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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. Non c'è aforisma migliore per descrivere lo stato attuale dell'interpretazione chitarristica. La tendenza è quella: grandi talenti al servizio di musica pessima.

     

    Non solo mi trovo d'accordo ma aggiungo che questo genere di servizio, Fabio, è persino visto come qualcosa di cui vantarsi; e se ti vanti bene vieni preferito a chi ha passato decenni a gettare basi, costruire concetti e limare dettagli quando bastava un bello sformato di ovvietà.

     

    Non sarà male, oltre alla moderazione esercitata dai custodi di questo forum, aggiungere un timido contributo culturale in difesa di colui che è, insieme a Rasputin, uno dei più grandi calunniati della storia: Onan. Questo personaggio biblico, il cui comportamento è dal volgo associato a pratiche comuni nella pubertà, ma disdicevoli negli adulti, non si abbandonò mai - basta leggere la Bibbia - all'autoerotismo. Fu invece un precursore delle pratiche anticoncezionali in uso comune oggigiorno, e non si capisce per quale motivo gli sia stata affibbiata questa fama di ....... (la recente letteratura forumistica è stata lessicalmente incisiva, al riguardo).

     

    Signor Onan, credo che, da dove Lei si trova, poco Le importi che i suoi costumi vengano additati derisoriamente dagli esseri umani nel secolo ventunesimo. Dunque, non Le costerà perdonarli, anche considerando il fatto, probabilmente, nel secolo trentunesimo, gli umani si ingiurieranno chiamandosi "chitarristi", e temo che sarà considerata offesa ben maggiore.

     

    dralig

  2. Ho ricevuto anch'io il volume e mi unisco ai rallegramenti per questa pubblicazione che rende finalmente disponibile un apporto così significativo al repertorio della chitarra.

     

    Leggo nella prefazione, scritta da Frédéric Zigante (che assieme a Luigi Biscaldi ha collaborato con Angelo Gilardino alla revisione dell'opera), che in uno dei numerosi manoscritti che sono serviti per preparare la pubblicazione la parte d'orchestra era scritta su due sistemi, come se si trattasse di una parte pianistica, ma con alcune indicazioni circa gli strumenti da usare.n realtà quindi si trattava di un abbozzo di orchestrazione.

     

    Se possibile, mi piacerebbe che Angelo Gilardino ci raccontasse un po' di questo suo lavoro di orchestrazione del Concerto.

     

    Non so se quello che posso dire risulterà interessante, Piero, ad ogni modo ci provo. Ti dirò subito che le indicazioni dell'autore non erano una guida all'orchestrazione (in tal caso ne avrebbe scritte molte, mentre invece ne scrisse pochissime, riferite sempre a un solo strumento), ma solo dei pro-memoria per sé stesso, cioè per ricordarsi di alcune sue scelte nel momento in cui avrebbe orchestrato la composizione.

    E' chiaro quindi che tali indicazioni avrebbero potuto assumere un valore vincolante solo nel caso in cui io avessi potuto sapere qual era l'organico che egli intendeva adottare. Purtroppo nei manoscritti disponibili non ci sono indicazioni riguardanti l'organico, quindi le pochissime annotazioni con il nome di un solo strumento all'inizio di una linea non significano praticamente nulla.

     

    In realtà, non si poneva la scelta tra una "ricostruzione" dell'orchestrazione su basi indiziarie o un'orchestrazione indipendente o creativa: quel che c'era, era troppo poco per ricostruire e, dovendo creare, ho dunque deciso di fare di testa mia.

