arte ha detto di Francis Bacon: "Dipinge per svergognare l'umanità scadente del nostro tempo". Una buona motivazione, a mio giudizio. Io non intendo svergognare nessuno, ma sento il bisogno di chiamarmi fuori da ciò che reputo vergognoso: il confine tracciato dall'igiene mentale dev'essere netto e categorico. dralig dralig dralig
  18. Io ho incominciato a insegnare in un liceo musicale nel 1965, all'età di 24 anni, e ho terminato nel 2004 in un conservatorio, all'età di 63 anni, e nella mia classe uno studente svogliato, stonato e aritmico non sarebbe durato più di una settimana. Mi sono impegnato a scrivere una raccolta di Studi facili per scolari (e docenti) il cui profilo, tracciato nell'introduzione che ho premesso alla musica, non ha nulla che vedere con quello che Lei descrive. Io ho scritto musica per la formazione di futuri musicisti: mi pareva - se non urgentemente indispensabile - perlomeno utile. Non ho mai pensato di occuparmi di preadolescenti che fanno musica a partire dalla mancanza di voglia di farla, di intonazione e di senso ritmico. Se mi fosse stato proposto a suo tempo, avrei rifiutato, e mi sarei dedicato a un'altra attività, anche non musicale. Quindi, è evidente che stiamo parlando di due diverse tipologie di scolari. dralig
  19. dralig Per offrire ai lettori di questo forum la possibilità di rendersi consapevoli del progetto che ho attuato negli "Studi facili" e per evitare ulteriori e inutili discussioni, riproduco qui il testo dell'introduzione. ------------- Questi Studi facili per chitarra sono stati composti per offrire un apporto agli insegnanti e ai loro scolari. Ce n’è bisogno? La letteratura didattica della chitarra è ricca, e non si avverte alcuna necessità di nuovi metodi. Tuttavia, mentre il repertorio di studi composti dai maestri dell’Ottocento e del Novecento tradizionalista (da Sor, Aguado, Carulli e Giuliani fino a Pujol e a Castelnuovo-Tedesco) e destinato agli studenti dei primi corsi è ampio e soddisfacente, non si dà uguale ricchezza negli studi introduttivi alla musica moderna, e pochissime sono, in questo campo, le opere universalmente riconosciute. Esiste quindi un vuoto da colmare, e questa raccolta punta a occuparne una parte, aggiungendosi, con una fisionomia stilistica propria, alle opere didattiche scritte dai grandi maestri del passato. Gli insegnanti che attuano i loro programmi didattici curando fin dall’inizio non soltanto l’apprendimento della tecnica, ma anche la formazione musicale degli allievi, troveranno qui brani che, trattando aspetti ben individuati del lessico della chitarra, collocano ogni procedimento tecnico in un discorso musicale compiuto, vincolando la diteggiatura a precise finalità di ritmo, di espressione, di fraseggio, di colore. Il primo e fondamentale obiettivo al quale ho mirato è dunque la simbiosi tra tecnica e musica: l’allievo deve imparare a subordinare sempre ogni suo gesto meccanico a un risultato estetico, e io ritengo che non esista motivo ragionevole per non stimolarlo a lavorare in questa direzione fin dai suoi primi contatti con lo strumento. È ovvio che, per realizzare un progetto didattico di autentico valore formativo in diretta relazione con il repertorio del Novecento, una raccolta di studi non si deve porre l’obiettivo di intrattenere l’allievo con epidermici – quanto inutili - divertimenti: il lato “facile” di queste piccole composizioni sta nel fatto che, dal punto di vista tecnico, esse sono abbordabili da chi si trova nella fase iniziale della sua formazione, a patto che sia capace di riflettere sugli aspetti musicali (e, a questo riguardo, la funzione dell'insegnante è fondamentale e decisiva) e disposto a spendere un impegno non minore di quello che, nelle fasi successive della sua crescita, gli verrà richiesto dalle opere maggiori del repertorio. Già sento levarsi il critico lamento di coloro che protesteranno per la difficoltà di alcuni di questi piccoli brani: ebbene, credo che si tratti di una manifestazione tipica della pigrizia che affligge insegnanti e allievi accomodati nella convinzione che sia loro dovuto il piacere di suonare in stato di inerzia mentale. Io ritengo invece che il potenziale di molti scolari sia assai superiore a quello che certi autori di volumi didattici sembrano presumere, e con questi studi mi propongo di invitare al lavoro chi voglia seriamente accostarsi al repertorio del Novecento, indicandogli una via che lancia sì alcune sfide, ma che offre anche le relative, e proporzionate, ricompense. La diversità di questi studi, rispetto a quelli classici o tradizionali, si manifesta in diversi aspetti: innanzi- tutto nella scrittura, che evita di iterare i modelli ottocenteschi, e poi, ad esempio, nella rinuncia a un vincolo tonale (abbandonato a favore della modalità o di altri ambienti armonici), nelle asimmetrie nel periodare musicale, nei