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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1.  

    Penso che la tensione si vinca così: studio della musica (e dello strumento) e studio di se stessi, in parti uguali. Penso che uno sbilanciamento verso l'uno o verso l'altro possa generare o una classica "macchinetta" o un filosofo. Nessuno dei due però "fa musica" :)

    Alla fine l'obbiettivo è avere consapevolezza di se stessi e consapevolezza della musica. E ciò si ottiene anche con esecuzioni tremolanti. Aiutano a conoscere se stessi.

     

    Questa è una sintesi di ciò che penso.

     

     

     

     

    Se ci si pone nel fenomeno musicale come partecipante - compositore, interprete, ascoltatore: non fa differenza - non sorgono disturbi del comportamento come il panico (tremito, sudorazione, tachicardia, scariche adrenaliniche, etc.). Il disturbo sorge quando, rispetto al fenomeno musicale, ci si pone come entità separata, come ego, alla ricerca di esiti non intrinseci all'evento musicale (affermazione personale, ricerca dell'applauso, approvazione e cooptazione da parte di autorità come tali riconosciute dal soggetto, per esempio nel caso di esami e concorsi). La musica è un fenomeno complesso, che richiede la compresenza e la compartecipazione di soggetti privi di motivazioni costituite nell'ego. Infatti, i disturbi colgono assai poco i musicisti che alla compartecipazione sono chiamati istituzionalmente (gli orchestrali e i coristi) e molto di più i musicisti che annettono alla performance solistica significati che appartengono alla sfera dell'affermazione di sé stessi e alla remunerazione privilegiata (in tutti i sensi). E' chiaro che, a tale sindrome, dà luogo la concezione "americana" del successo, con annesse mitologie (essere il number one, e scemenze del genere). I guasti che ne derivano sono inevitabilmente pesanti, a volte distruttivi. La filosofia, in senso lato, può essere molto utile nel riportare i musicisti a una percezione non distorta della realtà. Il superamento del disagio non avviene in tempi lenti: se si comprende l'origine della propria sofferenza, la liberazione è istantanea, se non la si comprende si continua a patire, e si chiama miglioramento ciò che in realtà è l'abitudine a star male.

     

    dralig

     

    dralig

  2. Mi fa piacere il post di Piero, che trovo molto di buon senso. Sovente noi insegnanti diamo per scontato che un ragazzo che suona bene in classe possa fare lo stesso su un palco, e non sempre è così...l'esercitazione in pubblico va nella direzione anche di scoprire le eventuali difficoltà di cui in oggetto, e renderle soprattutto palesi all'esecutore stesso, in modo che cominci a lavorarci su, aiutato dal'linsegnante, se crede che la sua strada possa essere quella.

    Mi piace sottolineare anche ciò che Piero dice all'inizio, che nessun brano alla fine è veramente studiato e compreso se non è stato suonato in pubblico, e lì se ne scoprono sempre aspetti nuovi

     

    Non facciamo confusione, per piacere. Se accettassimo queste conclusioni, arriveremmo alla sentenza secondo la quale chi non suona mai in pubblico non può capire un brano di musica nella sua essenza e in tutti i suoi dettagli, il che ovviamente non è vero.

     

    Un conto è capire, un altro conto è trasmettere ad altri la propria comprensione. Per fare ciò, bisogna imparare un'arte, che è quella della comunicazione, e questa si impara stando in pubblico, certo: si impara a comunicare agli altri ciò che si è compreso ed elaborato in precedenza nella propria mente. Che questo possa funzionare anche a rovescio, non è da escludere a priori, ma è chiaro come il sole che, se si sa leggere la musica al di là della decifrazione, quel che c'è da capire può essere capito senza necessariamente doverlo suonare in pubblico: vogliamo per caso sostenere che un Celibidache non avrebbe potuto capire a fondo un Preludio di Villa-Lobos? E' peraltro verissimo ed evidente il fatto che molti esecutori credono di comunicare al loro pubblico l'essenza di composizioni delle quali non hanno capito niente: la comunicazione funziona, ma il messaggio è fasullo.

     

    dralig

  3. Ringrazio tutti per quello che avete scritto.

    E' stata una bella cosa,perchè mi si è aperta una porta nel cervellino.e una vocina mi ha detto che quando vai davanti al pubblico per dare la tua musica lo fai solo per quello Fin quando ci si va come andare davanti a tanti giudici col fucile puntato,pronti a spararti alla prima stecca ,beh,non hai capito ancora niente.

    Sarà stata un'illuminazione zen?

    Fatto sta che aver "sentito" questa cosa,sentito intendo realizzato, mi ha rasserenato.

    Poi penso che ci vorrà ancora tempo,perchè mi devo scrollare di dosso un po' di adolescenza.

    Non c'è un farmaco per questo?

     

    ciaoo!

     

    Mi pare che l'umanità stia lottando disperatamente per preservare la giovinezza, non per scrollarsela di dosso.

    Il grande obiettivo di un artista è riuscire a mantenere la propria immaginazione e la propria freschezza - doni tipici dell'infanzia - mentre l'intelletto cresce e mentre il corpo invecchia. Ci riescono in pochi, perché pochi sono abbastanza intelligenti da capire che la cosa più stolta è voler diventare qualcosa o qualcuno.

     

    dralig

  4. Errore nel messaggio precedente

    volevo dire Russell,voi lo conoscete, se suona cose di Oliver Hunt vuol dire che lo conosce e lo apprezza.

    Non si sarà saputo vendere bene era riferito ad Hunt.

     

    Leviathan sonata: spero di aver modo di ascoltarla presto,il itolo mi incuriosisce...

    Un grazie a tutti e ciaooo

     

     

    Esistono - basta consultare il catalogo Pocci disponibile online - alcune decine di migliaia di pezzi per chitarra composti nel Novecento, in gran parte pubblicati. Orientarsi in un repertorio tanto vasto richiede diversi tipi di impegno: i il desiderio di leggere musica, la volontà e i mezzi per procurarsi i testi, il tempo e le capacità per leggerli e per comprenderli e, nel caso di chi dà concerti, quella particolare determinazione che abilita a comunicare agli ascoltatori i valori musicali.

