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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. Se si parla di intuizione/illuminazione dal punto di vista della forma, la cosa può anche essere plausibile.

    Personalmente, non mi metto mai a scrivere davanti ad una tabula rasa formale e anzi, è proprio il desiderio strutturale, forse non la consapevolezza piena, a guidarmi lungo la strada.

     

    L'azione del trovare, poi, guardando il materiale prodotto, la strada convincente, avviene in una fase successiva che è veicolo di modificazioni anche profonde.

     

    Perchè è il senso di insoddisfazione, di compiutezza latente, a rideterminare ciò che ho scritto e quindi il suo nuovo montaggio in funzione di un risultato più soddisfacente.

     

    Tabula rasa, certo che no, ma tra il dire: voglio scrivere un concerto, e il sapere esattamente, prima di incominciare, come questo concerto dev'essere, per filo e per segno (come Schoenberg sembra sostenere), il salto è enorme. Si fissa un'idea e poi si prende una strada: le scoperte del come fare riveleranno anche che cosa si sta facendo. Pretendere di saperlo prima è un'utopia, anche un po' sciocca, se vogliamo: se così fosse, comporre equivarrebbe a un puro lavoro di notazione di idee musicali già cognite. E allora, perché mai si faticherebbe tanto, si accumulerebbero appunti, redazioni provvisorie, correzioni, etc. ?

     

    dralig

  2. mica tanto...anche se sicuramente è una concezione della forma che servì ad Hindemith (con alcune lungaggini) per creare i suoi capolavori...

    ogni compositore ha necessità di punti fermi...mi chiedo quali siano le "inalterabili necessità di una totalità predeterminata" se non vincoli estetico-"spirituali" opinabilissimi...dal mio punto di vista è una affermazione azzardata...la totalità della forma non è mai predeterminata, se non nelle sue linee generali (e non sempre)...le strategie locali, microformali rispondono a diverse esigenze, e spesso queste contrastano (a volte necessariamente) con la prospettiva macroformale...

    ripeto, che Hindemith spesso "costringa" entro una intuizione a priori, gran parte dei suoi lavori, lo si sente...

     

    Non deve per forza essere l'unica verità, ovvio, ci mancherebbe ma mi piace l'idea metaforica che questa possa avvenire davvero, quasi come "seguire" un qualcosa che sia già implicito in partenza, nella sua totalità.

    Un pò come nell'interpretazione, una "libertà" creativa che si muove entro quei binari stilistici e che con la musica (arte del tempo) si creano attimo per attimo non potendo poi più modificare...nell'esecuzione)

     

    era solo una lettura "ritrovata".. e comunque a me piace Hindemith

    stavo speculando sulla "Grundgestalt" di Schonberg e ho ri-trovato queste pagine...(nel testo d David Epstein Al di là di Orfeo)..

    e poi io sono un idealista-sognatore (anche se non è di moda) quindi mi piace l'idea... :)

     

    con simpatia

    m

     

    Credo che in sostanza stiate dicendo la stessa cosa. Bisogna prendere quello che dice Schoenberg con le pinze. Ossia, egli non afferma - almeno, non mi pare - che l'unità dev'essere già "rivelata" nel momento in cui il compositore si mette all'opera (anche perché, se così fosse, quello del compositore sarebbe tutto sommato un mestiere molto...allegro), ma che deve esistere in una dimensione virtuale che il compositore scopre poco a poco, procedendo nel lavoro. E mi pare che abbia ragione se, come è dato di sperimentare ogni giorno da parte di chi compone, ogni passo che si compie è valutato come positivo o negativo, confermato o cancellato: in riferimento a che cosa? Se non esistesse, sia pure allo stato latente e, per quanto riguarda la mente del compositore, inconscio, un totale virtuale dell'opera, non si potrebbe mai determinare che cosa funzioni e che cosa non funzioni.

     

    Comporre assomiglia molto di più allo scoprire che all'inventare, al trovare (qualcosa che dunque c'è già) che al fare dal nulla.

     

    L'atto dell'invenzione consiste molto meno nel proseguire lungo una strada che nell'intuire che essa esiste, e che è percorribile. Anche se il proseguire può essere - come nel caso di Beethoven - molto laborioso.