frequenti cambi di metrica, nell’uso delle parti incrociate, tutte situazioni alle quali è bene abituare gli studenti al più presto. Ho dato il massimo rilievo alle dinamiche e alle articolazioni, che sono parte strutturale (e non accessoria) di ogni singolo brano. Non vedo infatti ostacoli al proposito di rendere subito familiari i concetti e le pratiche del legato, dello staccato, dei diversi accenti, del crescendo e del diminuendo, del laissez vibrer, etc. Un’altra peculiarità di questa raccolta di studi è la concezione aperta e totale della tastiera: non trovo alcuna motivazione valida per continuare a dividerne lo studio in “posizioni”, e ho quindi scritto brani che spesso si estendono lungo le corde senza barriere, esplorando anche aree fisiche e timbriche evitate negli studi tradizionali e superando la paura del temuto registro sovracuto (hic sunt leones) – che, se affrontato con impostazione e pratica adeguate, non è affatto più difficile degli altri registri. Credo che lo scolaro debba abituarsi subito a governare tutto lo spazio musicale del suo strumento, e che il cambio di posizione sia una tecnica da imparare senza indugi e dilazioni. Mentre ho cercato di tracciare un itinerario logico nella progressione degli studi, non ho inteso disporli in un definito ordine di difficoltà. Credo invece che ogni didatta possa attingere liberamente a questa raccolta riordinando la successione dei brani in relazione al criterio con cui sta guidando la formazione di ogni singolo allievo. Si osservi inoltre che la scelta delle tecniche con le quali realizzare le articolazioni, le dinamiche, gli accenti e gli altri effetti indicati nel testo musicale è interamente lasciata ai docenti, senza vincoli e senza preclusioni per nessuna scuola. Essendo indispensabile l’osservanza di tutti i parametri rappresentati nella notazione, è del tutto pacifico il fatto che alla loro corretta realizzazione si può pervenire attraverso differenti approcci alla tecnica della chitarra. A questo riguardo, mi è sembrato necessario annotare solo la diteggiatura della mano sinistra, in quanto fattore strutturale della composi- zione: da essa infatti risulta inequivocabilmente come ogni studio sia stato pensato e costruito, e come sia dunque necessario rispettare la distribuzione del tessuto polifonico e armonico sulle corde e lungo la tastiera. La realizzazione fisica del suono – affidata alla mano destra – è invece possibile con diverse diteggiature, ciascuna delle quali può offrire risultati diversamente soddisfacenti (sarà spesso il caso di sperimentarne più di una) e, per non condizionare le scelte dei maestri, ho preferito lasciar loro il compito di escogitare le soluzioni più consone alle loro metodologie. Invito, infine, a prestare attenzione a titoli e sottotitoli, che risulteranno utili a orientare lo studio nella giusta direzione. Dopo la prima stesura della raccolta, ho sottoposto il testo alla lettura di alcuni didatti: Fabio Ardino, Gianluca Barbero, Luigi Biscaldi, Francesco Diodovich, Filippo Michelangeli, Claudio Maccari, Alberto Mesirca, Lorenzo Micheli, Giovanni Podera, Cristiano Porqueddu, Frédéric Zigante. Li ringrazio sentitamente per le loro osservazioni e i loro suggerimenti. Angelo Gilardino Vercelli, 29 giugno 2011
  20. Innanzi tutto saluto tutti gli utenti di questo Forum. Io penso che i testi utilizzati siano né più né meno che degli strumenti, e come tali non sono buoni o cattivi a prescindere. Ho visto bravissimi chitarristi che hanno approcciato lo strumento con "La chitarra volante" e altri che dopo anni di Pujol non sanno distinguere melodia da accompagnamento. Credo che la differenza la faccia - che scoperta! - la persona che quei libri li sceglie e li utilizza (e quindi penso che quella della corda e del sapone sia una immagine un tantinello eccessiva, soprattutto se si decide di mettere la vita di una persona nelle mani preadolescenti brufolosi che dovrebbero agire sulla base della semplice scelta di un libro e senza la minima idea del progetto formativo che il loro insegnante potrebbe avere in testa...). Secondo la Sua logica, possono esistere buoni o cattivi docenti (sono loro, infatti, a "fare la differenza"), mentre invece i testi non possono essere né buoni né cattivi. I pianisti che insegnano usando Bartok potrebbero optare per "Il pianoforte sgusciante" senza inconvenienti, tanto la differenza la fanno loro. Credo che, a chi operi seguendo tale logica, convenga usare "La chitarra volante": preciso che non conosco questo libro, ma poiché Lei ne cita il titolo, penso che faccia perfettamente al caso Suo. L'immagine della corda e del sapone è evidentemente retorica, appartiene ai generi letterari in cui si fa uso dell'iperbole senza tema di venir presi alla lettera. Da parte chi scrive, s'immagina che una metafora qual è, ad esempio, "una montagna di bugie" non induca il lettore a supporre che le bugie crescano tra gli abeti e le rocce, o sotto le nevi eterne. dralig
