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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. Grazie Angelo.

     

    Avevo visto un altro programma comprendente il pezzo, era citato nel libro su Segovia fatto dal Festival di Còrdoba; ma forse era solo una citazione e non un facsimile come questo. Ho il libro a Bologna e non posso controllare al momento.

     

    Proposta: perché non fai tu una ricostruzione di quella che poteva essere la trascrizione segoviana dell'Arabesque?

     

    Ciao,

    Piero

     

    Ci dev'essere un complotto: me l'ha proposto stamattina anche Javier Riba, docente al conservatorio di Córdoba. Non c'è due senza tre: se stanotte mi appare in sogno il maestro Segovia e mi dice di procedere, domattina mi alzo e mi metto al lavoro.

     

    dralig

  2. L'amico Julio non se la prenderà se salvo questa immagine nel mio HD e la custodisco insieme ad altri articoli.

     

    E perché dovrebbe prendersela? Sarà anzi contento del fatto che le sue ricerche vengono apprezzate.

    Leggendo il programma, è inevitabile domandarsi che cosa mai fosse questa "Sevilla" di Segovia. Io penso, di Albéniz. Nel 1913 non era musica contemporanea, ma quasi...

     

     

     

    dralig

  3. Caro Piero, l'amico e collega sevillano Julio Gimeno, grande scandagliatore di emeroteche spagnole, ci viene in aiuto riguardo alla trascrizione segoviana della "Deuxième Arabesque" per pianoforte di Debussy.

    Ootrai constatare - come ho fatto io - che il giovane Segovia si fece forte del pezzo debussiano, e della sua trascrizione del medesimo, non soltanto dinanzi agli ottusi allievi di Tárrega.

    Siamo nel 1913!

  4. Ripeto che non si tratta di trascrizioni. Nell'edizione curata da Mario Gangi e da Carlo Carfagna per le edizioni Bèrben compaiono come opere originali di Tárrega (non trascrizioni!) composizioni che invece sono di altri autori. Nell'errore di accettare queste attribuzioni fasulle sono caduti non soltanto i due studiosi che hanno curato l'edizione Bèrben delle opere di Tárrega, ma anche altri, e non meno vistosamente.

     

    Ovviamente, tutti gli studiosi possono commettere degli errori - chi è senza peccato scagli la prima pietra - e non c'è in questo nulla di scandaloso. Ho fatto osservare tutto ciò soltanto perché era stata insinuato da qualcuno, in questa discussione, il sospetto che l'edizione Gangi-Carfagna dell'opera di Tárrega fosse stata volutamente messa in ombra per occultarne i valori.

     

    Per constatare quanto sopra, non c'è che da consultare l'edizione in oggetto: le attribuzioni errate sono palesi ed evidenti agli occhi di chiunque disponga di una conoscenza del repertorio.

     

    dralig

     

     

    sì sì bellissimo ma le fonti?? le prove?? su che ci basiamo su intuizioni da dimostrare su illazioni personali o su una ponderata ricerca in grado di dimostrare co un "falso" acune composizioni attribuite a Tarrega anche da M. Gange e C. Carfagna???

    Perchè se sono dei falsi sarebbe bello dimostrarlo e portare nuova luce tra noi chitarristi

     

    con stima Damiano Mercuri

     

    La parola "falso" l'ha usata e la usa Lei, non io. Io ho letto a suo tempo l'edizione Gangi-Carfagna delle opere di Tárrega, e vi ho riconosciuto di primo acchito numerose attribuzioni errate di pezzi che sono stati invece scritti da altri autori. Se proprio vuole, a giorni ne scriverò un elenco e lo pubblicherò in un thread a parte: lo avrà voluto Lei.

     

    dralig

  5. Accidenti!

    stando a quello che dice il M° Gilardino le trascrizioni edite da Bérben su revisione Gangi-Carfagna sono un falso!

    Questa è una notizia intrigante che mi appassiona

    è possibile avere le fonti che provano tale tesi?

     

    Un caro saluto Damiano Mercuri

     

    Ripeto che non si tratta di trascrizioni. Nell'edizione curata da Mario Gangi e da Carlo Carfagna per le edizioni Bèrben compaiono come opere originali di Tárrega (non trascrizioni!) composizioni che invece sono di altri autori. Nell'errore di accettare queste attribuzioni fasulle sono caduti non soltanto i due studiosi che hanno curato l'edizione Bèrben delle opere di Tárrega, ma anche altri, e non meno vistosamente.

     

    Ovviamente, tutti gli studiosi possono commettere degli errori - chi è senza peccato scagli la prima pietra - e non c'è in questo nulla di scandaloso. Ho fatto osservare tutto ciò soltanto perché era stata insinuato da qualcuno, in questa discussione, il sospetto che l'edizione Gangi-Carfagna dell'opera di Tárrega fosse stata volutamente messa in ombra per occultarne i valori.

     

    Per constatare quanto sopra, non c'è che da consultare l'edizione in oggetto: le attribuzioni errate sono palesi ed evidenti agli occhi di chiunque disponga di una conoscenza del repertorio.

     

    dralig

  6.  

    Ripeto dunque la domanda: dov’è la dimenticanza?

     

    Oltre a contare quante battute sono state dedicate ai due maestri in questione, hai dato pure un’occhiata a quanto scritto su Mario Gangi? Oltre a non aver dimenticato né lui né la sua Scuola mi pare che la valutazione espressa da Nuti sia più che positiva.

    E per quanto riguarda il M° Carfagna la valutazione espressa da Nuti può anche non essere condivisa ma non si può certo accusarlo di averlo “dimenticato”. Per essere dimenticato doveva proprio non essere menzionato nel Manuale.

     

    Mi sto leggendo approfonditamente il libro....Sono arrivato a Joan Manen, se vi interessa....

     

    .....ritornando brevemente all'oggetto del contendere.....