     

    Riassumendo, direi: intuire dove dirigersi è atto creativo, arrivare alla meta è atto di scoperta.

     

    Andare per strade già battute è meno creativo che imboccarne delle nuove. Anche se il rischio di perdersi per strada è molto elevato.

     

    Comunque, chi ha definito "carino" il lavoro del compositore, si merita una flagellazione in pubblico.

     

    dralig

  3. Quello che Vladimir chiama bending, infatti, lo facevano già i maestri della chitarra nel Seicento, chiamandolo miaulement.

     

    "miaulement" non è onomatopeico per "miagolare", vero?

     

    :D

     

    Neuland poliglotta [smilie=emoticon_185.gif]

     

    Suppongo che sia così, ma non ne ho la certezza.

     

    dralig

     

    Ho controllato (dizionario online): pare che "miaulement" significhi davvero "miagolio". Mi verebbe da chiedere se un'effetto sonoro, se chiamato così, era indesiderato, e quindi un termine di un'imprecisione piuttosto che in nome di una tecnica di abbellimento: la "musica dei gatti" in tedesco, per esempio, significa cacofonia.

     

    Mi può togliere questo dubbio?

     

    La chitarra barocca era uno strumento ipersensibile, molto vezzeggiato nelle corti reali, dove le suggestioni esotiche erano di gran moda: la via delle Indie si manifestava in molti aspetti del costume, perché non anche nella musica per chitarra? Io escluderei che a un virtuoso della forza di Corbetta "crescessero" le note senza che lui lo volesse...

     

    dralig

  4.  

    Il problema che vedete ora è basato semplicemente sul fatto che la accordatura nei terzi fornisce le possibilità armoniche differenti che la accordatura nei quarti. Non migliore, non più difettoso. Giusto differente.

     

    Grazie Matanya per la tua spiegazione. In effetti, la mia conoscenza dello strumento e del suo repertorio è molto limitata, ed è verosimile che io mi sia imbattuto negli autori e nelle musiche armonicamente meno ricche.

     

    dralig

  5. Da chi è pubblicata? Si può vedere l'incipit di uno dei tempi?

     

    E' stata pubblicata nella collezione Bèrben-Gilardino. Strizich è uno studioso di chitarra barocca che ha pubblicato, tra l'altro, le opere di Robert de Visée.

    Come compositore, è tutt'altro che naif, e lascia trasparire la sua pratica di chitarrista barocco. Quello che Vladimir chiama bending, infatti, lo facevano già i maestri della chitarra nel Seicento, chiamandolo miaulement.

     

    dralig

  6.  

    Dici che a causa della sua accordatura si rischia di restare intrappolati in un facile modalismo di maniera, da scartare in favore di qualcosa di più recondito nello strumento?

     

    Un'accordatura che raddoppia le note all'ottava (re-sol-si due volte, poi un altro re) non è molto dinamica, armonicamente. Se la si accetta come un condizionamento, è inevitabile che le composizioni risultino statiche nell'armonia, e questo, insieme a una costruzione troppo semplicistica, è secondo me un problema generale del repertorio che finora ha potuto leggere.

     

    Come adoperare il valore idiomatico dello strumento senza restarvi intrappolati, è domanda alla quale ogni compositore dà la risposta che ritiene più efficace, ma le vie d'uscita non sono recondite. Almeno, a me non sembra.

     

    dralig

  7. Bellissima composizione.

     

    Sychra era certamente un maestro della chitarra russa - a quel che ne so, nel fu in qualche modo il fondatore, e subito portò la sua arte, nei primi decenni dell'Ottocento, a un livello virtuosistico molto avanzato.

     

    Era anche un compositore dotato, come lo Studio inciso da Falk ben dimostra. Esso lascia tuttavia percepire un aspetto strutturale della chitarra russa, un aspetto che, dal punto di vista compositivo, può risultare problematico: quello della tendenziale staticità armonica. E' un aspetto che si osserva nel repertorio dello strumento di diverse epoche, da Sychra a Pavlov-Azancheev, e anche un compositore dalla fantasia sbrigliata qual era il romantico Sarenko in un certo modo lo manifesta.

