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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. ...sulla Bibliografia nessuna risposta all'orizzonte.....

    Caro Maestro Gilardino, mi sembra che se la stia prendendo un po' troppo per un libro di cui non ha scritto nemmeno una riga....

    Ah, dimenticavo....è il difensore d'ufficio del prof. Gianni Nuti....

     

    cordialmente

     

    lp

     

    Sono un difensore d'ufficio della decenza, e non lo sono come musicista, lo sono come persona. In questo caso, Le assicuro che ce n'è bisogno.

     

    Prendermela? No, carissimo, io non me la prendo minimamente. Sto solo sbrigando una pratica di lavoro: imposta dalla decenza, per l'appunto.

     

    dralig

  2. Le posizioni di Gilardino e Fabbri appaiono chiarissime.

    Il libro di Nuti personalmente lo considero un'occasione mancata e continuo a preferirgli il 2° Volume uscito negli anni '90 e scritto dal M°Gilardino, che in quest'opera appare come il vertice dei compositori per chitarra (è l'ultimo autore a comparire nella lista ed è colui al quale sono state dedicate più pagine!).

    E comunque, come dice giustamente Fabbri, il prof. Nuti dovrebbe spiegarci il perchè della mancanza di una BIBLIOGRAFIA nel suddetto volume....

    In soldoni: è un romanzo o un'opera scientifica, 'sto benedetto manuale???

     

    Cordialità

     

    LP

     

    Se Lei lo avesse letto - e non si fosse limitato a un frettoloso conteggio del numero di pagine dedicate a Tizio piuttosto che a Caio - avrebbe preso atto del proposito dell'autore, che non si è mai sognato di scrivere e di presentare il suo volume né come un'opera scientifica né come un romanzo. Basta leggere le prime tre pagine per rendersene conto.

     

    Scusi, a chi si riferisce quando usa il termine "spiegarci"? Lei parla a nome di una collettività? Chi rappresenta? Una corte di giustizia? Un partito? Una categoria di utenti? E perché l'autore "dovrebbe" spiegarvi? E' sottoposto a un interrogatorio in cui "voi" siete gli inquirenti? Indossate, "voi", qualche veste che vi intitoli a esigere, dall'autore di un libro, giustificazioni sul suo operato? Siete qualcosa di più di semplici lettori che hanno acquistato un volume? Questo vi dà il diritto di criticarlo, ma non certo quello di sottoporre l'autore a una serie di domande alle quale egli "dovrebbe" rispondere: lo farà se ne avrà voglia, non perché "dovrebbe". "Voi" non siete una una polizia politica, anche se vi comportate un po' peggio della Gestapo (almeno, quella leggeva i documenti, prima di interrogare chi li aveva scritti).

     

    Infine, dato, e non concesso (non c'è nulla nel libro che affermi qualcosa del genere), che l'autore mi consideri "il vertice dei compositori", perché Le dà tanto fastidio? Non Le è sufficiente il Suo dissenso? Non riesce ad ammettere che altri possa considerare la mia opera diversamente da come la considera Lei? E che lo manifesti? Che cosa vuole, che altri mi facciano piccolo piccolo, per la Sua pace e per quella dei Suoi compari?

     

    Il volume che Lei seguita a preferire al nuovo manuale di Nuti era obsoleto: necessitava di un sostanziale rifacimento di tutta la parte riguardante l'apporto segoviano al repertorio del Novecento storico - apporto che risultava ben diverso dopo i ritrovamenti nell'archivio di Linares - e di un poderoso aggiornamento della musica scritta negli ultimi tre decenni. Dato il ruolo che la storia della chitarra mi ha riservato in questi frangenti (i trenta volumi della collezione "The Andrés Segovia Archive" li ho pubblicati io, non uno dei convenuti che oggi esigono spiegazioni), ho ritenuto corretto (la deontologia professionale non è per me una locuzione, ed evito il conflitto di interessi istintivamente, senza nemmeno bisogno di pensarci) declinare le pressanti richieste dell'editore, nei cui scaffali il "mio" vecchio manuale era venuto a mancare per esaurimento delle copie. E' stata ovviamente un'iniziativa del direttore delle Edizioni Bèrben quella di cercare un altro autore. Lo ha individuato, ha creduto nel suo lavoro, ha speso tempo, denaro e cure editoriali infinite per colmare quello che, nel suo catalogo, avvertiva come un vuoto. A "voi" il libro non piace? C'è troppo spazio per Gilardino e troppo poco per Gangi e Carfagna? Benissimo: se questo è un errore storico, il tempo e i lettori ne faranno giustizia. In fondo, le opere di tutti questi autori sono pubblicate: chiunque può leggerle e valutarle, dunque, qual è il problema? "Oggettivamente", come direbbe Roberto Fabbri, proprio nessuno. "Soggettivamente", lo state creando "voi", con le vostre ossessioni.

     

    dralig

  3.  

    Un obiettività che non ho mai riscontrato in altri scritti e men che mai nel libro di Nuti, dove a un personaggio come Mario Gangi non solo non è dedicato un ampio capitolo, ma nel dizionarietto che segue non è citato nemmeno il nome di una composizione eccezion fatta per i 22 studi.

    Al contrario, di alcuni personaggi dei quali per carità cristiana non faccio il nome, vengono invece fatti i nomi se non dedicati specificatamente dei capitoli (naturalmentre non così lunghi e ricchi di esempi come il suo).

    .

