Vai al contenuto
Novità discografiche:

Angelo Gilardino

Membri
  • Numero contenuti

    2241
  • Iscritto

  • Ultima visita

  • Giorni Vinti

    37

Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1.  

    Sono dischi monografici, questi, e un'altra monografia sta per uscire - è questione di giorni - dedicata ai miei lavori per chitarra sola del triennio 2002-2004 dal prode Giulio Tampalini, che ha divorato la "Sonata Mediterranea", la "Sonata del Guadalquivir", il "Tritpico de las visiones" e la Sonatina intitolata "Catskill Pond" spianando tutte le difficoltà come se non esistessero e lanciandosi nel suo vivace colorismo con felice entusiasmo. Ha inciso anche il "Colloquio con Andrés Segovia", virando decisamente in direzione raveliana, il che mi ha fatto molto piacere.

     

    Questo brano, che sta diventando il mio pezzo più "famoso" - lo eseguono molti concertisti, da Zigante a Illarionov e Carlos Perez - è stato inciso in CD anche da Martha Masters, in un recital che verrà pubblicato nella prossima estate negli USA.

     

    Mai scrivere elenchi a memoria. Ecco che, nel menzionare gli interpreti del "Colloquio con Andrés Segovia" ho lasciato fuori Luigi Attademo - che lo eseguì in diretta da Radio 3 nel corso di un'intervista - e Piero Bonaguri, che ha inciso il pezzo in un CD del catalogo Pocci. Bravo Dralig, stai andando spedito (verso l'Alzheimer).

     

    dralig

  2. E' una bella domanda lio.....

    Anche io ho sempre avuto un pessimo rapporto con l'analisi a causa di questo senso di inscatolare tutto in una trentina di forme musicali.

     

    Nel caso di un'opera d'arte, la forma deriva dall'emozione. Nel caso di un lavoro accademico, la forma è un modello pre-esistente, un canone, e imitarlo significa comprendere che cos'è la forma (non crearne una vera). Nel caso di qualcosa che pretende di essere opera d'arte, ma che non giunge a esserlo, perché l'artista è fasullo o perché, pur essendo autentico, in una certa occasione fallisce (capita spesso), la forma non è niente.

     

    dralig

  3. Un compositore che non abbia seguitato e non seguiti strade già percorse da altri non ha da aspettarsi molto dagli interpreti suoi contemporanei. E' questa una regola ampiamente convalidata dalla storia, alla quale non faccio eccezione. Ma i giovani concertisti, che hanno trenta, quaranta anni meno di me, sono miei contemporanei solo di sghimbescio. E quindi non è così strano che si occupino risolutamente - a maniche rimboccate - della musica di un autore che, per loro, appartiene al passato, anche se prossimo e non remoto.

     

    Questa premessa introduce il mio plauso calorosissimo ai giovani maestri che recentemente si sono cimentati nella registrazione discografica di miei lavori. So bene che non si tratta di imprese di poco conto, e che richiedono un impegno estremo!

     

    Chi sono? Anzitutto, Cristiano Porqueddu, che sta incidendo l'intero corpus degli "Studi di virtuosità e di trascendenza": i primi due, dei cinque CD programmati, sono già in distribuzione, e il terzo sta per uscire: ne ho ascoltata l'anteprima, e Cristiano ha fatto un gran buon lavoro, in tutti i sensi.

     

    Nel mentre, il chitarrista romano Angelo Colone ha pubblicato la sua gagliarda incisione del concerto per chitarra e orchestra "Lecons de Ténèbres" e, per fare buon peso, ci ha aggiunto una selezione di Studi.

     

    Sono dischi monografici, questi, e un'altra monografia sta per uscire - è questione di giorni - dedicata ai miei lavori per chitarra sola del triennio 2002-2004 dal prode Giulio Tampalini, che ha divorato la "Sonata Mediterranea", la "Sonata del Guadalquivir", il "Tritpico de las visiones" e la Sonatina intitolata "Catskill Pond" spianando tutte le difficoltà come se non esistessero e lanciandosi nel suo vivace colorismo con felice entusiasmo. Ha inciso anche il "Colloquio con Andrés Segovia", virando decisamente in direzione raveliana, il che mi ha fatto molto piacere.