     

    Rispetto a tanta dovizia, il numero di chitarristi capaci di operare autonomamente è molto limitato. Credo di essere ottimista dicendo che cinque chitarristi su cento, collocato un pezzo sconosciuto sul leggio, sono capaci di giungerne a capo, almeno per quanto riguarda le fasi della comprensione del testo - e questo non conduce necessariamente all'esecuzione pubblica.

     

    Quindi, i compositori hanno poco da sapersi vendere. Tutto quello che possono fare è scrivere la loro musica e - se possono - pubblicarla e non seppellirla nei cassetti. Da lì in poi, possono anche prendere iniziative "di vendita", ma gli acquirenti sono pochi e mal equipaggiati e - non a caso - chi scrive musica di valore è poco incline a rincorrere clienti. Lo fanno solo i venditori di robetta o di robaccia.

     

    dralig

  5. Sabato sera mio padre mi ha fatto ascoltare un cd del quartetto di chitarre.

    Mi è piaciuto moltissimo un pezzo di Oliver Hunt.

    Ho guardato su Internet ma ho trovato quasi nulla.

    L'unica cosa che so è che è morto una decina di anni fa.

    Mi piacerebbe ascoltare ,se c'è,qualcosa per chitarra sola.

     

    Chitarrista-compositore britannico, nato nel 1934. Fu uno dei pochi chitarristi che - oltre agli studi strumentistici - acquisirono anche una preparazione seria come compositori (studiò con Lennox Berkeley). Io conosco solo tre pezzi suoi per chitarra: "The Barber od Baghdad", "Leviathan" e "Garuda". Sono scritti bene, ma non mi è mai capitato di ascoltarli in una registrazione o in un concerto. Non hanno nulla da invidiare a pezzi per chitarra divenuti famosi.

     

    dralig

  6. Leggendo alcune informazioni sui primi brani per chitarra scritti da MCT, scopro che Aranci in fiore, scritto nel 1936 e dedicato a Segovia, fu suonato più volte in concerto dallo stesso, e che nel '34 a Firenze sempre il chitarrista spagnolo diede la prima (italiana?) delle Variazioni op.71. Mi chiedevo, il repertorio di Segovia che quest'ultimo non ha registrato è consistente? Mi vien da pensare anche al Concerto di Villa-Lobos, eseguito per la prima volta in America (se non sbaglio) da Segovia ma mai registrato.

     

    "Aranci in fiore" non fu dedicato a Segovia, ma ad Aldo Bruzzichelli, allora titolare di un caffé di Firenze dove MCT usava dissetarsi durante le prove del "Savonarola". I due strinsero amicizia, e quando Lorenzo - il figio del compositore - si ammalò, il medico consigliò di fargli mangiare arance. Non era però la stagione, e a Firenze non se ne trovavano. Bruzzichelli se ne fece inviare una cesta da suoi amici sicialiani e la regalò al compositore che, per gratitudine, scrisse "Aranci in fiore" e lo dedicò al suo amico - al quale avrebbe poi dedicato "Platero y yo".

     

    Segovia ha registrato circa il 70% del suo repertorio, e questo comprendeva non più del 30% della music scritta per lui.

     

    dralig

  7. Ciao Matanya, ti sorprenderesti nel venire a sapere che intorno al futuro della chitarra sono affacendate persone che ne ignorano il passato? A me sembra che, invece di occuparsi profeticamente di ciò che è estremamente incerto - per la semplice ragione che non è ancora accaduto - sarebbe molto più intelligente e utile studiare accuratamente ciò che è già chiaramente scritto nel libro della storia. Prova a chiedere a uno di questi vati o pitonesse di scriverti a memoria su una lavagna i temi delle Sonate di Sor, e vedrai prove di chiaroveggenza che ti lasceranno sbalordito!

     

    dralig

     

    La questione, mi sembra, non è ignorando il passato, ma reinventarlo. Abbiamo così il paradigma di un passato imprevedibile. La visione del passato dipende in larga misura dalla avidità di coloro che pretendono di essere autorità sulla storia.

     

    Non esistono autorità, amico mio, nel campo della storia della chitarra. Esistono solo persone che studiano e ricercano e persone che scelgono deliberatamente di non sapere niente, e magari se ne gloriano.

     

    dralig

  8. Il fatto che si dovesse parlare del futuro della chitarra classica

     

    Mi perdoni questo intervento: non sono interessati al futuro della chitarra classica. Come una nozione astratta, il suo futuro è, nella migliore delle ipotesi, effimera. Sono appassionatamente interessato al futuro di chitarristi classici, i compositori, i suonatori, i produttori di strumenti. Persone reali con reali problemi quotidiani. Non è un'astrazione effimera.

     

    Ciao Matanya, ti sorprenderesti nel venire a sapere che intorno al futuro della chitarra sono affacendate persone che ne ignorano il passato? A me sembra che, invece di occuparsi profeticamente di ciò che è estremamente incerto - per la semplice ragione che non è ancora accaduto - sarebbe molto più intelligente e utile studiare accuratamente ciò che è già chiaramente scritto nel libro della storia. Prova a chiedere a uno di questi vati o pitonesse di scriverti a memoria su una lavagna i temi delle Sonate di Sor, e vedrai prove di chiaroveggenza che ti lasceranno sbalordito!

     

    dralig

  9. Nell'800 come si faceva?

     

    Tra la fine del Settecento e nel primo Ottocento il concerto per chitarra e orchestra fu una rarità: Vidal, Doisy, Carulli, Molino, Giuliani...poca roba, si arriva si e no alla decina di lavori. Prevaleva la forma antifonale, che limita al minimo le sovrapposizioni tra solista e orchestra. Non si nota, nelle partiture, alcuna specificità. Il problema è stato affrontato nella sua complessità solo dai compositori del Novecento.