     

    Caro M° Zigante, non mi pare buona cosa giustificarsi usando il paravento della positività o della negatività di un giudizio su Tizio e/o Caio....piuttosto bisognerebbe domandarsi il perchè di certe scelte proprio in un Manuale di Storia (in questo caso della Chitarra), che dovrebbe offrire un panorama, una summa e non uno spaccato su un determinato argomento....tutto qui....

     

    Non vi disturbo ulteriormente e proseguo la mia lettura.....

     

    gg

     

    P.S. Definizione tratta dal Dizionario Garzanti della Lingua Italiana: Manuale, s.m. libro contenente le nozioni fondamentali di un'arte o di una disciplina, organizzate in modo da permettere una rapida consultazione, un - di diritto, di fotografia.

     

    Definizione alla quale il Manuale in questione perfettamente corrisponde, elencando in forma di dizionario centinaia di nomi di autori e di titoli di opere, e permettendone una "rapida consultazione". Vorrei sapere quale altro libro di storia della chitarra del Novecento offre altrettanti nomi, altrettanti titoli e altrettanti ragguagli di soglia: rimango in attesa dell'elenco. Alla definizione di "manuale", non reca alcun disturbo il fatto che, nella prima parte, il libro offra una visione della storia della musica per chitarra del Novecento organizzata secondo criteri estetici chiaramente esplicitati dall'autore nella parte introduttiva.

     

    dralig

  7. Caro Maestro, d'accordo per frettoloso il lapsus del centocinquantenario ( a Lei non sarebbe mai successo) per cui mi umilio. Strano però che intervenga di persona, come il suo ripensamento sulle trascrizioni che, in "la chitarra moderna e contemporanea", attribuiva al "vuoto che sentiva alle sue spalle" (pag. 15) accettandole nel nome di Tàrrega (accento a parte).

    La mia tastiera non possiede la A con l'accento giusto e, per non fare troppe manovre, ho ancora usato l'à.

    Per aver rilevato un accento sbagliato,d'altra parte, ho subìto una solenne reprimenda dal moderatore; per fortuna dralig è qui ben protetto, pur associandosi alla deprecata setta dei correttori di accenti

     

    Guardi che non ha capito: io non mi sono riferito alle trascrizioni - delle quali non sono mai stato un nemico - ma al fatto che gli studiosi da Lei sostenuti hanno pubblicato come composizioni originali di Tárrega - non come trascrizioni - brani - e non pochi - scritti da altri autori: si tratta, se permette, di qualcosa di ben diverso, e le trascrizioni non c'entrano proprio nulla.

     

    dralig

  8. scusate se mi intrometto deviando un pò la discussione dal contenuto dell opera ma ho acquistato il volume e cominciando a leggere mi ritrovo davanti, nel primo capitolo, Llobet....

     

    ho finito di leggere il primo volume del Maestro Dell Ara che terminava con Mertz e Regondi....

     

    è una dimenticanza editoriale o c'è qualcosa che mi sfugge nella mancanza di Tarrega??

     

    Tàrrega, piaccia o non piaccia, è stato il primo autore chitarrista che ha avuto negli anni settanta una riedizione moderna in quattro volumi (Bèrben - Gangi/Carfagna) e quest'anno ricorre il suo centocinquantenario. Buon motivo per ignorarlo.

     

    Tárrega è un autore che potrebbe entrare in un libro di storia della musica per chitarra del Novecento solo grazie ai criteri adottati da quei musicologi che, nelle loro edizioni, gli hanno attribuito una lunga serie di pezzi che non ha mai composto: questi studiosi, che hanno pubblicato con il nome di Tárrega brani - o frammenti di brani - di Bach, Sor, Mendelssohn, Schumann, Arcas, Viñas, Garcia Tolsa, etc., forse non troveranno niente di strano nel fatto che Lei - loro sostenitore - scopra che quest'anno ricorre il centocinquantenario di un autore nato nel 1852 e morto nel 1909: ignorarli sarebbe stato caritatevole, a ricordare il loro rigorosissimo lavoro ci ha pensato Lei, signor correttore di accenti sbagliati, che scrive Tàrrega invece di Tárrega.

     

    dralig

  9. Grazie per le citazioni; in effetti nel recente discorso agli artisti c'è qualche richiamo al pericolo di una "finta" bellezza:

     

    "Si tratta di una seducente ma ipocrita bellezza, che ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di sopraffazione sull'altro e che si trasforma, ben presto, nel suo contrario, assumendo i volti dell'oscenità, della trasgressione o della provocazione fine a se stessa. L'autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l'Altro, verso l'Oltre da sé.".

    Ho anche ritrovato la citazione di Dostoevski che mi aveva colpito:

    "L'espressione di Dostoevskij che sto per citare è senz'altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: "L'umanità può vivere - egli dice - senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui".

     

    Il testo integrale del discorso è qui:

    http://www.zenit.org/article-20434?l=italian

     

    La frase "La bellezza salverà il mondo" è attribuita al principe Miskyn, protagonista de "L'idiota", dai suoi interlocutori: ossia, non è mai riferita come sua in un discorso diretto ma, parlando con lui, qualcuno gli dice: "Voi principe avete detto che la ballezza salverà il mondo". Come molti assunti dostoevsijani, anche questo rimbalza nelle opere del grande scrittore russo con insistenza. Il fatto che Papa Ratzinger si richiami a Dostoevskij nel suo discorso agli artisti è di per sé significativo: il pontefice ha perfettamente compreso la potenza dell'intuizione dostoevskijana, non solo riguardo alla funzione salvifica della bellezza, ma anche per quanto si riferisce alla sua tremenda e ingannevole ambiguità, cioè all'esistenza di una bellezza che conduce al nulla.

     

    Chi volesse approfondire, può incominciare da uno scritto di Andrea Oppo, per fortuna riportato on line:

     

    http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/20.htm

     

    nel quale sono riportati i passi dostoevskijani "sensibili" al tema. La lettura renderà chiaro anche il pensiero di Papa Ratzinger, i cui scritti e i cui discorsi sono sempre molto più complessi di quanto la loro discorsività piana e scorrevole possa far pensare.