     

    Questo brano, che sta diventando il mio pezzo più "famoso" - lo eseguono molti concertisti, da Zigante a Illarionov e Carlos Perez - è stato inciso in CD anche da Martha Masters, in un recital che verrà pubblicato nella prossima estate negli USA.

     

    A proposito di recitals, avrete ascoltato il CD di Fabio Federico, con programma di Studi da concerto di diverse epoche. I miei, che ha scelto,

    li fa da padrone, ci si trova benissimo!

     

    Devo ora avvertirvi dell'imminente pubblicazione dell'esordio discografico di un giovane, straordinario chitarrista. Si chiama Alberto Mesirca, avrà 21 anni al massimo. Ha inciso musiche di autori consacrati, da lui scelte per la loro forza spirituale e per il loro misticismo, e vi ha incluso anche brani nuovi, come i miei pezzi a ispirazione religiosa, intitolati "Annunciazione" e "Ikonostas".

     

    dralig

  4.  

    Caro Angelo,

    lungi da me ogni intento polemico, io direi che se devo insegnare ad un allievo a suonare non posso evitare di proporre i testi che hanno aiutato e aiutano me.

     

    Nemmeno io in questo caso nutro intenti polemici, anche se considero la polemica un formidabile strumento culturale, naturalmente quando è condita di stima personale e di grande rispetto per le opinioni altrui.

     

    Io non credo che si debba trasmettere agli allievi solo ciò che si è imparato, ma ciò che esiste e che si ha il dovere di imparare di continuo, aggiornando le proprie conoscenze. Negli anni 1950-1970 (convenzionali, solo per dare un'idea) era normale lavorare gli Studi di Sor nell'edizione di Segovia, semplicemente perché non esistevano le ristampe delle edizioni d'epoca e le edizioni critiche: da 20-30 anni a questa parte, l'editoria chitarristica ha fatto prodigi, mettendo a disposizione di tutti i testi originali, e il colpo di grazia l'ha dato Internet, con la collocazione on line di moltissime riproduzioni di edizioni d'epoca, disponibili gratuitamente. Essendo questa la realtà, non esiste più il benché minimo motivo per servirsi dell'edizione Segovia, che è semplicemente zeppa di errori. Anch'io ho imparato i 20 Studi nell'edizione Segovia - negli anni Cinquanta - ma subito mi sono dato da fare per cercarne altre, e quando trovai l'edizione Dobrauz, con i testi originali, nel 1958, misi da parte Segovia e incominciai a leggere Sor. Mi dispiace dirlo, ma anche solo il mantenere la selezione segoviana (pur abbandonando l'edizione) è uno sbaglio, perché Sor ha scritto altri Studi magnifici, e non c'è nessuna giustificazione nell'escluderli dai programmi solo perché Segovia non li scelse. Meno che mai oggi, quando sappiamo che Segovia lavorò a sua volta su una selezione.

     

     

    Il lascito didattico segoviano è quantitativamente minuscolo (pochi volumetti; del resto ricordo bene dal mio corso a Ginevra come era parco di parole Segovia nell’insegnamento), ma a me è stato e continua ad essere utilissimo, anche se qualche volume è stato scritto per far fronte a problemi economici.(L’ “Histoire du Soldat” di Stravinski è stata pensata per fare soldi in un momento difficile, ma questo non le impedisce di essere un capolavoro).

     

    Non ho mai sostenuto che il lavorare a fini di sostentamento obblighi a lavorare male. L'edizione di Segovia degli Studi di Sor non è attendibile non perché Segovia l'abbia preparata a fini di guadagno (cosa del tutto lecita), ma perché non poté lavorare in condizioni tali da permettere di preparare una buona edizione. Tutto lì. Stravinskij lavorò tutta la vita su commissione, non solo per l'Histoire, il fatto è che ai suoi committenti consegnava dei lavori molto ben rifiniti.

