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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. Grazie, Maestro, per la preziosa segnalazione. Che lei sappia è prevista una traduzione in lingua italiana?

     

    Non lo so, a lume di buon senso mi sembra improbabile che una casa editrice commerciale italiana si sobbarchi l'onere di far tradurre e di pubblicare una biografia di 1300 pagine, ed esorto quindi coloro che sono interessati all'argomento a imparare il castigliano: sicuramente, il tempo che occorrerà loro per apprendere la lingua sarà più breve di quello che trascorrerà in attesa di un'edizione italiana.

     

    dralig

  2. Chi distribuirà i tomi? O meglio, come sarà possibile acquistarne una copia?

     

    Darò ragguagli appena ne giungerò a mia volta in possesso. Quello che so, per il momento, è che la biografia è stata pubblicata e presentata ufficialmente - ero invitato all'evento, ma non ho potuto partecipare - e che una copia della medesima è en route verso la mia cassetta della posta.

     

    dralig

  3. E' stata presentata ufficialmente, in una cerimonia svoltasi mercoledi 24 marzo 2010 presso la Fondazione Andrés Segovia di Linares, la biografia del grande chitarrista, scritta da Alberto Lopez Poveda. E' questa sicuramente la biografia più ricca, documentata e attendibile finora data alle stampe su Segovia. Consta di due volumi, uno dei 864 pagine e un altro di 408. pubblicati a cura dell'Università di Jaén e del Municipio di Linares, e s'intitola: "Andrés Segovia/Vida y obra". E' scritto in castigliano.

     

    Alberto Lopez Poveda, amico intimo di Segovia, ha dedicato 40 anni alla raccolta e allo studio dei documenti riguardanti la vita di Segovia, in ciò incoraggiato dallo stesso maestro, che gli diede e gli fece dare da altre persone una quantità enorme di materiale. Egli ha ordinato e catalogato tutte queste fonti, e su di esse ha costruito la sua biografia, oggi finalmente disponibile. Egli è stato il fautore della nascita della Fondazione che a Linares è stata creata in memoria di Segovia, e ne è tuttora - nonostante la sua avanzata età, 94 anni - il reggitore e l'anima.

     

    Mi riservo di scrivere in sede giornalistica un articolo su questa pubblicazione, che rappresenta un fortissimo contributo alla storia della chitarra.

     

    AG

  4. Se il tanto perfettino Dralig mi cita testualmente, è invitato ad evitare il giochetto del "taglia incolla", perchè nel mio scritto il nome non sta in quella posizione; così, giusto perchè sono un poco fastidioso.

    Sul contenuto, è vero faccio ammenda e chiedo scusa al M° Zigante, in quanto il riferimento al Preludio non è corretto ma va ad una seconda versione dello studio n. 10 che se non sbaglio è incisa in un CD intitolato "L' Opera completa per chitarra sola" dello stesso Zigante, ma filosofia di ciò che ho espresso è la stessa.

    Giorgio Tortora

     

    Non occorre essere perfetti per opporsi alla diffusione di fanfaluche: basta essere intolleranti nei confronti di coloro che le inventano e cercano di propagarle: in questo forum, non funziona.

     

     

    dralig

  5. a basato Villa Lobos, ovvero la nuova edizione dei Preludi che Max Eschig si apprestava a dare alle stampe. Non condividevo l'operazione in quanto, se da un lato sarebbero stati risolti quei famosi "errori" di comune conoscenza, o, aggiunto o tolto qualche nota, dall'altro cadeva ovviamente mio dogma. Ecco il mio ragionamento "... quando un'opere viene data "alle stampe" (così di dice) essa ha una serie di via libera da parte dell'editore, del compositore e molte volte del mediatore, quindi difficile pensare che una persona autoritaria e irascibile come Villa Lobos non fosse conscio,magari non soddisfatto, ma conscio dei vari sforbiciamenti o aggiunte di Segovia. Il nuovo revisore corresse i Preludi con nuove indicazioni attingendo - ovviamente - dai manoscritti, inserendo anche il sesto Preludio (che Segovia aveva scartato perchè secondo lui .....).

    Giorgio Tortora

     

    Nella nuova edizione dei "Cinq Préludes" pubblicata nel 2007 da Max Eschig a cura di Frédéric Zigante non esiste alcun Preludio oltre a quelli già noti. La notizia del recupero del (fantomatico) sesto Preludio nell'edizione in oggetto è palesemente falsa.

     

    Nella gestazione e nell'edizione dei "Cinq Préludes", Andrés Segovia non ebbe parte alcuna. Anzi, Segovia fu preceduto, nella prima esecuzione di due dei cinque Preludi, dall'allora suo discepolo Abel Carlevaro, che ricevette i manoscritti direttamente da Villa-Lobos, con il quale aveva avuto contatti indipendentemente da Segovia.

     

    Per il futuro della chitarra, sarebbe intanto utile non intorbidare il presente propagando falsità.

     

    dralig

  6. Sono questi?

     

    Barbieri, Girolamo (VOB 0274)

    4 / IMPROVVISI / PER / Chitarra / Composti e dedicati all'Egregio Chitarrista / Sigr. Carlo Girometti / dal Maestro / G. Barbieri / Membro Accademico della Congregazione di S.Cicilia in Roma. ... 80759 N.2 La Rimembranza / MILANO: G. RICORDI & C., Pl.no. 80759-62, 5 pp. / Engraved.

     

    Barbieri, Girolamo (VOB 0275)

    4 / IMPROVVISI / PER / Chitarra / Composti e dedicati all'Egregio Chitarrista / Sigr. Carlo Girometti / dal Maestro / G. Barbieri / Membro Accademico della Congregazione di S.Cicilia in Roma. ... 80764 N.4 L'Addtio / MILANO: G. RICORDI & C., Pl.no. 80764-62, 5 pp. / Engraved.

    Barbieri, Girolamo (VOB 0276)

     

    4 / IMPROVVISI / PER / Chitarra / Composti e dedicati all'Egregio Chitarrista / Sigr. Carlo Girometti / dal Maestro / G. Barbieri / Membro Accademico della Congregazione di S.Cicilia in Roma. ... 80770 N.3 L'Allegria / MILANO: G. RICORDI & C., Pl.no. 80764-62, 4 pp. / Engraved.

    Barbieri, Girolamo (VOB 0278)

     

    4 / IMPROVVISI / PER / Chitarra / Composti e dedicati all'Egregio Chitarrista / Sigr. Carlo Girometti / dal Maestro / G. Barbieri / Membro Accademico della Congregazione di S.Cicilia in Roma. ... 80758 N.4 Foglie e Fiori / MILANO: G. RICORDI & C., Pl.no. 80758-62, 3 pp. / Engraved.

