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Angelo Gilardino

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  1. La trovo una rencensione molto superficiale a cominciare dalla definizione di "mechanical routine to the fingerboard" che è una definizione che lascia veramente il tempo che trova. Non una parola sulla musica. Poi se addirittura Gilardino è visto come il limite cui dovrebbe tendere un ideale pubblico di ascoltatori/chitarristi ("this collection is not for everyone")..beh..la dice lunga (e ci dice molto di più) della mediocrità in cui versa certa critica musicale mondiale. Ma quale critica musicale mondiale. Mica è uscita sul NY Times. Stephen è un bravo cristo che si arrabatta tra insegnamento e qualche concerto, gli hanno rifilato questa grana, e lui se l'è sbrigata adattando, con qualche cambio di parola, quello che diceva il telegiornale della sera riguardo alla situazione del mercato immobiliare nel suo paese: "non è accessibile a tutti" (l'acquisto di una casa), "è roba esoterica" (un cottage da dieci milioni di sterline nel Dorset dove si radunano una volta l'anno i Rosacroce), "non si può assimilarla tutta di un colpo" (visitare sempre la casa tre o quattro volte prima di firmare il compromesso). A me la recensione è piaciuta. Mi ha fatto ricordare il giudizio espresso da un famoso cuoco francese che non usciva mai dal suo ristorante. Lo trascinarono fuori in un giorno di chiusura e gli fecero fare una scampagnata. Riportandolo qualche ora dopo nel suo regno gli domandarono se lo splendido paesaggio della Loira gli era piaciuto. "Ecco", rispose "mi hanno impressionato tutti quegli uccelli che svolazzavano intorno, crudi". dralig
  2. la dimensione del cantino è rimasta la stessa nelle mute sopracitate? oppure erano solo su richieste specifiche? Segovia aveva chiesto a Rose Augustine di fabbricare per lui dei cantini con un calibro maggiore di quello normale, una via di mezzo tra il mi normale e il si. Naturalmente, fu accontentato. Credo che la Augustine ne avesse fatto un rotolo, dal quale tagliava le corde in base alle richieste del maestro. Il grand'uomo, quando trovava un mi buono, era capace di tenerlo tre anni. Quando io le chiesi la stessa cosa, fu sorpresa e me ne regalò una bella matassa. Io fui più sorpreso di lei, perché non immaginavo che qualcuno le avesse mai chiesto una cosa simile... Tutto finì lì, non mi risulta che abbia mai messo in fabbricazione standard quello che io chiamavo "il mione". Non sarebbe stata - commercialmente - una buona idea. Adesso mi viene in mente che, di questi mi, ne aveva anche Alice Artzt, che abitava a NY ed era amica della Rose. Quando questa passò a miglior vita, domandai a Stephen Griesgraber, il suo erede, se da qualche parte c'era ancora quel rotolo con qualche avanzo. Mi disse che avrebbe cercato, poi non ne ho più saputo niente...Lo avranno buttato via, pensando che era un esperimento bizzarro riuscito male. dralig
  3. Io invece sono stato abbastanza fortunato perché nel '91 ho iniziato, per puro caso, con un Mac (Si II con 9 Mb (!!) di ram e 40 MB di HD, avevo Finale nella versione 3 e ProTools ancora non esisteva ma c'era solo una versione stereo che si chiamava Sound Tools... come mi sento vecchio!). Ora ne ho 5 (MacPro, G5, 2 iMac, MacBook), tutti collegati in rete e, tramite QMaster, visti come un unico computer, per cui i processi sono quintuplicati in velocità, il che, soprattutto per le conversioni dei video, è una soluzione incredibilmente vantaggiosa. E per settare tutto questo ho dovuto fare..... niente di niente....  L PS per Angelo: se ti piace la font delle diteggiature e dei numeri cerchiati delle corde, usata nella tua/nostra edizione dei Preludi e Fughe di Castelnuovo Tedesco, posso inviartela. Si chiama, manco a dirlo, font Matarazzo, e fu creata per l'occasione! Terrificante, Lucio. Mostruoso. Mi sento, informaticamente parlando, una scimmia. Certo, mi piacerebbe il font Matarazzo. A proposito di font, l'unico problema che ho incontrato nel passaggio - ormai compiuto - da Windows a Mac è proprio un font musicale, il bellissimo November della Klemm Music Technologies, con il quale ho preparato le edizioni dell'archivio Segovia. Snow Leopard rifiuta l'installazione da CD - non vuol saperne di ambiente Classic, dice - e i due files di upgrade gentilmente inviatomi da Klemm si installano, si, e i nomi del font appaiono nella lista dei font, ma i caratteri non vengono attivati nel programma, e i files scritti con November mostrano simboli diversi invece delle note e delle chiavi. Temo di aver scoperto un'incompatibilità tra un font musicale e il più recente sistema operativo di Mac. La solita fortuna, ogni volta che esco dall'aiuola della musica! dralig
  4. Io non so mica quello che scrivo, so solo come scriverlo. dralig