     

    Prima di mettermi al comporre per questo strumento, ho cercato di rendermi conto fino in fondo delle caratteristiche del suo idioma, che avevano ovviamente un peso rilevante sul processo compositivo, e ne ho concluso che dovevo trovare il modo di evitare questa staticità, pur rispettando e, se possibile, esaltando le qualità "naturali" dello strumento.

    Ho quindi trovato un mio modo per dare all'armonia una certa varietà. Questo non ha mancato di riflettere alcune conseguenze - spero positive - sulla forma dei pezzi.

     

    Forse sto pensando ad alta voce, ma immaginando che magari un giorno qualche compositore che legge questo forum voglia scrivere per questo strumento davvero affascinante, mi è sembrato utile metterlo sull'avviso:

    l'Ottocento russo è affascinante, ma per scrivere oggi per chitarra russa bisogna trovare altre vie.

     

    dralig

  8. Leggendo il thread sulla recente composizione di Angelo Gilardino, Winter Tales per chitarra eptacorde russa, mi è venuto a chiedermi (vi giro la domanda): Dove si può comperare o farsi fare una eptacorde russa, preferibilmente dell'800 (originale o copia che sia)? Chi sono l'interpreti principali oggi, chi insegna questo strumento? Quali pubblicazioni, metodi, musiche ci sono (preferibilmente in lingue mitteleuropee)?

     

    Mi sembra un mondo vasto e molto interessante tanto quanto sconosciuto da gran parte dei chitarristi occidentali.

     

    Saluti curiosi,

     

    Neuland

     

    Per l'ascolto di composizioni originali per chitarra russa, consiglio due CD - gli unici in mio possesso ma, credo, anche i soli attualmente disponibili in occidente:

     

    Acrobatic Dance - Music from the Gulag by Matei Pavlov-Azancheev, chitarrista Oleg Timofeyev

     

    A dispetto del titolo un po' a effetto, il CD contiene musica seria, scritta da un chitarrista-compositore che, no si sa bene perché, si trovò a passare una decina d'anni in un campo di prigionia. E' il CD che mi ha fatto avvicinare alla chitarra russa. Timofeyev non è un virtuoso, ma suona con espressione e ha una sonorità calda, da liutista (infatti, lo è).

     

    Marten Falk, Russian Romantics Reborn. musiche di Sychra, Sarenko e altri. Falk, svedese, è probabilmente il maggior specialista di chitarra russa di oggi, e in questo CD - oltre che ascoltare musica di buona qualità- si può cogliere a fondo l'idioma dello strumento e il suo sound.

     

    dralig

  9.  

     

     

    Maestro, La ringrazio delle dritte. In particolare: il passaggio iniziale in semicrome dovrei suonarlo più lento e "allargando" alcune note, o Pensa solamente a dei respiri nella frase?

     

    Deve dividerlo nelle varie frasi che lo compongono, e creare, dove una frase si congiunge all'altra, il senso dell'articolazione, che può ottenere in diversi modi (agogici, dinamici, timbrici): queste articolazioni non danneggiano l'unità complessiva della sezione, ma la rendono percettibile nella sua forma. Ogni nota deve avere una direzione.

     

     

    Seconda domanda: al trillo cadenzale di battuta quattro devo arrivarci crescendo e allargando? E' questo che Lei intende per elasticità espressiva?

     

     

     

    Ai trilli cadenzali si arriva quasi sempre per accumulo di energia, e tale accumulo si realizza spesso (non sempre) anche allargando. Importante è che il trillo sia all'acme, e non "cada".

     

     

     

     

    Incasso e chino il capo..

     

     

    Non serve, poiché nessuno l'ha redarguita. Lei ha chiesto lumi, e io Glieli sto dando. Invece di chinare il capo, drizzi le orecchie, e comprenda che qui non c'è nessuno che sia migliore o più importante di nessun altro: c'è solo il ciclo dell'esperienza che si compie, trasmettendosi dall'anziano al giovane, tanto più umili quanto più intelligenti e sensibili.

     

     

     

     

     

    Per fare ciò dovrei suonarlo in tempo più lento? Essere espressivi suonando delle biscrome e delle semibiscrome non è semplice. In effetti non è un tipo di musica che ho molto ascoltato e acquisito stilisticamente, è una musica che non mi è consona al 100%.