     

     

     

    Certo è giusto informare l’allievo che nei “20 studi” revisionati da Segovia ci sono differenze rispetto alle edizioni originali.

     

    Secondo me è giusto il contrario, cioè far imparare gli Studi sul testo originale e poi, agli studenti interessati alla ricerca, far svolgere le comparazioni con le varie edizioni revisionate (non c'è mica solo quella di Segovia, si incomincia da Coste...). Questo li condurrebbe a rendersi conto del fatto che Sor non aveva bisogno di revisioni, ma di maggior rispetto.

     

    I “20 studi” di SorSegovia sono poi, come sappiamo tutti, all’origine delle prove d’esame ministeriali per V e VIII anno e non credo che un allievo debba temere nel presentare quella edizione all’esame.

     

    Se uno sa leggere, forse si merita di imparare l'Infinito nella lezione il cui testo recita "l'ermo colle", non "l'ermo collo" o "l'ermo calle".

     

     

     

     

     

     

    Sulla datazione delle 24 scale diteggiate da Segovia ho una curiosità sulla quale forse tu puoi aiutarci: sono in possesso di una vecchia edizione, un po’ diversa da quella della Columbia che tutti conosciamo, pubblicata da Romero & Fernandez a Buenos Aires. Non c’è data di pubblicazione, ma il volumetto che ho, oltre all’autografo manoscritto di Segovia, ha una firma e una data vergate a penna sulla copertina: Riccardo Vaccari, 1923. Se non ci sono errori, questo farebbe pensare ad una edizione delle scale decisamente anteriore agli anni ‘30.

     

    Certo. Ci sono parecchie edizioni argentine di cose di Segovia risalenti agli anni Venti, e non tutte sono state poi ristampate altrove. Per esempio, c'è una bellissima composizione di José Maria Franco, che Segovia aveva in repertorio, e che è rimasta sepolta in un'edizione bonoarense ormai introvabile.

     

    dralig

     

    dralig

  5. Eh, ma come si fa ad andare "oltre"?

     

    Cioè, la coscienza di "possedere" il linguaggio altrui cosa richiede?

     

    "Possedere" il linguaggio altrui come nozione, come sapere, come artigianato, implica - ricorro a un'espressione tipica dei miei allievi, non senza mitigarla un tantino - "farsi il mazzo" per impossessarsene. Dopodiché uno ha il diritto di farsi un linguaggio proprio. E questo richiede di farsi il mazzo un'altra volta. Sono stato chiaro?

     

    dralig

  6.  

     

     

     

    Il tempo centrale, un tema con variazioni, è uno dei momenti più profondi di tutta l'opera di Castelnuovo-Tedesco; drammatico (ma non melodrammatico) è strutturato in un crescendo espressivo che lascia sgomenti per la capacità di articolazione del pensiero musicale.

     

    Sgomenti un corno. Lì è arrivato lui? Bene, da lì si riparte, e non si scrive nemmeno una nota senza specchiarsi nel suo magistero. Ha capito, aedo?

    La partita da giocare è una sola, quella. Si penta e righi dritto, altrimenti guai a Lei.

     

    dralig

  7.  

    Il tempo centrale, un tema con variazioni, è uno dei momenti più profondi di tutta l'opera di Castelnuovo-Tedesco; drammatico (ma non melodrammatico)

     

    ...anche se è impossibile ascoltare l'epilogo senza pensare a Madama Butterfly...Castelnuovo-Tedesco amava molto Puccini, e ogni tanto...

    C'è una fuga ne "Les guitares bien temperées" che rievoca un motivo di "Turandot"...e altre cose decisamente pucciniane.

     

     

    dralig

  8. Ho comprato il cd con i concerti di Castelnuovo-Tedesco di cui si era già parlato nel forum.

     

     

     

    Il ruolo della chitarra è infatti piuttosto ridimensionato rispetto al primo concerto o al concerto x 2 chitarre, e l'organico orchestrale svolge un ruolo che va oltre la classica dialettica solista/orchestra.