     

    dralig

  10. Suonare la chitarra è il mio (piacevolissimo) lavoro, per cui non riesco a scindere l'aspetto artistico dal rientro economico. Il “fallimento” lavorativo avverrebbe per me se con la chitarra non riuscissi a mantenermi.

     

    Dopo questo preambolo, devo dire che so bene che oggi la condizione di chi si occupa di musica e arte è particolare, esistendo due eccessi: un mondo “commerciale” dove sembra imperare e vendere benissimo il brutto o l'insulso e, d'altra parte, un mondo "creativo" che spesso pare aver perso quasi totalmente la funzione del proprio operare in termini di un “bene” per tutti, riconoscibile come tale..

     

    E sinceramente non saprei quale dei due eccessi sia peggio.

     

    Per conto mio preferisco scommettere sulla frase di Dostoevski citata dal Papa nel suo recente discorso agli artisti - vado a memoria e non letteralmente -“l'umanità potrebbe sopravvivere senza molte cose, ma non senza la bellezza”.

     

    Scommettere su questo vuol dire per me anche sperare di offrire un buon "prodotto" artistico e che questo venga riconosciuto come tale, rendendo così anche possibile - perchè utile - il mio lavoro. Un po' come il produttore di un vino che cerca di farlo buono, non artefatto, e magari contribuire così al primato del "made in Italy" per la qualità del suo prodotto...potendo di conseguenza anche mantenersi con il suo lavoro.

     

    Il compito dell'artista è quello di creare la sua opera (in questo senso, l'interprete di musica è un creatore a pieno titolo) nel modo più accurato e corrispondente alle sue esigenze e alle sue ispirazioni: non vedo come sia possibile che in tali esigenze e in tali ispirazioni possa smarrirsi quella che tu chiami "la funzione del proprio operare in termini di un bene per tutti". Questo potrebbe verificarsi solo se l'artista perdesse la sua dimensione umana e quindi la sua naturale aspirazione a comunicare.

     

    L'idea di una bellezza che non viva in funzione della salvezza dell'essere umano, ma della sua perdizione, è essenzialmente diabolica: se mi permetti una parentesi letteraria, mi richiamo al dialogo tra il demonio e il compositore Adrian Leverkuhn, narrato da Thomas Mann in "Doctor Faustus". Tra gli argomenti usati dal tentatore per guadagnare a sé il geniale musicista e farne una sua preda, c'è proprio l' idea di un'arte posta fuori dalle contigenze della storia e della sfera dell'umano, una sorta di opera assoluta immune da tutti i legami con il tempo. E' a quella che Adrian finisce per sacrificare la sua vita, accettando il patto che lo porterà a comporre le sue opere diaboliche. Ebbene, il colloquio tra "il visitatore" e Leverkuhn (a Palestrina) non è altro che la riscrittura - letterariamente molto amplificata, ma sostanzialmente identica - del colloquio tra "il visitatore" stesso, in altre vesti, e Ivan Karamazov, raccontato da Dostoevskij ne "I fratelli Karamazov": lo scopo del demonio è sempre lo stesso, distogliere i poteri del genio da obiettivi umani, volgerli verso la negazione nichilista. Papa Ratzinger, fine teologo, sa perfettamente tutto ciò, ed è per questo che ha ricordato Dostoevskij, il quale disse, per l'esattezza: la bellezza salverà il mondo. Lo dice la massima autorità religiosa, ma l'hanno detto, prima di lui, Dostoevskij e altri scrittori e pensatori.

     

    dralig

  11. Parabola dell'aquila

    Una giorno un contadino, attraversando la foresta, trovò un aquilotto, lo portò a casa e lo mise nel pollaio, dove l'Aquilotto imparò presto a beccare il mangime delle galline e a comportarsi come loro. Un giorno passò di là un naturalista e chiese al proprietario perché costringesse l'Aquila, regina di tutti gli uccelli, a vivere in un pollaio. "Poiché le do da mangiare, le ho insegnato ad essere una gallina, l'Aquila non ha mai imparato a volare, si comporta come una gallina e dunque non è più un'aquila", rispose il proprietario e il naturalista: "Essa si comporta esattamente come una gallina, quindi non è più un'Aquila, tuttavia possiede il cuore d'un Aquila e può sicuramente imparare a volare". Dopo aver discusso della questione i due uomini si accordarono per verificare se ciò era vero. Il naturalista prese con delicatezza l’Aquila fra le braccia e le disse: "Tu appartieni al cielo e non alla terra, spiega le tue ali e vola". L’Aquila tuttavia era disorientata, non sapeva chi era e quando vide che le galline beccavano il grano saltò giù per essere uno di loro. Il giorno seguente il naturalista portò l'Aquila sul tetto della casa e la sollecitò di nuovo: "Tu sei un'Aquila, apri le tue ali e vola". Ma l'Aquila ebbe paura del suo sé sconosciuto e del mondo e saltò giù nuovamente tra il mangime. Il terzo giorno il naturalista si alzò presto, prese l'Aquila dal pollaio e la portò su un alto monte. Lassù tenne la regina degli uccelli in alto nell'aria e la incoraggiò di nuovo: "Tu sei un'Aquila, tu appartieni tanto all'aria quanto alla terra. Stendi ora le tue ali e vola". L’Aquila si guardò attorno, guardò di nuovo il pollaio e poi il cielo e continuava a non volare. Allora il naturalista la tenne direttamente contro il sole e allora accadde che essa incominciò a tremare e lentamente distese le sue ali. Finalmente si lanciò con un grido trionfante verso il cielo.

    Può darsi che l’Aquila ricordi ancora le galline con nostalgia, può persino accadere che visiti di quando in quando il pollaio. Tuttavia per quanto si sappia non è mai ritornata e non ha più ripreso a vivere come una gallina. Era un'Aquila sebbene trattata ed addomesticata come una gallina!

