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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1.  

     

     

    Capisco Maestro. Ma in parte è comprensibile non crede? Tutti gli artisti si credono un po demiurghi del mondo, salvo prendersi, spesso, sonore mazzate dal mondo stesso. Anche lei, quando indirizza il lettore a considerare Castiglioni "più" compositore di Nono secondo me ha questa tentazione. Perchè io capisco cosa vuole dire, e corentemente a quello che per lei è la figura del compositore, potrei anche concordare. Ma nel modo di concepire e organizzare un suono, diciamo pure un sound, Nono non è secondo a nessun artigiano, salvo premettere che Nono frequenta un artigianato del tutto differente da quello di Castiglioni. Perchè avviene questo? Perchè probabilmente non concordiamo sulle conquiste musicali della musica del dopoguerra che lei magari pensa come sconfitte.

    Comunque, si. In generale anch'io non sopporto coloro che mi dicono cosa fare, ma soprattutto, ci tengo a dirlo, non ho mai fatto qualcosa nella speranza di compiacere qualcuno.

     

    Io si. E quel qualcuno sono soltanto io. Inoltre, ammetto che quando vengo a sapere che la mia musica spiace a certi tipi, ne traggo compiacimento (dal venirlo a sapere).

     

    D'accordo su tutto il resto. Credo di aver sviluppato un apparato immunitario ipertrofico nei confronti della storia della musica del Novecento. La trovo scandalosa. Non credo che, nella storia dell'umanità, il talento abbia mai ricevuto una punizione più cattiva. Pur senza essere uno storico - se non per alcuni marginali contributi al ruscello della storiografia chitarristica del secolo scorso - mi sforzo di suggerire ai giovani - ché in loro vanno riposte le speranze residue - di studiarla senza impararla, tanto da poterla vedere diversamente da come la leggono.

     

    Comunque, ho netta la percezione di essere un uomo della generazione precedente la Sua, e guardo con rispetto a quello che accade. Non fingo di partecipare, ma osservo con impegno.

     

    dralig

  2.  

    Tu ribadisci l'importanza della teoria degli affetti nell'ambito del tuo lavoro. E' giusto e importante che tu segua questa strada. Ma è necessario comprendere che quando qualcuno esprime opinioni circa la propria prospettiva poetica, sia tu, io o altri, siamo già dentro l'ideologia. Che cos'è l'ideologia se non la messa al centro della propria vita di un'idea, ideale, politico, religioso, poetico? Se non volessi fare dell'ideologia non faresti il musicista ma, magari l'esteta, o lo storico dell'arte.

    La tua idea di bellezza è quindi ideologica tanto quanto la mia. Noi siamo tutti produttori di ideologie (quando facciamo i musicisti). Possiamo scegliere di saperlo, illuderci di non saperlo o esserne pienamente consapevoli.

    Io ho ribadito la mia idea sul perchè scrivere musica parlando di importanza del lavoro dell'uomo sull'uomo (cosa tra l'altro che potrebbe anche non prescindere dal considerare una drammatica interpretazione oggi dell' affektenlehre ficiniana! why not?) ma nella piena consapevolezza del problema della techné oggi. Perchè il lavoro artigianale del compositore non prescinde mai da un pensier critico sulla sua techné. Neanche negli scritti di Ficino, che è il primo moderno a considerare gli affetti razionalmente deducendone l'azione dalla connessione tra musica mundana (la musica delle sfere governata da proporzioni numeriche) e concezioni magiche e astrologiche.

     

    Sarei tentato di essere d'accordo, e sostanzialmente cedo a tale tentazione, però...Ecco, se per ideologia intendiamo il risultato dell'osservazione a posteriori di ciò che si è fatto in ambito creativo, si, anche nel rilasciare una banale intervista nella quale banalmente si parla della propria musica, si fa dell'ideologia. Io faccio come so di dover fare, senza saperne esattamente il perché (il "come" è stravinskianamente determinante, imprescindibile, il "perché" è ampiamente facoltativo, derogatorio, inessenziale); poi, osservo quello che ho fatto e ne traggo un modello teorico utile, si, ma a chi? A me, per capire quello che (cavolo) ho fatto (sono il primo a dover capire, e il fatto di aver fatto una certa cosa non è affatto una garanzia di poterla capire, la maggioranza dei geni della storia della musica erano dei bestioni che non capivano un'acca di quel che facevano, anche se lo facevano da padreterni, e bene fece Toscanini a zittire Ravel dicendogli: lei non capisce niente della sua musica), e per farne il mirino per il prossimo bersaglio. Fin qui, ideologizzo, e non ci trovo nulla di male. Dal momento in cui mi si presenta ben altra tentazione - quella di dire: si fa così, si dovrebbe fare così, è fondamentale fare così, è un peccato non fare così, etc., allora incomincia il versante della discesa ideologica, la sua degenerazione. Ammiro Stalin, che voleva un determinato tipo di musica per i suoi sporchi fini: aveva capito il potere e l'importanza della musica, e sapeva come servirsene; anche se era un criminale, era più molto stimabile degli ignoranti che tagliano il Fus pensando che la musica non serva a niente). Non ammiro per niente i compositori che quella musica hanno scritto. E detesto tutti coloro che si rivolgono ai musicisti dicendo loro come fare.

     

    dralig

  3.  

    Suppongo che HAL, prima di lavorare a tale selezione, Le domanderebbe che cosa Lei intenda per bello. Lei se la sentirebbe di darLe istruzioni in nome e per conto dell'umanità, o si limiterebbe a parlare per sé?

     

     

    HAL, se fosse programmato a dovere, mi consiglierebbe inanzitutto di non utilizzare dei software di multinazionali che costringono e limitano l'esercizio della creatività musicale (sequencer e software di notazione), e mi suggerirebbe di utilizzare ambienti di programmazione musicale dove ogni utente può parlare per sé vincolando la macchina sul da farsi e non il contrario. :)

     

     

    E, nella seconda ipotesi, a che cosa Le servirebbe la macchina, dal momento che sa benissimo da solo che cosa è bello e che cosa non lo è?