     

    dralig

  10. Maestro dralig, qui si parla di organici ricchi e, malgrado tutto, l'insuccesso di Aranjuez negli stadi (cui anche Lei allude) è una conferma. Ancora si sentono volentieri performances senza amplificazione, anche in luoghi preposti di notevole ampiezza. Non che ci sia pregiuduzio per le amplificazioni, anzi... C'è chi apprezza la sonorità della chitarra così come è e chi ha minore sensibilità.

    C'è spazio per tutti i "gusti", visto che ci sono tanti complessi d'inferirità; forse che la chitarra è veramente "inferiore"? Credo e spero di no.

     

    Affermare che la chitarra, in certi contesti, può giovarsi dell'amplificazione, non implica in alcun modo un giudizio di "inferiorità". La chitarra è uno strumento con le sue prerogative, che sono assai speciali e delicate e, nell'essere accostata ad altri strumenti, chiede all'orchestratore riguardi altrettanto speciali. E' un questione di tecnica orchestrale, superiorità o inferiorità non c'entrano. Sarebbe come dire che l'arpa è uno strumento inferiore perché non può fare una scala cromatica di semicrome veloci.

     

    Lo studio delle partiture dei più importanti concerti del Novecento ci svela le diverse soluzioni escogitate dai compositori per rispettare la chitarra. Grosso modo, si tratta di soluzioni quantitative e di soluzioni timbriche. Castelnuovo-Tedesco ha escogitato non soltanto un assottigliamento dell'organico, ma una disposizione scenica degli archi diversa da quella ordinaria. Non viene mai rispettata perché importa un maggior lavoro a carico del direttore - ma se lo fosse, il risultato sarebbe migliore di quello (peraltro ottimo anche senza amplificazione) che normalmente si ascolta. Dodgson ha puntato sull'eliminazione di certe ricette armoniche le quali, secondo lui, indipendentemente dal "volume", nuocciono alla chitarra: ecco dunque il suo primo Concerto senza oboe e senza corno inglese, e con tre clarinetti. Ancora più radicale, in questo senso, è la soluzione trovata da Ernesto Halffter - grande allievo di quel sommo orchestratore che fu Manuel de Falla. Nel Concerto di Halffter non ci sono oboi né fagotti, ma sei flauti e clarinetti, e la chitarra non dialoga mai con gli archi pieni, bensì con un concertino di quattro strumenti, disposto fuori dalla sezione, e tace quando entra il ripieno delle corde. Tutto ciò suona benissimo senza amplificazione in una sala di modeste dimensioni, ma in un auditorium, mentre il suono degli strumenti d'orchestra giunge a destinazione, quello della chitarra, se non si perde, si affievolisce molto, e in tal caso l'amplificazione è provvidenziale.

     

    Nei miei Concerti, ho escogitato soluzioni diverse da quelle dei Maestri sopra menzionati, che ho studiato con grande devozione e con estremo profitto. Non spetta a me descriverle - certo non qui - e comunque, al di là delle schermaglie inutili, le partiture, pubblicate, sono a disposizione di chi voglia e sappia leggerle.

     

    dralig

  11. per non parlare di Aranjuez o del Concerto di Villa-Lobos che, senza amplificazione, è praticamente inascoltabile.

    dralig

     

    Non necessariamente. Ricordo bene un tale concerto. Era nella Boston Symphony sala (3000 posti) Seiji Ozawa direzione d'orchestra. Un concerto per chitarra e orchestra di Takemitsu (Hai dimenticato il titolo). Il solista è stato Manuel Barrueco. Per eseguire senza amplificazione, misero la solista su una piattaforma elevata, ben al di sopra dell'orchestra. Il "balance" con l'orchestra era perfetto.

     

    Il principio fisico in questione è troppo complicato per me spiegare, ma mi sembra che se la sorgente fisica del suono è su un'altura diversi, c'è molto meno smorzamento della chitarra da strumenti che sono nel medesimo registro, come il violoncello e il fagotto. Chitarristi che hanno scelto di suonare in piedi, può ottenere lo stesso effetto.

     

    Matanya, l'orchestrazione di Takemitsu è ben altra cosa da quella di Villa-Lobos. Ti ricordo che quest'ultimo scrisse che aveva strumentato il suo concerto partendo dal presupposto che la chitarra fosse amplificata.

    D'accordissimo con te sul maggior rilievo che la chitarra assume con la disposizione scenica che tu indichi, ma nel caso del concerto di HVL non basta.

     

    dralig

  12. Maestro dralig, lasci perdere i "suoi" concerti, qui si parla di ben altre cose.

     

     

    Mi spieghi a cosa serve un incipit del genere ad un post? Modificalo per favore.

     

    Serve a lasciar trasparire - suo malgrado - l'intelligenza e la correttezza del suo autore. Perché esortarlo a modificare la sua parola? Lui è così, non può essere meglio di così: che appaia per quel che è.

     

    dralig

  13. Maestro dralig, lasci perdere i "suoi" concerti, qui si parla di ben altre cose. Ancora si sentono volentieri performances senza amplificazione, anche in luoghi preposti di notevole ampiezza. Non che ci sia pregiuduzio per le amplificazioni, anzi... C'è chi apprezza la sonorità della chitarra così come è e chi ha minore sensibilità.

    C'è spazio per tutti i "gusti", visto che ci sono tanti complessi d'inferirità; forse che la chitarra è veramente "inferiore"? Credo e spero di no.

     

    Maestro gasgas, nell'esporre i miei pensieri e i miei concetti, sono libero - Suo malgrado - di servirmi degli argomenti che ritengo più validi e probanti: che cosa citare e che cosa lasciar perdere è scelta che spetta solo a me. Se Lei ha qualcosa da argomentare riguardo alla logica con la quale io ho fatto uso della mia esperienza di orchestratore, si serva delle partiture, e a quelle specificamente si riferisca: delle Sue esortazioni, francamente me ne infischio.

     

    Ciò detto, in che cosa consisterebbe, rispetto a quanto è già stato affermato nei messaggi precedenti, il Suo sostanziale apporto alla discussione? Alla miliardesima riaffermazione del "de gustibus"?