     

     

    ...

    m

     

    Ciao Marcello, bellissima parabola. Perché non scriverne anche un'altra, quella di una gallina che credeva - e voleva far credere a tutti - di essere un'aquila?

    Conoscerai senz'altro la storia della famosa danzatrice che, volendo regalare all'umanità un uomo dotato della di lei bellezza di un intelletto come quello di G.B. Shaw, scrisse al maestro proponendogli la combinazione. "Signora", le rispose il commediografo allarmato, "e se nascesse con la mia bellezza e il Suo intelletto?".

     

    dralig

  12.  

    La chitarra classica non ha più bisogno degli "alfieri" che ne preservino il suo status di strumento "colto" o "Accademico", ma deve essere anche libera di vivere la stagione del presente, dove naturalmente ognuno può esprimersi come meglio crede.

     

    Roberto Fabbri

     

    In qualunque epoca ogni artista si è espresso come meglio ha creduto, fatte salve le tristi eccezioni dei creatori che sono stati assoggettati a un regime politico con le relative imposizioni culturali - ad esempio, gli scrittori e i musicisti in Unione Sovietica nell'epoca di Stalin. Anche in situazioni di quasi-monopolio culturale, come quella dell'Italia del dopoguerra, dove la critica ufficiale si è conformata ai dogmi dell'estetica marxista in versione nostrana, nessuno ha impedito a compositori che consideravano l'espressione come finalità primaria dell'atto creativo di seguitare la loro via, e il bandirli dai festival di musica contemporanea è servito soltanto a creare, intorno alla medesima, la credenza di essere inascoltabile (lo ammette esplicitamente l'attuale direttore della sezione musica della Biennale di Venezia nell'intervita pubblicata nell'ultimo numero di "Suonare").

     

    Non esiste, oggi, una tendenza artistica - non soltanto musicale - che possa accampare un diritto di rappresentanza del presente più forte di quello delle altre: chiunque componga, scriva, dipinga, faccia arte, per il solo fatto di essere vivo nell' hic et nunc è un interprete del presente. Con quale forza, con quale efficacia, con quale probabilità di andare oltre il presente, non lo sappiamo, ma sappiamo con certezza che la qualità delle opere e del fare artistico non è garantita dalla scelta di appartenere a questa o a quella tendenza, bensì dal talento individuale dei singoli artisti: non c'è niente di nuovo sotto il sole, salvo le forme imprevedibili del genio.

     

    dralig

  13. a questo deve pensare un musicista prima cominciare una carriera?

    prendo spunto dalla frase di un utente (Fernando) per proporre il "tema".

    Io dico di no, perchè sono un inguaribile sognatore, ma nel momento in cui con naturalezza la "carriera" diventa di una certa importanza è giusto porsi il problema. Ma la parola che ho usato, naturalezza, sta per me a significare che il tutto deve avvenire perchè non se ne può fare a meno, è un processo naturale, e la naturale conclusione è quindi una razionalizzazione del percorso e degli obiettivi da raggiungere.

    Per il concertista sarà la ricerca di un repertorio in cui essere vero, protagonista, interprete fidato, per un compositore sarà la ricerca di un editore con cui realizzare progetti comuni, non pagine d'album, con un dialogo sereno, costruttivo anche nell'analisi delle possibilità quantomeno di non rimetterci, per ambo le parti. Per un insegnante sarà la costruzione della propria professionalità con un cosciente lavoro di studio, aggiornamento, autocritica, ascolto....cose che alla fine pagano, anche in termini economici (capiamoci...nessuno diventa miliardario ma si può vivere bene).

    Riuscire a coniugare passione-lavoro-guadagno è il massimo, ma per me il super massimo è riuscire a raggiungere questo traguardo con naturalezza e rispetto del proprio ideale di partenza.

    Mi è venuto da scrivere questi pensieri leggendo un 3d dove si parlava di pubblicazioni e compositori "in erba" che si sentivano traditi nelle promesse fatte loro. Non entro però in quel merito, ho, ripeto, preso solo una frase che Fernando aveva scritto, in mezzo ad altre affermazioni.

    Ciao

     

    La carriera del concertista e quella del compositore sono diverse, caro Giorgio. Il compositore conscio del suo valore sa che quello che scrive è soggetto a un processo molto lento, che potrà condurre all'accettazione della sua opera nell'immediato (sia temporale che geografico) o proiettarla più in là, oltre i confini della sua stessa esistenza terrena : gioca quindi una partita artistico-professionale nella quale sa di dover impegnare, oltre al proprio talento, anche molta pazienza e la saggezza che gli permetterà di non abbattersi nei momenti in cui le circostanze sembreranno punitive. Alla fine, nei riguardi della sua opera, il tempo farà giustizia, sia innanzandola, se non è stata sufficientemente riconosciuta, che ridimensionandone il successo, se questo è stato conseguito sull'onda della moda o di qualche "effimero trambusto" (come malignava Guido Pannain nei riguardi dei successi giovanili di Castelnuovo-Tedesco).

     

    Diverso, ben diverso, è il caso del concertista. Il concertista incarna la sua opera, è la musica in carne e ossa, e non avrebbe senso, per lui, affidarsi a riconoscimenti a lunga scadenza, o addirittura postumi. Vediamo che, nonostante l'avvento della registrazione, la memoria dei grandi maestri - anche soltanto di mezzo secolo fa - tende a sbiadirsi: i pianisti dell'ultima generazione non hanno una cognizione forte, attiva e influente, dell'arte di Lipatti, di Gieseking, addirittura di Benedetti Michelangeli, i nuovi prodigi si succedono con rivelazioni continue e incalzanti, e a quarant'anni un pianista, se non ha conquistato la fama, può considerarsi, come concertista, fallito, anche se ovviamente può essere una persona di grande valore in altri campi (insegnamento, etc.). Mentre per il compositore conseguire la fama nel presente è augurabile ma non indispensabile, per il concertista è tassativo, pressante, altrimenti la sua arte rischia di disperdersi nel nulla, nonostante il fatto che egli ne possa lasciare tracce anche forti nella registrazione. Sono sicuro che mi comprendi: mentre la partitura scritta rappresenta efficacemente il compositore, è il suo normale viatico nel tempo, la registrazione non è l'ideale realizzazione dell'arte del concertista, che si manifesta essenzialmente nel contatto vivo con il suo pubblico. E se questo pubblico non riesce a raggiungerlo, la carriera ne patisce, può anche svuotarsi. La Maria Yudina non era meno grande di Sviatoslav Richter, ma fu imbavagliata da Stalin: non possiamo dire che qualche CD della grande pianista russa, ora circolante, le renda giustizia. Non è così.