     

    ma sono editi da Ricordi? ...

     

    grazie

    m

     

    Si. Li ho trovati nel fondo di Stoccolma.

    dralig

  7. Pardon: Mario Barbieri, quello che ha scritto: "La Serra".

     

    ...essendone stato il primo esecutore, ben conosco "La Serra". Ti interesserà sapere - se già non ne sei al corrente - che nella tua regione tale Girolamo Barbieri, organista, fu in pieno Ottocento uno dei pochissimi autori che si azzardarono a comporre per chitarra. Ho invano tentato di richiamare l'attenzione dei cultori del "nostro strumento" sull'esistenza di tali dignitosissimi brani.

     

    dralig

  8. Vorrei aggiungere una osservazione, con un esempio per spiegarmi meglio.

     

    L'osservazione è questa: tanti chitarristi, nel momento di intraprendere una attività concertistica diciamo così "tradizionale", mi paiono oggi poco consapevoli di quella pluralità di concezioni sottese allo scrivere, interpretare ed ascoltare di cui scrive Angelo Gilardino.

    Spesso pensano ad un "programma tipo" per un "contenitore tipo" che è ancora il recital, tutto sommato di stampo ottocentesco anche se si è perpetuato e sembra ancora essere l'unico contenitore utilizzabile. Quella idea rituale di recital però nasceva in un mondo in cui tutto sommato una idealità comune nel pensare alla musica ed alla sua funzione era ancora presente, pur con tutte le differenze interne, certo molto più rispetto alla babele di oggi.

    Così che il prodotto "tipo" testimoniato da tanti programmi da concerto rischia oggi di essere talmente generico e formalmente ritualistico da risultare insignificante, nonostante le buone intenzioni ed anche le oggettive abilità, talvolta notevolisime, messe in campo. Al massimo si fa strada oggi la distinzione tra un generico recital "culturale" ed un generico recital "disimpegnato".

    E credo sbaglino i direttori artistici, anche dei festival di chitarra, ad insistere nel non dirigere artisticamente (cioè nel non rischiare su concezioni e progetti precisi) ma nel perpetuare questa genericità, in favore (o a danno) di un pubblico che viene anch'esso, tentativamente, appiattito in una genericità.

     

    E' possibile tentare qualcosa di diverso?

    Un piccolo esempio, per spiegarmi:

    Qualche giorno fa ho proposto il programma che copio qui sotto nell'ambito della presentazione del volume su Romolo Ferrari. Nel presentare i pezzi ho detto che avevo fatto le mie scelte cercando di illustrare le aperture culturali di alcuni chitarristi di quella epoca e che io condivido; aperture che si erano espresse nel cercare la collaborazione con compositori importanti di quella epoca (Ghedini, Malipiero, Desderi, Barbieri, Ferrari - Trecate), nel valorizzare il repertorio liutistico riscoperto recentemente da Chilesotti ed altri (Caroso) e ottocentesco (Paganini), nell'indire addirittura un concorso internazionale di composizione (vinto da Breguet).

    Poi facevo notare la differenza di posizione, interna ai compositori presentati, rispetto al rapporto con la tradizione: il misterioso nesso di attrazione, ma già amaramente consapevole di una frattura, che vediamo in Malipiero e Ghedini, una certa prosecuzione "ingenua" del romanticismo che vediamo in Barbieri e Desderi, un atteggiamento più scanzonato e attento alla resa concertistica sicura che si può vedere in Castelnuovo- Tedesco e Ferari - Trecate. Concludevo con un pezzo nuovissimo (il commosso pezzo di Cappelli scritto per commemorare l'amico Maurizio Biasini) a testimonianza di una continuità nel tentativo di coinvolgere compositori importanti nella scrittura chitarristica, ed invitavo tutto il pubblico, a partire da alcuni giovani chitarristi presenti in sala, a prendere posizione a sua volta di fronte a tanti diversi modi di fare musica. L'ambiente era adatto, un auditorium raccolto, nel contesto di una giornata di studi; nel bene o nel male (giudicherà chi c'era) il tentativo era di offrire un momento di ascolto non generico ma che, dando le ragioni delle scelte, aiutasse ciascuno ad un approfondimento personale.

    Copio il programma; avevo raggruppato i pezzi per favorire la consapevolezza degli accostamenti proposti:

     

    Jacques Brèguèt: Intrada

    Fabritio Caroso: Aria e Danza (trascr. Bruno Tonazzi)

     

    Niccolò Paganini: Romanza e Sonata 37

     

    Antonio Barbieri: Due Preludi

    Gian Francesco Malipiero: Preludio

     

    Luigi Ferrari - Trecate: Scherzo

    Giorgio Federico Ghedini: Studio da Concerto

     

    Ettore Desderi: Improvviso

    Mario Castelnuovo - Tedesco: Tarantella

     

    Gilberto Cappelli: Per Maurizio (2009

     

    Forse è il momento di ritornare (lo diceva il celebre critico d'arte Longhi?) alla "committenza": persone precise che fanno richieste precise agli artisti. (O musicisti che offrono proposte precise ad interlocutori con esigenze precise ed identificate).

     

     

    Antonio Barbieri?

     

    dralig

  9.  

     

    Forse è il momento di ritornare (lo diceva il celebre critico d'arte Longhi?) alla "committenza": persone precise che fanno richieste precise agli artisti. (O musicisti che offrono proposte precise ad interlocutori con esigenze precise ed identificate).

     

    Idea commendevole, se tale committenza esistesse. Non ci sono più le corti e i conventi, che ordinavano dipinti e che mantenevano musici per i loro diletti. Il borghese uscito dalla Rivoluzione francese è diventato un consumatore che, in qualità di committente, tutto quel che sa fare è accendere la televisione. Gli corriamo dietro offrendogli musica confezionata per le sue flosce meningi? Lo ingiuriamo - come ha fatto la cultura marxiana per decenni - cercando di renderlo responsabile e quindi in grado di comprendere la poesia, la musica, la pittura, il cinema, e di farne strumenti di riforma della sua vita senza senso?