     

    Il lavoro è concepito in modo da affidare alla chitarra un ruolo concertante ma non propriamente solistico: non ci sono cadenze né passi di vera e propria bravura, e la chitarra è incluaa come una sorta di ricco "obbligato" in una formazione che - data l'indole dello strumento concertante - poteva essere solo da camera. Ciò premesso, era solo il caso di decidere se occorrevano, oltre agli archi, anche i fiati, e qualche percussione. Ho optato per includere i legni, si, ma non gli ottoni - che avrebbero avuto qualche pertinenza solo nell'ultimo movimento - e ho ritenuto che non occorressero percussioni. Da lì in poi, sono passato alla stesura della partitura, cercando di evocare alcune atmosfere presenti, più che nelle orchestrazioni di Tansman, in quelle di Falla , e precisamente "Noches en los jardines de Espana": questo è stato il mio unico riferimento, per il resto ho lavorato con il mio criterio, e sono quindi l'unico responsabile del risultato. Lavorando, mi sono reso conto del fatto che le mie esitazioni - durate per anni, nel corso dei quali avevo sempre rimandato il compimento della promessa fatta a Marianne Tansman e a Frédéric Zigante quando la composizione venne trovata a Linares - erano immotivate, infatti non ho incontrato veri e proprii ostacoli, e i dubbi si sono manifestati solo nel dover scegliere tra diverse soluzioni, ugualmente soddisfacenti. Biscaldi e Zigante mi hanno seguito passo passo, il primo tenendo a freno (benché sia lui il più giovane) la mia tendenza a eccedere nel colore orchestrale, il secondo mettendo a punto la parte di chitarra e facendomi notare i miei scostamenti dalle poche indicazioni dell'autore: incidentalmente, di queste disobbedienze sono piuttosto fiero, e l'aver affidato una lunga frase al fagotto invece che al violoncello a me sembra una bella trovata, anche se Frédéric probabilmente mi disapprova.

     

    Comunque, a me sembra un gran bel lavoro, e sappi fin da ora che, se non lo suonerai, farai malissimo e io ti rampognerò in ogni possibile occasione.

     

    dralig

  3. Buongiorno,

    volevo sapere quale fosse la "corretta" esecuzione degli studi 3 e 4 (Op. 6 n°2 e 1) di Sor. Se, come credo, i bicordi in levare di tutti i movimenti vadano fermati o se fosse lecito lasciarli vibrare (cioè lasciare che il suono del bicordo si sovrapponga al battere del movimento successivo).

     

    Vi ringrazio per l'aiuto

     

    Leonardo

     

    Più che risponderLe semplicemente "fermare" o "non fermare" è necessario far osservare che la presentazione delle armonie è la scomposizione chitarristica di semplici triadi. Eseguendo gli studi come successioni di triadi compatte, a nessuno verrebbe in mente di addossare una triade all'altra. Quindi, in linea di principio, bisogna adottare lo stesso criterio anche quando si eseguono gli studi nella loro forma chitarristica reale: ogni triade, anche se scomposta in due fasi (battere-levare) , va separata dall'altra. Questa regola mette al riparo da errate mescolanze di armonie e, in certi punti, serve a evitare che segmenti di frasi diverse vengano impropriamente collegati. Come tutte le buone regole, tuttavia, anche questa può trovare qualche eccezione piacevole e utile e, se Lei osserva attentamente la notazione dettata da Sor, vedrà che tali eccezioni sono suggerite nelle battute 21-24, dove in realtà si passa da un'armonia a tre voci a un'armonia a quattro voci (indicate con precisione dalla scrittura). In questo caso, tutte le voci vanno tenute.

     

    dralig

  4. Grazie Maestro, è una considerazione che non avevo fatto. L'ideale sarebbe vivere soli allora...

     

    Questo non lo so. Però so per certo che chi non riesce a star bene da solo non riesce nemmeno a star bene con gli altri e ancora meno a farli star bene. Ad ogni modo, per un artista che sceglie di dedicarsi alla propria opera, la questione è secondaria.

     

    dralig

  5. ...si può scindere l'artista dall'uomo?

     

    Se si tratta di un artista vero, vive da artista in tutto lo spazio della sua esistenza, non soltanto quando agisce direttamente sull'opera. I risultati, ovviamente, sono molto diversi: nel creare, l'artista è solo, e va dritto al suo obiettivo; nel vivere non è solo, e gli altri in genere non sono molto disposti a rendergli la vita facile ( spesso, tutto il contrario).