     

     

    Non Le sarà difficile segnalare ai lettori quali sono i libri di storia della chitarra pubblicati in qualunque lingua e in qualunque parte del mondo (a parte il Suo e quello dei Suoi coautori, "naturalmente",) nei quali la figura e l'opera di Mario Gangi sono presentate con un rilievo maggiore di quello riservatoLe dal manuale di Nuti. Autori e titoli, per favore. Io porto un solo esempio: il manuale di storia della chitarra più diffuso al mondo - non ne sostengo il valore, mi riferisco solo a un dato "oggettivo", cioè numerico, del quale anche Lei, per la Sua conoscenza dell'editoria, è certamente informato - è il volumetto "A Concise History of the Classic Guitar" di Graham Wade, pubblicato da Mel Bay. Scritto in inglese, è una sorta di bignamino della chitarra letto in tutto il mondo English speaking, quindi dall'Australia all'Islanda. Mi dedica un'intera pagina (178) e non menziona (me ne rammarico) il nome del maestro Gangi. L'autore non è nemmeno da lontano un mio amico, anzi, ci stiamo - come si dice - cordialmente antipatici. Vuole per cortesia informare tutti i lettori - e anche me - delle iniziative che Lei avrà certamente e "oggettivamente" assunto per protestare contro tale omissione? Non mi sfiora la mente, infatti, il sospetto che Lei, subito sollecito - a poche settimane dalla pubblicazione - nel deplorare il fatto che Nuti riservi così poco spazio al maestro romano, abbia lasciato passare sotto silenzio il fatto - ben più rilevante, data la diffusione universale del libro - che Wade, storico di Segovia e di Bream, ne ignori l'esistenza tout court.

     

     

    dralig

  4. Come al solito Maestro lei usa due pesi e due misure. .

     

    Non so a quale mio "solito" Lei si riferisca ma, per poterlo fare, deve per forza essere un mio "solito" lettore: non Le sarà dunque difficile portare qualche esempio della parzialità dei miei giudizi - o anche, più modestamente, delle mie opinioni - in cui sia riscontrabile quello che Lei afferma, cioè il mio uso di due pesi e due misure. Aspetto e - ne sono certo - aspettano anche i lettori di questo thread.

     

     

    Io si, credo che la Storia Della Chitarra scritta insieme a Carlo Carfagna e Michele Greci per la Carisch, sia più oggettiva rispetto al Manuale di Nuti.

     

     

    Come esempio di oggettività, il Suo è davvero notevole: di grande finezza e modestia. Se la Sua "oggettività" è così evidente, e indiscutibilmente superiore rispetto a quella mostrata da altri autori, perché si preoccupa tanto di sottolinearla? Crede che i lettori, in atto e in potenza, siano degli sprovveduti da indirizzare con mementi e precetti sulla retta via e da preservare da cattivi consiglieri? Teme che la Sua "oggettività" possa passare inosservata? Se io mi sentissi - come Lei - forte di una mia "oggettività" (dalla quale, Gliene do certezza, mi sento ben distante) - non spenderei una sola parola a favore della sua evidenza, e aspetterei i riconoscimenti unanimi. Men che mai mi spenderei nel tentativo di sminuire l'opera altrui che, priva del sommo valore dell'"oggettività", non può rappresentare alcuna minaccia per la mia. Perché infierire sui meno bravi, sui "meno oggettivi"? Non sono mica Maramaldo...

     

     

    Questo anche perchè si tratta sopratutto di una storia strumentale ed iconografica in cui il novecento e i contemporanei non hanno gran parte ma, ciononostante lei (forse inobiettivamente) è stato definito a pag. 38 personaggio di ruolo primario.

     

     

    Veda di mettersi d'accordo con sé stesso: o è obiettivo o non lo è. Io non mi aspetto giudizi "oggettivi": mi accontento del fatto - mi creda, davvero raro - che i miei lettori sappiano leggere. Quanto al mio ruolo, vede, la complessità dei giudizi che ne decretano o ne negano l'importanza, o addirittura la primarietà, è così immensa - nel presente e nella prospettiva del futuro - da rendere davvero futile ogni mia (per fortuna, non esistente) suscettibilità al riguardo. Il compito di un autore è creare le sue opere e, se gli è possibile, pubblicarle. Il resto lo fanno gli altri: sono e saranno così tanti, che rendere l'orecchio e aguzzare la vista per quel che dice o scrive uno di loro, è come occuparsi del mare con un cucchiaino da caffè.

     

    Un obiettività che non ho mai riscontrato in altri scritti e men che mai nel libro di Nuti, dove a un personaggio come Mario Gangi non solo non è dedicato un ampio capitolo, ma nel dizionarietto che segue non è citato nemmeno il nome di una composizione eccezion fatta per i 22 studi.

    Al contrario, di alcuni personaggi dei quali per carità cristiana non faccio il nome, vengono invece fatti i nomi se non dedicati specificatamente dei capitoli (naturalmentre non così lunghi e ricchi di esempi come il suo).

    Non credo comunque che Nuti la consegnerà con questo testo alla storia della chitarra meglio di come fa il modesto libro edito dalla Carisch.

     

     

    A consegnarmi (eventualmente) alla storia della chitarra sono e saranno le cose che ho scritto io, non quello che ne scrivono gli altri. Come diceva Vincent van Gogh: noi possiamo parlare solo con i nostri quadri.

     

    dralig

  5.  

    Però è “geograficamente” giustificabile al punto che anche una parte della nostra penisola è stata “dimenticata” perché la "selezione", come affermato nella prefazione del libro è stata fatta verso “…compositori che…la nostra storia personale…hanno portato a scegliere…” ?

     

    Quanto ha quindi influito la “storia personale” sull’oggettività storica?