     

    dralig

  10. Ciao Marcello, io sono probabilmente il meno indicato a risponderti visto ciò che scrivo, ma proprio perchè amo alla follia la chitarra e continuo da una vita a studiare, e per studiare intendo Studiare, mi sento di dirti che è vero, il repertorio, lo spessore dello scritto, la "classica", ma prima, per me, c'è la persona, il perchè di una scelta; l'operato di un artista, esecutore o compositore che sia, non può essere valutato solo alla luce di ciò che fa (come sempre è una mia semplice osservazione), ma di come lo fa e del perchè lo fa. L'onestà intellettuale non può venir messa in secondo piano, neanche rispetto ad una produzione alta e nobile, perchè ne inficerebbe il senso, nascosto e inaccessibile ai più magari. Quando parli di "io ai tempi...." ti condivido in pieno, sai tu quanto, ma ho paura che così facendo perdiamo di vista degli aspetti importanti, come la comunicazione ad esempio, rischiamo di parlare per noi stessi e per i nostri simili...mi sto allontanando troppo Marcello? non so, vorrei ragionare anche sulle persone ecco, non solo sul repertorio, perchè come sai bene la testimonianza che ogni giorno facciamo quando prendiamo lo strumento e ci accingiamo a studiare-scrivere-insegnare è forte, anzi deve essere forte quanto ciò che studiamo-scriviamo-insegniamo. Aiuto mi sto incasinando ma spero di aver reso il concetto....ciao

     

     

    Si..forse hai ragione Giorgio...

    ma una volta esisteva la Musica Classica, la Leggera, il Rock il Pop..ecc..e di conseguenza Bream non era Joe Pass, Pollini non era Renato Carosone..(non sto facendo graduatorie di merito, sia chiaro)...ma semplicemente...sono cose diverse..o almeno ho creduto per anni che lo fossero! ..ecco..penso mi sono perso qualcosa..

    sono diventato vecchio...è evidente...

    io ho "imparato" ad ascoltare la musica con il tempo, non era facile sentire un quartetto di Beethoven ma pian piano si è rivelato questo splendido mondo ed è stato un crescendo di sensazioni..fino alle cose più complesse..la chitarra mi ha "portato" dai semplici studi di Carulli fino alle elucubrazioni di un Von Einem e..oltre...ma davvero faccio fatica a ..sentire alcune cose..ma temo sia un problema mio...

    perdonatemi..mi adatterò...

    peccato che è tardi per ..cambiare..strumento

    marcello :)

     

    Perché cambiare strumento, se con la chitarra ti trovi bene? Intanto, smettila di chiamarla "il nostro strumento" (metafora freudiana) e di pensare alle sue sorti (più o meno magnifiche e progressive, di questi tempi), e pensa invece soltanto a quello che fai tu con il tuo (non nostro) strumento: ti accorgerai che non esiste - né potrebbe - una comunità affratellata da un ideale - o, se vogliamo, da un progetto - ma una quantità di persone, ciascuna delle quali ha un proprio intelletto, una propria cultura, una propria formazione, un proprio gusto, stile di vita, concetto del far musica, obiettivo, etc., e ti ritroverai in quella beata solitudine che è essenziale alla ricerca artistica. Da lì in poi, ne darai fuori i frutti attraverso i tuoi concerti, le tue registrazioni e il tuo insegnamento, senza preoccuparti minimamente di ciò che fanno gli altri, perché avrai realizzato come il fatto che suonino il tuo stesso strumento non li accomuni a te più del fatto che tutti parliate l'italiano, lingua nella quale si possono scrivere poesie e romanzi o recitare il telegiornale, spettegolare e dire banalità e sozzure - non solo da parte dell'empio popolo, ma anche da parte di governanti e parlamentari.

     

    Ci si ritrova, è vero, in un forum, o in situazioni reali e non virtuali, come i festival di chitarra (che, tra l'altro, possono essere benissimo evitati) , ma per scambiare informazioni o per fornire prestazioni professionali, non per condividere ideali, passioni, progetti, sentimenti: il tom tom non è la carta costituzionale di una repubblica, è solo una guida toponomastica, il forum chitarristico non è il luogo della concordia tra esponenti di una guilda gloriosa, ma un pub simile alla stazione di Guerre Stellari, dove puoi incontrare il Pilota e il suo buon secondo Dewbecca, ma anche loschi e abietti provocatori con i quali puoi avere in comune, appunto, il pub, ma non le ragioni che ti hanno spinto a entrarci. A me ripugna l'idea che la chitarra che io coltivo abbia qualcosa in comune con quella coltivata da altri, e mi dà fastidio che qualcuno di loro, parlando con me, dica "il nostro strumento": se il mio strumento fosse come il loro, oggi stesso cambierei mestiere.

     

    Giorgio si interroga sulla comunicazione. Fa bene. Vorrei però domandargli in quale modo, diretto e concreto, il proposito umanissimo di comunicare influenzi il suo modo di scrivere musica. Il pensiero musicale e le forme che ne derivano sono la manifestazione di un processo che si sviluppa nella mente del compositore a partire dalla sua realtà esistenziale, che è collocata nel mondo, che nel mondo vive e che con il mondo interagisce e comunica per la maggior parte delle 24 ore di cui è fatta una giornata. Persino dormendo, popoliamo i nostri sogni con gli altri, abbiamo che fare con loro. Come si potrebbe, nell'atto di scrivere musica, escludere la radice del nostro essere, che ci spinge continuamente a comunicarci agli altri? Nemmeno nel periodo della più algida ricerca strutturalistica degli anni Cinquanta e Sessanta, quando si affermava di voler negare alla crassa e supina borghesia consumatrice il piacere di un ascolto gastronomico, di fatto si rinunciava alla comunicazione, perché nello scrivere musica che negava ogni appiglio cognito all'audizione di coloro che nel frattempo stavano diventando i fans di Nilla Pizzi, si comunicava qualcosa: un concetto, una volontà, una tendenza.

     

    E allora sarà bene dire le cose come stanno: ciascuno, nel far musica, manifesta quello che è, intus et in cute, in sè stesso e nel mondo. Se scrivo delle banalità o delle scemenze musicali, non posso giustificarmi proclamando che sto cercando una comunicazione vasta: sto comunicando con chi intende solo banalità e scemenze. E' proibito? No, basta accendere la televisione per esserne sommerso, da mattina a sera, in campo musicale e in tutti gli altri campi, ma mi incombe il dovere di riconoscere che, se scrivo musica banale,

    io stesso sono banale: nessuno mi ucciderà per questo, anzi, probabilmente salirò nella sacra graduatoria delle SSS (soldi, successo, sesso), ma sia ben chiaro che sono quel che faccio, che non ho un aldilà nel quale potrei manifestarmi se il mondo fosse diverso e migliore: sono io, con la mia musica "di comunicazione", che lo rendo com'è.