     

    dralig

  6. Secondo voi è possibile registrare musica scritta per due chitarre sovrapponendo due registrazioni?

     

    Nel mio archivio colleziono tutte le registrazioni - valide o meno - della musica di Mario Castelnuovo-Tedesco. Esiste una registrazione integrale del ciclo "Les guitares bien tempérées" del chitarrista Claudio Piastra, che ha sovrapposto le sue incisioni delle due parti.

     

    Comunque, ricordo di aver ascoltato, in gioventù, la registrazione di una Sonata di Beethoven per violino e pianoforte nella quale il grande violinista belga Arthur Grumiaux accompagnava sé stesso: era anche un ottimo pianista, e aveva usato le (allora imperfette) tecniche di sovrincisione.

     

    dralig

  7. Inserire anche solo una ventina di voci rguardanti i vari Crobetta, de Visée, Roncali, Bartolotti, Sanz,

     

    Non è già stato detto molto, in merito?

    Ovvero, non è meglio dare spazio a compositori che spazio, nella letteratura e nelle interpretazioni ne hanno avuto ben poco?

     

    A dire il vero, una decina di pagine sullo stravagante genio di Francesco Corbetta o sul melanconico lirismo di Robert de Visée, insieme ad alcune note su quel che era la chitarra alla corte del Re Sole, io le avrei scritte volentieri, e sono sicuro che, raccontandole a modo mio, non sarei caduto nella ripetizione di cose già dette. Ho dovuto rispettare delle direttive precise ma - ripeto - se il libro troverà buona accoglienza, suppongo che l'editore mi permetterà di arricchire le future ristampe con l'inserimento di altri autori. Magari, mi ci metterò pure io (come faceva Regino Sainz de la Maza, quando, da critico musicale di ABC, noto quotidiano spagnolo, recensiva i suoi stessi concerti).

     

    dralig spero

  8. Molto interessante M° ... complimenti e in bocca al lupo per le vendite...

     

    Le vendite sono certo un aspetto fondamentale nell'attività degli editori, i quali possono essere anche mecenateschi (assai di rado), ma sicuramente poco inclini a portare i libri contabili in tribunale, e siccome anche gli autori mangiano, bevono, si vestono, pagano il mutuo e le bollette, nemmeno loro hanno motivo di ostentare sovrano disinteresse per i resoconti dei distributori.

     

    Senza ipocrisie, voglio però far notare che il successo di un libro - dal punto di vista culturale - non si misura soltanto con le vendite, e ancor meno con le recensioni (favorevoli o contrarie), ma con un'accoglienza che ha luogo in diversi luoghi non registrati dalla contabilità: una copia di un libro in una biblioteca pubblica molto frequentata può essere letta da cento persone, mentre dieci copie regalate da un acquirente munifico ad altrettanti destinatari che non le leggeranno non significano nulla. I buoni libri si rivelano a lungo termine e i loro effetti non sono misurabili in moneta, ma con una scala di valori che non si manifesta nei numeri.

     

    Comunque, grazie per l'augurio.

     

    dralig

  9. Complimenti per l'iniziativa maestro.

    A cominciare dal titolo, semplicemente "La chitarra". Senza inutili aggettivi e fronzoli vari, come disse il buon Petrassi.

    Fare della buona divulgazione è arte che appartiene a pochi.

    Però credo sia un peccato aver tralasciato la parte sulla chitarra barocca.

     

    C'era un limite nel numero delle pagine. Inserire anche solo una ventina di voci rguardanti i vari Crobetta, de Visée, Roncali, Bartolotti, Sanz, avrebbe comportato un assottigiamento delle voci riguardanti i compositori-chitarristi del secolo XIX e i compositori del secolo XX: ho fatto una scelta, ma nessuno mi impedirà - nel caso di un buon risultato nella diffusione della prima edizione - di aggiungere voci nelle edizioni successive.