    Non è forse dovere di chi scrive un testo del genere documentarsi e cercare di approfondire anche quelle situazioni a lui “geograficamente e sensibilmente” lontane?

     

     

    Il documentarsi e l'approfondire non fanno forse parte della storia personale di ogni studioso? In quale modo l'attingere alla propria storia personale esclude che si possa, con ciò, essere documentati e, nel proprio scrivere, profondi? L'avere quale sorgente di sapere la propria storia personale implica che si debba per forza essere poco documentati e superficiali? Quanto all'oggettività storica, nessun filosofo o scienziato oggi accamperebbe la pretesa di incarnarla. Lei, caro maestro Fabbri, ha scritto un libro di storia della chitarra. Ritiene di aver raggiunto, nella sua rappresentazione della storia dello strumento, l'oggettività? Il catalogo Pocci comprende, per il solo Novecento, alcune decine di migliaia di composizioni: per essere oggettivi nel riferirne in sede storica, è imprescindibile averle lette e studiate tutte. Lei lo ha fatto? E se non lo ha fatto, a che cos'altro ha attinto, se non alla sua storia personale (di concertista, di studioso, di ricercatore, etc.)?

     

     

     

    E’ comunque “strano” che autori che affollano gli odierni programmi da concerto siano stati nel libro “liquidati” con poche righe. Che non sia stato dedicato loro un approfondimento, fosse anche solo per capire perché questi autori siano così suonati, a differenza di altri, nel testo ampiamente citati, che non hanno invece nessuno tipo di riscontro concertistico.

     

     

    Secondo Lei il giudizio di qualità su autori e opere si deve formulare a partire dalle scelte dei concertisti? Dato e non concesso che quello che Lei afferma sia vero, chi è lo storico della chitarra? La pizia dei chitarristi e l'eco dei loro gusti? Se, nel 1940, qualcuno avesse scritto in un libro di storia della chitarra che Barrios era un compositore geniale, l'avrebbe fatto senza il minimo supporto dei chitarristi di allora, che ignoravano il maestro paraguayano e la sua opera. Avrebbe per questo dovuto essere rimproverato di non essersi attenuto alle indicazioni dei gusti correnti? Non è lo storico qualcuno che cerca la verità al di là delle parvenze e delle mode? Il lavoro per chitarra di Frank Martin non ha avuto "nessun tipo di riscontro concertistico" per 30 anni, e la "Sonata" di Antonio José per 60 anni: nel frattempo, si suonavano brani di cui è oggi caritatevole non dire nulla. Che cosa avrebbe dovuto fare, lo storico che già allora fosse stato capace di distinguere il grano dalla paglia, dedicare tre righe alle "Quatre Pièces Brèves" perché ignorate dai chitarristi e dieci pagine ai Valzer Venezuelani di Lauro? Se i concertisti vogliono che le loro scelte siano rispettate - ed è fuori di dubbio che ne abbiano pieno diritto - imparino a rispettare le scelte di chi non crede, come loro, che Rachmaninov sia migliore di Bartok. Si tengano la larga messe di applausi, successi, notorietà, denaro, che perviene loro, ma non pretendano che gli storici prendano a modello la loro arte.

     

     

    E qui verrei all’ultima osservazione: la Storia della chitarra la fanno i compositori o i chitarristi?

     

    Credo che sarebbe stato più corretto titolare il libro “Manuale Di Storia Della Composizione per Chitarra”, certo anche a questa affermazione gli autori potrebbero rispondermi: Noi non abbiamo scritto “Manuale Della Storia Della Chitarra E Dei Chitarristi” quindi questi sono automaticamente esclusi…

     

    Certo mi chiedo, cosa sarebbero i compositori (naturalmente quelli non chitarristi o che non hanno più una militanza concertistica) senza coloro che suonano la loro musica?

     

    Assolutamente nulla, le loro opere resterebbero “lettera morta”. Il compositore ha assoluto bisogno dell’interprete che quindi, a mio modesto parere, non va relegato su un piano “secondario”.

     

    Ricordiamoci che sono stati gli interpreti come Segovia (qui naturalmente e ovviamente ampiamente trattato) che hanno dato linfa vitale ad uno strumento “assopito”.

    Ricordiamoci anche che, in tempi più recenti, chitarristi come Jhon Williams (in questo testo appena citato) hanno decretato il successo di autori come Dodgson, Domeniconi, Koshkin e tanti altri.

     

    La mie sono semplici riflessioni, lo sforzo editoriale della Berben è encomiabile, e al giorno d’oggi non è facile trovare un editore disposto ad investire su lavori così di settore. La veste grafica del libro è eccellente come anche gli argomenti che si è deciso di affrontare sono stati curati con attenzione.

     

    Il mio intervento spero quindi possa contribuire ad una riflessione costruttiva auspicando che, in una prossima edizione, possano trovare la loro collocazione anche quei compositori lontani dalla “sensibilità” degli autori e che questi ultimi decidano di integrare il testo con una appendice dedicata ai “grandi esclusi”: i concertisti.

     

    Roberto Fabbri

     

     

     

     

    Questa mi sembra una riflessione molto seria. . Osserviamo insieme i vari trattati di storia della musica esistenti - anche solo in lingua italiana. E' fuori di dubbio che i loro autori hanno preso in considerazione soprattutto - se non esclusivamente - i compositori: anche riferendosi alla storia recente, nessun autore oggi scrive, in una storia della musica, un capitolo dedicato a Rubinstein a fronte dell'immancabile capitolo dedicato a Stravinskij. Una storiografia dell'interpretazione musicale esiste certamente, ma al momento non si integra con la storia della musica: se ci interessa un'esegesi dei maggiori pianisti del Novecento, dobbiamo leggere, per esempio, i bellissimi libri di Piero Rattalino, ma non la storia della musica della Utet, nella quale troveremmo ben poche risposte alle nostre attese. Credo che una storia dell'interpretazione chitarristica sia importante e utile, ma non credo che il non averla inclusa in un libro di storia della chitarra del Novecento sia ascrivibile a colpa dell'autore, che ha operato una scelta - quella di trattare della musica e non degli interpreti: non ha nemmeno escluso di poterlo fare, o che altri lo faccia. E' uscito un libro di storia della chitarra, non la nuova Costituzione del Regno delle Seicorde.