     

    Perspicuo tutto quello che ha scritto riguardo il Secondo Concerto, aedo, ma forse questa Sua valutazione del ruolo della chitarra può trarre in inganno e far supporre che l'ìimpegno del solista sia inferiore a quello richiesto nel primo Concerto. Non è così - il chitarrista ha un daffare superiore. E' il risalto solistico che si ridimensiona, perché l'orchestra, oltre ad ispessirsi, lavora di più, e quindi il chitarrista non la fa da padrone...

     

    dralig

  9. scusate l'intromissione nel discorso, ma (tornando alle diteggiature) volevo chiederVi quale diteggiatura -appunto- consigliate per un altro esercizio con note ribattute: Carcassi, op. 60 n. 2 . Io fino ad ora ho usato a-m-i-m-a, ma mi piacerebbe poterne provare altre.

     

    Si eserciti con tutte le combinazioni che Le permettono di eseguire le note alla velocità richiesta dal carattere del pezzo e poi scelga quella che Le riesce più facile e spontanea. Ciascuno di noi dispone di combinazioni digitali favorevoli e contrarie. Bisogna studiare quelle che non ci riescono facilmente e suonare con quelle che ci vengono bene.

     

    dralig

  10.  

    2) Altrimenti si fa inevitabilmente una scelta all’interno del lascito didattico di Sor (Metodo e Studi) usando quel che si ritiene valido in base ai propri scopi artistici e tecnici, scartando altro; insomma non si segue in tutto e per tutto Sor, ma si valorizza quel che riteniamo possa darci ancora oggi (e secondo me è tanto) anche se suoniamo uno strumento più grande del suo, usiamo le unghie, adottiamo una posizione della chitarra e delle mani diversa dalla sua.

    Che uno studente dei primi corsi possa fare questa operazione di filtro da solo mi sembra altamente improbabile; e allora ci si affida, almeno provvisoriamente, ad un riferimento che normalmente è l’insegnante che si è scelto. Da questo punto di vista la lettura che un gigante moderno della chitarra come Segovia ha fatto degli studi di Sor è (almeno strumentalmente) di valore incalcolabile per entrare anche nel pensiero tecnico di un grande maestro del Novecento (il cui pensiero strumentale e tecnico è molto più vicino al nostro tempo rispetto a quello di Sor, almeno in rapporto a forma dello strumento, impostazione, uso delle dita e delle unghie, ecc.). Anche in questo caso si potrebbe dire che seguire una diteggiatura è collegato ad altri aspetti, ed è in realtà un modo di assimilare un pensiero tecnico e musicale. Personalmente ad un ragazzo consiglierei questo approccio, stimolandolo appena possibile alla verifica personale della sua validità.

     

    Caro Piero, lo studente dovrebbe essere guidato dall'insegnante - e dal medesimo caldamente esortato - allo studio dei testi, non delle loro manipolazioni. La vicenda di Segovia e degli studi di Sor ormai è un fatto storico, e non sarà male ricordarlo agli studenti che ci leggono. Segovia, nel 1937, si stabilì a Montevideo, in Uruguay, dove visse per nove anni, nel corso dei quali - almeno fino al 1943 - vide la sua attività concertistica gravemente depauperata a causa degli eventi bellici e del boicottaggio decretato contro di lui dagli agenti di concerti statunitensi. Si ritrovò quindi nella necessità di sostituire una parte considerevole dei suoi introiti con attività sostitutive, e fu in quella situazione di emergenza che concepì il fascicolo delle scale e la revisione degli Studi di Sor. Non aveva a disposizione una biblioteca musicale con urtext, ma solo i volumi che poteva reperire nei negozi latino-americani o che i chitarristi locali gli prestavano. Così, dovette basare la sua revisione degli Studi di Sor non sulle edizioni pubblicate durante la vita dell'autore, ma su quello che trovava: è evidente che si servì dell'appendice al Metodo per chitarra Sor-Coste, appendice nella quale si trova la maggior parte dei 20 Studi da lui selezionati, ai quali aggiunse alcuni (pochi) Studi il cui testo gli fu dato da Attilio Rapat o da Abel Carlevaro. Quindi, Segovia non ebbe - al'epoca in cui preparò l'edizione dei 20 Studi - un accesso a tutta l'opera didattica di Sor in edizione primaria, ma accesso a delle selezioni, dalle quali trasse il materiale che poi riordinò. Basterebbe questo a collocare una volta per tutte il volume Sor-Segovia nella posizione che gli compete: un lavoro svolto utilitaristicamente da Segovia in condizioni sfavorevoli. Se poi aggiungiamo il fatto che Segovia lavorava da solo, senza un editor che lo aiutasse a mettere a punto i suoi manoscritti e a correggere le bozze, in quadro è completo. E' un'edizione sfortunata, da mettere rispettosamente da parte, insieme agli errori che contiene.