     

     

    Spesso non lo so. Ne francamente mi interessa molto saperlo. Un brano di musica per me è semplicemente necessario, non bello o brutto che sono categorie che ha utilizzato lei quando ha detto

     

    Il concetto di "bello" o di "originale" o di "interessante" non è descrivibile matematicamente

     

    allora le ho risposto che se lei allora lo desidera può benissimo adattare quei filtri alle sue esigenze (l'ambiente è programmabile per cui si adatta senza problemi a qualsiasi necessità) . Ma tornando alla sua questione "a che cosa Le servirebbe la macchina, dal momento che sa benissimo da solo che cosa è bello e che cosa non lo è?"

    ...a me interessa altro...interessano le virtualità nascoste...

    E' evidente che il compositore nello sviluppare le sue intuizioni, mette in gioco anche altre possibilità, altre virtualità. Il compositore sceglie sempre, indipendentemente dalla macchina o no, da una miriade di possibilità che vincola in modo sempre più approfondito in una sorta di gioco di scatole cinesi. Parafrasando Petrassi l'esito felice di una scelta è sempre bilanciato dal dubbio. E' la logica conseguenza dello sviluppo, inteso come tecnica compositiva.

    Ci sono molti modi per arrivare a e/o sviluppare una intuizione. Alcuni di questi momenti sono nitidi nella mente del compositore, altri meno. Allora si fa ricorso all'artigianato, che altro non è che un modo per vincolare le nostre scelte. La composizione assistita spesso si inserisce qui. Quindi si valutano le soluzione esattamente come si poteva fare tradizionalmente, indipendentemente dalla macchina e soprattutto indipendentemente da ciò che magari in modo precipitoso abbiamo ritenuto "bello". Questo mi interessa. Esplorare possibilità inespresse.

    E per quello che riguarda il virtuale possibile in composizione: purtroppo non nascono tutti Mozart, ci sono anche i Beethoven e gli Stravinsky che appuntano come dei dannati. Lei scrive di getto anche negli sviluppi?

     

     

    Certissimamente, e proprio per questo motivo trovo che sia, per il momento, infinitamente più comodo e sicuro inventare un pezzo di musica che selezionarne, attraverso un lavoro dalle proporzioni ago-pagliaio, i frammenti, prendendoli da una serie smisurata di combinazioni elaborate dalla macchina.

     

    ag

     

    La composizione assistita, almeno per come la utilizzo io, non interviene sempre e quando lo fa solitamente non interviene su di una composizione "intera". Interviene solo quando si rende necessaria; e non si rende

    necessaria quando si parla di invenzione! L'invenzione appartiene di diritto al creatore/compositore e difficilmente in questa fase può intervenire il calcolatore. Semmai è in altri momenti che si rende utile: per semplificare come dicevo, nelle forme dello sviluppo, quelle della tradizione, quelle novecentesche e quelle che non si daranno mai in, perchè la mano, nel tempo-uomo, non potrà mai stare dietro alle "intuizioni" di una tale potenza di calcolo. 8-)

     

    Ho capito. Prima, no, non avevo capito - sono un anziano che ha imparato a usare il computer troppo tardi (sto parafrasando Pavese, ma accade per caso). Ecco, ogni giorno mi rendo conto del mio modo di essere attraverso la constatazione di quel che non sono e di quel che non voglio (altra parafrasi, ma vivaddio, mentre si può rimproverare a una persona persona di aver " visto troppi film ", non le si rimprovererà mai di aver letto troppe poesie). La composizione assistita non la voglio. Non è un rifiuto ispirato da sentimenti negativi, no. E' che io proprio non la voglio per me.

     

    Si, io scrivo di getto. Poi, di getto correggo un centinaio di volte. Come diceva Ravel, è difficile che io scriva una nota senza provare, al suo posto, anche le altre undici.

     

    dralig

  4. Una macchina può elaborare una quantità illimitata di combinazioni tra suoni assegnati, ma non può in alcun modo effettuarne una selezione in base a filtri che non siano matematici.

     

     

    e sorge già un problema di notevole interesse. Chi le dice invece che questi filtri "matematici" non possano effettuare una selezione efficace in base, non ai suoi (della macchina), ma ai nostri criteri del bello?

     

     

    Suppongo che HAL, prima di lavorare a tale selezione, Le domanderebbe che cosa Lei intenda per bello. Lei se la sentirebbe di darLe istruzioni in nome e per conto dell'umanità, o si limiterebbe a parlare per sé? E, nella seconda ipotesi, a che cosa Le servirebbe la macchina, dal momento che sa benissimo da solo che cosa è bello e che cosa non lo è?

     

     

     

    La macchina potrà anche non pensare, ma noi, nella nostra storia di musici, con il nostro bagaglio tecnico, ci saremo fatti un'idea di quello che vogliamo comporre, a meno di non voler improvvisare (ma anche in questo...)

     

     

    Certissimamente, e proprio per questo motivo trovo che sia, per il momento, infinitamente più comodo e sicuro inventare un pezzo di musica che selezionarne, attraverso un lavoro dalle proporzioni ago-pagliaio, i frammenti, prendendoli da una serie smisurata di combinazioni elaborate dalla macchina.

     

     

     

    ag

  5. composizione assistita

    Cosa intendi per composizione assistita? Qualcosa fatto da una macchina? Se fosse così, il discorso non cambierebbe: se un pezzo funziona, funziona...ma non credo che una macchina possa fare un pezzo musicalmente interessante.