     

    dralig

  6. mi sembra più "uno, nessuno, centomila", invertendo il gioco delle parti però, dato che qui si sentono tutti profondi conoscitori della storia della musica, oltre che compositori...a volte indossano una maschera e a volte un'altra...siete in grado? Scrivetelo voi un manuale. Io studio, continuo a studiare chitarra come continuo a studiare composizione; qui mi sembra che tutti sappiano chi è Gervasio, quando in realtà nessuno ha mai letto un suo lavoro. Un paio di mesi fa si parlò dei suoi lavori per chitarra e nessuno se n'è infischiato, ora tutti insorgono allo scandalo. Qui non c'è nessun conflitto di interessi dato che non v'è nessuna legge che sancisce l'utilizzo di questo libro di testo come referenza sulla storia della chitarra; non c'è nessun tipo di problema dato che in un libero mercato io compro e prendo quello che voglio, dunque posso infischiarmene del libro se non mi sembra abbastanza scientifico o poco serio nella trattazione. Il problema si porrebbe qualora recasse danno alla chitarra nella storia della musica, ma mi sembra che questo non sia il caso, per cui 6 pagine di discussioni mi sembrano davvero tante.

     

    Vado a scrivere.

    Francesco

     

    Per la verità, qui non c'è stata alcuna discussione. Aprire una discussione su un libro di storia (dedicato a qualunque argomento) comporta necessariamente e primariamente - oltre ad aver letto attentamente il libro in questione - il riferirsi all'impostazione metodologica adottata dall'autore: la si accetta - e allora si passa al grado successivo, cioè si valuta il modo con cui tale impostazione è stata attuata nella trattazione specifica - o la si contesta - e allora si debbono portare argomenti per dimostrare la debolezza dei fondamenti adottati dall'autore. Il libro di Nuti propone una lettura della storia della chitarra non in senso cronologico-lineare, o in senso nazionalistico-culturale, cioè, in sostanza, una lista di personaggi e di fatti da elencare "oggettivamente" (di oggettivo, beninteso, possono esserci soltanto i dati anagrafici, i titoli e le date di pubblicazione delle opere: a questo scopo, provvede egregiamente il catalogo Pocci che, d'altra parte, non si pone come libro di storia), ma in senso estetico, cioè individuando, nel Novecento chitarristico, le linee portanti del repertorio creato dagli autori. Una volta stabilite tali linee - ed è quello che l'autore fa con estrema chiarezza nella parte introduttiva - è stata operata una scelta di compositori e di opere ritenute particolarmente efficaci e significative, non in un quadro "assoluto" di valori che nessuno oggi è in grado di stabilire "oggettivamente" (il Novecento deve ancora trovare un assetto critico ai livelli massimi, quelli degli Schoenberg e degli Stravinskij, figuriamoci quelli dei compositori-chitarristi!), ma per la loro forza esemplificativa delle tendenze individuate dall'autore.

     

    E' questa la scommessa di Nuti: gli studenti di musica, quelli dei conservatori riformati, che scrivono tesi di laurea, sono interessati a una storia della chitarra scritta in chiave estetica e non come un elenco di autori e di opere? E' una scommessa coraggiosa, alla quale partecipa un editore altrettanto coraggioso.

     

    Se questa impostazione risulterà valida o meno, lo giudicheranno i lettori, è ovvio, ma soltanto, tra loro, quelli che hanno interesse a comprendere e a valutare i fenomeni storici ad di là della cronaca spicciola, o peggio del pettegolezzo: in altre parole, i tipi che abbiamo visto all'opera in questo thread, agli effetti del "successo" (intendo, con tale termine, il conseguimento degli obiettivi comuni all'autore e agli editori) del volume, non contano niente, semplicemente perché non hanno capito niente. Teoricamente, potrebbe anche darsi che l'impostazione, in sé valida, non abbia trovato una realizzazione sufficientemente forte e argomentata: credo che un autore serio qual è Nuti sia sinceramente interessato (e il suo messaggio ne è prova) a prendere in considerazione rilievi che si appuntino su "come" egli ha realizzato i suoi presupposti. In questo senso egli ha inteso aprire una discussione, non per dar voce a chi è solo capace di volgari insinuazioni e di laide chiacchiere.

     

    dralig

  7.  

    No no, continui pure a lavorare sulla musica, la mia era solo una battuta, solo curiosità per conoscere fatti e aneddoti che nelle storie "ufficiali" sulla chitarra non compaiono...

    Comunque, a proposito di lavoro, scusi l'ardire, ma a quando una serie di studi di "semplicità e trascendenza"?

    .

     

    Quando l'andare oltre la materia (trascendere) diventerà una cosa semplice. Per ora, non lo è affatto.

     

    dralig

  8. cronaca nera della chitarra.

     

    dralig

     

    Questo è un titolo fenomenale per un libro!

     

    Avrei anche materiali in abbondanza, senza dover lavorare di fantasia, anzi...