     

    dralig

  10. Mi permetto di rinnovare un'informazione che avevo già dato mesi fa, relativa alla pubblicazione di un nuovo libro sulla chitarra: pubblicazione che - rimandata per questioni di permessi riguardanti l'iconografia - adesso è imminente. Uscirà infatti a settembre - e verrà distribuito nelle normali librerie, non soltanto nei negozi di musica - un mio lavoro intitolato semplicemente "La chitarra". L'ho scritto su commissione delle Edizioni Curci di Milano. L'editore intende creare una collezione di volumi intitolata "Lezioni private" (se volete sapere il perché di questo titolo, non rivolgetevi a me). Ciascun volume sarà dedicato a uno strumento e, ch'io sappia, è in programma la pubblicazione di una prima serie di quattro volumi; tocca alla chitarra aprire la serie: si vede che l'editore crede nella popolarità del "nostro strumento" e, forse, un poco anche nella penna dell'autore al quale ha affidato il compito di scrivere il primo libro.

     

    Ogni libro che non sia un romanzo o una raccolta di poesie si scrive pensando a una tipologia di lettori. Questo volume non fa eccezione. E' stato scritto supponendo che , a leggerlo, non siano chitarristi già consci del loro repertorio, ma musicisti che - avendo formato la loro conoscenza della storia della musica nei tradizionali percorsi scolastici - della musica per chitarra non sanno niente; oppure - e non di meno - ascoltatori che hanno dimestichezza con il repertorio orchestrale sinfonico e con la musica da camera e per pianoforte - di rado si imbattono - disorientati - in un concerto di chitarra o nel CD di un chitarrista. A farla breve, questo libro è stato scritto per chi ama la musica ma non suona, né conosce, la chitarra.

     

    Il rivolgersi a questa tipologia di lettori richiede ovviamente l'uso di un linguaggio appropriato. Quindi, niente lezioni accademiche scritte con il lessico musicale che escluderebbe dalla comprensione - se non il pianista o il direttore d'orchestra - l'avvocato, l'ingegnere, il perito chimico. Diciamo che, con un po' di sforzo, questo libro lo potrebbe leggere persino il vostro portinaio (magari, consegnandovi la posta, vi chiederà che cosa vuol dire "atonale" - un termine che non ho potuto non impiegare, ma l'ho fatto il più raramente possibile _- e allora voi gli direte semplicemente: dei suoni che si comportano come corpi in uno spazio privo della forza di gravità).

     

    Le 230 pagine del libro sono quindi una finestra spalancata sul panorama della musica per chitarra a sei corde (non avevo spazio per la chitarra barocca) e presentano autori e opere in modo da fornire al lettore i mezzi per ascoltare un chitarrista - in carne e ossa o in registrazione - senza trovarsi spaesato e pieno di dubbi. Naturalmente, non ho trattato tutti gli autori nello stesso modo: nel caso di compositori la cui opera e la cui biografia sono facilmente accessibili nelle corrispondenti voci dei vari dizionari della musica, e che hanno scritto anche un pezzo per chitarra, ho parlato dell'opera chitarristica e non della loro vita; mentre, dei chitarristi-compositori dei quali nei dizionari si trova poco o nulla - e magari quel che c'è è impreciso - ho tracciato profili biografici che mirano a rendere le loro figure vive e ben caratterizzate, in modo da permettere a chi legge di farsi un'idea riguardo ai personaggi.

     

    Chi compera un libro del genere è verosimilmente interessato a sapere, della chitarra, qualcosa che - quando legge o sente il nome Regondi o il nome Barrios - non lo induca alla manzoniana domanda: "Carneade, chi era costui?".