  5. Innanzi tutto, è bene cambiare le corde quando è necessario. La stragrande maggioranza dei chitarristi butta via corde che potrebbero essere impiegate ancora per settimane, se solo venissero lavate. Un ottimo sistema per non sprecare corde (specialmente i bassi) è quello di smontarle (a una a una, mai disarmare completamente lo strumento), di lavarle (visto che l'abitudine di lavarsi le mani prima di suonare non è molto amata), asciugarle e rimontarle al contrario (in modo che i punti di contatto con le barrette non siano gli stessi di prima). Bassi che danno ancora gli armonici, e che in compenso non sono più rumorosi nei cambi di posizione, vengono spietatamente gettati nella spazzatura. Sono solo sporchi, lerci, a causa dei depositi di polvere e di epidermide che il sudore raccoglie e incrosta tra le maglie. Lavarli, non buttarli. E dire che costano! Le tre corde di nailon, fino a che non perdono l'intonazione, non si cambiano. Trovare un sol che dia l'ottava giusta è poco meno di un miracolo, e quando mi è capitato l'ho tenuto per due o tre anni - non c'è il minimo motivo per cambiarlo. Segovia tenne un sol per parecchi anni - quando incominciò a stonare ne fece una malattia. Il problema di solito è il cantino: è quasi sempre stonato. Comunque, le fabbriche tendono a farlo troppo piccolo. Nel 1973, chiesi a Rose Augustine se poteva farmi dei cantini un po' più grossi. Ne fu meravigliata e me ne regalò una dozzina (ci campai per il resto della mia carriera concertistica). Io a mia volta mi meravigliai del fatto che li avesse già pronti. "Solo un altro chitarrista me li ha chiesti prima di lei", mi rispose. Inutile domandarle chi era stato il committente. Il suo faccione campeggiava nelle buste delle corde...Immortale la risposta di Siegfried Behrend al solito intervistatore-chitarrista: "Maestro, con quale frequenza cambia le corde?". "Io? Non le cambio mai, a meno che non si rompano". dralig
  6. Tre giorni fa è arrivato l'I Mac 27". Dopo 15 anni di Windows, non ne potevo più e ho cambiato. Non sono un asso nell'informatica, ma ti assicuro che finora non ho avuto il minimo guaio e che tutto procede liscio, se pure con i tempi di apprendimento che, alla mia età, sono lenti. E' un ambiente molto diverso, un altro modo di lavorare. Bisogna farci la mano. Non emetto giudizi frettolosi, posso solo dire che, fin qui, non ho il minimo motivo per dubitare della decisione che ho preso. Attento nell'installazione di Finale. Snow Leopard richiede un aggiornamento della versione di Finale 2010, senza il quale l'installazione dal DVD non va a compimento. E' un po' trafficata, la manovra, perché non potendo lanciare il programma non puoi aggiornarlo dall'interno, ma solo scaricando il file di upgrade dal sito Make Music. No, Finale per Mac non è come Finale per Windows, bisogna passarci un po' di tempo. I risultati sono gli stessi, anzi credo che con la versione per Mac si possano ottenere miglioramenti. Comunque, se non hai qualche motivo per rimanere abbarbicato a Finale, passa a Sibelius, risparmierai tempo e fatica. dralig
  7. Il fatturato della musica classica, opera lirica inclusa, non supera il 3% di quello totale. In questo 3%, la musica da camera raggiungerà uno 0,70%. Nello 0.70% della musica da camera, la chitarra sarà al massimo un 2%. Quindi, mille CD venduti, 30 di classica, di cui 23 di opera e sinfonica, e 7 di musica da camera, di cui, credo 4 vanno al pianoforte. Quindi, se parliamo di commercio, la chitarra classica è un truciolo. Nemmeno l'impiego della chitarra classica in altri generi di musica, diciamo confinanti, come il flamenco di Paco de Lucia o la fusion di Maurizio Colonna (per parlare del maggior virtuoso italiano che adopera la chitarra classica fuori dal repertorio classico, eccettuate le sue interpretazioni di Barrios) è giunto a costituire un fatto rilevante per i budget delle case discografiche. Sono artisti giustamente ammirati, hanno un pubblico che li apprezza, ma non fanno cassetta: un qualunque cantautore tirato su da un giorno all'altro da un produttore discografico che decide di inventare il nuovo idolo vende molto più di loro. dralig
  8. Bisogna stare attenti e sforzarsi di cogliere le prospettive. Michelangeli è un ex chitarrista che ha svoltato verso un giornalismo militante, che si occupa di musica classica in generale (con la rivista "Suonare"), e che mantiene in vita una rivista trimestrale per chitarristi ("Seicorde") per una sorta di nostalgia verso il mondo nel quale ha avuto inizio la sua carriera e per il piacere di dare una mano ai giovani concertisti (questa è soprattutto la sua motivazione). Egli non guarda quindi alla situazione e alle vicende della chitarra dall'interno del mondo chitarristico, ma da una posizione panoramica che gli fa vedere quello che accade nei teatri, nelle sale da concerto, nelle case discografiche, nelle case editrici, nei negozi di musica, etc. e - bisogna ammetterlo - in questo tipo di visione la chitarra, la sua musica, i suoi protagonisti, non occupano al momento una posizione molto rilevante. Ecco quindi i suoi scritti che pungolano i chitarristi . Non è un esortatore alla faciloneria, ma è abituato, per il suo mestiere e la sua forma mentis, a pesare le proposte dei chitarristi confrontandole con l'intero panorama della vita musicale, non solo valutandole in ambito chitarristico: le trova deboli, e lo scrive. Però, quando individua qualchecosa che gli sembra particolarmente significativo, non esita a proporlo, esponendosi al massimo: "Suonare", mensile letto da pianisti e direttori, ha pubblicato non molto tempo fa il CD del giovane Mesirca, dedicato alle Sonate di Scarlatti, e occorre riconoscere che, per fare una cosa del genere, ci vuole coraggio: tra gli abbonati della rivista, ci sono i massimi pianisti italiani, e chiedere loro di ascoltare lo Scarlatti di un chitarrista non è un piccolo azzardo! Occorrono anni per costruirsi una reputazione, nel mondo della musica, ma basta un gesto sconsiderato per perderla... dralig