     

    Una macchina può elaborare una quantità illimitata di combinazioni tra suoni assegnati, ma non può in alcun modo effettuarne una selezione in base a filtri che non siano matematici. Il concetto di "bello" o di "originale" o di "interessante" non è descrivibile matematicamente, quindi il prodotto delle elaborazioni della macchina dovrebbe poi essere selezionato da un cervello nel quale siano presenti e operativi i suddetti filtri: bello, originale, interessante. Finora, questo cervello è soltanto quello umano. Per scegliere, tra le combinazioni elaborate dalla macchina, quelle corrispondenti a criteri estetici, un essere umano dovrebbe lavorare di più di quanto non gli occorra per creare direttamente qualcosa di bello, di originale, di interessante. Quindi, per il momento, la macchina è efficiente ma del tutto stupida.

     

    dralig

  6. Insomma, è il compositore di razza che fa la musica, non i materiali usati.

     

    Verissimo. Allora, nel bando di un concorso di composizione, specifichiamo lo strumento o l'organico, la durata (se necessaria) e lasciamo a ogni compositore il compito e il diritto di dimostrare di che razza è, evitando di suggerirgli determinati materiali (il che equivale ovviamente a escluderne altri).

     

    dralig

  7.  

    Guarda, un bando di concorso come quello qui pubblicato, negli Stati Uniti farebbe ridere. Nessun musicista, che non sia un rudere culturale o un idiota, accetta oggi di sentirsi dire che cosa può fare e che cosa non può fare: se è onesto, fa quello che sa fare come ritiene giusto farlo, e se è disonesto tenta di ingannare il prossimo menando il can per l'aia. Caro Cristiano, se un brano - quale che sia il suo orientamento di linguaggio - è stato scritto da un compositore, lo si vede - prima ancora di sentirlo - guardando per dieci secondi la prima pagina del suo testo; se l'ha scritto un dulcamara, dieci secondi sono anche troppi. Non c'è modo di darla a bere. Poi, che il brano sia atonale o "di ricerca", o che sia in mi minore, non conta un accidente, esattamente come non conta un accidente il fatto che il compositore sia credente o ateo, di destra o di sinistra, eterosessuale o gay. E ogni pregiudizio al riguardo sa di polizia politica, di chiesa con braccio armato, di valle di Giosafat anticipata in questo mondo.

     

    dralig

     

    Forse solleverò una polemica con queste affermazioni, ma se è vero che una composizione deve "funzionare", è pur vero che il risultato estetico non è sicuramente l'ultimo fattore. In questo secolo si è assistito a sperimentazioni ai limiti dell'assurdo (vedi "Helicopter Quartet", oppure "4,33", per citarne due eclatanti). In nome della libertà si è scritta musica (oppure pause...), che come ha detto Lei in un altro post, ha fatto accademia e ancora oggi, in parte, continua a farla, e molto spesso continua a fare l'accademia di se stessa, mentre il pubblico andava da un'altra parte. Lungi da me mettere un dictat, ognuno si esprime come vuole e meglio crede, soprattutto se lo fa con grande tecnica, ma il mondo non ci segue, il compositore molto spesso è isolato, di nicchia. Non so, ma io vedo nei giovani allievi di composizione (almeno parlo della mia esperienza con gli amici di classe, prima a Matera e ora a Bari), una rinnovata volontà di comunicare quello che si sente, non solo la voglia di una completezza tecnica, quello che insomma molto spesso manca in molta musica del novecento, ovvero la comunicazione.

     

    Francesco

     

    Caro Francesco, la volontà di comunicare i proprii pensieri e i proprii sentimenti è stata rivendicata da un'intera categoria di compositori - allora giovani - a metà degli anni Settanta: si trattava degli allievi dei più famosi compositori della generazione precedente. Furono pubblicati "manifesti" e si assistette a una sorta di processo intentato dai giovani ai loro mentori. Uno degli scritti più forti fu redatto da Marco Tutino, allievo - vado a memoria - di Giacomo Manzoni, e credo che sia ancora leggibile nelle riviste musicali dell'epoca.

     

    E' chiaro che non ci sarebbe stato bisogno di una siffatta presa di posizione se non ci si fosse trovati in vigenza di leggi non scritte, ma applicate con ferreo rigore, che avevano praticamente vietato quello che veniva reso oggetto di rivendicazione. "Brutta" fu l'aggettivo che Tutino adoperò nel descrivere la musica dei compositori della generazione alla quale apparteneva anche il suo maestro.

     

    E' chiaro che, da allora in poi, di acqua sotto i ponti ne è scorsa molta, e oggi nessuno questiona più - almeno in sede pregiudiziale - il diritto del singolo compositore di fare quel che vuole. Personalmente, ritengo che la musica scritta da autori come Solbiati, Cappelli, Francesconi, Vacchi e altri sia di ottima qualità, e che sia ascoltabilissima da parte di chiunque abbia assimilato le opere del primo Novecento, sia quelle viennesi che quelle francesi e italiane.

     

    Non dobbiamo però credere che tutta la musica scritta negli anni Cinquanta e Sessanta sia inascoltabile: ci sono pagine notevolissime, che si lasciano accostare con immediatezza, nonostante i veti e i precetti sotto i quali furono scritte. Certo, occorrerà una messa a punto delle prospettive storiche, per aggiustare giudizi di valore molto distorti: per fare un esempio, la musica di Niccolò Castiglioni è molto superiore a quella di Nono, Berio e Maderna, e questa, che per me è un'evidenza, è lungi dall'essere stata riconosciuta, e non è un caso che, nell'ascoltarla, non si incontrino maggiori difficoltà di quante ne incontri il neofita che ascolta per la prima volta la musica di Debussy.

     

    Insomma, alla fine, i compositori che avevano qualcosa da dire, lo hanno detto, e sarebbe un peccato non coglierne il valore solo perché sono appartenuti a un'epoca dominata dall'ideologia invece che dalla bellezza.

     

    dralig

  8. "Svincolato dalla tradizione, quindi lontano dall'ambiente linguistico in qualche modo legato alla tonalità". La musica svincolata dalla tonalità ha, grosso modo, una novantina d'anni: non sono stati sufficienti a creare una tradizione? Chi scrive musica atonale è fuori dalla tradizione? Linguaggi inusuali? Dopo le migliaia di pezzi atonali, seriali, aleatori, tellurici, scritti per chitarra nel Novecento, che cosa significa "linguaggi inusuali"? Un pezzetto ben scritto in do maggiore (rara avis) non sarebbe molto più "inusuale" dell'ennesimo brano "di ricerca"?