  21. Super Mod Edit - Inizio Questa discussione è stata separata dal thread "Angelo Gilardino Studi Facili" http://www.cristianoporqueddu.it/forumchitarraclassica/viewtopic.php?t=8208 perché Off Topic rispetto all'argomento iniziale. Super Mod Edit - Fine E' impensabile che l'impegno degli studenti e quello degli insegnanti possano operare separatamente: oggi, un autodidatta non ha speranze e un professore senza bravi allievi non può fare nulla. Per avere bravi allievi, occorre farli diventare bravi, cioè intuire in ciascuno di loro - anche quando gli indizi superficiali sembrano puntare in tutt'altra direzione - un potenziale, e trovare la formula per coltivarlo e farlo crescere. Nel modo con cui uno scolaro strimpella quattro accordi accompagnando una canzone - magari cretina - possono celarsi tali indizi, e l'insegnante sensibile e creativo deve saperli cogliere e valorizzare. Non ci sono formule, e queste cose non si imparano ai congressi... Componendo gli "Studi facili" ho voluto dire la mia al riguardo: credo che il futuro della musica non sia nelle mani - dispensatrici di grazia e meraviglie - delle star del palcoscenico e dei divi delle sale da concerto, ma in quelle dei giovani professori che insegnano ai livelli fondamentali. Se tra 30 anni ci sarà ancora una cultura musicale viva - e non più soltanto dei centri di conservazione di un patrimonio musicale avulso dalla vita delle persone - dipende principalmente dal lavoro dei maestri di musica e di strumento che oggi insegnano nelle scuole medie. Sono loro che hanno in mano la chiave della sopravvivenza o l'aspersorio per benedire lo sprofondamento della musica nel baratro di una gigantesca barbarie. La paidocrazia consumistica che induce autori fradici a pubblicare libri intesi a far divertire i ragazzi è uno degli aspetti più visibilmente deteriori dell'incombente sconfitta della cultura. Non servirà a molto l'aver composto qualcosa che viri decisamente in direzione opposta, ma almeno testimonia la resistenza di qualche vecchio musicista a questo sterminio dell'intelligenza: fanciulli, se volete rincretinire davanti alla televisione, fatelo, ma non cercate l'appoggio e la complicità dei maestri di musica, meno che mai quella dei maestri di chitarra, e se qualcuno di loro vi offre la chitarra-divertimento, offritegli in cambio corda e sapone. dralig dralig
  22. Please contact directly the Publisher at: info@edizionicurci.it I am sure the staff will take care of your requests. Best wishes. dralig (ag)
  23. Concordo con il suggerimento del Suo insegnante e credo che, per l'esame in questione, gli Impromptus di Bennett sarebbero più appropriati: meno ardui delle Quatre Pièces di Berkeley ma altamente rappresentativi, se non della contemporaneità, certo della modernità. dralig
  24. Non è da escludere che uno studente del quinto anno possa presentare all'esame di compimento inferiore questa composizione. In tal caso, si tratterebbe di uno studente molto bravo (ne ho conosciuti alcuni). La composizione è stata scritta alla fine del terzo decennio del Novecento, quando Berkeley studiava a Parigi con Nadia Boulanger. E' certamente molto più vicina alla musica che, in quell'epoca, scriveva Britten (i due giovani maestri erano allora legati da amicizia) piuttosto che a quella che, sempre all'epoca, scrivevano Castelnuovo-Tedesco e Mompou. Britten, comunque, non ha quasi nulla in comune con Henze. Non si è mai capito quale sia il concetto di "contemporaneo" per le commissioni d'esame dei conservatori. dralig
  25. Ieri ho finalmente dato il bon à tirer al mio volume di "Studi facili", 20 pezzi per studenti dal primo al quinto anno (mi riferisco alla struttura degli studi di chitarra del "vecchio" conservatorio). Usciranno a giorni. Da molti anni mi era stato chiesto di comporre una raccolta a carattere didattico - se non proprio elementare - ma sono stato trattenuto dal timore di non saper mantenere - se legato dal vincolo della finalità didattica - un profilo stilistico conforme alla mia musica. Alla prova dei fatti, questa paura si è rivelata in gran parte ingiustificata, e ho potuto constatare che, invece, anche nella piccola dimensione e nella costrizione a rinunciare a elaborazioni complesse, un compositore può costruire a modo proprio un brano di musica. L'ho fatto nella prefazione, ma anche qui vorrei ringraziare i maestri che hanno accettato di leggere le bozze del volume e che mi hanno dato utilissimi consigli: Fabio Ardino, Gianluca Barbero, Luigi Biscaldi, Francesco Diodovich, Filippo Michelangeli, Claudio Maccari, Alberto Mesirca, Lorenzo Micheli, Giovanni Podera, Cristiano Porqueddu, Stanley Yates, Frédéric Zigante. dralig (Angelo Gilardino)
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