  9. Ho girato la domanda ad un sindacalista UNAMS e questa è stata la sua risposta: "La regola, a questo punto in cui ci troviamo con le declaratorie in funzione, è che fino alla fine dell'attuale anno accademico si accettano i privatisti. Le declaratorie sono entrate in vigore definitivamente tra luglio e settembre 2009 (DM 90 e DN 124). In questo anno accademico le Istituzioni devono preparare prima del NUOVO A.A. il proprio REGOLAMENTO DIDATTICO a seguito del quale i vecchi trienni verranno riformati e diverranno ORDINAMENTALI. Diventando ordinamentali i trienni il vecchio ordinamento va definitivamente FUORI ORDINAMENTO, ovvero non esiste più. Anzi esiste solo per gli studenti già iscritti che facciano richiesta di proseguire col vecchio sistema. Per tutti gli altri non esiste più. Non esiste più per chi si iscrive per la prima volta al Conservatorio potrà farlo solo al triennio o ai corsi do base. Non esiste più per i privatisti. Tutto questo dal 2 novembre prossimo." Non sono un legale - tanto meno un costituzionalista - ma mi domando fino a quale punto tale norma sia compatibile con il dettato costituzionale, che riconosce la scuola privata. Fino al compimento della scuola media superiore, i candidati privatisti di qualunque ordine di scuola - quindi anche quelli del futuro liceo musicale - non possono non essere ammessi: lo impone la costituzione. Non esistono i privatisti nelle università (esistono però le università private che rilasciano diplomi di laurea con pieno valore legale), ma nessuna di queste istituzioni svolge funzioni di scuola media. Se il conservatorio accetta allievi che non frequentano ancora il livello universitario, cioè se in pratica svolge funzioni di supplenza del liceo musicale (che ancora non esiste), non può rifiutarsi di esaminare candidati privatisti nelle sessioni di esame corrispondenti a quelle di un liceo musicale: ciò sarebbe anticostituzionale e, nelle mani di una buona avvocatura, il rifiuto potrebbe essere smantellato. Se il conservatorio non vuole accettare privatisti, perché è un'istituzione universitaria, allora non deve accettare allievi che non abbiano conseguito la maturità liceale; se li accetta, non può rifiutarsi di ammettere, nelle sessione d'esame fino alla soglia dell'università, i candidati privatisti. Il conservatorio non può essere liceo quando gli fa comodo (riempire le classi altrimenti in rischio di spopolamento: non mi riferisco alla chitarra), e smettere di esserlo quando l'esserlo diventa un carico di lavoro (esaminare i privatisti). dralig
  10. Guardi che lo so...infatti è per questo che mi stupisco della sua reazione all'argomento composizione assistita, come se fosse un qualcosa di estraneo all'esperienza compositiva di questo secolo (cita Ferneyhough; lo sa che è un autore che ha contribuito in modo fondamentale allo sviluppo e all'uso di quei software insieme a Grisey, Lindberg, Murail?...per citarne solo alcuni). La mia reazione - il termine è da intendere nel suo significato primario, escludendo la sua accezione estesa - è stata temperamentale, e si riferisce ovviamente al campo delle mie preferenze, esattamente come potrei dire - e chiunque abbia familiarità con le mie composizioni lo può ben constatare - che preferisco il contrappunto all'armonia, senza perciò voler considerare le successioni di accordi come qualcosa di estraneo all'esperienza compositiva di questo secolo. In altre parole, non ho lanciato alcun strale ideologico contro la composizione assistita, ho solo detto che preferisco assistermi da solo (per ora, magari nel mio prossimo futuro c'è una nerboruta e manesca badante). Bene. Controlli quindi che il treno non faccia ritardo la notte. Altrimenti rischia di perdere il treno del mattino. Eccellente occasione per renderLe noto che l'essere in ritardo - lungi dal preoccuparmi - è uno dei privilegi della mia vita artistica, e che ne sono specialmente e consapevolmente soddisfatto. Sa, l'idea di interessarmi alle novità - cosa che faccio con curiosità e attenzione - è per me ben diversa da quella del rappresentare io stesso una novità: non ho il profilo caratteriale e le ambizioni dello stilista. Mi piace, in altre parole, star fermo, e tra l'immobilità delle statue e quella degli spaventapasseri immagino che ne possa esistere equilibratamente una terza, la mia. Picasso diceva: io non cerco, io trovo. Non essendo, come lui, sicuro di trovare, provo a non cercare e a farmi trovare. Pare che funzioni. I pregiudizi sono frutto dell'ignoranza. Credo che Lei abbia conosciuto un numero di chitarristi abbastanza elevato da essersi reso conto che i loro giudizi sono spesso fondati, non già sulla conoscenza delle opere, ma su pulsioni caratteriali e passionali e sul banalissimo sentito dire. Credo di essere generoso chiamandoli giudizi, non meno di quanto lo sia Lei nel chiamarli pregiudizi... dralig