     

    Argomento molto interessante.

    Due domande:

    1) La sperimentazione sonora e quindi anche compositiva anche solo riferita al repertorio chitarristico degli anni 60 e 70 può essere legata ad una difficoltà (o, perchè no, incapacità) di espressione attraverso la costruzione e il conseguente rispetto di una struttura o forma, che dir si voglia?

     

     

    No. Negli anni Sessanta e Settanta fu scritta buona musica per chitarra che, pur non facendo diretto riferimento a forme adoperate in passato, non denunciava alcuna difficoltà nella costruzione e nella strutturazione dei brani, anzi ne esaltava, insieme ad altri aspetti, i valori formali. Menziono solo tre titoli di autori italiani, ma la lista potrebbe essere ben più lunga: "Nunc" di Goffredo Petrassi, "Las seis cuerdas" di Alvaro Company, "Algo" di Franco Donatoni. I tre autori in questione avevano un'idea ben definita del "mondo sonoro" al quale intendevano dar vita con la chitarra, e si servirono di forme create ad hoc, adoperando anche la timbrica in funzione strutturale, non per scopi estetizzanti. Più avanti, Luciano Berio, nella Sequenza XI, fece la stessa cosa - naturalmente a modo proprio. Questi erano compositori che non pativano di difficoltà e che avevano carte da giocare. Allo stesso modo, nei primi anni Sessanta, Castelnuovo-Tedesco e Rodrigo componevano i loro bravi pezzi tonali, del tutto legati alle rispettive tradizioni. A deriderli e a escluderli dai dizionari erano soltanto i soldatini della sedicente nuova musica, quelli in eskimo e barba. Io ho letto la lettera che Petrassi scrisse al suo ex-allievo Wolfango Dalla Vecchia in accoglimento della musica di "Variati amorosi momenti", appena pubblicata da Zanibon - composizione del tutto tradizionale. Ebbene, il grande maestro romano non spendeva una parola riguardo al tipo di linguaggio musicale adottato dal compositore padovano, e lo elogiava caldamente per la bellezza e la perfezione formale del suo lavoro per chitarra.

     

    2) Spesso con colleghi concertisti (italiani e non, coetanei e non) mi sono ritrovato a scambiare opinioni sull'estremizzazione di concetti come 'astrazione del suono', 'rarefazione', e via discorrendo; estremizzazione che, lasciatemelo dire, a volte si trasforma in provocazione nella quale la musica non c'entra più un fico secco e che quindi rende inutile anche un eventuale lavoro di ricerca, quando questa c'è davvero. Sono tutti d'accordo nel sostenere che la buona musica necessita di sostanza e quindi di costruzione e che la lettura di pagine accartocciate con pentagrammi concentrici (non mi riferisco a nessuna composizione in particolare) o di tamburelli sul ponticello prima con unghie e poi con il polpastrello (basta, per favore!) sia tutto sommato qualcosa da fare al solo scopo di conoscere - benvenga sempre - ma non certo per espandere il proprio repertorio. Alla luce di questo, oggi, possiamo definire alcune piste di "ricerca" (si fa per dire) come dei flop?

     

    Guarda, un bando di concorso come quello qui pubblicato, negli Stati Uniti farebbe ridere. Nessun musicista, che non sia un rudere culturale o un idiota, accetta oggi di sentirsi dire che cosa può fare e che cosa non può fare: se è onesto, fa quello che sa fare come ritiene giusto farlo, e se è disonesto tenta di ingannare il prossimo menando il can per l'aia. Caro Cristiano, se un brano - quale che sia il suo orientamento di linguaggio - è stato scritto da un compositore, lo si vede - prima ancora di sentirlo - guardando per dieci secondi la prima pagina del suo testo; se l'ha scritto un dulcamara, dieci secondi sono anche troppi. Non c'è modo di darla a bere. Poi, che il brano sia atonale o "di ricerca", o che sia in mi minore, non conta un accidente, esattamente come non conta un accidente il fatto che il compositore sia credente o ateo, di destra o di sinistra, eterosessuale o gay. E ogni pregiudizio al riguardo sa di polizia politica, di chiesa con braccio armato, di valle di Giosafat anticipata in questo mondo.

     

    dralig

  9.  

    "Noi italiani -aggiunge- abbiamo dimenticato che la musica non è solo intrattenimento, ma è una necessità dello spirito. Questo è grave perchè significa spezzare delle radici importanti della nostra storia".

     

     

    E' importante ribadire questo concetto. Perchè, come si è visto, non è solo la "società" a non comprenderlo. E'una deformazione culturale che ormai si sta diffondendo anche nei Conservatori e nelle Università. Riporto, a proposito, anche le parole di Luciano Berio: " Non ho intenzione di occuparmi di musica come rassicurante mercanzia emotiva per l'ascoltatore o come rassicurante bagaglio procedurale per il compositore. Mi piace invece leggereo ascoltare la musica che si interroga, ci interroga e ci invita ad una costruttiva revisione o, addirittura, a una sospensione del nostro rapporto con il passato e a una sua riscoperta sulle tracce di percorsi futuri".

     

    Non avevo ancora trent'anni quando, sul "Corriere della Sera", invitato dal direttore Piero Ottone, Pier Paolo Pasolini pubblicava i suoi articoli. Non avevo mai amato - lo confesso - la sua poesia, e nemmeno come romanziere mi sembrava grande, ma quegli scritti mi rivelarono lo scrittore civile e il critico della società, acuto e profetico, che erano in lui: non guardava all'Italia e agli italiani con gli occhi di Marx, ma con quelli di un umanista che assiste alla demolizione dei templi. Mi sfuggiva tuttavia, nella sua completezza, il senso dell'accusa che egli rivolgeva ai dirigenti della politica nazionale: degradazione antropologica del popolo italiano. Oggi, ne abbiamo sotto gli occhi l'agghiacciante evidenza.