     

    Non ho scritto per smentire le tue affermazioni, ma per aggiungere delle specificazioni che mi sembrano importanti.

     

    dralig

  14. Che ne pensate delle indicazioni d'espressione?

    Cosa vi dice di più, più chiaramente, del carattere di un brano, o di una sua parte...un' indicazione metronomica, l'utilizzo di una terminologia standardizzata (andante, agitato), un suggerimento espressivo?

     

    Nel primo caso si da per scontata l'utilità oggettiva dell'indicazione, l'interprete non corre il rischio di eseguire a 110 quello che è stato pensato a 60.

     

    Nel secondo ci si affida a dei modelli condivisi che però, nella loro standardizzazione, possono funzionare bene nel caso in cui il compositore ne condivida stilisticamente l'intento generalista (scrivere Presto per un brano di biscrome dal carattere ossessivo non è forse poco?)

     

    Nel terzo, paradossalmente, la labilità dell'indicazione dovrebbe, nel caso in cui sia indicata con cognizione di causa, essere controbilanciata dal senso della parola stessa nei riguardi della musica a cui è affidata.

    Ovviamente devo affidarmi al fatto che se scrivo -Brumoso- qualcuno non pensi di essere a Siracusa il giorno di ferragosto.

     

    Che dite?

     

    Non tutte le indicazioni di espressione sono da intendere come "istruzioni". In molti casi lo sono, in altri casi servono invece a rendere manifesto - almeno nelle intenzioni dell'autore - il carattere di un brano o di una parte di tale brano. Se trovi scritto, "chiaro" o "scuro", essendo chitarrista, sai che cosa fare: è un'indicazione che ha valore timbrico, e tu sai come realizzarla, suonando al ponticello oppure alla buca, e adoperando la diteggiatura della mano sinistra più adatta a creare suoni più o meno ricchi di armonici. Se trovi scritto "falsamente sentimentale", non puoi ricavarne un'istruzione su che cosa fare: l'indicazione in tal caso serve a renderti consapevole del carattere del brano, ma non ti dice come fare a renderlo nel suono, lo lascia a te. Ha un valore didascalico, indiretto. Fa capire la musica a te che la suoni, e ti raccomanda - implicitamente - di farlo capire agli altri.

     

    Eccoti alcune delle indicazioni di Satie: "Molto bianco", "Piuttosto azzurro", "Come un usignolo con il mal di denti", "Fisicamente smunto", "Su del velluto ingiallito", "ancora più barboso", "Optando coraggiosamente per la via più facile e compiacendosi della propria solitudine", "Raso terra", "Con una salutare superiorità"...

     

    Tutto chiaro, no?

     

    ag

  15. La scelta di affidare la recensione a Luigi non è stata affatto dettata dal “confronto” scaturito su questo forum, ma semplicemente dal fatto che nutro nei suoi riguardi una profonda stima oltre che una lunga amicizia.

    Amicizia nata ai tempi in cui lui frequentava il Conservatorio di Santa Cecilia, anche se non siamo stati in classe insieme perché, ahimè, sono molto più “vecchio” di lui.

     

    Per quello che riguarda la recensione sono sicuro che Luigi saprà fare un ottimo lavoro. Non abbiamo comunque certo paura di querele per diffamazione, diritto di cronaca e diritto di critica sono entrambi emanazioni dell’articolo 21 della costituzione.

     

    Conosco la costituzione a memoria da quando avevo otto anni, e non ho mai commesso in vita mia un singolo illecito. L'idea di una "querela preventiva" l'ha vaneggiata il Suo collaboratore, cercando - con tratto assai goffo - di attribuirmela, mentre chiunque abbia letto il mio messaggio - o abbia voglia di rileggerlo - può constatare che io mi riferivo in modo chiaro e inequivocabile alla recensione della compianta collaboratrice di "Chitarre", 20 anni fa: ogni riferimento al presente e al futuro è frutto della malizia capziosa del Suo collaboratore, e La prego di non associarsi a lui nell'attribuirmi intenzioni stupide.

     

     

     

     

    Il diritto di critica, che è quello che si riferisce al nostro caso, non poggia fra l’altro assolutamente sull’obiettività.

    Non è finalizzato ad informare, ma a stimolare un dibattito. Partendo non dalla realtà obiettiva ma da un punto di vista, si basa su valutazioni soggettive, fatte per essere accolte o contrastate, ma comunque dibattute.

    Il diritto di critica è forse la più genuina e significativa delle libertà contenute nell’art. 21 Cost., poiché il diritto di cronaca non deriva solo da una libertà, ma anche dal dovere di informare la collettività su fatti di interesse pubblico, e da questo dovere si trova ad essere inevitabilmente limitato. Sarebbe invece controproducente se si vincolasse il diritto di critica alla “verità” o alla “continenza formale” che si esige nella cronaca, perché non stimolerebbe alcun dibattito.

    Il diritto di critica non è informazione, ma eventualmente legittimo attacco.