     

    Per comprendere l'estetica segoviana a fondo, abbiamo le sue edizioni primarie delle musiche di cui fu il mallevadore, le sue stesse composizioni e i suoi dischi. La musica di Sor, comunque la vogliamo interpretare, ha valori propri ed autonomi, che richiedono di essere compresi e studiati in quanto tali, per quello che sono, e non attraverso i filtri dei revisori. Nemmeno se i revisori si chiamano Segovia.

     

    dralig

  11. Gli studi rappresentano un genere di composizioni che non hanno nulla da invidiare alle altre, ma che hanno comunque una loro caratteristica.

    Così come c'è il tema con variazioni, in cui viene proposto un tema al quale si apportano alcune variazioni, o un rondò che è caratterizzato dalle strofe dopo le quali torna, appunto il ritornello, o una sonata, un minuetto ecc...così il termine "studio" indica quelle composizioni caratterizzate da un particolare accorgimento tecnico.

     

    Bisogna distinguere il genere dalla forma. Tema e variazioni, rondo, minuetto, sonata, sono definizioni che si riferiscono alla forma del pezzo. Il titolo Studio invece indica un genere di composizione con finalità didattiche (concetto il cui significato si può estendere), genere all'interno del quale si possono dare forme molto differenti: dal continuo alla forma tripartita alle forme episodiche, non escluso il tema con variazioni. Mentre Sor predilige la forma unitaria - con un solo modello di scrittura per ciascun studio - e spesso la attua attraverso il continuo, Villa-Lobos le adopera quasi tutte (continua, ternaria, episodica, tema e variazione).

     

     

     

    Per quanto riguarda il n.1 di HVL, l'autore ha indicato una diteggiatura ben precisa, ma si presta anche a molte modifiche quindi possiamo diteggiare tutto con pm o con pi, e in tanti altri modi, trasferiremo il motivo di studio ad un altra diteggiatura, ma non lo priveremmo della sua essenzialità, così come ad una scala con im possiamo sostituire mi o am, ecc.

    Al n.10 di Sor, se eliminiamo quella diteggiatura (pipi), lo depauperiamo completamente del suo motivo sostanziale in quanto, se lo diteggiamo ad esempio con amiam ( una delle possibili soluzioni), lo trasformeremmo in una sorta di studio su un tremulo a singhiozzo, e ciò non avrebbe senso, perchè se vogliamo studiare il tremulo ci sono ben altri studi più appropriati per cui, non mi sembrerebbe un'incoerenza trovargli anche un nome diverso da studio opera 31 n.19 :D

     

    Se devo essere sincero non sono per nulla d'accordo con te: il genere (o meglio sotto-categoria) a cui appartiene una composizione non credo che da solo sia sufficiente a conferirgli un certo carattere, così netto e preciso da richiedere un certo tipo di approccio anziché un altro.

    Inoltre un atteggiamento "interpretativo" autentico credo che se ne infischi altamente di queste distinzioni: se al chitarrista X il passaggio suonasse "meglio" (per comodità possiamo assumere in questo caso per "meglio" la pronuncia che si pensa conferisca l'alternanza di p-i) con una diteggiatura diversa credo che non solo potrebbe farlo, ma dovrebbe essere obbligato a farlo. Credo che l'unico modo per "depauperare" un brano sia solo suonarlo male: se un brano subisce tale sorte solo dal cambio di 2 dita significa che probabilmente é già povero di suo e l'unico interesse che può avere é solo legato ad un misero espediente meccanico.