     

    dralig

     

    Siamo qui tutti che aspettiamo... :mrgreen:

     

    Si tratta di priorità. Di questi tempi - ad esempio - sto ripulendo per la pubblicazione la partitura del concerto per chitarra e orchestra di Jean Absil e sto orchestrando l'Hommage à de Falla, sempre per chitarra e orchestra (di cui esiste solo la versione per chitarra e pianoforte) di Alexandre Tansman. Mi sembrano temi più meritevoli che il raccontare le gesta dei non pochi mascalzoni che hanno operato in campo chitarristico. Quando proprio non avrò più musica da scrivere o da revisionare, magari spiegherò come facevano certi tipi a ottenere da Segovia le dichiarazioni a loro favore che oggi esibiscono. Ma non è urgente, non aiuterebbe nessuno a vivere meglio, non arricchirebbe il repertorio della chitarra e, se risultasse interessante, lo sarebbe solo per la qualità della prosa, non certo per i contenuti.

     

    dralig

  9. Salve!

    ho comprato la partitura edizione schott del Concerto op.99 castelnuovo-tedesco e ho notato che le registrazioni di Kraft e Yepes hanno un finale con degli accordi arpeggiati mentre la versione schott presenta il tema del terzo movimento anche alla chitarra!!! chi devo seguire?

    aiuto!

     

    Il Concerto è stato pubblicato senza alcuna revisione strumentale e la parte solistica corrisponde esattamente al manoscritto autografo.

     

    Da lì in poi, i vari interpreti hanno apportato modifiche - non soltanto nel finale - per rendere la parte chitarristica più sonora, o più scorrevole, etc. Lei provi a sperimentare le diverse, diversissime soluzioni che risulteranno possibili nei punti in cui rispettare l'originale alla lettera non darà risultati soddisfacenti, e decida in base ai risultati della Sua sperimentazione.

     

    dralig

  10.  

    Non c'è nessuno spunto polemico. Ho solo analizzato ciò che emerge dalla lettura dell'indice.

     

     

     

    lp

     

    Analizzare - "analizzare", si badi bene! Non "farsi un'idea preliminare", "supporre", "presumere": no , "analizzare" -, il contenuto di un libro leggendone l'indice: credo che nemmeno la Gestapo si sia mai comportata in questo modo: prima di far imprigionare o giustiziare un imputato, l'ispettore almeno leggeva gli atti, e non si fermava al titolo indicato nell'"oggetto" della relazione.

     

    dralig

     

    I miei modesti studi universitari mi hanno portato a comprendere un libro a partire dall'indice....è un metodo di studio, un primo approccio...se poi per lei non bisogna prendere in considerazione quella che è la struttura del libro in questione, beh, non so cosa altro aggiungere....

     

    con stima

     

    lp

     

    Non si nasconda, Lei non ha detto "inizio", "approccio", ha detto "analisi". Comunque si, è meglio che non aggiunga nient'altro, è tutto fin troppo chiaro.

     

    dralig

  11.  

    Non c'è nessuno spunto polemico. Ho solo analizzato ciò che emerge dalla lettura dell'indice.

     

     

     

    lp

     

    Analizzare - "analizzare", si badi bene! Non "farsi un'idea preliminare", "supporre", "presumere": no , "analizzare" -, il contenuto di un libro leggendone l'indice: credo che nemmeno la Gestapo si sia mai comportata in questo modo: prima di far imprigionare o giustiziare un imputato, l'ispettore almeno leggeva gli atti, e non si fermava al titolo indicato nell'"oggetto" della relazione.

     

    dralig

  12. Certamente è impossibile scrivere una storia, anche della musica, che sia "neutra" e non rechi traccia del giudizio personale e delle preferenze di chi scrive.

    Non ho ancora letto il volume in oggetto, ma credo sia impossibile che almeno i nomi di Lauro e Margola non vi trovino nemmeno menzione, certamente con lo spazio ed il giudizio critico che l'autore avrà voluto riservare loro.

    Ci sono state storie della musica che liquidavano Rachmaninov in qualche riga e una famosa enciclopedia britannica di qualche decennio fa parlò in modo sconcertantemente sprezzante (per me) di Rodrigo.

     

    Riguardo al repertorio contemporaneo per chitarra, a me piacerebbe (ad esempio) che prima o poi venisse adeguatamente menzionata l'opera di autori che giudico importantissimi come Adriano Guarnieri e Gilberto Cappelli, e spero che prima o poi, magari anche nel volume in oggetto, questo venga fatto; se ciò non fosse me ne dispiacerei, ma non mi scandalizzerei: appunto, la storiografia non è e non può essere neutrale, anche per questo i libri di storia della musica sono tanti - e ci sono aggiornamenti e riedizioni degli stessi libri.

     

    Aspettiamo comunque almeno di leggere il volume...

     