     

     

     

    Deve decidere la velocità dopo aver compreso l'affetto. Provi a cantare con la Sua voce le linee del recitativo come se facessero parte di un oratorio, di una Passione, e scoprirà il loro affetto. Da ciò, il tempo giusto Le apparirà spontaneamente.

     

    dralig

  10. grazie ad entrambi. Secondo voi cosa si può aggiustare nel preludio (oltre alle piccole inperfezioni nel presto)? Vorrei portare la 996 all'esame di diploma l'anno prossimo. Ho cercato di dare un senso toccatistico al preludio e un senso fugato al presto, almeno queste sono le intenzioni. Siccome ce l'ho ancora da poco sottomano sarà più facile modificarlo in base ai suggerimenti.

     

    Nel Preludio, dopo il Passaggio iniziale, che dovrebbe essere eseguito con maggiore e più espressiva elasticità, bisogna distinguere meglio la fase del recitativo, che va vocalizzato con più sensibile attenzione allo stile del recitar cantando (ascoltare la Passione secondo Matteo per prendere i modelli) dagli accordi secchi del "clavicembalo", che servono da raccordo tra una frase e l'altra del recitativo. Nella Sua esecuzione c'è precipitazione, c'è incoerenza lineare e c'è pochissima consapevolezza del canto recitato. Il ricercare in stile fugato è spezzato, disseminato di interruzioni nelle voci e irregolare nella tracciatura delle linee.

     

    L'impressione è quella di un enorme divario tra la statura potenziale dell'esecutore - che ha un paio di mani formidabili: una sinistra come raramente è dato vedere "in natura" e un assetto strumentale quasi impeccabile, e che è evidentemente musicale, e il rendimento che ne risulta in questa esecuzione, davvero modesta. Urgono lezioni di stile, che possono benissimo (anzi preferibilmente) essere impartite da un clavicembalista, da un organista, da un pianista.

     

    Buon lavoro,

     

    dralig

  11. Il fatto di aver scritto per chitarra eptacorde significa anche che pochi chitarristi potranno avvicinarsi alla partitura (al di là dell'eventuale revisione di Cristiano). Significa che il compositore ha superato la fase di "voler farsi suonare" per essere semplicemente un'idea musicale, mettendo in conto magari di non poter ascoltare la propria opera (va bè è un pò esagerato il concetto ma il succo è quello). Grazie Angelo, saluti!

     

    In realtà, caro Giorgio, io ho sempre scritto qualunque cosa (salvo un paio di composizioni dichiaratamente di maniera, confezionate su commissione specifica) per seguitare un'idea, indipendentemente dall'attenzione che avrebbe ottenuto dagli interpreti, e i miei stessi allievi sono testimoni del fatto che non li ho mai stimolati - né tanto meno ho mai chiesto loro - di suonare le mie opere. Quando, nell'ormai lontano 1981, io attaccai la chitarra al chiodo per fare il compositore, facevo così poco affidamento sul risultato della mia nuova attività, che già mi ero procurato un nuovo lavoro (avevo prospettive promettenti sia nel giornalismo che nell'intelligence), e fu solo una telefonata dell'allora direttore del conservatorio di Alessandria, il compianto maestro Carlo Mosso, che mi mantenne attivo come didatta di chitarra, offrendomi quella cattedra nel suo conservatorio, che poi ho tenuto per 23 anni.

     

    L'attenzione delle centinaia di chitarristi che, negli ultimi 15 anni circa, hanno incominciato a programmare sempre più frequentemente la mia musica non era nelle mie aspettative, superate di gran lunga dagl eventi: naturalmente questo mi fa piacere (sono sensibile al "successo" come tutti gli artisti), ma vorrei che fosse chiaro un fatto: la scelta di comporre, e di farlo a tempo pieno, è venuta da un'esigenza interiore, che si sarebbe manifestata anche senza il minimo consenso. L'arte si fa per gli altri, si, ma nel senso oblativo del termine, non per riceverne il plauso, il quale, del resto, non giunge mai senza portare con sé anche le manifestazioni di invidia, di astio e di livore: per poter rimanere fermi davanti alla malizia di queste, bisogna sapersi staccare anche dall'elogio.