  11. Scusi Fabio, mi domando se davvero Lei abbia assistito a qualche mia lezione nei corsi che frequentò a suo tempo. Si, perché l'analisi delle poetiche è precisamente quella che io svolgo da una vita, mettendo il testo musicale al centro della lezione, levandomi di torno, e avvolgendo il leggio con la spirale analitica (1) storico-estetica (2) musicale (3) tecnico-strumentale. E non ho mai caricato sulle mie osservazioni alcuna componente ideologica - tanto è vero che ho insegnato a leggere composizioni dalle quali mi sentivo lontanissimo, rifiutando solo musiche scritte da dilettanti. Per quale via Le è venuto in mente che lo scopo dell'insegnamento - non solo il mio - non sia stato e non sia quello di dare agli allievi gli strumenti per leggere il testo con cognizione di causa? Perdoni l'arroganza, ma Le risulta che qualcun altro, in campo chitarristico, l'abbia fatto prima di me? Provi a domandare a Magnus Andersson da chi ha ricevuto le lezioni fondamentali per il suo approccio alla nuova musica - quella dei Dillon e dei Ferneyhough, e gli domandi anche se, a dispetto dell'alienità spirituale del docente rispetto a quei testi, qualcun altro glieli ha spiegati in modo più chiaro, con altrettanto immediate connessioni alle uscite interpretative: si, perché è proprio questo il punto - e credevo che, avendo assistito a qualche mia lezione, Lei lo avesse constatato - non ci si fermava alla deduzione analitico-musicale, ci si domandava, subito dopo: va bene, è così, ma come fare a rivelarlo con il suono, con quale diteggiatura, con quale attacco, con quale articolazione... Per andare avanti, bisogna avere contezza di quello che è già stato fatto - specialmente se è stato fatto bene - caro amico: il primo treno del mattino viene dopo l'ultimo della notte! Intanto io penso che "il mondo della chitarra" sia solo una locuzione. Il fatto di suonare lo stesso strumento non accomuna degli strumentisti più di quanto il prendere lo stesso treno accomuni coloro che vi salgono e ne scendono: ognuno, su quel treno, va a mete diverse, con scopi diversi e con differenti motivazioni. Comunque, accettando provvisoriamente - ai fini del prosieguo della discussione - che esista un mondo della chitarra, non credo proprio che la sua composizione corrisponda alle categorie che Lei descrive. C'è il repertorio, e ci sono i chitarristi che lo suonano. Il fatto di costituire - come fa anche Lei - un'entità intermedia chiamata chitarra, che delle varie situazioni si giova o patisce, è un artificio retorico: la chitarra è uno strumento, gli attori veri sono coloro che la suonano e il loro patrimonio è il repertorio. Allora, qual è il grado di conoscenza che i chitarristi hanno del loro repertorio? Per conoscenza, ovviamente, intendo conoscenza storico-estetica, musicale e, dal momento che sono strumentisti, anche e inevitabilmente tecnico-strumentale. La risposta è semplice, perché la induce l'evidenza dei fatti: è una conoscenza limitatissima, e questo è il problema. Gli steccati ne sono una delle conseguenze, un sintomo caricaturale e francamente stupido. Non vorrei scendere troppo nello spicciolo, ma Lei non trova cretina l'affermazione di un devoto di Henze, che sentenzia in un'intervista: "Tra i primi 25 compositori che hanno scritto per chitarra, secondo me non c'è un chitarrista", ed eccolo quindi snocciolare le perle del suo repertorio, salvo poi, un giorno, precipitarsi nel crocchio dei piazzoliani, con una "sentita" esecuzione delle "Cinco Piezas", che fanno bottega? Siamo seri, Fabio, la differenza tra le "categorie" che Lei disegna non è nata nelle aule dove si mette la musica sul leggio e la si legge per quel che è, è nata nella mente dei tipetti che, una mattina, decidono di elevare il cacher dei loro concerti da duemila a tremilacinquecento euro (netti), indipendentemente dal fatto che nessuno si sogni di invitarli a suonare. Quando la buonanima di Ruggero Chiesa mi confidò che non sapeva a chi affidare la recensione delle mie prime due Sonate, gli chiesi rispettosamente se potevo permettermi di esprimere la mia opinione e, avuto il suo permesso per farlo, gli dissi: Bruno Bettinelli (il maggior didatta italiano di composizione, che aveva in classe Muti e Abbado, Pollini e Corghi), e se lui non accetta, meglio non pubblicare nessuna recensione. Lui accettò, e quella è una delle poche cose scritte sulla mia musica che ho ritagliato e conservato. Mi è importato il parere di Carlo Mosso, di Ferenc Farkas, mi ha lusingato l'elogio fattomi pervenire da Goffredo Petrassi, che era curioso di sapere come si faceva a ottenere una certa mescolanza di suoni... Anch'io, come Lei, la vedo dura: la patologia che colpisce i tangueros e gli intemerati elevatori di steccati è fondamentalmente la stessa: fallocefalite acuta, poco importa se accompagnata da ruspante cialtroneria o da sussiegosa superbia. E' dura si, ma per loro. dralig
  12. Uno dei lavori più rilevanti in questo campo è "The Blue Guitar" di Michael Tippett, uno dei massimi compositori britannici del Novecento, che fa diretto riferimento tanto alla poesia (Wallace) che alla pittura (Picasso). Se si fa proprio riferimento al livello qualitativo rappresentato dal brano di Tippett, l'elenco delle composizioni del repertorio chitarristico legate alla letteratura e alla musica si fa scarno. Altrimenti, è davvero lungo. dralig
  13. Lei non immagina in quanti invece fingano. Atteggiamento raro il suo. Lo apprezzo molto. Io leggo tutta la musica alla quale ho accesso, e la leggo sforzandomi di capire il progetto che la regge. Non giudico mai a partire dal mio modo di far musica ma, leggendo, cerco di individuare quello che sta a monte. Non sempre ci riesco: fino a Boulez e Stockhasen, non ho avuto problemi - non parliamo nemmeno di compositori come Henze, che ho sempre letto con facilità naturale; i problemi sono incominciati dopo, con la musica apparentemente più facile. dralig