    Per citare ancora il M° Saggese, ricordo che ha scritto di fare il tremolo, spesso, alternando p-m (se non erro)...suonare così il Recuerdos é "depauperarlo"? Se lo suona bene (e ne sono convinto) non credo assolutamente.

    Poi obiettivamente non capisco perché sostituire una diteggiatura estremamente complessa come quella dello studio #1 di HVL con p-m possa andare bene e sostituire la diteggiatura di una misera quartina invece ci dovrebbe portare a cambiare nome allo studio. Mi sembra una contraddizione difficilmente giustificabile.

    Propongo un test: vengano postati 4 esecuzioni con diteggiature diverse da qualcuno dei grandi chitarristi che scrivono qui, difficilmente si percepirà la differenza.

    Ho ascoltato il M° Catemario suonare questo studio, usando esattamente una diteggiatura "da tremolo": p-a-m-i (se non ricordo male), e non credo che non andasse bene, al contrario. I singhiozzi nel tremolo li fanno quelli che non lo sanno fare.

     

    Anche qui, bisogna distinguere. La prima cosa da fare è leggere lo Studio come l'autore lo ha concepito e scritto. Se l'urtext è a portata di mano, la prima cosa da fare è accantonare le revisioni e leggere il testo primario con estrema cura e attenzione, comprese le didascalie, le quali spesso rendono chiaro il proposito dell'autore. Una volta capita la concezione dello Studio, il lettore può servirsene a fini differenti. Se è uno studente e deve imparare o migliorare le sue prestazioni nelle tecniche specifiche studiate (appunto) dallo studio, dovrà esercitarsi con quelle. Se invece non ha nulla da imparare dallo studio in questione, e ciò nonostante il medesimo lo attrae dal punto di vista estetico, per i suoi valori musicali, sarà liberissimo di cercare le diteggiature più adatte a rendere manifesti quei valori che ha individuato, e dei quali può darsi che sia il rivelatore, al di là del pensiero del compositore medesimo. In questo caso, non abbiamo più un uso didattico, ma un uso artistico dello studio. Porqueddu ieri, in un suo messaggio, ammetteva che, in un determinato passaggio di uno dei miei Studi, aveva accettato la diteggiatura dell'autore, cosa che non fa quasi mai. Che fa l'autore? Coda tra le gambe e zitto: altrimenti gli interpreti gli possono dire: prova tu a suonare le cose che hai scritto.

     

    Quindi, c'è un solo punto uguale per tutti, studenti e concertisti: primo, leggere quello che l'autore ha scritto. Poi, ciascuno va per la sua strada. Stando attenti a imboccare quella giusta.

     

    dralig

  12. Buonasera a tutti.

    Il mio problema è questo: non riesco ancora, mio malgrado, ad avere un sicuro controllo del medio della M.D. durante scale veloci con i-m e negli arpeggi rapidi. Il problema è di natura muscolare o di tensione, infatti mi si piega la falangetta mentre appoggio il dito sulla corda superiore a quella pizzicata nel tocco appoggiato. Chiedo a voi, ci sono degli esercizi per rafforzare il muscolo e per evitare questi inconvenienti.

     

    Grazie in anticipo.

     

    Occorre verificare qual è la natura del problema. Per fare questo, esegua il seguente controllo: ampliando la traiettoria del dito al massimo delle sue possibilità (cioè partendo da molto distante) faccia scendere il dito verso la corda - mantenendo la sua flessione naturale - il più lentamente possibile; quando è prossimo al contatto con la corda, lo eviti e superi la corda spingendo il dito all'interno della mano. Tutto ciò molto, molto lentamente. Vedrà qual è il comportamento del dito. Se rimane stabile durante tutta la traiettoria ampliata, vuol dire che è a posto; se invece trema, o "cede" aumentando la flessione (artiglio) o l'estensione (lingotto), potrà vedere "al rallentatore" esattamente come cede, e correggere lo specifico errore.