     

    Se si crea qualcosa che non coincide con le aspettative della massa, ci si isola, si fa nicchia? Pazienza. Pur di non ritrovarmi appiccicato qualche cialtrone che mi aggredisce o mi abbraccia (fa lo stesso) nella convinzione demenziale che "il nostro strumento" ci renda simili, o peggio uguali, sono dispostissimo a star da solo per il resto dei miei giorni: e questo non significa che non comunico, significa che non ho niente da dire alle genti del grande fratello, dei talk show e delle classifiche discografiche, e che quello che ho da dire non passa né attraverso i loro orecchi e le loro menti. Con il loro voto, si formano i governi che abbiamo, non quelli dei quali avremmo bisogno.

     

    dralig

  11. Il Mac è fantastico, niente da dire, tutto gira a meraviglia e anche Rosetta, l'unico font che mi dato un minimo problema, è a posto.

    Una domanda per chi come me è passato da poco alla mail di Mac: si può importare la rubrica di Outlock in Mail? Grazie a chi saprà darmi info!

     

    Io ho trasferito tutto il contenuto di Outlook -compreso un archivio messaggi con migliaia di files - al corrispondente software di Mac, chiamato Entourage (fa parte del pacchetto Office per Mac) - con un piccolo software americano, che costa dieci dollari. Ha fatto tutto benissimo, con qualche attenzione nell'uso

     

    dralig

  12. Il suo faccione campeggiava nelle buste delle corde...

     

    la dimensione del cantino è rimasta la stessa nelle mute sopracitate? oppure erano solo su richieste specifiche?

     

    Segovia aveva chiesto a Rose Augustine di fabbricare per lui dei cantini con un calibro maggiore di quello normale, una via di mezzo tra il mi normale e il si. Naturalmente, fu accontentato. Credo che la Augustine ne avesse fatto un rotolo, dal quale tagliava le corde in base alle richieste del maestro. Il grand'uomo, quando trovava un mi buono, era capace di tenerlo tre anni. Quando io le chiesi la stessa cosa, fu sorpresa e me ne regalò una bella matassa. Io fui più sorpreso di lei, perché non immaginavo che qualcuno le avesse mai chiesto una cosa simile...

    Tutto finì lì, non mi risulta che abbia mai messo in fabbricazione standard quello che io chiamavo "il mione". Non sarebbe stata - commercialmente - una buona idea. Adesso mi viene in mente che, di questi mi, ne aveva anche Alice Artzt, che abitava a NY ed era amica della Rose. Quando questa passò a miglior vita, domandai a Stephen Griesgraber, il suo erede, se da qualche parte c'era ancora quel rotolo con qualche avanzo. Mi disse che avrebbe cercato, poi non ne ho più saputo niente...Lo avranno buttato via, pensando che era un esperimento bizzarro riuscito male.

     

    dralig

  13. Dopo 15 anni di Windows, non ne potevo più e ho cambiato.

    dralig

    Io invece sono stato abbastanza fortunato perché nel '91 ho iniziato, per puro caso, con un Mac (Si II con 9 Mb (!!) di ram e 40 MB di HD, avevo Finale nella versione 3 e ProTools ancora non esisteva ma c'era solo una versione stereo che si chiamava Sound Tools... come mi sento vecchio!).

    Ora ne ho 5 (MacPro, G5, 2 iMac, MacBook), tutti collegati in rete e, tramite QMaster, visti come un unico computer, per cui i processi sono quintuplicati in velocità, il che, soprattutto per le conversioni dei video, è una soluzione incredibilmente vantaggiosa.

    E per settare tutto questo ho dovuto fare..... niente di niente.... 

     

    L

     

    PS per Angelo: se ti piace la font delle diteggiature e dei numeri cerchiati delle corde, usata nella tua/nostra edizione dei Preludi e Fughe di Castelnuovo Tedesco, posso inviartela. Si chiama, manco a dirlo, font Matarazzo, e fu creata per l'occasione!

     

    Terrificante, Lucio. Mostruoso. Mi sento, informaticamente parlando, una scimmia. Certo, mi piacerebbe il font Matarazzo. A proposito di font, l'unico problema che ho incontrato nel passaggio - ormai compiuto - da Windows a Mac è proprio un font musicale, il bellissimo November della Klemm Music Technologies, con il quale ho preparato le edizioni dell'archivio Segovia. Snow Leopard rifiuta l'installazione da CD - non vuol saperne di ambiente Classic, dice - e i due files di upgrade gentilmente inviatomi da Klemm si installano, si, e i nomi del font appaiono nella lista dei font, ma i caratteri non vengono attivati nel programma, e i files scritti con November mostrano simboli diversi invece delle note e delle chiavi. Temo di aver scoperto un'incompatibilità tra un font musicale e il più recente sistema operativo di Mac. La solita fortuna, ogni volta che esco dall'aiuola della musica!

     

    dralig

  14. Due anni?! Fantascienza, per il sottoscritto.

    Ma non per amore del nuovo o pigrizia (io non le lavo ma le pulisco due o tre volte con l'alcool denaturato e durano circa 15/20 giorni nei casi migliori) ma perchè le corde si distruggono, letteralmente.

    Le tre rivestite si sfilacciano all'altezza della V - VII posizione.

    Le tre non rivestite in circa 10 giorni presentano letteralmente dei solchi nei punti di attacco delle dita della mano destra.

     

    Una cosa è suonarci Barrios, un'altra Gilardino.

    Una cosa è suonarci Llobet, un'altra Tomas Marco.

    In entrambi i secondi casi cinque/sei ore di studio filato per meno di una settimana riducono le corde in stati pietosi.

     

    [Provocation Mode ON]

    Ci pensi la prossima volta che decide di scrivere un terzo tempo come quello del Concerto di Oliena!

    [/Provocation Mode OFF]

     

    Io non so mica quello che scrivo, so solo come scriverlo.

     

    dralig

  15. Dovendo cambiare spesso le corde per il continuo studio, da anni adopero la stessa muta di corde che come rapporto qualità-prezzo mi sembra accettabile. Non mi son mai posto il problema sulla qualità delle singole corde rispetto ad altre.. di conseguenza non ho mai svolto una personale indagine su quali (corde) rendano meglio col mio strumento.

    Prima di sondare chiedo a Voi. Qual è la prima corda, sia ad alta che a media tensione, che secondo voi suona (in termini di proiezione e sostegno) meglio?