     

    La musica. Si assisteva, da un lato alla festosa occupazione dei mezzi di comunicazione da parte dei canzonettari, che raccoglievano, nella mente delle masse - il popolo non c'era più - il riconoscimento che il popolo di un secolo prima - e anche in tempi meno lontani - aveva tributato a Verdi e a Puccini, a Mascagni e a Leoncavallo. I tipi come Berio erano intenti a negare alla crassa borghesia il piacere gastronomico dell'ascolto (mercanzia emotiva), a scrivere guide all'ascolto della musica che - lette soltanto dai loro allievi - stabilivano qual era la musica ("e su ogni altro, derisione e silenzio", scriveva Eugenio Montale): "Non è abbastanza contemporaneo", si disse a più di un autore, e Bruno Bettinelli, comportandosi come un capo dei partigiani trent'anni prima, prese il coraggio a due mani e scrisse un articolo esortando i giovani che volevano comporre, a far che?, a studiare composizione, fatica ormai ritenuta superflua.

     

    Ed eccoci qui, ad assistere alle invettive del grande violinista contro Allevi. Mica che, da parte di qualcuno, si senta dire: forse, abbiamo commesso degli errori. No, lorsignori non sbagliano mai. Palmiro Togliatti, prima di leggere un discorso in parlamento, lo faceva mondare di ogni virgola fuori posto da un letterato di fiducia: non ne avrebbe avuto bisogno, ma il rispetto che aveva delle istituzioni lo induceva a cercare la perfezione, e nel dare addosso a de Gasperi si preoccupava di scrivere in buon italiano: a lui, nessuno avrebbe osato parlare di Concina, l'autore di "Vola colomba", come di un grande musicista. Sentendosi vicino alla morte, Stalin invocò che gli facessero ascoltare il Concerto in re minore di Mozart suonato dalla Maria Yudina, una pianista che non aveva paura di contrariarlo, e che lui aveva messo a vivere in due stanze di una casa popolare, in fondo a un ballatoio. Non avevano la registrazione, tirarono giù dal letto la Yudina e i professori dell'orchestra di stato e registrarono il concerto. Eccoci qui, con Allevi in Senato: il nuovo Chopin.

     

    Siamo a posto, ragazzi. Adesso, a fare in buon peso, arriva la Gelmini, che riformerà la riforma dei Conservatori. Qualcuno dice: speriamo che li chiuda. Gesù, chiedo perdono: quando sento questa bestemmia, e penso ai professori analfabeti che fanno da relatori delle "tesi di laurea", sono tentato di ripeterla.

     

    dralig

  10. Per venire invece alla chitarra, anch'io sono piuttosto deluso dalla qualità delle registrazioni. Ma non ne farei un caso solo sui chitarristi. Ci sono etichette italiane che producono cd di musica contemporanea da registrazioni di concerti. Io credo che questo non faccia parte della produzione di cultura musicale ma sia un semplice lavoro di documentazione.

     

    Tutto ciò è fuori dalla mia mente di musicista, ma non mi rifiuto di rifletterci. Ci penserò, cercherò di capire.

     

    dralig

  11. grazie per le considerazioni interessanti Ermanno

    Nella mia esperienza rilevo solo una cosa. La totale mancanza di una cultura elettroacustica da parte degli interpreti di musica classica a differenza di quelli pop. E' strano. Infinite discussioni su qualità del legno e se è stato fatto stagionare sotto le piramidi o no e poi riprendere lo stesso con un uso della tecnologia infimo per un risultato che deprime tanto chi lo strumento l'ha costruito e chi, elogiandolo, l'ha comprato e chi lo ascolta.

    Una cultura del suono dovrebbe essere parte integrante della formazione di un buon musicista oggi. Senza di questa non avrebbe senso la "produzione" di un cd. Allora tanto varrebbe la semplice documentazione/registrazione di un concerto.

     

    Fabio, Lei sa che non sono tenero nei confronti delle ignoranze degli interpreti di musica classica, a cominciare dalle mie, ma mi sembra che, nel sottolineare le differenze tra ciò che i musicisti pop, rock, etc, sanno a proposito di elettroacustica e quello che ne sanno i musicisti classici, Lei dimentichi un fatto: senza tali nozioni, lo strumentario dei rockettari sarebbe muto, mentre i musicisti classici potrebbero tranquillamente continuare a suonare come hanno sempre fatto. Io non credo che un chitarrista classico possa migliorare il suo suono con delle nozioni riguardanti la registrazione: gli serviranno per registrare, si, specie se si registra da solo, e gli farà comunque bene imparare qualcosa che non sa - in questo senso, magari anche studiare un po' meglio la propria lingua non gli farebbe male - ma, agli effetti della sua tavolozza sonora, proprio non vedo che cosa possa imparare dalla sua eventuale capacità di manovrare microfoni e apparati di registrazione.

     

    Sarò lieto, naturalmente, di modificare le mie convinzioni di fronte ad argomenti che ignoro.

     

    dralig

  12. Si, vorrei che quando si discute su un argomento si parlasse con cognizione di causa. Una cognizione che Lei non ha. Pur non sapendo che cosa dire, ha voluto dire qualcosa

     

    Ma chi è questo signore che scrivendo in un piccolo forum pubblico si erige a sommo sacerdote pontificando su chi a cognizione di causa per parlare e chi no?

    Ma che siamo in classe con il maestrino nervosetto?

    Ha ragione Tortora: ma come si permette?

    Si educhi piuttosto allo stare in un consorzio civile e abbia più rispetto nello scrivere e nel rispondere perchè la vera ignoranza la stà dimostrando lei con i suoi modi cafoni e insolenti!