     

    dralig

  14.  

    Ma se il titolo di questa discussione è il futuro della chitarra,al di là del repertorio, credo che bisogna fare i conti con il futuro,quindi anche i grandi concerti negli stadi. Chi ha detto che negli stadi si possa fare solo musica Rock? La si fa perchè loro hanno gli strumenti giusti per i grandi spazi. E per me il futuro sono i grandi spazi,

    La chitarra classica deve uscire dalla nicchia delle piccole sale da concerto ,a volte con 30 persone si e no.

    Ma per farlo deve fare i conti con l'amplificazione,invece di rinnegarla,magari a priori.

    ciaooooo

     

    credo fermamente nel contrario di ciò che scrivi

    indipendentemente dalla questione "amplificazione" la chitarra "classica" è uno strumento che rifugge gli ampi spazi, le celebrazioni comunitarie, le grandi masse. Può sembrare paradossale (basterebbe conoscerne il repertorio) ma l'anima della chitarra classica è l'antitesi del comunitarismo dello starsystem rockettaro.

    Questa chitarra semmai dovrà riappropriarsi di spazi sempre più piccoli e intimi, riscoprire il gusto per la musica da camera, per una hausmusik in versione contemporanea dove l'amplificazione, se necessaria, sarà proporzionale al volume di suono prodotto.

    Penso che se c'è una cosa utile, ad esempio, che molti giovani potrebbero cominciare a fare senza stare a sentenziare improbabili perfomance alla Iron Maiden con 400.000 persone è cercare di organizzare dei piccoli concerti in casa propria. Molta scena "alternativa" anche nel rock (del post-rock) e della musica improvvisata ed elettroacustica lo sta già facendo, con dei bei risultati. Prendiamo esempio da questo indie "rock", casalingo e low-fi che, oltre ad essere fattibile a spese zero, pare avere un po' più la testa sulle spalle di certe improbabili pretese.

     

    Anche questa via - il Concierto de Aranjuez negli stadi - è già stata tentata, come Lei sa, ed è stato un insuccesso totale. Non è difficile capire perché. Se l'amplificazione si rende indispensabile perché diversamente la chitarra non si potrebbe sentire, delle due, l'una: o il luogo è acusticamente inadatto, o la musica è scritta male (ed è certamente, dal punto di vista dell'orchestrazione, il caso del concerto di Villa-Lobos). L'amplificazione serve per permettere al chitarrista di suonare in souplesse, fraseggiando con le nuances come se stesse suonando da solo in salotto.

     

    dralig

  15. sì, lo so.Però se fai i conti con la realtà di oggi trovo che se la chitarra classica ha un limite sia proprio quello. certo, è bello il fascino dei piccoli ambienti,la loro atmosfera e il suono della chitarra in questo contesto ci sta alla perfezione,ma se la chitarra classica vuole un futuro diverso e non rimanere in un angolino deve fare i conti con l'amplificazione. Non credo di dire una cosa sacrilega. O rimane uno strumento ,come dire, per pochi intimi, o si deve adeguare. Se vuoi suonare magari su una piazza con 2000 persone,non puoi andarci con "il pezzo di legno con le corde e basta.

    Ciaoooo

     

    Villa-Lobos scrisse il suo Concerto implicando che la chitarra dovesse essere amplificata. Da allora in poi - tolta l'opposizione di Segovia, che però nell'ultima parte della sua carriera rinunciò a suonare anche i suoi amati concerti di Castelnuovo-Tedesco, Ponce e Rodrigo - nessuno ha più avuto nulla da obiettare all'amplificazione della chitarra "classica". Non ricordo di aver ascoltato una sola volta uno dei miei concerti con orchestra senza amplificazione, per non parlare di Aranjuez o del Concerto di Villa-Lobos che, senza amplificazione, è praticamente inascoltabile. Credo che non occorra alcun adeguamento - i concertisti in carriera sono tutti provvisti di ottimi apparati. Li usano, ovviamente, quando sono necessari.

     

    dralig

  16. [*

    Comunque pur essendo io un frequentatore non assiduo del forum mi sono accorto di questa tendenza.. sbaglio o c'è un calo vertiginoso degli interventi? ci sarà un motivo? Io mi sono dato quella spiegazione.

    In ogni modo, la rete da la possibilità di essere liberi nell'espressione delle proprie idee per cui io proporrei di essere meno restrittivi (anche se impedirei la consuetudine di alcuni di ribattere punto su punto i vari interventi: è una pratica che innervosisce l'interlocutore e ammazza la discussione).

     

    Non è vero. Intanto lo scopo delle discussioni serie non è quello d innervosire l'interlocutore (le discussioni di un forum culturale non hanno carattere personale), ma quello di mettere a fuoco gli argomenti e di entrare nel vivo dei temi, spesso riferendosi a dei dettagli. Da questo punto di vista - l'unico che possa interessare i lettori - il rispondere a un messaggio dividendolo in parti è assai utile, perché mette a confronto diretto un concetto, un pensiero, una notizia, con il contenuto della risposta che si vuol dare a quel particolare concetto, pensiero, dato, non ad altri, o tutto il messaggio: la comprensione e la valutazione del senso di un'argomentazione con quello di un'altra risulta così molto più facile e diretta, e se qualcuno si innervosisce, sono affari suoi, che non interessano i lettori: questo è un forum di discussione, non un centro per il benessere degli iscritti.

     

    Ovviamente, anche in questa pratica occorre correttezza: rispondendo a un messaggio è lecito dividerlo se, nel fare ciò, si mantiene a ciascuna sezione citata il proprio senso compiuto, evitando l'estrapolazione subdola; ma se il fondamento della discussione non è corretto e civile, a ben poco servirebbe la proibizione di sezionare i messaggi: i disonesti e i cretini sono tali ventiquattro ore al giorno - anche quando dormono - e non c'è regola che li possa mutare in persone per bene.