     

    Mi domanderete, a questo punto, perché mai io pubblichi questa nota informativa su un forum di chitarristi - i quali invece il repertorio del loro strumento... Ecco, accade che, come membro (coatto) di commissioni d'esame di diploma in conservatorio, io abbia afflitta contezza di quel che è il grado di conoscenza che i diplomandi hanno degli autori e delle opere del repertorio della chitarra. Credo quindi che gli allievi dei conservatori e delle scuole di musica potranno giovarsi di questo libro come di una sorta di compendio o pro-memoria per quello che sicuramente dovrebbero sapere e che probabilmente già sanno. E, se non lo sapessero...

     

    E' la prima volta che mi cimento in un lavoro divulgativo. Conto sulla saggezza, sulla buona volontà e, perché no?, anche sull'ironia dei miei colleghi dotti, che formuleranno le più svariate ipotesi sui motivi che mi hanno spinto a tentare quest'avventura. Potrei cercare una scappatoia elegante, dicendo che mi sono divertito a scriverlo, questo libro, ma mentirei: adattarmi alle esigenze imposte dal dover parlare di musica per chitarra a dentisti e a clarinettisti è stato sicuramente più difficile che comporre il Quintetto per chitarra e archi. Quindi, se questo libro lo riceverete con favore, e farete in modo che l'editore sia obbligato a ristamparlo una dozzina di volte, io sarò molto contento. Magari, mi renderete addirittura famoso: fate pure, ci tengo moltissimo ad "andare in tivu"...

     

    Vostro aff.mo

     

    dralig

  11. Da una prima lettura dello Studio n.7 di Gilardino, mi sembra che esso sia incentrato principalmente più su una serie di figure geometriche, di modelli o pattern (mirati a un obiettivo particolare) piuttosto che a una costruzione melodica/armonica.

    Ora chiedo: è proprio così? Gilardino aveva questa intenzione, o aveva prevalentemente questa intenzione quando ha composto il brano?

     

    Faccio questa domanda perchè non ho ancora letto lo Studio in oggetto con il mio Maestro, e per questo mi si perdoni la lapalissiana "figura" da eterno studente ed eterno amatore, ma la curiosità musicale è forte, per cui, corro questo rischio :D

     

    Lo Studio in questione ha come argomento tecnico le legature chitarristiche ascendenti e discendenti; le linee contenenti tali legature possono essere singole oppure collocate all'interno di accordi, come parti mobili. Tali linee formano un quadro sonoro che viene completato con alcuni elementi privi di legature, che funzionano da interlocutori. Formalmente, si tratta di un brano a sezioni, legate da un nesso di continuità e non contrastate. Esteticamente, la composizione mira a mettere in luce il valore espressivo dei piccoli suoni prodotti dalla mano sinistra e incastonati in un ambiente armonico adeguato (almeno nelle intenzioni dell'autore). Nel genere dello Studio sono ammesse le ripetizioni e anche le progressioni - che invece vengono evitate nelle altre forme: le ammetteva persino Adorno, che riconosceva allo Studio un'autonomia formale dettata dall necessità. Negli Studi, ho fatto ampio uso di modelli - non diversamente da come hanno fatto, prima di me, Sor e Villa-Lobos -, che invece non si trovano nelle Sonate, nelle Variazioni, nei Concerti, etc.

     

     

    dralig

  12. Segovia non sapeva che, invece, parecchie delle sue carte erano state provvidenzialmente messe in salvo

     

    Parecchie delle sue carte? Mi manca (ignoranza mia) un'altro tassello!

    Cioè non tutte le carte furono salvate? Quindi è sicuro che ci sono altre composizioni effettivamente perse?

     

    Si, purtroppo andarono perse parecchi manoscritti: per esempio, quelli di una mezza dozzina di composizioni importanti di Ponce, delle quali ora abbiamo solamente la revisione segoviana pubblicata da Schott, e altre composizioni di autori svizzeri e francesi, i cui nomi troviamo nelle lettere di Segovia a Ponce: Segovia fa distinzione tra gli autori che avevano già scritto i pezzi (i cui manoscritti andarono dunque perduti a Barcelona) e quelli i cui pezzi erano in costruzione (e che egli non ricevette mai) e quindi purtroppo non c'è dubbio sul fatto che Tio Ramon potè recuperare solo una parte della musica - non tutta. E' già andata bene...