    Un saluto

     

    Innanzi tutto, è bene cambiare le corde quando è necessario. La stragrande maggioranza dei chitarristi butta via corde che potrebbero essere impiegate ancora per settimane, se solo venissero lavate. Un ottimo sistema per non sprecare corde (specialmente i bassi) è quello di smontarle (a una a una, mai disarmare completamente lo strumento), di lavarle (visto che l'abitudine di lavarsi le mani prima di suonare non è molto amata), asciugarle e rimontarle al contrario (in modo che i punti di contatto con le barrette non siano gli stessi di prima). Bassi che danno ancora gli armonici, e che in compenso non sono più rumorosi nei cambi di posizione, vengono spietatamente gettati nella spazzatura. Sono solo sporchi, lerci, a causa dei depositi di polvere e di epidermide che il sudore raccoglie e incrosta tra le maglie. Lavarli, non buttarli. E dire che costano!

     

    Le tre corde di nailon, fino a che non perdono l'intonazione, non si cambiano. Trovare un sol che dia l'ottava giusta è poco meno di un miracolo, e quando mi è capitato l'ho tenuto per due o tre anni - non c'è il minimo motivo per cambiarlo. Segovia tenne un sol per parecchi anni - quando incominciò a stonare ne fece una malattia. Il problema di solito è il cantino: è quasi sempre stonato. Comunque, le fabbriche tendono a farlo troppo piccolo. Nel 1973, chiesi a Rose Augustine se poteva farmi dei cantini un po' più grossi. Ne fu meravigliata e me ne regalò una dozzina (ci campai per il resto della mia carriera concertistica). Io a mia volta mi meravigliai del fatto che li avesse già pronti. "Solo un altro chitarrista me li ha chiesti prima di lei", mi rispose. Inutile domandarle chi era stato il committente. Il suo faccione campeggiava nelle buste delle corde...Immortale la risposta di Siegfried Behrend al solito intervistatore-chitarrista: "Maestro, con quale frequenza cambia le corde?". "Io? Non le cambio mai, a meno che non si rompano".

     

    dralig

  16. ditemi che si impara tutto velocemente e che Finale è come sul pc e che non dovrò lasciare ammuffure la bici e gli sci per imparare a farci qualcosa...

     

    Tre giorni fa è arrivato l'I Mac 27". Dopo 15 anni di Windows, non ne potevo più e ho cambiato. Non sono un asso nell'informatica, ma ti assicuro che finora non ho avuto il minimo guaio e che tutto procede liscio, se pure con i tempi di apprendimento che, alla mia età, sono lenti. E' un ambiente molto diverso, un altro modo di lavorare. Bisogna farci la mano. Non emetto giudizi frettolosi, posso solo dire che, fin qui, non ho il minimo motivo per dubitare della decisione che ho preso.

     

    Attento nell'installazione di Finale. Snow Leopard richiede un aggiornamento della versione di Finale 2010, senza il quale l'installazione dal DVD non va a compimento. E' un po' trafficata, la manovra, perché non potendo lanciare il programma non puoi aggiornarlo dall'interno, ma solo scaricando il file di upgrade dal sito Make Music.

     

    No, Finale per Mac non è come Finale per Windows, bisogna passarci un po' di tempo. I risultati sono gli stessi, anzi credo che con la versione per Mac si possano ottenere miglioramenti. Comunque, se non hai qualche motivo per rimanere abbarbicato a Finale, passa a Sibelius, risparmierai tempo e fatica.

     

    dralig

  17. Ma secondo voi tutto questo interesse per i cosidetti "nuovi Chopin" della tastiera ha una ricaduta sulla divulgazione della cultura musicale, sull'incremento del numero degli studenti di pianoforte, insomma su qualcosa che non sia il numero di dischi venduti? Se ci fossero davvero delle spinte nella direzione di un miglioramente di queste condizioni allora il gioco meriterebbe di essere giocato, altrimenti per far arricchire chi vende dischi e organizza concerti...è un pò il discorso che in piccolo fa il collega Fabbri con metodi, libri e pubblicazioni che strizzano molto l'occhio a questo modo di vedere la produzione musicale, anche in campo didattico. Se questo discorso renda a livello culturale non so.

     

    Il fatturato della musica classica, opera lirica inclusa, non supera il 3% di quello totale. In questo 3%, la musica da camera raggiungerà uno 0,70%. Nello 0.70% della musica da camera, la chitarra sarà al massimo un 2%. Quindi, mille CD venduti, 30 di classica, di cui 23 di opera e sinfonica, e 7 di musica da camera, di cui, credo 4 vanno al pianoforte.

     

    Quindi, se parliamo di commercio, la chitarra classica è un truciolo.

     

    Nemmeno l'impiego della chitarra classica in altri generi di musica, diciamo confinanti, come il flamenco di Paco de Lucia o la fusion di Maurizio Colonna (per parlare del maggior virtuoso italiano che adopera la chitarra classica fuori dal repertorio classico, eccettuate le sue interpretazioni di Barrios) è giunto a costituire un fatto rilevante per i budget delle case discografiche. Sono artisti giustamente ammirati, hanno un pubblico che li apprezza, ma non fanno cassetta: un qualunque cantautore tirato su da un giorno all'altro da un produttore discografico che decide di inventare il nuovo idolo vende molto più di loro.

     

    dralig

  18. Anch'io accolgo quell'editoriale in modo positivo, propositivo, anche se mi sembra banalizzi un pò il discorso repertorio-pubblico-strumento: il pianoforte ha comunque un impatto sonoro e delle caratteristiche proprie molto differenti dalla chitarra ed è impossibile (ma sempre per me) che si riesca nel nostro ambito a ricreare le stesse situazioni di coinvolgimento di cui si parla. Non vorrei però che ora diventasse un imperativo cercare di clonare quella musica per aver quel pubblico e demoralizzarsi se poi non ci si riesce, ognuno ha la sua storia e il suo percorso, l'evoluzione, se vogliamo chiamarla così, non passa necessariamente per i milioni di cd venduti. Ciao!

     

    Bisogna stare attenti e sforzarsi di cogliere le prospettive. Michelangeli è un ex chitarrista che ha svoltato verso un giornalismo militante, che si occupa di musica classica in generale (con la rivista "Suonare"), e che mantiene in vita una rivista trimestrale per chitarristi ("Seicorde") per una sorta di nostalgia verso il mondo nel quale ha avuto inizio la sua carriera e per il piacere di dare una mano ai giovani concertisti (questa è soprattutto la sua motivazione). Egli non guarda quindi alla situazione e alle vicende della chitarra dall'interno del mondo chitarristico, ma da una posizione panoramica che gli fa vedere quello che accade nei teatri, nelle sale da concerto, nelle case discografiche, nelle case editrici, nei negozi di musica, etc. e - bisogna ammetterlo - in questo tipo di visione la chitarra, la sua musica, i suoi protagonisti, non occupano al momento una posizione molto rilevante. Ecco quindi i suoi scritti che pungolano i chitarristi . Non è un esortatore alla faciloneria, ma è abituato, per il suo mestiere e la sua forma mentis, a pesare le proposte dei chitarristi confrontandole con l'intero panorama della vita musicale, non solo valutandole in ambito chitarristico: le trova deboli, e lo scrive. Però, quando individua qualchecosa che gli sembra particolarmente significativo, non esita a proporlo, esponendosi al massimo: "Suonare", mensile letto da pianisti e direttori, ha pubblicato non molto tempo fa il CD del giovane Mesirca, dedicato alle Sonate di Scarlatti, e occorre riconoscere che, per fare una cosa del genere, ci vuole coraggio: tra gli abbonati della rivista, ci sono i massimi pianisti italiani, e chiedere loro di ascoltare lo Scarlatti di un chitarrista non è un piccolo azzardo! Occorrono anni per costruirsi una reputazione, nel mondo della musica, ma basta un gesto sconsiderato per perderla...