  14. Colpo basso. Non è lecito utilizzare le sconfitte degli artisti nel mondo per farne un argomento a favore di una propria tesi. Io non farei mai ricorso al giornale dei fallimenti aziendali per sostenere una visione artistica del mondo. Semplicemente, alla partenza riceviamo una tessera con scritti dei numeri della tombola, e con quelli giochiamo: come va l'estrazione, è fuori dal nostro controllo. Lei per caso ha scelto di nascere musicista? Io no, me l'avessero chiesto alla punzonatura avrei risposto male. Però, dal momento che lo sono, intus et in cute, tanto vale giocare bene le mie carte, no? Quali demiurghi, siamo tutti foglie dello stesso albero, e d'autunno le foglie hanno poca voglia di sentirsi ali di albatro... dralig
  15. Francis Bacon, in un'intervista rilasciata a David Sylvester, spiega la differenza tra l'illustrazione e la pittura individuandola non nel fatto che la seconda debba necessariamentere prescindere dalla raffigurazione di oggetti riconoscibili - il pollo, ad esempio - ma da un altro fatto, capitale: la pittura si serve dell'oggetto e della sua stessa riconoscibilità per rappresentare una sensazione, e per trasmettere quella, non la nozione dell'oggetto. La sensazione è propria del sistema nervoso, e il maestro londinese punta quindi a dare una rappresentazione pittorica degli eventi del suo sistema nervoso, supponendo - direi, nel caso della sua pittura, con piena ragione - che il sistema nervoso altrui possa reagire con una certa intensità all'immagine che egli crea. E' una descrizione affatto materialistica della sua arte, e sostanzialmente la trovo non solo accettabile, ma anche efficace, pur non essendo allineato "filosoficamente" a Bacon. La sua macelleria non trasmette orrore e compassione per le creature macellate, ma la percezione esatta del piacere che l'uomo prova nell'infliggere sofferenza. Il suo Innocenzo X rappresenta l'essenza di un'umanità riconoscibile se appena si voglia andare oltre il maestoso decoro della figura di Velazquez, che però "contiene" in potenza la belva scoperta e pienamente rivelata da Bacon. Tutta la pittura è astratta, anche quella del postelegrafonico che dipinge nel weekend paesaggi con la prospettiva sbagliata. Il fatto è che i suoi quadri non provengono da un'elaborazione di sensazioni, ma da un'osservazione superficiale del mondo, e quindi non trasmettono nulla. Se imparasse le regole della prospettiva, si renderebbe capace di dipingere illustrazioni più aderenti alla comune percezione della realtà, ma continuerebbe a far percepire solo il nulla che è in lui. La debolezza del suo sistema nervoso è il suo limite invalicabile. Perché dipinge, allora? La causa di questa insana decisione è del tutto diversa da quella che spingeva alla pittura Rembrandt, van Gogh o Bacon: in entrambi i casi, si tratta di esigenze personali, ma ciò che esige il postelegrafonico è estraneo alla pittura, mentre ciò che esigeva Bacon era esclusivamente pittorico. Ecco, in pittura - o in musica, è lo stesso - un pollo può essere solo un pollo, e allora non è pittura e non è musica, o essere qualcosa di diverso che si manifesta nell'apparenza di un pollo: solo in questo caso è pittura, o musica. dralig
  16. Io si. E quel qualcuno sono soltanto io. Inoltre, ammetto che quando vengo a sapere che la mia musica spiace a certi tipi, ne traggo compiacimento (dal venirlo a sapere). D'accordo su tutto il resto. Credo di aver sviluppato un apparato immunitario ipertrofico nei confronti della storia della musica del Novecento. La trovo scandalosa. Non credo che, nella storia dell'umanità, il talento abbia mai ricevuto una punizione più cattiva. Pur senza essere uno storico - se non per alcuni marginali contributi al ruscello della storiografia chitarristica del secolo scorso - mi sforzo di suggerire ai giovani - ché in loro vanno riposte le speranze residue - di studiarla senza impararla, tanto da poterla vedere diversamente da come la leggono. Comunque, ho netta la percezione di essere un uomo della generazione precedente la Sua, e guardo con rispetto a quello che accade. Non fingo di partecipare, ma osservo con impegno. dralig
  17. Sarei tentato di essere d'accordo, e sostanzialmente cedo a tale tentazione, però...Ecco, se per ideologia intendiamo il risultato dell'osservazione a posteriori di ciò che si è fatto in ambito creativo, si, anche nel rilasciare una banale intervista nella quale banalmente si parla della propria musica, si fa dell'ideologia. Io faccio come so di dover fare, senza saperne esattamente il perché (il "come" è stravinskianamente determinante, imprescindibile, il "perché" è ampiamente facoltativo, derogatorio, inessenziale); poi, osservo quello che ho fatto e ne traggo un modello teorico utile, si, ma a chi? A me, per capire quello che (cavolo) ho fatto (sono il primo a dover capire, e il fatto di aver fatto una certa cosa non è affatto una garanzia di poterla capire, la maggioranza dei geni della storia della musica erano dei bestioni che non capivano un'acca di quel che facevano, anche se lo facevano da padreterni, e bene fece Toscanini a zittire Ravel dicendogli: lei non capisce niente della sua musica), e per farne il mirino per il prossimo bersaglio. Fin qui, ideologizzo, e non ci trovo nulla di male. Dal momento in cui mi si presenta ben altra tentazione - quella di dire: si fa così, si dovrebbe fare così, è fondamentale fare così, è un peccato non fare così, etc., allora incomincia il versante della discesa ideologica, la sua degenerazione. Ammiro Stalin, che voleva un determinato tipo di musica per i suoi sporchi fini: aveva capito il potere e l'importanza della musica, e sapeva come servirsene; anche se era un criminale, era più molto stimabile degli ignoranti che tagliano il Fus pensando che la musica non serva a niente). Non ammiro per niente i compositori che quella musica hanno scritto. E detesto tutti coloro che si rivolgono ai musicisti dicendo loro come fare. dralig