     

    dralig

  13. Cari Maestri,

    qualcosa non mi torna sui Quattro Pezzi di L. Berkeley.

     

    Mi spiego, e mi scuso anticipatamente se per ignoranza non riesco a quadrare un aspetto di questa storia.

     

    Nella prefazione in inglese dell'edizione Bèrben curata da A. Gilardino (ahimè, il mio inglese è ad un livello scolastico), è scritto (mi si corregga se sbaglio) che presumibilmente i Quattro Pezzi sono stati composti intorno al 1927, periodo in cui Berkeley studiava composizione con Nadia Boulanger.

     

    Ma come mai fino alla morte di questo grande compositore (avvenuta il 1989) i Pezzi in questione non sono mai stati tirati fuori? Lo stesso musicista ha poi scritto anche per Bream e Gilardino. Non poteva egli dire, nel corso di tutti quegli anni (magari proprio a Bream o Gilardino) di aver composto anche i Quattro Pezzi? Si doveva aspettare l'apertura dell'archvio segoviano?

     

    Grazie anticipatamente.

     

    Quando Bream chiese a sir Lennox, nel 1956, di scrivere un pezzo per chitarra, molto probabilmente fu informato dal compositore del fatto che, trent'anni prima, egli aveva già scritto per chitarra, e che la sua composizione era andata perduta nel saccheggio della casa barcellonese di Segovia nel 1936. La storia della perdita dei manoscritti di Barcelona non fu inventata da Segovia: il suo appartamento fu effettivamente ripulito da una banda di ladri nell'estate in cui scoppiò in Spagna la guerra civile.

    Segovia fece sapere ai compositori che gli avevano affidato i loro manoscritti che le composizioni erano andate perdute per sempre. Sir Lennox ci mise una pietra sopra: che altro fare?

     

    Segovia non sapeva che, invece, parecchie delle sue carte erano state provvidenzialmente messe in salvo dal fratello di sua suocera, lo zio Ramon che, saputo della fuga di Segovia e della sua famiglia, ben sapendo quello che stava per accadere, fece in tempo a precipitarsi nell'alloggio del maestro e a mettere in salvo un bel po' di libri e di musica, prima che arrivassero i ladri. Quando, nel 1952, fece ritorno in Spagna, Segovia ebbe la lieta sorpresa di vedersi restituire le carte da Tio Ramon. Non sembra che egli abbia mai riaperto i vecchi dossier salvati, e possiamo supporre ragionevolmente che, alla sua morte, egli ignorasse che cosa effettivamente aveva recuperato. Disse soltanto alla moglie che c'erano molte carte da esplorare, e che non dovevano essere mostrate prima del nuovo secolo. Fu così che soltanto nel 2001 le musiche riapparvero. Nel frattempo, tutti i compositori che avevano scritto quei pezzi erano morti. Desastres de la guerra...

     

    dralig

  14. stavo appunto per scrivere che sarebbe forse la soluzione più adatta, pur tenendo conto della differente "pasta"dei due strumenti. Le corde basse della viola e le tessiture medio-gravi del clarinetto hanno un fascino notevole dal punto di vista sonoro....tu scrivi e qualcosa sarà... :D

     

    Grazie agli amici che hanno risposto.

    Ho già iniziato la composizione. Sarà per flauto, clarinetto, violoncello e chitarra.

     

    ag

  15. Flauto, viola, violoncello e chitarra...

    Se poi Maestro non riesce a scegliere scriva due quartetti e credo che tutti noi gioiremo :)

     

    Sarebbe un po' troppo...faticoso. Ma nessuno impedisce di scrivere una parte eseguibile sia dalla viola che dal clarinetto: lo fece, tempo addietro, un signore di Amburgo, mi pare che si chiamasse Johannes Brahms, sa, uno di quei tipi complicati, che si innamorano delle mogli degli amici...