     

    PS

    E il moderatore che fà lo struzzetto??? Che bassezza di conversazioni

     

    In un consorzio civile, la prima regola da seguire nelle discussioni è quella di riferirsi, nel concordare o nel dissentire, alle posizioni assunte da altri limitandosi alle idee e agli argomenti e lasciando accuratamente da parte ogni apprezzamento rivolto alle persone in quanto tali.

     

    Nei miei interventi, mi riferisco a ciò che è stato scritto, ai contenuti dei messaggi, al loro senso (posto che ne abbiano uno), e affronto gli argomenti, non le persone. Lei invece, senza dare la minima prova di aver compreso un solo concetto nella discussione, e senza riferirsi minimamente alle argomentazioni in campo, domanda "chi è questo signore?": come se, per intervenire, fosse necessario essere qualcuno - e naturalmente questo stato in essere lo riconoscerebbe e lo giudicherebbe Lei, concedendolo o negandolo senza argomenti (e meno male che parla di sommi sacerdoti).

     

    Che cosa si aspetta, signor membro del consorzio civile? Che io Le risponda nel Suo stile? Quando parlo e scrivo in un forum, discutendo su un tema ben definito con un interlocutore, gli domando quali sono le sue conoscenze e le sue argomentazioni, non gli domando chi è: e la differenza tra le due domande è precisamente quella che denota, da parte di chi domanda, l'appartenenza, o meno, a un consorzio civile: spesso, domandando si afferma e, per quanto La riguarda, Lei lo ha fatto molto chiaramente, non solo per il Suo uso dell'italiano.

     

    dralig

  13. Si, vorrei che quando si discute su un argomento si parlasse con cognizione di causa. Una cognizione che Lei non ha. Pur non sapendo che cosa dire, ha voluto dire qualcosa

     

    Ma chi è questo signore che scrivendo in un piccolo forum pubblico si erige a sommo sacerdote pontificando su chi a cognizione di causa per parlare e chi no?

    Ma che siamo in classe con il maestrino nervosetto?

    Ha ragione Tortora: ma come si permette?

    Si educhi piuttosto allo stare in un consorzio civile e abbia più rispetto nello scrivere e nel rispondere perchè la vera ignoranza la stà dimostrando lei con i suoi modi cafoni e insolenti!

     

    PS

    E il moderatore che fà lo struzzetto??? Che bassezza di conversazioni

     

    Chi "a" cognizione di causa e chi non ce l' "a", è evidente dalla qualità dei messaggi: la "vera ignoranza" la "stà" dimostrando con la sua ortografia, ma magari lo "fà" apposta; o, forse, questa non è ignoranza, è un altro genere di sapere.

     

     

    dralig

  14. Ma come si permette?

     

    Giorgio Tortora

     

    Come mi permetto? A meno che Lei non abbia un manifesto personale anche nell'uso del vocabolario della lingua italiana, ecco come mi permetto, citando esattamente le Sue parole:

     

    "A questo punto voglio, anzi resto ignorante ascoltando semplicemente - da ignorante - un brano che mi commuove.

    Giorgio Tortora"

     

    Resti pure commosso nella Sua ignoranza, ma non pretenda di interferire nel dialogo tra coloro che, sforzandosi di lottare contro la loro ignoranza, cercano di comprendere, di studiare, di imparare e - se possono - di insegnare.

     

    dralig

  15. Lei partecipa ad un forum ma non vuole essere chiamato in causa con affermazioni - secondo il suo punto di vista - insensate?

     

    Si, vorrei che quando si discute su un argomento si parlasse con cognizione di causa. Una cognizione che Lei non ha. Pur non sapendo che cosa dire, ha voluto dire qualcosa, che è insensato: cioè, che non bisogna cercare relazioni tra l'opera di un autore e quelle degli antecedenti ai quali egli si è manifestamente riferito. Messo di fronte all'insensatezza del Suo "punto di vista", Lei ha pubblicato un manifesto che non ha nulla che vedere con il tema in discussione: la relazione tra Rodrigo e Falla. Relazione che, ripeto, Lei ignora.

     

    dralig

  16. La mia "idea" della chitarra parte dal cosiddetto "gesto supremo". Esso non si manifesta in tutti gli individui appassionati o superesperti che siano, ma si rivela nel sentimento che le più disparate persone - per cause naturali - posseggono. Gli sviluppi quindi, le diramazioni, gli incroci seguono un andamento iperbolico, difficili da controllare tantomeno da codificare, ed ecco, questo è il mio modo di "comprendere" il nostro strumento . Quando ascolto un bambino eseguire un piccolo studio di Aguado, Sor o Giuliani, posso rimanere immobile, annoiarmi, divertirmi ma - in alcuni casi - venir rapito da quel linguaggio misterioso che un mio caro amico, Francesco Mander, chiamava affettuosamente "comunicazione non comunicata". Ecco, senza attacchi a chicchessia, il mio punto di vista; sentire Adriano che suona mi basta, ma anche se egli decidesse di modificare l'armonia, il ritmo del più celebre dei brani mi basterebbe lo stesso. Conoscere il numero di scarpe del compositore, per me - che ascolto - non mi interessa. La pittura, ne sono convinto, è sempre stata almeno cinquant'anni davanti alla musica e fenomeni come Hirst, De Lutti, possono oggi decidere il percorso, modificarne i meccanismi anche storici che lo hanno prodotto. Io oggi ricevo parole di disistima forti, bordate inattaccabili giuridicamente da parte di una persona che evidentemente conosce fatti, eventi ecc. Con lui, parlare delle mie frontiere che non ci sono più, è una guerra persa, perchè quei meccanismi mentali non sono disponibili a filtrare altre emozioni.

    A chi darà ragione il tempo?

    Giorgio Tortora

     

    Non credo che il Tempo si prenderà il disturbo di rispondere a domande siffatte e, se non vuole incassare bordate, faccia una cosa molto semplice: eviti di chiamarmi in causa con affermazioni insensate. Può benissimo professare le Sue idee senza dover riferirsi alle mie: Le assicuro che non abbiamo nulla da dirci.