     

    dralig

  17. Ma contestualizziamo. Siamo in un forum di chitarra classica dove alcune autorità non riconoscono nemmeno il portato di Petrassi!!!. E qui si sta parlando di Andrés Segovia e Heitor Villa-Lobos!!! Siamo alla preistoria della modernità; al limite il secondo arrivò a celebrare il ciuf ciuf del treno a vapore mentre il primo snobbava Bartók!!! la metodologia di lavoro riguardo a queste figure della storia musicale pur nella complessità del contesto in cui operarono è piuttosto definita. C'è una grande bisogno anche di questo.

    Anzi. Se in Italia non si ri-incomincia ad aver rispetto per l'indagine storico-musicologica (che tra archivi, parrocchie e soffitte c'è ancora molto lavoro da fare) mai si arriverà a contemplare la straordinarietà percettiva di cui parli che è oggetto di studio da almeno una cinquantina d'anni.

     

    Caro Fabio, in campo chitarristico non esistono autorità (non mi avventuro oltre il confine, anche se al riguardo ho un'opinione precisa). Esistono competenze, conoscenze, ricerche svolte e in atto, e se coloro che certe competenze e conoscenze hanno acquisito, e certe ricerche svolgono, vengono indicati come "autorità", non è quasi mai, da parte dei chitarristi, con rispetto, ma con astio, con fastidio, con insofferenza, rivendicando bei tempi andati, quando chiunque poteva mettere in piedi una simulazione di competenza e atteggiarsi ad autorità senza che nessuno potesse contestargliene il diritto. La verità è che chiamiamo musicologi coloro che - tra i chitarristi - hanno avvertito il bisogno di avviare la ricerca storica, di impiantare una ricerca che porti al contatto con i testi musicali mondati da manomissioni (spesso dilettantistiche: si parlava, qui, della Sonata op. 15 di Giuliani, che circolò per decenni in un'edizione il cui curatore, musicalmente semianalfabeta, aveva tagliato una strofa intera nel Rondò finale, dimostrando la più totale ignoranza degli elementi di forma musicale: eppure, era considerato un'autorità), di istituire relazioni interpretative tra la musica per chitarra e quella scritta per gli altri strumenti: ma è da considerare musicologia, questa? E' di questo che si occupano i musicologi? A me non risulta che nelle università dove si studia musicologia si perda del tempo in fumisterie sull'utilità di recuperare i testi originali mettendo da parte le manipolazioni personali che di tali testi hanno fatto i maestri XYZ: ma vede anche Lei come, in un forum di chitarra, questa sia tuttora questione da discutere. Le pare che sia il caso di prenderci sul serio? Quindi, io direi, limitiamoci a sbarrare il passo alle palle sesquipedali, correggendo con dati di fatto almeno i tentativi di raccontare le favole con il sussiego dello storico. Di musicologia, in ambito chitarristico, ne abbiamo vista finora molto poca, e credo che si debba procedere con dosaggi prudenti: tra chitarristi, un analfabeta musicale che non sa il solfeggio può essere accolto come il Derrida della nuova era dell'interpretazione.

     

    dralig

  18. Ho letto e riletto alcuni dei post di Tortora ospitati in questo thread.

     

    Non sono sicuro di avere ben capito tutto quello che dice, ma mi sembra che voglia esprimere - se non fraintendo troppo il suo pensiero - il disagio che prova per il contrasto tra una certa immagine di chitarra su cui si è formato (le versioni di Segovia dei pezzi di Villa - Lobos, per esempio) e quello che sta accadendo alla chitarra ultimamente, compresi nuovi modi di suonare e comporre - fatti in cui si trova anche coinvolto personalmente (la "nouvelle vague" di alcune sue composizioni che cita, ad esempio) oltre che come osservatore (concorso di Gorizia), ma che non riconosce in continuità con la tradizione, con quella che lui chiama la "fotografia" della "sua" chitarra. Di qui la domanda sulla "fine " della chitarra.

     

    A me pare, se questo è il problema, che ci sia una alternativa tra una tradizione intesa come "fotografia" che fissa e si arrocca su di un passato ormai finito ed il rincorrere un "nuovo" che rispetto a quel passato si pone solo come frattura.

     

    L'alternativa, in cui io personalmente mi riconosco, è cogliere e portare avanti il valore che una certa tradizione, anche chitarristica, mi ha portato, vivendolo dentro la sensibilità di oggi ed utilizzando gli strumenti di oggi.

    Ad esempio, sono convinto che quello che Segovia diceva della interpretazione (una "sintesi in continua espansione", una "esplosione di libertà"...) contenga un valore perenne, sempre da riscoprire e su cui sintonizzarsi, al di là ed oltre quelle che sono state, ad esempio, le sue

    competenze filologiche o, diciamolo pure, la sua fatica nel cogliere anche il positivo delle trasformazioni della musica del Novecento.

     

    In questa "sintesi in espansione", che Segovia ha richiamato ed anche testimoniato, si possono benissimo inglobare le nuove acquisizioni della musicologia o dei nuovi linguaggi compositivi...se non si potesse fare ciò non ci sarebbe la "continua espansione", si rimarrebbe ancorati ad un passato fermo, appunto "fotografato" nella sua immobilità. E lo stesso Segovia non faceva così.

     

    Ma, d'altra parte, se si tratta di fare una sintesi, allora occorre continuare ad esercitare un giudizio, e di tutti gli elementi, anche nuovi, prendere ed usare quello che, secondo tale giudizio, vale. Altrimenti si rincorre solo quello che è di moda, acriticamente. Questo Segovia non l'avrebbe mai fatto, e continuare ad esercitare un giudizio critico in fondo è quindi un modo di continuare una tradizione. "El sueno della razòn produce monstruos", oggi come ai tempi di Goya.

    Per non cadere nel sonno della ragione anche oggi io mi chiedo, nell'operare scelte artistiche, che "ragioni" ci sono, se - ad esempio - un pezzo nuovo mi dà ragioni sufficienti per impararlo, mi trasmette un valore che ritengo importante per me e per gli altri.