  18. HAL, se fosse programmato a dovere, mi consiglierebbe inanzitutto di non utilizzare dei software di multinazionali che costringono e limitano l'esercizio della creatività musicale (sequencer e software di notazione), e mi suggerirebbe di utilizzare ambienti di programmazione musicale dove ogni utente può parlare per sé vincolando la macchina sul da farsi e non il contrario. Spesso non lo so. Ne francamente mi interessa molto saperlo. Un brano di musica per me è semplicemente necessario, non bello o brutto che sono categorie che ha utilizzato lei quando ha detto allora le ho risposto che se lei allora lo desidera può benissimo adattare quei filtri alle sue esigenze (l'ambiente è programmabile per cui si adatta senza problemi a qualsiasi necessità) . Ma tornando alla sua questione "a che cosa Le servirebbe la macchina, dal momento che sa benissimo da solo che cosa è bello e che cosa non lo è?" ...a me interessa altro...interessano le virtualità nascoste... E' evidente che il compositore nello sviluppare le sue intuizioni, mette in gioco anche altre possibilità, altre virtualità. Il compositore sceglie sempre, indipendentemente dalla macchina o no, da una miriade di possibilità che vincola in modo sempre più approfondito in una sorta di gioco di scatole cinesi. Parafrasando Petrassi l'esito felice di una scelta è sempre bilanciato dal dubbio. E' la logica conseguenza dello sviluppo, inteso come tecnica compositiva. Ci sono molti modi per arrivare a e/o sviluppare una intuizione. Alcuni di questi momenti sono nitidi nella mente del compositore, altri meno. Allora si fa ricorso all'artigianato, che altro non è che un modo per vincolare le nostre scelte. La composizione assistita spesso si inserisce qui. Quindi si valutano le soluzione esattamente come si poteva fare tradizionalmente, indipendentemente dalla macchina e soprattutto indipendentemente da ciò che magari in modo precipitoso abbiamo ritenuto "bello". Questo mi interessa. Esplorare possibilità inespresse. E per quello che riguarda il virtuale possibile in composizione: purtroppo non nascono tutti Mozart, ci sono anche i Beethoven e gli Stravinsky che appuntano come dei dannati. Lei scrive di getto anche negli sviluppi? La composizione assistita, almeno per come la utilizzo io, non interviene sempre e quando lo fa solitamente non interviene su di una composizione "intera". Interviene solo quando si rende necessaria; e non si rende necessaria quando si parla di invenzione! L'invenzione appartiene di diritto al creatore/compositore e difficilmente in questa fase può intervenire il calcolatore. Semmai è in altri momenti che si rende utile: per semplificare come dicevo, nelle forme dello sviluppo, quelle della tradizione, quelle novecentesche e quelle che non si daranno mai in, perchè la mano, nel tempo-uomo, non potrà mai stare dietro alle "intuizioni" di una tale potenza di calcolo. Ho capito. Prima, no, non avevo capito - sono un anziano che ha imparato a usare il computer troppo tardi (sto parafrasando Pavese, ma accade per caso). Ecco, ogni giorno mi rendo conto del mio modo di essere attraverso la constatazione di quel che non sono e di quel che non voglio (altra parafrasi, ma vivaddio, mentre si può rimproverare a una persona persona di aver " visto troppi film ", non le si rimprovererà mai di aver letto troppe poesie). La composizione assistita non la voglio. Non è un rifiuto ispirato da sentimenti negativi, no. E' che io proprio non la voglio per me. Si, io scrivo di getto. Poi, di getto correggo un centinaio di volte. Come diceva Ravel, è difficile che io scriva una nota senza provare, al suo posto, anche le altre undici. dralig
  19. e sorge già un problema di notevole interesse. Chi le dice invece che questi filtri "matematici" non possano effettuare una selezione efficace in base, non ai suoi (della macchina), ma ai nostri criteri del bello? Suppongo che HAL, prima di lavorare a tale selezione, Le domanderebbe che cosa Lei intenda per bello. Lei se la sentirebbe di darLe istruzioni in nome e per conto dell'umanità, o si limiterebbe a parlare per sé? E, nella seconda ipotesi, a che cosa Le servirebbe la macchina, dal momento che sa benissimo da solo che cosa è bello e che cosa non lo è? Certissimamente, e proprio per questo motivo trovo che sia, per il momento, infinitamente più comodo e sicuro inventare un pezzo di musica che selezionarne, attraverso un lavoro dalle proporzioni ago-pagliaio, i frammenti, prendendoli da una serie smisurata di combinazioni elaborate dalla macchina. ag
  20. Cosa intendi per composizione assistita? Qualcosa fatto da una macchina? Se fosse così, il discorso non cambierebbe: se un pezzo funziona, funziona...ma non credo che una macchina possa fare un pezzo musicalmente interessante. Una macchina può elaborare una quantità illimitata di combinazioni tra suoni assegnati, ma non può in alcun modo effettuarne una selezione in base a filtri che non siano matematici. Il concetto di "bello" o di "originale" o di "interessante" non è descrivibile matematicamente, quindi il prodotto delle elaborazioni della macchina dovrebbe poi essere selezionato da un cervello nel quale siano presenti e operativi i suddetti filtri: bello, originale, interessante. Finora, questo cervello è soltanto quello umano. Per scegliere, tra le combinazioni elaborate dalla macchina, quelle corrispondenti a criteri estetici, un essere umano dovrebbe lavorare di più di quanto non gli occorra per creare direttamente qualcosa di bello, di originale, di interessante. Quindi, per il momento, la macchina è efficiente ma del tutto stupida. dralig