     

    dralig

  13. Sto studiando Nevicata op.29 (a) di Benvenuto Terzi, e mi è sorto un dubbio: nella misura 10, c'è un La al basso (che si sostituisce al pedale di tonica, il Sol). Si tratta di un errore o no? Essendo la quinta corda accordata al Sol e il re acuto indicato con la diteggiatura 2, ho pensato che si trattasse di un errore di stampa (si verrebbe a creare un allargamento facilmente risolvibile in altro modo, con un 4).

    Grazie anticipatamente.

     

    Errore di stampa. Trattasi di sol, non di la. Quinta corda a vuoto.

     

    dralig

  14. Se si vuole eseguire il pezzo come lo ha pensato Sor, certamente sì.

     

    D'altra parte l'idea che "bisogna fare così perchè è scritto così" è una idea moderna che Sor per primo non avrebbe forse neanche capito, come criterio. Non solo il suo Metodo è pieno di frasi del tipo "non dico quel che bisogna fare, ma solo come faccio io", ma alla fine c'è addirittura un esempio di un passo di Giuliani "riscritto" da Sor, cambiando anche moltissime note in un modo che oggi scandalizzerebbe pressoché tutti. Sor spiega (cito a memoria dalla edizione Tecla del Metodo, il senso è quello): " Io avrei potuto eseguire il pezzo come è scritto, ma contravvenendo ai miei principi di diteggiatura; siccome non intendo farlo, il passaggio io lo suono così" (e segue l'esempio del pezzo riscritto da Sor).

    In questi casi allora mi pare che a volte rischiamo, noi, di essere, come si dice, più realisti del re...

     

    ...o di pensare che esistano siffatti iperrealisti, quando in realtà sono comparsi solo alla nostra immaginazione. Infatti, a voler guardare bene quello che io ho scritto, vi si ritrova solo un'esortazione a leggere la didascalia dettata da Sor, non a genuflettersi al suo contenuto. Poiché di tante e svariate diteggiature si raccontava, meno che di quella dell'autore, non mi è sembrato eccessivamente zelante il ricordare che esisteva, e che il leggerla avrebbe portato a comprendere il modo con cui fu divisata: una diteggiatura in doppia fase binaria (pipi: spero di non ricevere reprimende dalla squadra del buon costume), coerentemente applicata a due coppie perfettamente uguali di biscrome anacrusiche). Diteggiabilissime altrimenti, senza bisogno di avventarsi contro alcun tribunale inquisitorio.

     

    dralig

  15. Secondo me è più giusta a-m-i-m-i come dice cristiano che a-i-m-i-m...

    Personalmente a me torna ancora meglio a-m-i-a-m.

    Prova, cmq per uno che deve fare il 5° gli direi di usare a-m-i-m-i come dice cristiano, è più naturale e prendi confidenza con l'anulare. All'epoca del 5° avevo usato m-i-m-i-m.. pensa te che pazzo!!! Magari fossi stato più furbo!!!

    javascript:emoticon(':lol:')

    Laughing

     

    Avete letto, o pargoli, la didascalia dettata da don Fernando per questo suo studio? Guardate di non contrariarlo, perché gli salta facilmente la mosca al naso, e se si arrabbia sono guai.

     

    dralig

  16. Da qualche giorno ho messo sul leggio le "Trois chansons jouées" di Sergio Chiereghin.

    Purtroppo, però, le mie informazioni su questo autore sono assai scarne (so solo che si tratta di un pianista e compositore Triestino, nato nel 1933, che ha composto parecchi brani per una o più chitarre).

    Se qualcuno mi sapesse dare qualche riferimento ulteriore gliene sarei molto grato.