     

    dralig

  17. Il problema sta nella "logica" di diffusione adottata, un conto e' affermare "ha attinto a piene mani" un altro sarebbe stato dire "e' interessante conoscere le fonti Di ispirazione del maestro spagnolo e come sono state da lui trattate". E' una questione di "rispetto" e se vogliamo anche di stile...

     

    L'affermazione che un autore ha attinto a piene mani da un altro, o da altri, può essere letta come un'accusa solo da chi non conosce la storia dell'arte, e gli innumerevoli esempi in cui tale "attingere" è stato espressione di intelligenza, di acume intuitivo, di deliberata volontà di riferirsi all'opera altrui a fini propriamente creativi. Chi abbia un minimo di conoscenza dello stile di Falla (fino al 1923) e del casticismo di Rodrigo, sa benissimo qual è la distanza che separa le concezioni fondamentali dei due autori, e può quindi cogliere facilmente, proprio in "Invocacion y Danza", il proposito di Rodrigo, di adoperare stilemi e morfemi compositivi tipici dello stile di Falla, e non suoi: per cui, l'affermare che Rodrigo ha attinto a piene mani da Falla, significa riconoscere che ha fatto quello che deliberatamente voleva fare, e il primo a essere compiaciuto di quest'affermazione sarebbe proprio Rodrigo - che di Falla era un ardente e devoto ammiratore.

     

    Il fatto che Lei trovi da eccepire qualcosa sul mio stile mi dà sollievo: l'idea che il mio stile - nel senso più lato del termine - possa anche da lontano assomigliare a quello che Lei esibisce nei Suoi messaggi mi fa rabbrividire.

     

    dralig

  18. Mi lascia solo? Lei mi lascia solo?; ma non certo quelli che mi stimano, che suonano la mia musica in giro per il mondo, che desiderano studiare con me; vede dralig, io suono la chitarra come migliaia di altre persone, mezze tacche, bravi, bravissimi, e a questro strumento devo molto perchè mi ha dato da vivere oltrechè emozionarmi, ma non mi ritengo - come lei dice - un lettore perverso e nemmeno un malintenzionato ignorante.

    Giorgio Tortora

     

    Se non lo è, non si manifesti come tale. Quando scrive:

     

    "Ma che senso ha iniziare una nuova discussione segnalando nuove cifre, magari altri significati o inediti parallelismi nei confronti di una opera che rappresenta uno dei momenti più alti della letteratura chitarristica"

     

    Lei non solo manifesta la Sua ignoranza - cioè il fatto che ignora, letteralmente, che Rodrigo ha fatto uso di due elementi tratti da opere di Falla e che ha parafrasato un frammento di un brano di Albéniz - ma nega che il parlarne, da parte di chi invece queste cose le sa, abbia un senso: non solo Lei è un ignorante, ma vuole anche dissuadere chi non sa dal sapere, e chi sa dal trasmetterlo a chi non sa.

     

    A me non importa chi è Lei, che cosa fa e quanti seguaci e ammiratori ha nel mondo. Mi corre soltanto l'obbligo di risponderLe per quello che Lei scrive qui, riguardo a un mio messaggio: non mi occupo della Sua persona, mi occupo delle Sue affermazioni riguardo a quello che ho scritto io. Impari a distinguere il contrasto delle idee dall'attacco alle persone: anche questo è un segno di ignoranza. Grave.

     

    dralig

  19. Tra l'altro è lo stesso Rodrigo che non ne fa mistero, recitando come sottotitolo proprio Homenaje a Manuel de Falla

     

    Se Le interessa approfondire l'argomento con serietà, e studiare a fondo le radici culturali, oltre che specificamente musicali, dell'arte di Joaquín Rodrigo, Le consiglio la lettura del volume: "Joaquín Rodrigo y la música española de los años cuarenta", una raccolta di saggi coordinata da Javier Suárez-Pajares e pubblicata da Universidad de Valladolid, 2005. Vi troverà non soltanto le coordinate essenziali per comprendere la personalità di Rodrigo, ma anche la sua corrispondenza con Federico Mompou e altri musicisti spagnoli suoi contemporanei, e non pochi riferimenti al suo atteggiamento nei confronti di Manuel de Falla. Rodrigo, era anche critico musicale, e proprio riguardo a Falla dettò alcune considerazioni che rivelano quale fosse il suo pensiero riguardo al maggior musicista spagnolo del Novecento.

     

    dralig

  20. Fabbri ha perfettamente ragione! Ma che senso ha iniziare una nuova discussione segnalando nuove cifre, magari altri significati o inediti parallelismi nei confronti di una opera che rappresenta uno dei momenti più alti della letteratura chitarristica. Il compositore si chiame Rodrigo, ripeto Rodrigo, quello del Concerto di A., della Tonadilla, della Fantasia para un G. nica Tortora! E non mi si venga a dire che non ho compreso il significato della precisazione di Dralig, che non so interpretare, che è meglio stare zitti quando non si sanno le cose. A questo punto voglio, anzi resto ignorante ascoltando semplicemente - da ignorante - un brano che mi commuove.

    Giorgio Tortora

     

    Ho soltanto raccomandato al lettore del forum - giustamente ammirato dalla qualità del brano di Rodrigo - di risalire alle fonti alle quali il compositore ha attinto per alimentare la sua opera con chiari ed inequivocabili riferimenti alla cultura alla quale consapevolmente appartiene. Far notare a un ascoltatore che Rodrigo adopera un motivo di Falla (tratto da "El amor brujo") e che fa una parafrasi de "El Polo" di Albéniz, non implica alcun biasimo nei confronti dell'autore di "Invocacion y Danza". Come tutti i mezzi di cui un compositore si serve, anche le citazioni e le parafrasi possono essere adoperati con maestria e con sincerità - come ha fatto Rodrigo - o con maldestra improntitudine. Il riconoscere il legame tra due maestri legati da chiarissime affinità - quali Falla e Rodrigo - è un atto di devozione culturale, specialmente da parte di chi - come il sottoscritto - da uno dei due (Rodrigo) è stato onorato con la dedica di una delle sue più importanti composizioni per chitarra: solo una lettura perversa da parte un ignorante malintenzionato può vedere, nell'esortazione da me rivolta al lettore, quello che non c'è. E lo lascio solo: nella sua ignoranza e nella sua cattiveria.