  21. Verissimo. Allora, nel bando di un concorso di composizione, specifichiamo lo strumento o l'organico, la durata (se necessaria) e lasciamo a ogni compositore il compito e il diritto di dimostrare di che razza è, evitando di suggerirgli determinati materiali (il che equivale ovviamente a escluderne altri). dralig
  22. Forse solleverò una polemica con queste affermazioni, ma se è vero che una composizione deve "funzionare", è pur vero che il risultato estetico non è sicuramente l'ultimo fattore. In questo secolo si è assistito a sperimentazioni ai limiti dell'assurdo (vedi "Helicopter Quartet", oppure "4,33", per citarne due eclatanti). In nome della libertà si è scritta musica (oppure pause...), che come ha detto Lei in un altro post, ha fatto accademia e ancora oggi, in parte, continua a farla, e molto spesso continua a fare l'accademia di se stessa, mentre il pubblico andava da un'altra parte. Lungi da me mettere un dictat, ognuno si esprime come vuole e meglio crede, soprattutto se lo fa con grande tecnica, ma il mondo non ci segue, il compositore molto spesso è isolato, di nicchia. Non so, ma io vedo nei giovani allievi di composizione (almeno parlo della mia esperienza con gli amici di classe, prima a Matera e ora a Bari), una rinnovata volontà di comunicare quello che si sente, non solo la voglia di una completezza tecnica, quello che insomma molto spesso manca in molta musica del novecento, ovvero la comunicazione. Francesco Caro Francesco, la volontà di comunicare i proprii pensieri e i proprii sentimenti è stata rivendicata da un'intera categoria di compositori - allora giovani - a metà degli anni Settanta: si trattava degli allievi dei più famosi compositori della generazione precedente. Furono pubblicati "manifesti" e si assistette a una sorta di processo intentato dai giovani ai loro mentori. Uno degli scritti più forti fu redatto da Marco Tutino, allievo - vado a memoria - di Giacomo Manzoni, e credo che sia ancora leggibile nelle riviste musicali dell'epoca. E' chiaro che non ci sarebbe stato bisogno di una siffatta presa di posizione se non ci si fosse trovati in vigenza di leggi non scritte, ma applicate con ferreo rigore, che avevano praticamente vietato quello che veniva reso oggetto di rivendicazione. "Brutta" fu l'aggettivo che Tutino adoperò nel descrivere la musica dei compositori della generazione alla quale apparteneva anche il suo maestro. E' chiaro che, da allora in poi, di acqua sotto i ponti ne è scorsa molta, e oggi nessuno questiona più - almeno in sede pregiudiziale - il diritto del singolo compositore di fare quel che vuole. Personalmente, ritengo che la musica scritta da autori come Solbiati, Cappelli, Francesconi, Vacchi e altri sia di ottima qualità, e che sia ascoltabilissima da parte di chiunque abbia assimilato le opere del primo Novecento, sia quelle viennesi che quelle francesi e italiane. Non dobbiamo però credere che tutta la musica scritta negli anni Cinquanta e Sessanta sia inascoltabile: ci sono pagine notevolissime, che si lasciano accostare con immediatezza, nonostante i veti e i precetti sotto i quali furono scritte. Certo, occorrerà una messa a punto delle prospettive storiche, per aggiustare giudizi di valore molto distorti: per fare un esempio, la musica di Niccolò Castiglioni è molto superiore a quella di Nono, Berio e Maderna, e questa, che per me è un'evidenza, è lungi dall'essere stata riconosciuta, e non è un caso che, nell'ascoltarla, non si incontrino maggiori difficoltà di quante ne incontri il neofita che ascolta per la prima volta la musica di Debussy. Insomma, alla fine, i compositori che avevano qualcosa da dire, lo hanno detto, e sarebbe un peccato non coglierne il valore solo perché sono appartenuti a un'epoca dominata dall'ideologia invece che dalla bellezza. dralig
  23. Argomento molto interessante. Due domande: 1) La sperimentazione sonora e quindi anche compositiva anche solo riferita al repertorio chitarristico degli anni 60 e 70 può essere legata ad una difficoltà (o, perchè no, incapacità) di espressione attraverso la costruzione e il conseguente rispetto di una struttura o forma, che dir si voglia? No. Negli anni Sessanta e Settanta fu scritta buona musica per chitarra che, pur non facendo diretto riferimento a forme adoperate in passato, non denunciava alcuna difficoltà nella costruzione e nella strutturazione dei brani, anzi ne esaltava, insieme ad altri aspetti, i valori formali. Menziono solo tre titoli di autori italiani, ma la lista potrebbe essere ben più lunga: "Nunc" di Goffredo Petrassi, "Las seis cuerdas" di Alvaro Company, "Algo" di Franco Donatoni. I tre autori in questione avevano un'idea ben definita del "mondo sonoro" al quale intendevano dar vita con la chitarra, e si servirono di forme create ad hoc, adoperando anche la timbrica in funzione strutturale, non per scopi estetizzanti. Più avanti, Luciano Berio, nella Sequenza XI, fece la stessa cosa - naturalmente a modo proprio. Questi erano compositori che non pativano di difficoltà e che avevano carte da giocare. Allo stesso modo, nei primi anni Sessanta, Castelnuovo-Tedesco e Rodrigo componevano i loro bravi pezzi tonali, del tutto legati alle rispettive tradizioni. A deriderli e a escluderli dai dizionari