     

     

    Nulla da obiettare: la Sua conversione dalla strenua difesa della "maggior obiettività" del Suo trattato al diritto di critica soggettiva è repentina quanto esemplare. Il diritto di critica è vincolato alla verità nel senso che non può affermare il falso dimostrabile come tale - per esempio, nel mio diritto di critica io non posso accusarLa di aver scritto un libro di cui Lei non è l'autore, altrimenti Lei mi può chiamare in giudizio e io debbo risarcirLa - e alla "continenza formale" nel senso che io posso criticare la Sua arte di interprete, ma non posso ingiuriarLa sul piano personale, altrimenti Lei mi manda in galera (e, se ciò io avessi fatto, meriterei di andarci). La costituzione garantisce i diritti fondamentali della persona ma non concede a chiunque di fare qualunque cosa. La costituzione è un quadro all'interno del quale vigono i codici, quello penale e quello civile, e per incappare nei rigori dell'uno e dell'altro non occorre infrangere la carta costituzionale.

     

     

    Luigi ha comunque un diploma di chitarra oltre ad una laurea in Storia della musica, quindi credo che, sotto questo punto di vista, abbia tutte le “carte” assolutamente in regola.

     

     

     

    Io non ho minimamente questionato le Sue scelte di Tizio e di Caio quali autori delle recensioni delle quali Lei è responsabile: sono fatti Suoi, e non mi riguardano. Ho fatto osservare - ed è tutt'altra cosa: Lei forse non la comprende, ma molti lettori di questo forum si - il modo con il quale Lei conferisce tali incarichi, con decreto e investitura pubblici, con esibizione (sempre pubblica) del fatto che il recensore verrà retribuito e non senza l'omissione del fatto che, mentre consacra il recensore, si trova in aeroporto, pronto a intraprendere una tournée nelle impervie zone dell'Italia del Sud. Senza commenti. Non erano necessari.

     

     

     

     

    Il maestro Gilardino per onestà deve ammettere che con la mia gestione, c’è sempre stata pluralità. Tant’è che nel quarto numero dell’allegato Chitarre Classica del dicembre 1997, di cui io ero direttore, al maestro dedicai un ampio articolo (cosa che non feci ad esempio con Carlo Carfagna perché quest’ultimo, curando una rubrica all’interno della rivista stessa, pensava che non fosse il caso che io gli dedicassi anche un articolo!). Al maestro Gilardino ho dedicato anche uno spazio (pag. 539) nel libro edito dalla “Editori Riuniti” dal titolo “Grande Enciclopedia della Chitarra e dei Chitarristi” di cui ho curato la storiografia classica e le biografie di tutti i chitarristi classici. Ultimamente su questo forum si è aperta anche una discussione sul fatto che io avessi pubblicato l’articolo di una recensione di un concerto con le sue musiche!

     

     

     

    Non ho nulla de osservare, al riguardo. Come Lei, che è attivo nel mondo della musica in veste professionale, ben sa, un autore deve solo preoccuparsi di scrivere le Sue opere e, se può, di pubblicarle. Il resto, lo fanno gli altri: l'autore, dopo aver pubblicato le sue opere, e per il fatto stesso di averle pubblicate, deve accettare pacificamente anche il fatto che la sua opera debba e possa essere oggetto di attenzioni da parte di tutti: interpreti, ascoltatori, critici, operatori musicali, etc., e ciò indipendentemente dal fatto che tali attenzioni possano risultargli, sul piano personale, gradite o no. Personalmente, rispetto qualunque giudizio o opinione venga espresso sulla mia opera, positivo e negativo che sia: fa parte del gioco, e ci sono avvezzo da una vita. L'unica cosa che esigo - e sulla quale non transigo - è che non si dica, a mio riguardo, il falso oggettivo e che, nel criticare il mio lavoro, non si faccia mai ricorso all'ingiuria personale. Detto questo, sfido chiunque a citare un solo episodio nel quale io abbia reagito a una critica al mio lavoro. Se ho preso la penna in difesa di qualcuno o di qualcosa, ebbene il qualcuno non ero io e il qualcosa non era il mio lavoro. La discussione di questo thread non fa eccezione.

     

    Per concludere, maestro Fabbri, aspetto sempre - e con me aspettano i lettori - che Lei porti fatti a sostegno della Sua affermazione, secondo la quale io"come al solito" uso "due pesi e due misure". Siccome non si tratta di un'affermazione lieve, l'ho invitata ad asseverarla con degli esempi probanti: li aspetto - a evitare che si delinei, in me e nei lettori, il pensiero che sparare accuse e poi sottrarsi alla richiesta di provarle sia un esempio del criterio con il quale Lei intende esercitare il diritto di critica tutelato dalla Costituzione.

     

    AG

  16. Ciao. Ho ordinato il libro di Nuti e volevo fare una domanda. Ho letto che si parla di C. Debussy e siccome amo questo compositore chiedo ha scritto anche per chitarra??

     

    No, purtroppo non lo ha fatto, ma con la sua estetica musicale ha creato le condizioni anche per la rinascita della chitarra. Il libro di Nuti spiega efficacemente l'importanza dell'influsso di Debussy nella musica per chitarra del Novecento.

     

    dralig

  17. No, purtroppo!

     

    Ma ne parlò bene dicendo che la chitarra è un "clavecin expressif" e l'Homenaje che De Falla dedico al grande compositore francese ha segnato, di fatto, il Novecento chitarristico.

     

    Approfitto per chiedere ad Angelo Gilardino se si è mai trovata traccia della trascrizione che Segovia suonò all'inizio della sua carriera di un Arabesque di Debussy. O esiste qualche altra trascrizione dell'epoca che presumibilmente Segovia adottò, almeno come punto di partenza, come fece con alcune trascrizioni di Tàrrega?

    Ciao.