     

    dralig

  19. SAlve,

    sono Alessandro Amico vivo, suono e lavoro a Caltanissetta.

    sto preparando 2 allievi che dovrebbero presntarsi per sostenere l'esame di Diploma di Chitarra

    nella sessione estiva 2010..... ma...

    mi hanno detto che, a casusa dei nuovi regolamenti ministeriali, non potranno essere accettate domande da privatisti.

    qualcuno ptrebbe darmi maggiori ragguagli?

    Grazie

     

    Alessandro

     

    Ho girato la domanda ad un sindacalista UNAMS e questa è stata la sua risposta:

     

    "La regola, a questo punto in cui ci troviamo con le declaratorie in

    funzione, è che fino alla fine dell'attuale anno accademico si accettano i

    privatisti.

    Le declaratorie sono entrate in vigore definitivamente tra luglio e

    settembre 2009 (DM 90 e DN 124).

    In questo anno accademico le Istituzioni devono preparare prima del NUOVO

    A.A. il proprio REGOLAMENTO DIDATTICO a seguito del quale i vecchi trienni

    verranno riformati e diverranno ORDINAMENTALI.

    Diventando ordinamentali i trienni il vecchio ordinamento va definitivamente

    FUORI ORDINAMENTO, ovvero non esiste più.

     

    Anzi esiste solo per gli studenti già iscritti che facciano richiesta di

    proseguire col vecchio sistema.

     

    Per tutti gli altri non esiste più.

    Non esiste più per chi si iscrive per la prima volta al Conservatorio potrà

    farlo solo al triennio o ai corsi do base.

    Non esiste più per i privatisti.

     

    Tutto questo dal 2 novembre prossimo."

     

    Non sono un legale - tanto meno un costituzionalista - ma mi domando fino a quale punto tale norma sia compatibile con il dettato costituzionale, che riconosce la scuola privata. Fino al compimento della scuola media superiore, i candidati privatisti di qualunque ordine di scuola - quindi anche quelli del futuro liceo musicale - non possono non essere ammessi: lo impone la costituzione. Non esistono i privatisti nelle università (esistono però le università private che rilasciano diplomi di laurea con pieno valore legale), ma nessuna di queste istituzioni svolge funzioni di scuola media. Se il conservatorio accetta allievi che non frequentano ancora il livello universitario, cioè se in pratica svolge funzioni di supplenza del liceo musicale (che ancora non esiste), non può rifiutarsi di esaminare candidati privatisti nelle sessioni di esame corrispondenti a quelle di un liceo musicale: ciò sarebbe anticostituzionale e, nelle mani di una buona avvocatura, il rifiuto potrebbe essere smantellato. Se il conservatorio non vuole accettare privatisti, perché è un'istituzione universitaria, allora non deve accettare allievi che non abbiano conseguito la maturità liceale; se li accetta, non può rifiutarsi di ammettere, nelle sessione d'esame fino alla soglia dell'università, i candidati privatisti. Il conservatorio non può essere liceo quando gli fa comodo (riempire le classi altrimenti in rischio di spopolamento: non mi riferisco alla chitarra), e smettere di esserlo quando l'esserlo diventa un carico di lavoro (esaminare i privatisti).

     

    dralig

  20.  

     

     

     

     

    l'analisi delle poetiche è precisamente quella che io svolgo da una vita,

     

     

    Guardi che lo so...infatti è per questo che mi stupisco della sua reazione all'argomento composizione assistita, come se fosse un qualcosa di estraneo all'esperienza compositiva di questo secolo (cita Ferneyhough; lo sa che è un autore che ha contribuito in modo fondamentale allo sviluppo e all'uso di quei software insieme a Grisey, Lindberg, Murail?...per citarne solo alcuni).

     

    La mia reazione - il termine è da intendere nel suo significato primario, escludendo la sua accezione estesa - è stata temperamentale, e si riferisce ovviamente al campo delle mie preferenze, esattamente come potrei dire - e chiunque abbia familiarità con le mie composizioni lo può ben constatare - che preferisco il contrappunto all'armonia, senza perciò voler considerare le successioni di accordi come qualcosa di estraneo all'esperienza compositiva di questo secolo. In altre parole, non ho lanciato alcun strale ideologico contro la composizione assistita, ho solo detto che preferisco assistermi da solo (per ora, magari nel mio prossimo futuro c'è una nerboruta e manesca badante).

     

     

     

     

    Per andare avanti, bisogna avere contezza di quello che è già stato fatto - specialmente se è stato fatto bene - caro amico: il primo treno del mattino viene dopo l'ultimo della notte!

     

     

    Bene. Controlli quindi che il treno non faccia ritardo la notte. Altrimenti rischia di perdere il treno del mattino.

     

     

    Eccellente occasione per renderLe noto che l'essere in ritardo - lungi dal preoccuparmi - è uno dei privilegi della mia vita artistica, e che ne sono specialmente e consapevolmente soddisfatto. Sa, l'idea di interessarmi alle novità - cosa che faccio con curiosità e attenzione - è per me ben diversa da quella del rappresentare io stesso una novità: non ho il profilo caratteriale e le ambizioni dello stilista. Mi piace, in altre parole, star fermo, e tra l'immobilità delle statue e quella degli spaventapasseri immagino che ne possa esistere equilibratamente una terza, la mia. Picasso diceva: io non cerco, io trovo. Non essendo, come lui, sicuro di trovare, provo a non cercare e a farmi trovare. Pare che funzioni.

     

     

     

     

    Parlo naturalmente per esperienza personale. L'impressione, indipendentemente da questa piattaforma e dal problema di conoscenza del repertorio, è che ci siano ancora molti pregiudizi, ripeto, bipartisan, circa determinati repertori.