     

    Ho sempre rispettato (un po' da lontano, confesso) il pezzo per chitarra di Ghedini; lo leggo da quarant'anni... ma fino a pochi mesi fa non mi era scattata la molla per impararlo e suonarlo in pubblico;ad un certo punto si è accesa la lampadina del valore del pezzo per me, fino alla necessità, per me, di suonarlo...mi ricordo una vecchia intervista di Segovia, dove , a proposito di quella Antologia della Ricordi in cui è contenuto il pezzo di Ghedini, disse più o meno: "leggerò il volume e se qualche pezzo non mi piacerà non lo suonerò, gli altri sì"...ad un certo punto, dopo la lampadina di Malipiero, Poulenc, Petrassi, Auric, Rodrigo (contenuti in quel volume), che avevo già studiato e suonato in pubblico, mi si è accesa anche la lampadina di Ghedini...meglio tardi che mai. Adesso però credo di poter dire qualcosa di personale suonando quel pezzo, di poterne offrire la mia sintesi...in continua espansione, man mano che ci capisco qualcosa di più...

     

    Questi sono i miei "two cents" che butto nella discussione.

     

    Caro Piero, ti sarai sicuramente domandato come mai i pianisti, i violinisti, i violoncellisti, che ebbero, nella generazione di Segovia, interpreti del calibro di Horowitz e Rubinsein, di Heiftez, di Casals, non crearono, intorno a quelle figure, l'immane mitologia sorta intorno alla figura di Segovia ad opera dei chitarristi. Storicamente, esteticamente, la figura di Segovia è perfettamente inserita nella storia dell'intepretazione musicale, in cui sfliano figure eminenti al pari della sua, senza che per questo si sia alzata una mitografia - inevitabilmente accompagnata da una mitomania denigratoria che, nel caso specifico di Segovia, ha raggiunto punte criminaloidi.

     

    Si dirà che ciò è dipeso in gran parte dal fatto che, mentre gli Heifetz e i Casals si aggiungevano a una tradizione già in atto nei rispettivi campi, Segovia l'ha fondata, ma sappiamo che tale affermazione - storicamente - è priva di fondamento, perché i grandi interpreti della chitarra sono esistiti prima di lui e contemporaneamente a lui, e tuttavia non hanno inciso in misura paragonabile alla sua. Prima di Casals, la Suites per violoncello di Bach erano ignorate o considerate degli esercizi noiosi. Il fatto che lui ne abbia rivelato al mondo l'immensa bellezza è stato riconosciuto, ma questo non ha trasformato Casals, agli occhi dei violoncellisti, in una icona ossessionante, da citare a ogni pie' sospinto, da prendere come riferimento, o addirittura come modello, per le proprie, quotidiane scelte di repertorio, di stile interpretativo, addirittura di definizione dei testi.

     

    Io non esito a individuare, in questo atteggiamento, una patologia culturale i cui fattori sono molteplici, ma riassumibili in una definizione generalizzata: la pochezza dei chitarristi. Pochezza intellettuale, culturale, artistica, musicale, caratteriale, etc. Segovia è stato un grande interprete, al cui seguito si è formata una enorme piaga manieristica, ora giustiziata dal mondo della musica e risospinta in quelli che il maestro chiamava "suburbi musicali". Basta leggere un qualunque forum di chitarra - non solo in italiano - per rendersi conto della realtà. Il guaio è che, in questa vigorosa spazzata che la vita musicale ha fatto del chitarrume, sono stati implicati anche chitarristi di valore, dotati di personalità autentica, i quali ora faticano enormemente a risalire la corrente avversa e ottengono riconoscimenti molto inferiori ai loro meriti.

     

    Lo studio che ho condotto in ambito segoviano mi ha portato a credere che Segovia fosse perfettamente conscio di tutto ciò, e che sapesse benissimo che ci sarebbe stato après lui, le déluge. Credo che sia giunto il tempo di scrivere un saggio sull'argomento: un saggio storico, si, ma anche estetico, con una serie di implicazioni su quello che potrà essere non "il futuro della chitarra" (locuzione ridicola), ma il futuro della cultura della quale la musica per chitarra è espressione peculiare. E' ora di decidersi...

     

    dralig

  19. Per l'ordinazione del volume non saprei: avevo capito, parlando qualche mese fa con Emilia Segovia, che gli eredi del Maestro avevano vinto una causa per impedire la diffusione del libro in quanto conterrebbe materiale che loro ritenevano non andasse reso di dominio pubblico senza il loro consenso.

     

    Io acquistai il volume qualche anno fa ad Alessandria, presso lo stand de La Stanza della Musica, se non ricordo male.

    Al di là di qualche comprensibile questione di riservatezza, forse però ormai superata dopo tanti anni, il libro da' una immagine meravigliosa della grande umanità di Segovia, oltre che informazioni utilissime per ricostruire lo svolgimento della sua vita artistica e del suo modo di lavorare.

    Sempre Emilia Segovia mi ha detto che il Segovia uomo era quattro volte più grande del (già immenso, dico io) artista. Io credo che le due "grandezze" siano connesse tra loro.

     

    Non ci fu una causa, Piero. Emilia Segovia informò l'editore che negava il suo consenso alla pubblicazione delle lettere. Il libro, però. era già in commercio, e anche se l'editore si conformò al veto dell'erede, evitando di ristampare il volume, la sua diffusione non si arrestò.

     

    Condivido la tua valutazione del contenuto delle lettere e del loro potere rivelatore. Oggi, disponiamo di documenti che ampliano molto - confermandone l'impronta - la conoscenza dell'artista e dell'uomo, della sua vita, delle sue molte tribolazioni e del fatto che la dedizione alla propria arte impone un prezzo terribile. Mi riferisco al libro di Alfredo Escande intitolato "Don Andrés y Paquita" e alla biografia appena edita di Alberto Lopez Poveda. Escande ha tratteggiato un ritratto molto forte, sia in senso artistico che personale, di Segovia, mettendo a fuoco il decennio trascorso a Montevideo (con un'ampia escursione nel periodo precedente e in quello successivo). Lopez Poveda propone un excursus cronologico completo, con il sostegno di una documentazione in gran parte inedita. Del libro di Escande, ho già scritto. Quello di Poveda, sta per arrivarmi, e ne scriverò appena lo avrò letto. Mi pare che siamo ormai in possesso di tutto quello che occorre per comprendere a fondo il fenomeno Segovia. Forse, alla fine, un saggio interpretativo sulla sua figura e sulla sua arte potrebbe completare il quadro. Vedremo...