     

    Chiedo venia se, nel manifestare questi miei pensieri, ho assunto un tono sentenzioso e didattico: non intendo impartire lezioni a nessuno, e non certo a Lei.

     

    dralig

     

    PS Come che sia, il maggior concertista vivente di chitarra russa, Marten Falk, ha già annunciato la sua decisione di programmare il mio nuovo lavoro nei suoi prossimi concerti.

  12. WinterTales_AngeloGilardino.png

     

    Gilardino ha scritto per una chitarra eptacorde ma il sottoscritto è già al lavoro per scrivere una diteggiatura che possa funzionare anche sulle chitarre a sei corde (accordatura RE SOL RE SOL SI RE).

     

    Sì. Penso che potrebbe essere fatto. Ma ritengo sospetto che questo cambierà considerevolmente l'immagine sonora della musica. Per esempio: il secondo accordo della ultima misura nel dato campione, richiede la nota bassa SI. Sulla chitarra eptacorda, questa è una corda aperta e tradizionalmente, pensato suonare oltre la relativa durata indicata.

     

    Sulla chitarra normale, questa nota dovrebbe essere interrotta sulla corda bassa RE e non ha potuto essere sostenuta. Inoltre, questo renderà il lavoro molto più difficile suonare. Ci sono molti altri tali situazioni in questa composizione. Suggerisco che questa musica dovrebbe essere suonata più meglio sullo strumento per cui è stato scritto.

     

    Penso anch'io che il brano richieda necessariamente la chitarra russa a sette corde, e sicuramente in certi punti con sei corde l'esecuzione è letteralmente impossibile. Ma Cristiano è un chitarrista senza macchia e senza paura, e io - che ora sono un ex-chitarrista - non ho il diritto di oppormi al suo proposito di realizzare una versione del brano eseguibile sulla chitarra "western". Staremo a vedere.

     

    L'occasione è propizia, Matanya, per ringraziarti pubblicamente per l'incoraggiamento che mi hai dato e per l'aiuto che mi stai dando nel mettere a punto il lavoro in vista della sua pubblicazione, per la quale non ho deciso ancora nulla: né quando, né con quale editore.

     

    dralig

  13. mpetenze musicali adeguate per poter giudicare e valutare in maniera analitica e strutturata l'opera di un compositore se non esprimendo un parere assolutamente personale. E' chiaro che nell'approcciare lo studio delle due opere musicali del M° Dell'Ara, ha influito non poco una sorta di campanilismo musicale dettato dalla grande stima che provo nei confronti del Maestro. Mi rendo conto che è un approccio ingenuo e superficiale, però, in questo caso, spero mi sia perdonato.

    Taltomar

     

    Non c'è nulla da perdonarLe, i lavori di Dell'Ara sono ottimi, e la mia osservazione si riferisce solo al riconoscimento. Ha pubblicato troppo poco per essere individuato e riconosciuto. Se Falla avesse pubblicato solo l'Homenaje, e non anche El amor brujo, El sombrero, le Noches, il Retablo, etc., ben pochi avrebbero potuto capire chi era.

     

    dralig

  14. Con grande felicità (ed anche - perchè no - con un pizzico di orgoglio) ho scoperto che quello che è stato per molti anni il mio Maestro di chitarra (Mario Dell'Ara) nella seconda metà degli anni '90 ha composto e pubblicato (Berben) 2 opere: "13 Miniature per chitarra" che il Maestro Gilardino nella prefazione definisce "[...]piccoli congegni musicali completi e rifiniti" e, nel 1998 "Trittico". Il Maestro Dell'Era è forse più famoso per la sua attività di didatta e musicologo che non per quello di composizione.

    Volevo quindi sapere se qualche interprete presente in questo Forum ha mai affrontato lo studio di queste due opere (a mio parare molto valide) o se, meglio ancora, sono state registrate all'interno di qualche CD.

    Grazie

    Taltomar

     

    Come musicologo, il maestro Dell'Ara ha pubblicato lavori di notevole impegno e rilevanza, mentre come compositore ha pubblicato soltanto i due lavoretti che Lei menziona: non sorprende quindi che il riconoscimento che gli è stato dato si manifesti soprattutto in campo musicologico. Per ottenere attenzione in campo compositivo, bisogna impegnarsi scrivendo lavori che costituiscano un'unità forte, definita, riconoscibile.