     

    dralig

  16. Maestro anche il Nocturne è un lavoro giovanile del compositore britannico?

     

    Si. Scriveva a istinto, aiutandosi con una modestissima, rudimentale tecnica chitarristica. Il suo istinto musicale era però straordinario. Fu lui a trascrivere per primo, dai dischi di Segovia, le note della Suite di "Weiss".

     

    dralig

  17. Ne sconsiglia lo studio Maestro?

    RSN era molto dotato, e anche da "naif" riusciva a mettere insieme brani notevolii. Se nutre un interesse particolare per la musica del maestro britanmico, allora deve leggere tutto quello che ha scritto, inclusi i lavori giovanili. Se invece vuole studiare qualcuno dei suoi lavori più validi, allora ce ne sono almeno tre imprescrindibili: "El Polifemo de oro" (Schott), "Memento" (Bèrben-Gilardino), "Variants on two themes by Bach" ( Peters).

     

    dralig

  18. Curiosando nel repertorio chitarristico sono venuto a conoscenza di nuova musica dedicata a Segovia, il brano in oggetto è infatti scritto per il chitarrista spagnolo. E', questo brano, uno dei tanti scritti per Segovia ma mai dallo stesso eseguiti?

     

    Grazie

     

    E' uno dei brani per chitarra che RSM scrisse prima di mettersi a studiare seriamente composizione. Di sicuro, Segovia non andò, nella lettura, oltre le prime due battute...

     

    dralig

  19. Ho sempre pensato anche io che le cose stessero così; personalmente però nelle Variazioni op. 112 di Giuliani ho trovato le ripetizioni di intere sezioni (a volte di tutta la variazione stessa) molto molto pesanti anche a livello di forma (per quel poco ancora che ne capisco!).

     

    In quel caso per me non sarebbe stato affatto un crimine!

     

    Il ritornello non serve solo per far capire meglio quello che è già stato suonato, ma per far percepire a chi ascolta dove inizia una nuova sezione: questo è un valore formale.

     

    dralig

  20. Buongiorno,

    sto preparando l'esame di compimento inferiore, che darò a settembre a Milano.

    Diversi chitarristi mi hanno detto di non eseguire i ritornelli (per i brani che li prevedono, ad esempio alcuni studi di Sor, Carcassi, Carulli) all'esame o, al limite, di chiedere alla commissione.

    Volevo sapere se esiste effettivamente una prassi e se consigliate di suonarli, anche in fase di studio, senza ritornelli.

     

    grazie!

     

    Leonardo

     

    I ritornelli sono parte strutturale di una composizione, e ometterli è . normalmente - un arbitrio da evitare. Quindi, non ha senso domandare a una commissione d'esame se eseguire i ritornelli: è ovvio, anche perché, nel ritornello, l'interprete ha modo di manifestare la propria intelligenza e la propria immaginazione, evitando ripetizioni tendenzialmente uguali e proponendo invece diverse soluzioni (ad esempio nel timbro). Semmai, è la commissione che dirà al candidato di omettere i ritornelli, ma facendo ciò commette, a propria volta, un arbitrio, che può essere difficilmente giustificato. Infatti, la votazione conseguita da un candidato al quale sia stato imposto di omettere i ritornelli può benissimo essere contestata in sede legale, e sicuramente il giudice imporrebbe la ripetizione dell'esame e irrogherebbe sanzioni ai commissari che hanno disatteso il loro compito.

    Solo in alcuni - rarissimi - casi l'esecuzione di un brano per chitarra può omettere i ritornelli senza pregiudizio per l'architettura della composizione, al punto da dar luogo a una sorta di prassi convalidata dell'omissione: per esempio, il Prelude n. 3 di Heitor Villa-Lobos, che ha forma binaria, e che adopera modelli iterativi di progressione in tempo assai lento, non si depaupera se non viene eseguito il "da capo", che risulta francamente noioso. Ma è un'eccezione...

     

    dralig

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