     

    dralig

  20. Scusate, probabilmente arrivo tardi e se ne è già discusso... ma vorrei sapere se esiste una traduzione italiana delle lettere di Segovia a Ponce e se qualcuno mi può suggerire un link su interrnet dove posso ordinare il libro! Grazie

     

    Non esiste una traduzione italiana, ma il volume pubblicato da Editions Orphée contiene sia il testo originale delle lettere, in spagnolo, sia una traduzione inglese che io trovo eccellente. Non mi sembra quindi inaccessibile: un chitarrista non può non conoscere almeno una delle due lingue...

     

    dralig

  21. Visto che il Forum viene letto da tutti, quindi al fine di rendere a tutti noto il significato delle scuse (non si tratta infatti di messaggi privati) sarebbe interessante che Dralig specificasse meglio quali aggettivi utilizzo (sul Fronimo) per definire il metodo di lavoro di M. Ophee.

    Così, giusto per capire.

    Giorgio Tortora

     

    Non l'ho capito questo messaggio. Forse mi sono perso qualcosa? Visto che il forum viene letto da tutti, perchè non ci degna di essere un po più chiaro?

     

    Alessio

     

    Molti anni fa, caro Alessio, Matanya Ophee ritrovò una pubblicazione di Sei Preludi di Antoine de L'Hoyer successivamente attribuiti, in un'edizione viennese, a Mauro Giuliani (op. 83). Matanya ritenne allora che si trattasse di un plagio, ne incolpò Giuliani e, di questa sua valutazione, fece il punto di partenza per questionare l'autenticità dell'intera opera del maestro pugliese. Nel contestare questo suo diritto musicologico sulle pagine de Il Fronimo, io - tradito da un'emozione negativa che mi fece perdere l'equilibrio - rivolsi a Matanya accuse di dilettantismo. Si badi bene, io non affermai mai che quelle opere non fossero di L'Hoyer. Intendevo invece difendere Giuliani da un sospetto molto pesante. Lo feci in modo veemente, lasciandomi prendere la mano. Matanya rispose per le rime, e io ribattei. Per quanto dura, la polemica si svolse però unicamente sulla questione metodologica: nessuno dei due addebitò all'altro di aver raccontato fanfaluche.

     

    Qualche tempo dopo, scrissi a Matanya offrendogli le mie scuse per i toni che avevo adoperato. Le accettò di buon grado. Per quanto riguarda il nocciolo della questione, ciascuno rimase sulle sue posizioni. Questo non impedì a lui di dare alle stampe l'edizione del più importante lavoro musicologico scritto su Mauro Giuliani (quello di Thomas Heck), né impedì, tra di noi, il sorgere di una stima reciproca, suggellata dalle collaborazioni professionali e anche da una cordiale amicizia.

     

    Ciao.

     

    ag

  22. Visto che il Forum viene letto da tutti, quindi al fine di rendere a tutti noto il significato delle scuse (non si tratta infatti di messaggi privati) sarebbe interessante che Dralig specificasse meglio quali aggettivi utilizzo (sul Fronimo) per definire il metodo di lavoro di M. Ophee.

    Così, giusto per capire.

    Giorgio Tortora

     

    Le mie scuse a Matanya Ophee per le espressioni adoperate nei riguardi del suo metodo di lavoro furono presentate all'interessato a suo tempo e nei modi dovuti: poiché so di non essere infallibile - e non me ne vergogno - correggo i miei errori non appena ne prendo conoscenza, senza mettere tempo in mezzo, e senza cercare di nascondermi.

     

    Comunque, in quella discussione si parlava, riguardo a Giuliani e a L'Hoyer - che non hanno nulla che vedere con una discussione sui Preludi di Villa-Lobos- di errori metodologici, non di balle, e per quanto accesi fossero i toni, i contendenti si rinfacciarono lacune musicologiche, non fanfaluche: chi oggi racconta balle non ha alcun modo di salvare la faccia evocando le polemiche altrui, svoltesi sul metodo, non sulla credibilità.

     

    Lascio a Mr Ophee di rievocare l'episodio, se lo ritiene opportuno. Di certo, non mancherà di spiegare come mai, dopo lo scontro polemico, egli ritenne di affidarmi compiti quali la ricostruzione del concerto per chitarra e orchestra di Boris Asafev, la ri-composizione per chitarra e trio d'archi del Gran Solo di Sor, nonché di pubblicare una delle mie composizioni: "Ikonostas": tutti lavori patrocinati dalla sua casa editrice.

     

    dralig

  23.  

    Ciao Matanya, come tu sai, Escande ha pubblicato la riproduzione del programma del concerto nel quale Abel Carlevaro eseguì i due Preludi a Rio de Janeiro alla presenza del compositore. Io credo che questa sia una prova sufficiente, anche perché collocata in un contesto di relazioni personali che intercorsero tra l'allora giovane chitarrista montevideano, alunno (per davvero) di Segovia, e il compositore.

     

    A mio avviso, la questione è rilevante per la presente discussione, perché si tratta con lo stesso problema di prendere opinioni personali, come fatti storici. Tutto ciò che Escande era riuscita a dimostrare, è che il 10 dicembre 1943, Carlevaro eseguito Preludes 3 e 4, in presenza del compositore. Non dimostra, senza ombra di dubbio, che questa era una prima esecuzione. Anche Escande stesso ammette che si tratta di un presupposto che è valido, fino a prova contraria.* De un punto di vista strettamente musicologico, tutte le informazioni su questo presunto prestazioni prima proviene da Carlevaro se stesso, non fanno Villa-Lobos, o da qualsiasi altra prova che è indipendente dal ricorrente medesimo. Il semplice fatto dell'esistenza di stampa di queste due preludi per due anni, fa decadere immediatamente la pretesa Carlevaro, a meno che non si può fornire una prova di un fatto negativo.