     

    dralig

  15. Se per "omaggiare" intende dedicare una composizione a qualcuno, le ragioni possono essere molte. Generalmente, la dedica è un atto di stima, di amicizia, di riconoscimento di valore, ma può benissimo essere anche, banalmente, la conseguenza di una commissione pagata dal dedicatario all'autore.

    dralig

     

    Grazie per le risposte Maestro. Prendevo spunto ad esempio proprio da una sua opera musicale - Studi di virtuosità e di trascendenza (Prima serie 1-12) - in cui ogni singolo Studio in calce al titolo fra parentesi è riportato il destinatario del suo "omaggio". Una reiterata consuetudine fra i compositori (mi viene in mente a memoria anche HVL) che mi ha da sempre incuriosito.

     

    Taltomar

     

    Nell'Ottocento, poeti, pittori e musicisti potevano ancora ispirarsi alla Natura: quel che ne restava era sufficiente per nutrire la loro anima. Se lo speen metropolitano li affligeva, potevano sempre imbarcarsi per la Polinesia, come fece Gauguin, e lì ritrovare la Natura, l'Innocenza, gli Dei.

     

    Noi non abbiamo più una Natura come possibile modello. Io si, ho composto - che ne so - "Paesaggio ligure", "Paesaggio lombardo", "Paesaggio lucano", etc., ma riferendomi non al paesaggio reale, bensì a quello dipinto: il modello non è più la Natura, il mondo, ma l'Arte, cioè i Mondi creati da coloro che, con la Natura, ebbero gli ultimi contatti.

     

    Siamo perduti? Non lo so, io preferisco i Mondi al Mondo.

     

    dralig

  16. Questo è il mio primo post all'interno di questa comunità e mi auguro che possa suscitare interesse.

     

    Ritengo che la composizione in campo musicale - ma il discorso potrebbe essere esteso a molte altre forme d'arte - sia una forma assoluta di espressione attraverso la quale un musicista (o un artista) comunica qualcosa; premesso ciò, due sono le domande - magari banali - che mi sono spesso posto aldilà del valore effettivo dell'opera musicale e che rivolgo ai molti compositori presenti in questa comunità :

    1. Esiste nei compositori una sorta di - passatemi il termine - sindrome post-partum ? Voglio dire: è mai successo ad un compositore di analizzare una propria composizione a posteriori, magari anni dopo la sua pubblicazione e di non riconoscersi più in essa ?

     

     

    Potrà accadere, a un compositore vero, e non fasullo, di constatare la distanza che divide il suo presente dal suo passato, di considerare le sue opere giovanili ingenue, ma non certo di non riconoscersi in esse. Un artista creatore è tale fin dalle prove scolastiche e dai primi lavori. Poi, si evolve - oppure si inaridisce - ma l'evoluzione, in quanto tale, implica il riconoscimento di ciò che è stato fatto prima.

     

     

     

    2. Cosa spinge un compositore, in molti casi, ad omaggiare pubblicamente una propria opera musicale ad un'altra persona ? Una sorta di tradizione musicale o cos'altro ?

     

     

    Taltomar

     

    Se per "omaggiare" intende dedicare una composizione a qualcuno, le ragioni possono essere molte. Generalmente, la dedica è un atto di stima, di amicizia, di riconoscimento di valore, ma può benissimo essere anche, banalmente, la conseguenza di una commissione pagata dal dedicatario all'autore.

     

    Se per "omaggiare" intende invece concepire e scrivere una composizione come "omaggio a...", la ragione può essere solo poetica: l'"Hommage à Rameau" de Debussy è un atto poetico con il quale un grande compositore del primo Novecento si richiama alla delicatezza ornata e malinconica della musica del suo grande compatriota clavicembalista, e lo stesso si può dire del "Tombeau de Couperin" di Ravel. Per riferirsi al repertorio della chitarra, "Homenaje" scritto da Falla "pour Le Tombeau de Debussy" è un epicedio musicale, mentre la Sonata Romantica di Ponce è un omaggio a Schubert nel senso mimetico del termine, cioè una composizione scritta adoperando lo stile schubertiano.