     

    dralig

  21. Che bravo Francesco, ispirato e fantasioso come questa splendida composizione!

     

    Per coloro che fossero interessati ad approfondire la conoscenza del brano, copio e incollo il testo della prefazione pubblicata insieme alla musica (spero che l'inglese non sia di ostacolo):

     

     

     

    A note from the composer

     

    The story of this piece goes back to 1970. Entrusted by Edizioni Musicali Bèrben with the leadership of the collection of 20th century guitar music which would become famous in the following decades, I invited composers from many countries to write new guitar works for the series. Among them, I asked the British composer Richard Arnell – the author of Six Pieces for Guitar which I liked - to compose another piece. He agreed, announcing that he would write a set of variations upon the popular British ballad, Barbara Allen. He also gave me an opus number for this forthcoming composition. Unfortunately, such a project did not reach a conclusion, I cannot now recall the reason why. In the meantime, I consulted the source of the song he had indicated to me and – in spite of my small affection for popular music – I appreciated the nice melody. Barbara Allen was then buried in my memory under 33 years of silence, but in 2004, in the course of a Usenet discussion about guitar music, I recalled the song, and – now being a full time composer on my own – I decided that I would return to the old, unfulfilled project and that I would write a solo guitar piece based upon that melody. I also received a lot of useful information about the many variants of the song.

     

    Again, I had to leave this project aside for some months, due to more urgent pressures. At the end of 2004, a fellow musician and an Internet correspondent – whom I have yet to meet in person -, David Norton from Salt Lake City, asked me to write a piece in memory of a common friend, the esteemed British composer John W. Duarte, who passed away on December 23, 2004. I immediately agreed with David’s request – it would be nice to devote to our mutual friend’s memory a new piece of music – and I was thinking about how to build it up, when David suggested that I consider Duarte’s affection for popular music, and his frequent use of songs and dances, which he elaborated in many of his works.

     

    Just a short step divided my acceptance of David’s suggestion and my waiting project of completing Barbara Allen. I took such a step with no hesitation and I wrote this piece with the purpose of recalling a distinguished musician, a fine person, his culture and background, and our good friendship. Of course, I would never attempt to imitate John Duarte’s style – I never considered taking such an unhealthy approach, but I thought instead, as is usual in the many homages I have composed, of a world in which the recalled artist was a symbol.

     

    It is a duty and a pleasure to recall here, thankfully, those who have encouraged my project: David Norton, David Kilpatrick, William David Jennings and all those who sent me the various versions of Barbara Allen. A special thanks also to Richard Yates.

     

    Angelo Gilardino

     

    Vercelli, Italy, January 2005.

  22.  

    Grazie delle indicazioni.

    Interessante "El Polo" anche perchè mi ha fatto scoprire in Albeniz un quid di contemporaneo che non avevo riscontrato in altre sue composizioni.

     

    Fra il II movimento di Invocation y Danza ed El Polo, però, non ho dubbi: il modo in cui Rodrigo ha elaborato quello schema ritmico mi entusiasma molto di più dell'"originale".

     

    Attenzione agli accenti...

     

    dralig

  23. Inizio Mod Edit
    Questo thread è nato dalla discussione su una interpretazione di "Invocación y danza" di Joaquín Rodrigo
    Thread originale: http://www.cristianoporqueddu.it/forumchitarraclassica/viewtopic.php?t=6613
    Fine Mod Edit
     

    più lo ascolto più adoro questo brano e, in generale, Rodrigo.... peccato solo che la strada per arrivarci, per me, sia ancora molto lunga!


    Benissimo appassionarsi alla musica di Rodrigo, ma non senza coltivare a fondo quella dei maestri dai quali Rodrigo pescò a piene mani - nel caso di questo brano, Albéniz ("El polo", dalla suite "Iberia") e Falla ("El amor brujo").

    dralig

     

  24. Della serie "ho banalizzato il discorso" :oops:

    Approfitto per chiederti: fra gli autori contemporanei di livello chi potrebbe secondo te rispondere positivamente alle esigenze di scrittura di lavori per studenti di livello bese-medio? Cioè coniugare qualità musicale con la consapevolezza di scrivere er quella fascia di utenti?

     

    Ch'io sappia, oggi, una mezza dozzina di persone, le quali però devono necessariamente spendersi, non dico nel più remunerativo, ma nel meno autolesionistico dei modi. E questo è il punto. La musica didattica non produce diritti d'autore: viene eseguita nelle aule, e alla fine delle lezioni non si compilano programmi siae (o affini): anche se il compositore non ha programmato di scrivere per far soldi, o per raggiungere "il successo", deve pur campare, e scrivendo musiche didattiche la sua unica fonte di introito restano le copie vendute dall'editore. Considera: 1) l'ottusità di molti docenti, che preferiscono musiche cretine ai brani di valore; 2) il taglieggiamento micidiale causato dalle fotocopie (ormai siamo nell'ordine di uno a cento); 3) la lentezza del processo di diffusione, anche là dove il terreno non è proibitivo. Alla fine, chi sa comporre ha sempre una certa committenza o comunque prospettive realistiche di vedere eseguiti i brani che scrive motu proprio e, quindi, sa di poter far affidamento su qualcosa di altamente probabile e soddisfacente: perché mai dovrebbe dirottarsi in un'impresa così poco promettente.

     

    Io posso scrivere musica per principianti, ma a spese dell'altra musica - quella libera - che compongo (non si può fare tutto): gli editori mi hanno chiesto di farlo, ma non mi hanno dato delle buone ragioni. E Leo Brouwer, raccontandomi la storia dei suoi Estudios sencillos, mi ha fatto passare la voglia.

     

    dralig

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