     

    Pianista e compositore, ha insegnato fino a una decina d'anni fa al conservatorio di Padova. Ha scritto bella musica per chitarra, in un linguaggio tradizionale, armonicamente molto raffinato, espressivo, elegante. Pubblicato da Zanibon (Invenzione, Lied e Studio) e da Bèrben (Passacaglia) - ho citato soltanto i pezzi più significativi. Ha scritto anche musica per due, tre e quattro chitarre e un bellissimo Concerto per due chitarre e orchestra. Da anni si è ritirato dall'insegnamento e non si conoscono sue composizioni recentissime.

     

    Il trittico che Lei cita è stato inciso da Luigi Biscaldi, che gli era amico e sodale (studiava armonia con lui) in uno dei suoi pochissimi LP - ormai pezzi da collezionisti.

     

    dralig

  17. Gentile Maestro Gilardino, già che ci siamo, potrebbe indicarmi qualche esercizio per imparare ad adottare il barrè con l'indice in posizione flessa? Lei lo descrive molto bene, ma non riesco a liberarmi dalla faticosa abitudine di tenere il dito diritto.

    Si eserciti prendendo la posizione con il barré teso, poi si fermi, senza staccare la mano dalle corde allenti la pressione e prenda la postura del barrè rilassato. Alterni le due posture a moviola per una dozzina di volte, e faccia così per qualche tempo. Andrà a posto da sé.

     

    dralig

  18. Maestro, un'altra domanda se consente. Quando si usa il tocco appoggiato, secondo Lei è opportuno poggiare il pollice sulla sesta corda?

     

    Perché no? Qualunque appoggio dà forza e stabilità alla mano, quindi anche un appoggio del pollice sulla sesta corda può risultare utile, sempre che sia ausiliario e non sostitutivo dell'equilibrio che la mano deve avere in sé, ed eccettuati naturalmente i casi in cui tale appoggio può creare inconvenienti musicali (pause non volute, spegnimento di risonanze timbricamente utili, etc.)

     

     

     

    E se si, quando si sale verso le ultime tre corde è giusto sollevarlo e far "salire" il polso in modo da non inclinare la mano? La ringrazio

     

    Quando si agisce con le dita i-m-a sui bassi, se l'appoggio del pollice risulta utile, si può benissimo trasferirlo sulla tavola: non importa a che cosa ci si appoggia, se le corde o il legno. La mano destra deve essere "attaccata" alle corde, e per l'"attaccatura" ci si serve di diversi fattori. Se è "impostata" bene, la m.d. deve trovarsi, rispetto alle corde, nella stessa condizione in cui si troverebbe se fosse di ferro, e se, in luogo delle corde, ci fosse un magnete. Il che è quello che s'impara nella tecnica dell'arco del violoncello: l'attaccatura. La mano sinistra dei chitarristi in genere non dà problemi (se non di angolazione), proprio perché la sua funzione la obbliga a stare attaccata alle corde. Non è così, ma lo dovrebbe essere, anche per la destra. Quindi, il pollice della destra, quando non lavora, dovrebbe comportarsi come il pollice della sinistra: attaccarsi a qualcosa.

     

    dralig

  19. [

     

    Tornando a Cristiano...

    Non posso non constatare, per quanto se ne dica, che una "domanda" (interessante, ribadisco) non ha trovato risposta;

     

    Confido e spero di arricchire il mio bagaglio culturale con dotti interventi relativi all'oggetto.

    LUPO

     

    Mi sembra molto ragionevole constatare che proprio la specificità di quella domanda ha trovato impreparati a rispondere gli iscritti a questo forum. La domanda può trovare risposta solamente da parte di un etnomusicologo che abbia indirizzato i suoi studi verso la musica caraibica, e che abbia nel contempo una conoscenza testuale della musica di Leo Brouwer: converrà che si tratta di un insieme di competenze non comune. Io, ad esempio, conosco piuttosto bene la musica di Brouwer - e il conoscerla, oltre che doveroso, è anche piacevole, perché siamo amici - ma non sono un etnomusicologo e meno che mai ho studiato le matrici della musica cubana nei suoi vari strati.

     

    dralig

×
×
  • Aggiungi...

Informazioni importanti

Usando il Forum dichiari di essere d'accordo con i nostri Terms of Use.