     

    dralig

  17. Inoltre sarei curioso di sapere quale mano ha messo la diteggiatura a penna che si trova sulla parte in tuo possesso, poichè, a quanto ne so io, la parte chitarristica è stata rivista e migliorata da Mario Gangi (fino ad ora l'unico ad eseguirlo).

    .

     

    Non vorrei commettere un'indiscrezione, rivelando che la copia della partitura in possesso di Cristiano proviene, tramite il sottoscritto, dalla cortesia del maestro Massimo Laura, concertista e docente al Conservatorio di Como, che ha eseguito il Concerto nel concorso di Alessandria molti anni fa (ne fu, se ben ricordo, il vincitore).

     

    dralig

  18. Vediamo se ho capito, Andrea: una dicitura che preveda l'errore interpretativo dell'esecutore?

     

    Mi rendo conto che è una domanda con dei problemi psicotici ma in effetti è proprio così: l'utilizzo dell'errore come tecnica espressiva.

    Uno "sbagliando" in partitura tipo "friggendo" oppure "sulla barretta" o "suonando male" o "suonando malissimo" o, in alternativa, lasciare la scelta all'interprete.

     

    Io ho scritto, in un brano di musica, "sbagliando". Naturalmente, si tratta di una parodia. In una frazioncina, chiamata Bonda, di un paesello del Biellese, Mezzana Mortigliengo, esiste una raccolta di affreschi dipinti sui muri esterni delle case. Uno di questi affreschi è mio. Fu dipinto circa 20 anni fa, durante un simposio tra maestri di arte figurativa. Ero lì, ospite di un amico, un bravissimo pittore, con l'incarico di organizzare dei concerti serali, e fui invitato anch'io a...eseguire un affresco. Non sapendolo fare, me la cavai scrivendo una melodia in stile popolare su un pezzo di carta. L'amico pittore - che non sapeva la musica - la riprodusse fedelmente su un piccolo affresco su uno dei muri maestri della sua casa. Volendo, nella melodia, parodiare una tromba a pistoni di una banda rurale, a un certo punto inserii una nota falsa, seguita da un'interruzione (pausa ad libitum) e dalla ripresa con la nota corretta. Sotto la nota falsa, scrissi "sbagliando". L'affresco, firmato, è tuttora visibile, vicinissimo (Iddio mi perdoni) a una scultura di Simon Benetton.

     

    dralig

  19. Maestro io la stimo,ma da qui a dire che di Sor e Aguado ce ne sono e ce ne saranno sempre,mi sembra un pò azzardato. . .

     

    Non è più azzardato di quello che ha affermato Lei, concludendo che chitarristi-compositori della forza dei maestri dell'Ottocento non ne esistono più. Lei ha un controllo universale dell'ingegno umano applicato alla musica per chitarra? Io no, ma per affermare quello che affermo ho un fondamento: la regolare, attenta lettura delle musiche pubblicate. E in base a questo modesto presupposto, mi prendo la responsabilità di affermare che alcuni chitarristi-compositori di oggi sono molto più validi di Sor e di Aguado, i quali - se non erro - non hanno mai scritto concerti per chitarra e orchestra e composizioni da camera con chitarra concertante, mentre la lista dei contemporanei che lo hanno fatto egregiamente contiene almeno una mezza dozzina di nomi.

     

    dralig

  20. Di sicuro è atonale, quindi almeno almeno del XX secolo. Contemporanea perchè è coeva a noi? contemporanea è un termine che si dava alle composizioni di qualche decennio fa o sbaglio? Comunque di sicuro è contemporanea, appena avrò tempo leggerò qualcosa, grazie Cristiano!