    Non spetta a me assumere difese d'ufficio (oltretutto non richieste) del libro in oggetto, però - avendolo letto - posso spiegare ai potenziali lettori - con una breve recensione - qual è la sua impostazione. L'autore non ha mantenuto l'impostazione cronologico-territoriale che io avevo adottato nel mio lavoro. Essendo fondamentalmente un letterato, con studi e lauree nell'area interdisciplinare tra musica, lettere e psicologia, ha adottato un'impostazione di carattere estetico, ossia ha letto il Novecento chitarristico come un filosofo della musica. In un approccio siffatto, il tracciato strutturale del libro non individua primariamente gli autori, ma individua delle linee estetiche, e all'interno delle medesime colloca gli autori che, di ciascuna linea, possono essere considerati esemplari o addirittura emblematici. Il limite della trattazione di ciascuna linea è, evidentemente, di natura pratica, editoriale: gli autori sono migliaia, e non è certo possibile includerli tutti. Se però esiste alla base un criterio qual è quello che ha informato l'autore, il fatto che possa esserci Tizio e non Caio è meno - molto meno - importante dell'individuazione e della chiarificazione delle linee estetiche alla quali Tizio o Caio appartengono. E' prioritario, insomma, spiegare che cos'è il primitivismo piuttosto che proporsi velleitariamente di elencare tutti i compositori che ne hanno fatto parte, e a tale proposito è sufficiente esaminare le caratteristiche di tre o quattro autori la cui opera manifesta esemplarmente tale tendenza: essendo una pubblicazione destinata agli studenti, trasmettere loro un concetto ben dimostrato è senz'altro più importante che compilare delle liste di nomi che - per la loro lunghezza - finirebbero per diventare acritiche e prive di significato. Questo è il criterio adottato dall'autore, chiaramente manifesto nelle premesse metodologiche del volume. E ne è prova subitanea il fatto che, nell'inizio, sia riservato un capitolo a Claude Debussy, che per chitarra non ha mai scritto una nota ma che, con la sua estetica musicale, ha aperto lo spazio nel quale la chitarra di Llobet e di Segovia ha potuto farsi ascoltare e apprezzare.

     

    Nei conservatori riformati la ricerca storica sta assumendo grande rilievo anche nella formazione degli strumentisti: è a questo nuovo profilo di studenti che l'autore si rivolge, non al chitarrista che considera la formazione extra-virtuosistica un accessorio, e che legge un libro di storia con l'assillo di controllare se il nome del suo idolo, mentore o amico è incluso o meno, o che va in sofferenza se i nomi dei personaggi dei quali egli - per ragioni del tutto personali - diffida, sono invece inclusi e trattati (in tal caso, ovviamente, si tratta di agiografie).

     

    Il giudizio va quindi espresso rispetto al modo con cui l'autore ha svolto il tema che si è assegnato. Le categorie estetiche da lui tracciate sono motivate da dimostrazioni abbastanza probanti, o sono soltanto delle ipotesi di lavoro? I brani portati ad esempio sono abbastanza forti e pertinenti, o no? Lo stile letterario dell'autore è all'altezza dei suoi postulati, o risulta inefficace e velleitario?

     

    Per venire ai dettagli del tuo messaggio, Piero, leggo nella parte conclusiva - scritta a mo' di dizionario - una voce molto significativa riguardo a Gilberto Cappelli, giustamente (secondo me) valorizzato per la sua musica per chitarra. Non trovo Guarnieri, ma sono sicuro che, se lo segnalerai all'autore, nella prossima edizione del libro non mancherà di aggiungerlo: è persona molto attenta e - se non gli si può imputare di non aver letto diecimila pezzi per chitarra - non gli si può certo rimproverare di conoscerne solo una cinquantina, e di essere pregiudizialmente sordo a tutto il resto.

     

    dralig

  13. Dall'indice già si evincono diverse dimenticanze.

    Ernesto Cordero, Francesco Margola, Carlo Carfagna, Mario Gangi, Roland Dyens, Antonio Lauro tanto per citarne alcuni.

    Aspetto il volume magari due righe sono state dedicate.

     

    Concordo perfettamente col M° Scaminante.

    Mi sembra un libro un po' troppo sbilanciato e parziale, come si può notare da una lettura dell'indice, che il M° Porqueddu ci ha messo gentilmente a disposizione.

    Gangi è stato estromesso a bella insieme a Carfagna (o forse relegati nel XIII capitolo). A Gilardino sono state dedicate ben 14 pagine: forse che si tratta di un'altra agiografia, che accompagna quella apparsa su GuitArt?

    Respighi non meritava un capitolo a se', e magari sarebbe stato meglio farne un accenno in un capitolo 'compilativo' come il XIII, magari insieme alla De Rogatis e Company. E' autore di quelle Variazioni per chitarra che lasciano, a mio modesto parere, il tempo che trovano.

    Più che un Manuale di Storia della Chitarra del '900, mi sembra una versione 'chiacchierata' di una parte del catalogo della nota casa editrice marchigiana.

    Forse l'autore, il prof. Gianni Nuti già noto per una monografia dal titolo 'Gli Studi di Virtuosità e di Trascendenza di Angelo Gilardino' e di cui sarebbe gradito un intervento allo scopo di chiarire le sue scelte, si è fatto un po' prendere la mano e ha trlasciato una parte del '900 chitarristico.

    Sinceramente è un manuale che non mi interessa. Molto meglio il secondo volume che acquistai durante i miei studi per il diploma quasi 15 anni fa, scritto da Gilardino, il quale all'epoca non poteva autoincensarsi per ovvi motivi.

    Non so perchè, ma il manuale odora fortemente di conflitto di interessi...

     

    Cordialmente

     

    Gigi

     

    Caro Gigi, si verifica un conflitto di interessi quando un potere pubblico - politico, amministrativo, giudiziario, etc. - viene adoperato a fini di vantaggio personale da parte di chi lo detiene e lo esercita. Un ministro non può proporre e sostenere una legge i cui benefici ricadono sulle aziende delle quali egli è proprietario. Un sindaco non può far approvare un piano regolatore dal quale deriva un apprezzamento dei terreni che appartengono alla sua famiglia. Gli editori non sono dei ministri, dei giudici, dei sindaci, degli assessori, etc. Sono degli imprenditori, e investono il loro denaro dove ritengono, a ragione o a torto, che ne valga la pena. Se gli editori di musica "puntano" su un autore piuttosto che su altri, si accollano il rischio d'impresa - quello derivante dal fatto che l'autore in questione posa non essere abbastanza valido - ma non vanno in conflitto con nessun interesse, perché non hanno altra veste che la loro.