     

    I pregiudizi sono frutto dell'ignoranza. Credo che Lei abbia conosciuto un numero di chitarristi abbastanza elevato da essersi reso conto che i loro giudizi sono spesso fondati, non già sulla conoscenza delle opere, ma su pulsioni caratteriali e passionali e sul banalissimo sentito dire. Credo di essere generoso chiamandoli giudizi, non meno di quanto lo sia Lei nel chiamarli pregiudizi...

     

    dralig

  21.  

     

    Vede la pseudo-contraddizione?

    Se lei suggerisce tutto ciò ad un giovane oggi non farà altro che alimentare quell'atteggiamento ideologico che invece vorrebbe debellare.

    Come faranno mai a imparare quella musica se non gli si danno gli strumenti per ascoltarla e leggerla come si deve?

    Per quanto mi sarà possibile, e nelle sedi in cui mi è possibile farlo cercherò di avere un approccio il più possibile estetico (nel senso di analisi delle poetiche) anche e soprattutto nei confronti del secondo novecento. Non per giustificare in toto la produzione di questa musica ma per fornire gli strumenti attraverso cui poter formulare un giudizio di valore sull'esperienza di ascolto in un panorama musicale che sta cambiando a velocità impressionanti, come (è nessario dirlo?) mai è accaduto nella storia.

     

     

    Scusi Fabio, mi domando se davvero Lei abbia assistito a qualche mia lezione nei corsi che frequentò a suo tempo. Si, perché l'analisi delle poetiche è precisamente quella che io svolgo da una vita, mettendo il testo musicale al centro della lezione, levandomi di torno, e avvolgendo il leggio con la spirale analitica (1) storico-estetica (2) musicale (3) tecnico-strumentale. E non ho mai caricato sulle mie osservazioni alcuna componente ideologica - tanto è vero che ho insegnato a leggere composizioni dalle quali mi sentivo lontanissimo, rifiutando solo musiche scritte da dilettanti. Per quale via Le è venuto in mente che lo scopo dell'insegnamento - non solo il mio - non sia stato e non sia quello di dare agli allievi gli strumenti per leggere il testo con cognizione di causa? Perdoni l'arroganza, ma Le risulta che qualcun altro, in campo chitarristico, l'abbia fatto prima di me? Provi a domandare a Magnus Andersson da chi ha ricevuto le lezioni fondamentali per il suo approccio alla nuova musica - quella dei Dillon e dei Ferneyhough, e gli domandi anche se, a dispetto dell'alienità spirituale del docente rispetto a quei testi, qualcun altro glieli ha spiegati in modo più chiaro, con altrettanto immediate connessioni alle uscite interpretative: si, perché è proprio questo il punto - e credevo che, avendo assistito a qualche mia lezione, Lei lo avesse constatato - non ci si fermava alla deduzione analitico-musicale, ci si domandava, subito dopo: va bene, è così, ma come fare a rivelarlo con il suono, con quale diteggiatura, con quale attacco, con quale articolazione...

     

    Per andare avanti, bisogna avere contezza di quello che è già stato fatto - specialmente se è stato fatto bene - caro amico: il primo treno del mattino viene dopo l'ultimo della notte!

     

     

    Ma la cosa che più mi dispiace, e se non è così vi prego di smentirmi, è (se volete aprite un altro 3d) è che in qualche modo ho la netta sensazione che questo atteggiamento "ideologico" bipartisan abbia provocato una lacerazione nel mondo della chitarra. Esperienze inutili a parte (i tangueros), mi sembra ci sia una netta separazione tra chitarristi interpreti dediti allo studio della musica dal "buon vecchio artigianato" (direi nel senso "gilardiniano" del termine) e composta tanto da compositori chitarristi (lei, Bogdanovic, Delpriora ecc ecc) quanto da certi compositori (MCT, Villa Lobos, l'artigianato sommerso da Segovia...) e dall'altro lato chitarristi che frequentano solo musica scritta da compositori e nei cui programmi da concerto non ho mai visto una musica di cui sopra.

    Ecco: se c'è una vittima di quest'atteggiamento ideologico, da entrambe le parti, questa è prima la chitarra, poi l'interprete. A me piacerebbe che si andasse oltre questo steccato, ma la vedo dura. Cosa ne pensate?

     

    Intanto io penso che "il mondo della chitarra" sia solo una locuzione. Il fatto di suonare lo stesso strumento non accomuna degli strumentisti più di quanto il prendere lo stesso treno accomuni coloro che vi salgono e ne scendono: ognuno, su quel treno, va a mete diverse, con scopi diversi e con differenti motivazioni. Comunque, accettando provvisoriamente - ai fini del prosieguo della discussione - che esista un mondo della chitarra, non credo proprio che la sua composizione corrisponda alle categorie che Lei descrive. C'è il repertorio, e ci sono i chitarristi che lo suonano. Il fatto di costituire - come fa anche Lei - un'entità intermedia chiamata chitarra, che delle varie situazioni si giova o patisce, è un artificio retorico: la chitarra è uno strumento, gli attori veri sono coloro che la suonano e il loro patrimonio è il repertorio. Allora, qual è il grado di conoscenza che i chitarristi hanno del loro repertorio? Per conoscenza, ovviamente, intendo conoscenza storico-estetica, musicale e, dal momento che sono strumentisti, anche e inevitabilmente tecnico-strumentale. La risposta è semplice, perché la induce l'evidenza dei fatti: è una conoscenza limitatissima, e questo è il problema. Gli steccati ne sono una delle conseguenze, un sintomo caricaturale e francamente stupido. Non vorrei scendere troppo nello spicciolo, ma Lei non trova cretina l'affermazione di un devoto di Henze, che sentenzia in un'intervista: "Tra i primi 25 compositori che hanno scritto per chitarra, secondo me non c'è un chitarrista", ed eccolo quindi snocciolare le perle del suo repertorio, salvo poi, un giorno, precipitarsi nel crocchio dei piazzoliani, con una "sentita" esecuzione delle "Cinco Piezas", che fanno bottega? Siamo seri, Fabio, la differenza tra le "categorie" che Lei disegna non è nata nelle aule dove si mette la musica sul leggio e la si legge per quel che è, è nata nella mente dei tipetti che, una mattina, decidono di elevare il cacher dei loro concerti da duemila a tremilacinquecento euro (netti), indipendentemente dal fatto che nessuno si sogni di invitarli a suonare. Quando la buonanima di Ruggero Chiesa mi confidò che non sapeva a chi affidare la recensione delle mie prime due Sonate, gli chiesi rispettosamente se potevo permettermi di esprimere la mia opinione e, avuto il suo permesso per farlo, gli dissi: Bruno Bettinelli (il maggior didatta italiano di composizione, che aveva in classe Muti e Abbado, Pollini e Corghi), e se lui non accetta, meglio non pubblicare nessuna recensione.