     

    Ciao Piero, metti il dito in una delle mie piaghe di ricercatore. La Deuxième Arabesque fu certamente trascritta da Segovia - e non si trattò di un adattamento di trascrizioni altrui, perché egli la eseguì per (ma sarebbe più proprio dire: contro) gli allievi di Tárrega nell'esibizione privata che diede per loro a Valencia, intorno al 1915: è da escludere che, a quell'epoca, qualche altro chitarrista avesse già trascritto il pezzo debussiano per chitarra. Il fatto è che, di quella trascrizione, non è rimasta la benché minima traccia. Che il giovane Segovia potesse essere entrato in possesso dell'edizione, è del tutto plausibile: Durand pubblicò il lavoro nel 1891, e negli anni madrileni precedenti la trasferta a Valencia e a Barcelona, Segovia sicuramente ebbe occasione di ascoltare pianisti (Alfred Cortot, per esempio) che suonavano Debussy. Resta il mistero della sparizione di quel lavoro dal suo repertorio. Forse, lo aveva legato alla brutta esperienza dell'incontro con i tarreghiani, e lo volle rimuovere dalla sua memoria. Era molto sensibile e suscettibile, e quelli dovevano essere proprio dei solenni imbecilli...

     

    dralig

  18. Wow... questa è una notizia che fa assolutamente piacere.

    Non ho soltanto capito se la versione piena verrà suonata da qualche chitarrista-e se sì, chi?- oppure anche questo attraverso sequenze!

     

    Non lo so. Una cosa è certa: se la parte di chitarra verrà registrata da un chitarrista "vero", questi dovrà essere molto bravo, perché il lavoro da fare è più complesso di quanto potrebbe sembrare gettando uno sguardo sulle pagine della partitura.

     

    dralig

  19. Nel 1954, Alexandre Tansman scrisse il suo secondo concerto per chitarra e orchestra, dopo il "Concertino" del 1945. Lo concepì come un omaggio a Manuel de Falla, e non adoperò la classica forma del concerto solistico con orchestra, ma quella di una suite in cinque movimenti. Lo inviò a Segovia, che in quel periodo si trovava in Spagna (mentre risiedeva stabilmente a New York). Il pacco contenente la musica andò smarrito: in una lettera al compositore, Segovia si domanda sgomento che fine abbia fatto la spedizione. Da una lettera successiva del chitarrista, apprendiamo che Tansman aveva intrapreso un lavoro di ricostruzione del concerto - del quale evidentemente, nell'inviare il manoscritto a Segovia, non aveva tenuto una copia di sicurezza.

     

    L'archivio Segovia di Linares conserva tre manoscritti della composizione, nessuno dei quali risulta completo: Tansman riscrisse il Concerto ma non lo orchestrò. Il massimo di cui disponiamo è una minuta contenente la parte di chitarra e la partitura compressa su rigo pianistico.

     

    Accogliendo la richiesta della figlia del compositore, M.me Marianne Tansman, ho ricostruito il lavoro e ho realizzato l'orchestrazione.

     

    "Hommage à Manuel de Falla pour Guitare et Orchestre de Chambre" verrà pubblicato prossimamente dalle Edizioni Bèrben con un CD allegato, contenente sia la versione piena che quella "minus" - cioè senza chitarra, realizzate al computer da Ermanno Brignolo.

     

     

    dralig

  20. Rms ha scritto:Citazione:La mia stima per Lei è pari a zero, e la mia disistima è invece così completa da augurarmi che sia anche reciproca. La smetta di stimarmi, e mi disistimi come io disistimo Lei: mi sentirò meglio.

     

    mi sembra un pò oddensivo... ognuno può esprimere la prorpia opinione! e se io voglio stimare qualcuno posso farlo, anche se la stima non è corrisposta!

     

     

    E io posso - con lo stesso diritto - manifestare il mio imbarazzo o la mia repulsione per pubbliche attestazioni di una stima che non gradisco: o il diritto a esprimere la propria opinione è esclusivo dei distimati?

     

    dralig

    Maestro... Lei è una delle grandi figure chitarristiche del secolo... non risponda a simili provocazioni! :)

     

    No. Io devo rispondere. E Le spiego perché. Allora: uno studioso scrive un libro di storia della chitarra in cui dedica interi capitoli all'opera di alcuni autori e non si occupa invece dell'opera di altri musicisti, o se ne occupa con le voci del dizionarietto collocato in appendice. Si può essere d'accordo o meno sul criterio scelto da chi ha scritto il libro, e ciò è del tutto normale: lo si può criticare, gli si può contestare la sua impostazione metodologica, si può dissentire da ogni singola pagina del libro. L'autore, nella sua introduzione, ha manifestato chiaramente i criteri del suo lavoro e ha reso nota la sua disponibilità a prendere in considerazione suggerimenti atti a integrare la sua trattazione per le future edizioni del libro.

     

    Interviene Luigi. Quali sono le sue premesse? Attenzione, questo è il punto: lo spazio dedicato al mio lavoro è eccessivo e tale scelta non è frutto del criterio estetico dell'autore, ma del proposito di "tirare acqua al proprio mulino". In altri termini, Nuti - docente universitario - non può aver incluso nel suo libro un corposo capitolo dedicato all'opera del sottoscritto perché ritiene che ciò sia giusto: non gli viene riconosciuta nemmeno in linea di principio l'onestà intellettuale che guida uno studioso nei propri orientamenti e nelle proprie scelte, e si erge a regola, a principio (per l'appunto) che tali orientamenti e tali scelte siano solo il frutto della propria dipendenza, della propria condizione di "accolito" rispetto all'autore trattato. L'idea che a questo mondo si possa riconoscere il lavoro di qualcuno perché lo merita non esiste più: nel riconoscimento dev'esserci per forza la collusione interessata, l'alleanza furbesca, il patto di clan, e i lettori sono solo delle comparse acritiche, alle quali è riservata la parte dei gonzi. Questo è il senso delle insinuazioni di Luigi, il quale si spinge oltre,e insinua che,se io intervengo facendo osservare quali sono i fondamenti metodologici del libro, non ho altro scopo che quello di difendere i miei interessi, o chissà che cos'altro.