     

    Nell'eccepire dall'impostazione di un libro che non ha letto, Lei menziona il mio nome ben tre volte: segno che Le dà fastidio il fatto che l'autore e l'editore di un libro di storia della chitarra e l'editore di Guitart si occupino così favorevolmente del mio lavoro. Il fatto che, nel volume di storia di cui sono stato autore molti anni fa, io abbia evitato di parlare di me stesso e del mio lavoro, Lei lo ascrive a una costrizione ("non poteva autoincensarsi"), e non, per esempio, alla pura e semplice decenza, a una regola di stile: ergo, se qualcuno scrive apprezzando il mio lavoro, è un agiografo (magari recidivo, e bollato con la gentile epigrafe "già noto": poteva aggiungere: alle forze dell'ordine); se invece io osservo una regola di deontologia professionale e mi comporto correttamente, lo faccio solo perché "non posso" fare diversamente.

     

    Ebbene, carissimo Gigi, se tanto La indispone la squilibrata agiografia in atto a mio vantaggio, sarà bene che trovi in sé la forza della rassegnazione: non ci può fare proprio nulla. Come dice un bel proverbio dei saggi del deserto: i cani abbaiano, la carovana passa.

     

    dralig

     

    Ai correttori degli squilibri storiografici: Margola si chiamava Franco, non Francesco.

  14. Segovia non li avrebbe mai pubblicati, Frédéric, e quando vide l'edizione di Abloniz andò su tutte le furie.

    come fa a saperlo? che peccato non aver mai conosciuto Segovia...

     

     

    Raccontare come faccio a saperlo vorrebbe dire scrivere un capitolo della cronaca nera della chitarra. Se permette, vorrei evitare questa triste incombenza. Si trattò di una storia della quale fui involontario e disgustatissimo testimone.

     

    dralig

  15. Da quanto ne so io il pasticcio è ancora più ingarbugliato in quanto Segovia non fece mai pubblicare il Preludio. A questo ci pensò Raphael Andia, che con grande ingenuità - e credendo di anticipare un possibile "scoop chitarristico" - trascrisse nota su nota l'incisione discografica di Segovia. Le edizioni (mi sembra Translatlantique) quindi lo pubblicarono attribuendolo (con il Balletto) a Weiss, per poi - una volta capito l'inganno - correggere alcuni mesi dopo la copertina di questa partitura con una ridicola toppa nera.

     

    Mi permetto di dubitare che Miguel Abloniz nel 1951 (Suite in la - Berben), Mario Gangi nel 1960 (Balletto- Berben), Abel Fleury nel 1954 (Suite in la- Ricordi americana) Josè de Azpiazu nel 1958 (Suite in la - Ricordi) e Rafael Andia nel 1982 (Ouverture et Ballet - Transatlantiques) non fossero al corrente del fatto che certamente i brani non erano di Silvius Leopold Weiss e probabilmente erano di Manuel Ponce. Andrés Segovia si era lasciato sfuggire più di un accenno sull'argomento ai suoi corsi a Siena e le voci giravano...Ma continuare ad attribuire questi brani a Weiss consentiva di pubblicarli liberamente mentre attribuirli a Ponce significava dover riconoscere agli eredi di Ponce i diritti d'autore.

     

    Segovia non li avrebbe mai pubblicati, Frédéric, e quando vide l'edizione di Abloniz andò su tutte le furie.

     

    dralig

  16. Nell'archivio degli autori ed editori SIAE ( quello elettronico) pare che nessuna di queste opere sia protetta.

     

    Il fatto che nessuna delle opere del compositore in questione sia registrata alla Siae non significa che esse siano automaticamente di pubblico dominio. Teoricamente, i suoi eredi legali avrebbero tutto il tempo di registrarle e di far valere i loro diritti. La domanda è: ne varrebbe la pena? A fronte delle pratiche da sbrigare e delle spese da sostenere, qual è la prospettiva reale di un guadagno? Zero, credo, quindi secondo me non c'è alcun rischio nel procedere con la pubblicazione.

     

     

    dralig

  17. Mah...i riferimenti al preludio BWW 998 mi sembrano troppo palesi...

     

    L'autore del pezzo è indiscutibilmente Manuel Ponce. Il Preludio in questione fu composto nel mese di ottobre del 1931. Nel 1936, il compositore lo riprese per arricchirlo con una parte di clavicembalo. Di questa esiste il manoscritto, terminato il 27 febbraio 1936. Questa seconda versione fu il regalo di nozze che Ponce mandò a Segovia e alla sua seconda moglie, Paquita Madriguera, pianista. In una lettera scritta a Ponce il 22 marzo 1936, Segovia scrive a Ponce: "Hai tessuto una squisita tela contrappuntistica intorno al tuo antico Preludio, tanto amato da Falla". Questo documento fuga ogni sospetto sulla paternità del brano, caro Alfredo: Segovia suonava da dio, ma una costruzione qual è quella del Preludio in questione non l'avrebbe mai saputa creare. A ciascuno il suo mestiere...

     

    dralig

     

    Eppure, come sai meglio di me, i rapporti tra Ponce e Segovia, presi nell'angolatura della composizione chitarristica sono tutt'altro che monodirezionali.

    Come ugualmente sai che proprio con Ponce, anche in virtù della loro relazione di amicizia, Segovia poteva permettersi di avanzare un certo tipo di richieste...Castelnuovo-Tedesco non sarebbe certo stato così disponibile a creare dei falsi storici, o dei falsi contemporanei...