    Lui accettò, e quella è una delle poche cose scritte sulla mia musica che ho ritagliato e conservato. Mi è importato il parere di Carlo Mosso, di Ferenc Farkas, mi ha lusingato l'elogio fattomi pervenire da Goffredo Petrassi, che era curioso di sapere come si faceva a ottenere una certa mescolanza di suoni...

    Anch'io, come Lei, la vedo dura: la patologia che colpisce i tangueros e gli intemerati elevatori di steccati è fondamentalmente la stessa: fallocefalite acuta, poco importa se accompagnata da ruspante cialtroneria o da sussiegosa superbia. E' dura si, ma per loro.

     

    dralig

  22. Salve.

    Qualcuno può suggerirmi brani del repertorio chitarristico che siano connessi alle arti figurative o alla letteratura?

    Mi sono venuti in mente:

    -Caprichos de Goya di M. Castelnuovo-Tedesco;

    -Annunciazione (Omaggio al Beato Angelico) di A. Gilardino;

    -Pinceladas Nocturnas (omaggio a Van Gogh) di E. Cordero;

    -Omaggio a Toulouse Lautrec di E. Sainz de la Maza.

     

    Grazie.

     

    Uno dei lavori più rilevanti in questo campo è "The Blue Guitar" di Michael Tippett, uno dei massimi compositori britannici del Novecento, che fa diretto riferimento tanto alla poesia (Wallace) che alla pittura (Picasso). Se si fa proprio riferimento al livello qualitativo rappresentato dal brano di Tippett, l'elenco delle composizioni del repertorio chitarristico legate alla letteratura e alla musica si fa scarno. Altrimenti, è davvero lungo.

     

    dralig

  23.  

    Non fingo di partecipare, ma osservo con impegno.

     

    dralig

     

    Lei non immagina in quanti invece fingano.

    Atteggiamento raro il suo.

    Lo apprezzo molto.

     

    Io leggo tutta la musica alla quale ho accesso, e la leggo sforzandomi di capire il progetto che la regge. Non giudico mai a partire dal mio modo di far musica ma, leggendo, cerco di individuare quello che sta a monte. Non sempre ci riesco: fino a Boulez e Stockhasen, non ho avuto problemi - non parliamo nemmeno di compositori come Henze, che ho sempre letto con facilità naturale; i problemi sono incominciati dopo, con la musica apparentemente più facile.

     

    dralig

  24.  

    Tutti gli artisti si credono un po demiurghi del mondo, salvo prendersi, spesso, sonore mazzate dal mondo stesso. .

     

    Colpo basso. Non è lecito utilizzare le sconfitte degli artisti nel mondo per farne un argomento a favore di una propria tesi. Io non farei mai ricorso al giornale dei fallimenti aziendali per sostenere una visione artistica del mondo. Semplicemente, alla partenza riceviamo una tessera con scritti dei numeri della tombola, e con quelli giochiamo: come va l'estrazione, è fuori dal nostro controllo. Lei per caso ha scelto di nascere musicista? Io no, me l'avessero chiesto alla punzonatura avrei risposto male. Però, dal momento che lo sono, intus et in cute, tanto vale giocare bene le mie carte, no? Quali demiurghi, siamo tutti foglie dello stesso albero, e d'autunno le foglie hanno poca voglia di sentirsi ali di albatro...

     

    dralig

  25.  

     

    Mi piace, a proposito di Fibonacci, riportare l'aneddoto di Darmstadt per cui quando Adorno rimproverò al buon Stockhausen di non aver osservato la sequenza corretta (quindi di non aver seguito un approccio algoritmico direi) Stockhausen gli rispose: "her doktor lei cerca un pollo in un quadro astratto". Mi sembra, che in questo contesto, siate un po tutti alla ricerca di polli mentre a me interessa dispiegare la forma nel quadro astratto.

     

    Francis Bacon, in un'intervista rilasciata a David Sylvester, spiega la differenza tra l'illustrazione e la pittura individuandola non nel fatto che la seconda debba necessariamentere prescindere dalla raffigurazione di oggetti riconoscibili - il pollo, ad esempio - ma da un altro fatto, capitale: la pittura si serve dell'oggetto e della sua stessa riconoscibilità per rappresentare una sensazione, e per trasmettere quella, non la nozione dell'oggetto.

     

    La sensazione è propria del sistema nervoso, e il maestro londinese punta quindi a dare una rappresentazione pittorica degli eventi del suo sistema nervoso, supponendo - direi, nel caso della sua pittura, con piena ragione - che il sistema nervoso altrui possa reagire con una certa intensità all'immagine che egli crea. E' una descrizione affatto materialistica della sua arte, e sostanzialmente la trovo non solo accettabile, ma anche efficace, pur non essendo allineato "filosoficamente" a Bacon. La sua macelleria non trasmette orrore e compassione per le creature macellate, ma la percezione esatta del piacere che l'uomo prova nell'infliggere sofferenza. Il suo Innocenzo X rappresenta l'essenza di un'umanità riconoscibile se appena si voglia andare oltre il maestoso decoro della figura di Velazquez, che però "contiene" in potenza la belva scoperta e pienamente rivelata da Bacon.

     

    Tutta la pittura è astratta, anche quella del postelegrafonico che dipinge nel weekend paesaggi con la prospettiva sbagliata. Il fatto è che i suoi quadri non provengono da un'elaborazione di sensazioni, ma da un'osservazione superficiale del mondo, e quindi non trasmettono nulla. Se imparasse le regole della prospettiva, si renderebbe capace di dipingere illustrazioni più aderenti alla comune percezione della realtà, ma continuerebbe a far percepire solo il nulla che è in lui. La debolezza del suo sistema nervoso è il suo limite invalicabile. Perché dipinge, allora? La causa di questa insana decisione è del tutto diversa da quella che spingeva alla pittura Rembrandt, van Gogh o Bacon: in entrambi i casi, si tratta di esigenze personali, ma ciò che esige il postelegrafonico è estraneo alla pittura, mentre ciò che esigeva Bacon era esclusivamente pittorico.

     

    Ecco, in pittura - o in musica, è lo stesso - un pollo può essere solo un pollo, e allora non è pittura e non è musica, o essere qualcosa di diverso che si manifesta nell'apparenza di un pollo: solo in questo caso è pittura, o musica.

     

    dralig

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