erano soltanto i soldatini della sedicente nuova musica, quelli in eskimo e barba. Io ho letto la lettera che Petrassi scrisse al suo ex-allievo Wolfango Dalla Vecchia in accoglimento della musica di "Variati amorosi momenti", appena pubblicata da Zanibon - composizione del tutto tradizionale. Ebbene, il grande maestro romano non spendeva una parola riguardo al tipo di linguaggio musicale adottato dal compositore padovano, e lo elogiava caldamente per la bellezza e la perfezione formale del suo lavoro per chitarra. Guarda, un bando di concorso come quello qui pubblicato, negli Stati Uniti farebbe ridere. Nessun musicista, che non sia un rudere culturale o un idiota, accetta oggi di sentirsi dire che cosa può fare e che cosa non può fare: se è onesto, fa quello che sa fare come ritiene giusto farlo, e se è disonesto tenta di ingannare il prossimo menando il can per l'aia. Caro Cristiano, se un brano - quale che sia il suo orientamento di linguaggio - è stato scritto da un compositore, lo si vede - prima ancora di sentirlo - guardando per dieci secondi la prima pagina del suo testo; se l'ha scritto un dulcamara, dieci secondi sono anche troppi. Non c'è modo di darla a bere. Poi, che il brano sia atonale o "di ricerca", o che sia in mi minore, non conta un accidente, esattamente come non conta un accidente il fatto che il compositore sia credente o ateo, di destra o di sinistra, eterosessuale o gay. E ogni pregiudizio al riguardo sa di polizia politica, di chiesa con braccio armato, di valle di Giosafat anticipata in questo mondo. dralig
  24. E' importante ribadire questo concetto. Perchè, come si è visto, non è solo la "società" a non comprenderlo. E'una deformazione culturale che ormai si sta diffondendo anche nei Conservatori e nelle Università. Riporto, a proposito, anche le parole di Luciano Berio: " Non ho intenzione di occuparmi di musica come rassicurante mercanzia emotiva per l'ascoltatore o come rassicurante bagaglio procedurale per il compositore. Mi piace invece leggereo ascoltare la musica che si interroga, ci interroga e ci invita ad una costruttiva revisione o, addirittura, a una sospensione del nostro rapporto con il passato e a una sua riscoperta sulle tracce di percorsi futuri". Non avevo ancora trent'anni quando, sul "Corriere della Sera", invitato dal direttore Piero Ottone, Pier Paolo Pasolini pubblicava i suoi articoli. Non avevo mai amato - lo confesso - la sua poesia, e nemmeno come romanziere mi sembrava grande, ma quegli scritti mi rivelarono lo scrittore civile e il critico della società, acuto e profetico, che erano in lui: non guardava all'Italia e agli italiani con gli occhi di Marx, ma con quelli di un umanista che assiste alla demolizione dei templi. Mi sfuggiva tuttavia, nella sua completezza, il senso dell'accusa che egli rivolgeva ai dirigenti della politica nazionale: degradazione antropologica del popolo italiano. Oggi, ne abbiamo sotto gli occhi l'agghiacciante evidenza. La musica. Si assisteva, da un lato alla festosa occupazione dei mezzi di comunicazione da parte dei canzonettari, che raccoglievano, nella mente delle masse - il popolo non c'era più - il riconoscimento che il popolo di un secolo prima - e anche in tempi meno lontani - aveva tributato a Verdi e a Puccini, a Mascagni e a Leoncavallo. I tipi come Berio erano intenti a negare alla crassa borghesia il piacere gastronomico dell'ascolto (mercanzia emotiva), a scrivere guide all'ascolto della musica che - lette soltanto dai loro allievi - stabilivano qual era la musica ("e su ogni altro, derisione e silenzio", scriveva Eugenio Montale): "Non è abbastanza contemporaneo", si disse a più di un autore, e Bruno Bettinelli, comportandosi come un capo dei partigiani trent'anni prima, prese il coraggio a due mani e scrisse un articolo esortando i giovani che volevano comporre, a far che?, a studiare composizione, fatica ormai ritenuta superflua. Ed eccoci qui, ad assistere alle invettive del grande violinista contro Allevi. Mica che, da parte di qualcuno, si senta dire: forse, abbiamo commesso degli errori. No, lorsignori non sbagliano mai. Palmiro Togliatti, prima di leggere un discorso in parlamento, lo faceva mondare di ogni virgola fuori posto da un letterato di fiducia: non ne avrebbe avuto bisogno, ma il rispetto che aveva delle istituzioni lo induceva a cercare la perfezione, e nel dare addosso a de Gasperi si preoccupava di scrivere in buon italiano: a lui, nessuno avrebbe osato parlare di Concina, l'autore di "Vola colomba", come di un grande musicista. Sentendosi vicino alla morte, Stalin invocò che gli facessero ascoltare il Concerto in re minore di Mozart suonato dalla Maria Yudina, una pianista che non aveva paura di contrariarlo, e che lui aveva messo a vivere in due stanze di una casa popolare, in fondo a un ballatoio. Non avevano la registrazione, tirarono giù dal letto la Yudina e i professori dell'orchestra di stato e registrarono il concerto. Eccoci qui, con Allevi in Senato: il nuovo Chopin. Siamo a posto, ragazzi. Adesso, a fare in buon peso, arriva la Gelmini, che riformerà la riforma dei Conservatori. Qualcuno dice: speriamo che li chiuda. Gesù, chiedo perdono: quando sento questa bestemmia, e penso ai professori analfabeti che fanno da relatori delle "tesi di laurea", sono tentato di ripeterla. dralig
  25. Tutto ciò è fuori dalla mia mente di musicista, ma non mi rifiuto di rifletterci. Ci penserò, cercherò di capire. dralig
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