     

    Ma il manoscritto del '31 esiste?

     

    In ogni caso, è proprio attraverso la corrispondenza cartacea tra i due che in me sorgono alcuni dubbi a proposito dell'effettiva stesura originaria di certi lavori.

     

    Io ho confrontato nota per nota tutti i manoscritti esistenti con le rispettive revisioni segoviane. Le lettere di Segovia a Ponce sono tutte coerenti con quello che possiamo leggere nei testi.

     

    Non esiste il manoscritto del brano del 1931, ma esiste quello della versione arricchita con il clavicembalo del 1936: niente da segnalare al riguardo.

     

    dralig

  18. Segovia suonava da dio, ma una costruzione qual è quella del Preludio in questione non l'avrebbe mai saputa creare.

    Si, è vero... il più grande chitarrista di tutti i tempi non era tanto bravo a comporre :)

     

    Non aveva avuto una formazione come compositore, ed ebbe sempre la saggezza di astenersi dal tentare imprese impossibili: si limitò a comporre pezzi brevi per chitarra sola, a ciò bastandogli il talento e il gusto affinato nella sua dimestichezza con Ponce, Turina, Castelnuovo-Tedesco, Tansman...

     

    E' curioso: se un compositore che non ha mai studiato la chitarra annunciasse che domani sera darà un concerto chitarristico, tutti si metterebbero a ridere; mentre, quando un chitarrista che non sa un'acca di composizione si mette a scrivere dalla sera alla mattina, quasi nessuno trova niente da ridire.

     

    dralig

  19. Mah...i riferimenti al preludio BWW 998 mi sembrano troppo palesi...

     

    L'autore del pezzo è indiscutibilmente Manuel Ponce. Il Preludio in questione fu composto nel mese di ottobre del 1931. Nel 1936, il compositore lo riprese per arricchirlo con una parte di clavicembalo. Di questa esiste il manoscritto, terminato il 27 febbraio 1936. Questa seconda versione fu il regalo di nozze che Ponce mandò a Segovia e alla sua seconda moglie, Paquita Madriguera, pianista. In una lettera scritta a Ponce il 22 marzo 1936, Segovia scrive a Ponce: "Hai tessuto una squisita tela contrappuntistica intorno al tuo antico Preludio, tanto amato da Falla". Questo documento fuga ogni sospetto sulla paternità del brano, caro Alfredo: Segovia suonava da dio, ma una costruzione qual è quella del Preludio in questione non l'avrebbe mai saputa creare. A ciascuno il suo mestiere...

     

    dralig

  20. Non necessariamente, in quanto la versione pianistica è anch'essa un originale: l'ha redatta il compositore di suo pugno. Certo, non gli farà male ascoltare anche la versione chitarristica e quella orchestrale.

     

    Ecco, appunto, Maestro; la mia era una piccola provocazione per arrivare a questo: possono le trascrizioni di Llobet e Segovia valere come originali? Con queste trascrizioni stiamo parlando, credo, della storia della chitarra; Questi autorevoli figli dell'estetica della scuola nazionale spagnola non hanno fatto altro che prendere brani importanti per la loro identità e riaffermarla tramite lo strumento forse più consono alla suddetta estetica, appunto la chitarra.

    Scusate, ma trovo che ascoltando Asturias, Cordoba, Sevilla, Mallorca alla chitarra (ricordo i miei primi ascolti segoviani) si sprigioni una forza evocativa ed astrattiva che non si evince dalla versione pianistica.

    Detto questo credo anch'io che una conoscenza della versione originale non faccia male, ma reputo che quelle trascrizioni celebri valgano, se non come "originali chitarristici", almeno per la loro ampia condivisibilità all'ascolto.

     

    La valutazione dei pro e dei contro in sede estetica richiede un tipo di dialogo e una quantità di scambi - con relativo dispendio di tempo - impossibili in un forum. Sbrigativamente, io vado alla domanda: se non li suonano i chitarristi, questi pezzi, chi altri li suona? I pianisti no di certo, di Albéniz, suonano - e non molto spesso - i brani da Iberia, e neanche tutti, perché Eritaña, per citarne uno, non lo suonano mai e si trova solo nelle non molte registrazioni integrali del ciclo. Alla fine, in mancanza della trascrizioni per chitarra, questi brani sarebbero morti e sepolti. Quindi, visto che sono tutt'altro che brutti, e che la chitarra in qualche modo permette a una vasta schiera di ascoltatori di conoscerli e di apprezzarli, perché no? che li suonino i chitarristi. Un test che chiunque può fare: chiamando su Youtube il nome "Malats", ne esce un solo pezzo, la Serenata Española, e solo nelle ìinnumerevoli esecuzioni dei chitarristi: in mancanza di Tarrega e Segovia, questo pezzo non esisterebbe più. Possiamo quindi concludere con certezza che la chitarra male non gli ha fatto: al contrario, l'ha tenuto in vita.

    In un libro sul repertorio chitarristico che sto terminando, ho scritto che si tratta di usucapioni musicali. Mi sembra un concetto efficace per comprendere la storia di queste piccole composizioni...

     

    dralig

  21. Sarò off topic, ma provo a rigirare la domanda?

    Il pianista che comincia a studiare l'Homenaje di De Falla deve per forza tener conto della precedente e originaria versione per chitarra?

     

    Non necessariamente, in quanto la versione pianistica è anch'essa un originale: l'ha redatta il compositore di suo pugno. Certo, non gli farà male ascoltare anche la versione chitarristica e quella orchestrale.

     

    dralig

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