     

    Vede, questo è il punto: in un mondo siffatto, quello suggerito da Luigi, non esiste più il merito, esiste solo la furbizia, non esiste più il riconoscimento dei valori, esiste solo l'atto servile che remunera indifferentemente chi vale e chi non vale a seconda dell'interesse di parte, la penna e la parola sono solo strumenti di adulazione (da una parte) e di sopraffazione (dall'altra). Nello stesso messaggio in cui digrigna i denti contro le scelte di Nuti, non manca di far notare come la rivista "Guitart", nel suo numero recente, abbia pubblicato un'ampia intervista rilasciata dal sottoscritto: ebbene, non può trattarsi di una normale scelta editoriale del direttore Gianvito Pulzone, dev'essere per forza "agiografia": si occupano di me, quindi ci dev'essere sotto un intrigo a mio illecito favore. Non è remora alcuna, per Luigi, il fatto che, due settimane or sono, un concertista l'abbia scostato da sé, smentendo categoricamente le sue affermazioni, non su opinioni, ma su fatti nudi e crudi: non c'è brutta figura che tenga, è già pronto a ripartire con il prossimo bersaglio delle sue insinuazioni.

     

    E Lei si aspetta da me che io subisca la professione di stima di un individuo del genere in silenzio? Che io taccia, forte del fatto che le sue parole non possono recare danno alla "mia immagine"? Ebbene, si sbaglia. Io non sono di quei tipi che si ritirarono sull'Aventino, convinti del fatto che il loro dignitoso silenzio, che proteggeva la loro intemerata maestà di senatori, fosse più eloquente della parola che avrebbero potuto opporre, forte e chiara; non assomiglio al mio conterraneo Badoglio, che suggerì al re di lasciarli fare, i ragazzi della marcia su Roma, tanto erano solo chiassate giovanili. Quando si deve protestare, si protesta, al diavolo la maestà. Qui ci sono settecento lettori: debbono sapere che io, con un personaggio del genere non ho nulla che fare, e che la sua stima conclamata mi dà fastidio.

     

    dralig

  21. La mia stima per Lei è pari a zero, e la mia disistima è invece così completa da augurarmi che sia anche reciproca. La smetta di stimarmi, e mi disistimi come io disistimo Lei: mi sentirò meglio.

    mi sembra un pò oddensivo... ognuno può esprimere la prorpia opinione! e se io voglio stimare qualcuno posso farlo, anche se la stima non è corrisposta!

     

    E io posso - con lo stesso diritto - manifestare il mio imbarazzo o la mia repulsione per pubbliche attestazioni di una stima che non gradisco: o il diritto a esprimere la propria opinione è esclusivo dei distimati?

     

    dralig

  22.  

    Con il M°Gilardino sono stato in contatto per altri motivi e posso assicurarti che, nonostante qualche scintilla, la stima nei suoi confronti è sempre stata alta.

     

     

    un salutone

     

    gigi

     

     

    La mia stima per Lei è pari a zero, e la mia disistima è invece così completa da augurarmi che sia anche reciproca. La smetta di stimarmi, e mi disistimi come io disistimo Lei: mi sentirò meglio.

     

    dralig

    • Like 1
  23.  

     

     

    Dal momento che Lei ha già espresso pubblicamente il suo orientamento sul libro, affidarLe questo incarico significa da parte della rivista dichiare apertamente che la direzione vuole pubblicare una recensione che abbia un certo orientamento (favorevole o sfavorevole che sia.)

    Affidare poi l'ìncarico attraverso in messagio su un News Group significa dire chiaramente ai lettori: su questa rivista verrà pubblicata una recensione non favorevole.

     

    Al posto Suo, io non acceterei preso dal forte dubbio che l'incarico mi derivi, più che dalla mia autorevolezza in materia e come recensore, dalla mia posizione già pubblicamente espressa, diventando così strumento di una battaglia di parte. Può darsi che Lei non colga questo aspetto oppure che lo viva come un onore.

     

    Caro Frédéric, la rivista in questione - forse tu non hai abbastanza anni sulle spalle per ricordartelo, e allora ti aiuto io - circa 20 anni fa fece recensire il mio Manuale di storia della chitarra - quello che ora, nella stessa collana, è stato sostituito dal libro di Nuti - da Griselda Ponce de Leon, che stroncò il libro - quello stesso libro che Luigi "preferisce" - accusandomi di voler demolire la figura di Segovia e minacciando - testuale - di far brillare i coltelli. Nella sua recensione, tra l'altro, erano stati ampiamente travalicati i confini della critica, e c'erano gli estremi della querela. Prevalse la carità cristiana dell'editore del manuale. Nonostante la fiera opposizione di "Chitarre", il libro ebbe sei o sette ristampe, una seconda edizione, e avrebbe dovuto essere ristampato l'anno scorso, se io non lo avessi ritirato perché lo ritenevo superato nei contenuti: superato dai risultati delle mie stesse ricerche. La risposta alla signora de Leon venne dalla famiglia Segovia e dalla Fondazione intitolata al suo nome, che mi chiamarono al ruolo di direttore artistico.

     

    Auguro all'autore del nuovo manuale, per il futuro del suo libro, una bella recensione, come quella che ricevette a suo tempo il mio.

     

    dralig

  24. Accetto l'incarico....da questo momento sono costretto a sospendere ogni parere al riguardo....

     

    Cordialmente

     

    gg

     

    Mi permetto di suggerirLe di ripensarci.

    Non depone a favore della Sua serietà (professionale? ) il fatto che Lei accetti l'incarico sapendo che viene scelto perchè ha già espresso, in totale anonimato per quanto ne sò, un orientamento non favorevole sul libro su un news group.

    E ancora meno depone a favore della serietà della direzione della rivista che eventualmente vorrà pubblicare la Sua recensione.

     

    Quanto alla Bibliografia, se leggesse un pò più attentamente il libro, magari incluse le note a pié di pagina, capirebbe perchè nessuno Le ha risposto.

     

    Caro Frédéric, l'episodio dimostra efficacemente - e con un'eloquenza che va molto al di là della coscienza che ne possono avere i protagonisti - quali siano i metodi in atto in certa editoria chitarristica: come vengono affidati gli incarichi di scrivere recensioni, da chi, a chi, e come - con quali procedimenti e con quale stile.

     

    Non occorre aggiungere altro.

     

    dralig

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