     

    Io non sono disposto a sospendere le semplici regole di prova richiesti in indagini storiche, solo perché un discepolo fedele del soggetto, sento l'obbligo emotiva per gonfiare i dati a disposizione per fare affermazioni insopportabile. Un discepolo dedicato è l'ultima persona che può scrivere una biografia attendibile del suo maestro. Per questa ragione, farò in modo di ottenere la Poveda biografia di Segovia, per vedere se aveva il giusto atteggiamento verso l'affermazione di Segovia, che il primo concerto del 20° secolo è stato scritto per lui da MCT. Come ho già dimostrato, questa era una bugia, e Segovia sapeva che era una bugia. Carlevaro, a quanto pare, era uno studente molto bene del suo maestro.

     

    *Podemos perfectamente asumir entonces, hasta que no se demuestre fehacientemente lo contrario, que el referido concierto en el Teatro Municipal de Rio de Janeiro march el estreno por parte de Abel Carlevaro de los "Preludios" 3 y 4 de Villa- Lobos, en presencia del propio compositor. [Possiamo anche prendere tempo, fino a quando al contrario è chiaramente stabilito che la suddetta concerto al Teatro Municipal di Rio de Janeiro prima marcia di Abel Carlevaro dei "Preludi" 3 e 4 di Villa-Lobos, in presenza di proprio compositore].

     

    Hai ragione Matanya - non avevo colto la sottigliezza del tuo assunto. Io intendevo solo dire che Segovia, con l'origine e l'edizione dei Préludes non c'entrava niente - e questo è fuori discussione - e citavo le esecuzioni di Carlevaro come prova del fatto che HVL non aveva legato quei suoi lavori a Segovia. Poi, è vero quello che tu sostieni: quella che fa delle esecuzioni di Carlevaro una prima è solo un'ipotesi e non una prova.

     

    La cosa più sciocca che ho fatto in vita mia è stata quella di intavolare una disputa con te, molti anni fa, senza accorgermi che stavamo dalla stessa parte. Come sai, posso sbagliare, ma non ripeto mai lo stesso errore.

     

    Ciao.

     

    ag

  24. Nella gestazione e nell'edizione dei "Cinq Préludes", Andrés Segovia non ebbe parte alcuna. Anzi, Segovia fu preceduto, nella prima esecuzione di due dei cinque Preludi, dall'allora suo discepolo Abel Carlevaro, che ricevette i manoscritti direttamente da Villa-Lobos, con il quale aveva avuto contatti indipendentemente da Segovia.

     

    Per il futuro della chitarra, sarebbe intanto utile non intorbidare il presente propagando falsità.

     

    dralig

     

    Sono completamente d'accordo con il sentimento espresso nell'ultima frase. Per questo motivo, è importante notare che le informazioni contenute sulla frase precedente, non si basa su prove documentali, ma sulla propaganda espressa dai discepoli di Carlevaro. Preludes 3 e 4 sono state pubblicate in Brasile sulla rivista musicale Musica Viva nel 1940. Quando HVL incontrato Segovia nel 1941, ha sicuramente dato a lui le copie delle edizioni a stampa brasiliana, e non dei manoscritti. L'affermazione che Carlevaro anteprima questi Preludi nel 1943, quasi 3 anni dopo la loro prima pubblicazione, ignora la possibilità che i chitarristi brasiliani possono essere eseguite in pubblico non appena sono disponibili. Naturalmente, non abbiamo alcuna informazione per dimostrare che hanno fatto, e per dimostrare che essi non, equivarrebbe a provare un fatto negativo. Per quanto riguarda la metodologia utilizzata da Alfredo Escando per presentare la "prova" di una prima esecuzione di Carlevaro, avrei altro da dire su questo argomento, se vi è interesse.

     

    Ciao Matanya, come tu sai, Escande ha pubblicato la riproduzione del programma del concerto nel quale Abel Carlevaro eseguì i due Preludi a Rio de Janeiro alla presenza del compositore. Io credo che questa sia una prova sufficiente, anche perché collocata in un contesto di relazioni personali che intercorsero tra l'allora giovane chitarrista montevideano, alunno (per davvero) di Segovia, e il compositore. Conosco la discussione sviluppatasi tra te ed Escande sull'argomento e, in questo caso, credo che lui abbia ragione, anche se questo non significa, ai miei occhi, che tu abbia torto: significa solo che io credo nei dati che lui ha riportato, e non me ne occorrono altri. Agli effetti della discussione qui in atto, comunque, questo tema è irrilevante: qui qualcuno ha detto cose indiscutibilmente false, e di fanfaluche nel mondo della chitarra, come tu ben sai, ne corrono troppe. Un conto è interpretare diversamente un documento - come fate tu ed Escande - un altro conto è inventarsi fatti che nessun documento contiene.

     

    Ciao.

     

    ag

  25. Chi distribuirà i tomi? O meglio, come sarà possibile acquistarne una copia?

     

    Darò ragguagli appena ne giungerò a mia volta in possesso. Quello che so, per il momento, è che la biografia è stata pubblicata e presentata ufficialmente - ero invitato all'evento, ma non ho potuto partecipare - e che una copia della medesima è en route verso la mia cassetta della posta.

     

    dralig

     

    Da un dépliant che mi è giunto insieme all'invito, e che in precedenza non avevo letto, apprendo che l'acquisto si può effettuare presso

     

    Entre libros

    calle Viriato, 8

    Linares

    tel. 955 695 353

    fax 953 600 803

    libreria@entre-libros.com

     

    Attenti, è una bella botta. 90 euro (iva inclusa) più, immagino, la spedizione.

     

    dralig

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