     

    seeU

     

    va beh,si ,robetta ripetto alle opere del meta' 700 fine 800!comunque si fa quel che si puo',tornare in quel periodo d'oro della chitarra non è pensabile,di Sor e Aguado nn ce ne saranno piu'.Scusami ma io sono tradizionalista

     

    Sulla base (nemmeno certa) della lettura di un incipit di poche misure, e senza nemmeno aver ricavato da quelle la nozione dell'epoca alla quale il brano appartiene, si perviene alla conclusione che si tratta di "robetta" e si istituisce un paragone con le opere dei secoli XVIII e XIX. Dopo di che si rivendica di essere "tradizionalista". La tradizione non ci ha insegnato a giudicare (con prudenza) solo ciò che si conosce per averlo seriamente studiato? Io credo che di Sor e di Aguado ce ne siano e ce ne saranno sempre: non risulta da nessuna evidenza che sia in atto oggi una degradazione della mente musicale e delle sue manifestazioni nel campo della musica per chitarra. Certo, i Sor di oggi non possono sperare di trovare sorte migliore di quella che don Fernando conobbe ai suoi tempi, quando, circondato dall'ignoranza e dalla grossolana malevolenza dei chitarristi suoi contemporanei - che non capivano un accidente della sua musica, e le preferivano vuote esibizioni di virtuosità fasulla - si diede la pena di descrivere i comportamenti dei suoi detrattori. Non è cambiato nulla sotto il sole, da allora.

     

    dralig

     

    dralig

  21.  

    Noi chitarristi "classici" siamo un po' delle talpe.

    Come ho già detto e ripetuto, impariamo dai jazzisti.

     

    Una talpa che non si sogna di essere un leopardo non dà fastidio a nessuno e non si rende ridicola, Vladimir.

     

    Dai jazzisti si può imparare il jazz, posto che interessi: a me non interessa e non mi sento in colpa per questo. Le cose di cui avevo bisogno per fare quello che volevo fare, le ho imparate. Al di fuori di quelle, per la mia attività di musicista, credo che mi sia servito di più parlare e scrivere tre lingue - oltre l'italiano - che studiare il jazz (ovviamente, con tutto il rispetto per quest'arte).

     

    dralig

  22. Non intervengo sull'argomento dignità delle varie "musiche" (posso solo dire che esistono brani bene o malamente composti in qualsiasi ambito, sia classico o leggero) ma solo per ricordare che molti grandi musicisti e interpreti del passato (penso a Beethoven, Mozart per fare un esempio banalissimo) erano famosi e apprezzatissimi quasi più per le loro improvvisazioni (spesso si allestivano veri e propri duelli di virtuosismo) che non per le loro composizioni, in special modo di musica da camera che non veniva eseguita quasi mai in pubblico.

    Questa capacità e soprattutto questo valore si è progressivamente perduto (divenendo terreno fertile per altre tipologie di musicisti, jazzisti in primis) in rapporto proporzionale al numero di interpreti.

    Ci sono oggi un numero elevatissimo di diplomati, e non parlo di chitarristi ma più in generale, che hanno come obiettivo quello di "interpretare" un brano che nel 99 per cento dei casi è stato scritto da altri e molto spesso in un periodo storico lontano.

    Questa ricerca dell'interpretazione (difficilissima e sacrosanta) dal secolo scorso in poi ha totalizzato le attenzioni dell'esecutore togliendo spazio all'improvvisazione (e purtroppo a mio modo di vedere anche limitandone l'orizzonte, ma del resto quante cose si può riuscire a fare realmente bene e approfonditamente?) e creando le convinzioni (e convenzioni) odierne per cui improvvisare su un brano di Bach oggi è una bestemmia mentre ai suoi tempi era più che normale.

    E di rimando, eseguire un brano di musica coeva ai tempi di Beethoven era la regola oggi (nell'ambito così detto classico) è l'eccezione.

    Abbiamo perso di vista qualcosa?

     

    Ci si è mossi - nella musica come in ogni disciplina - verso la focalizzazione di obiettivi e di competenze specifiche, coltivate con studi sempre più approfonditi. L'improvvisazione è una delle aree di competenza musicale che l'interprete-solista nel secolo ventesimo ha abbandonato (salvo rarissimi casi) a favore di uno sviluppo delle capacità interpretative. Anche i compositori si sono allontanati dallo strumentismo, e quindi dall'improvvisazione. Questa non è stata una diserzione o una perdita di capacità, è stato uno spostamento di attenzione per fare sempre meglio il proprio mestiere.

     

    Se l'abbandono della pratica improvvisativa viene avvertito individualmente come una perdita, nulla vieta di porvi rimedio, studiando le tecniche e sviluppano quelle facoltà che - comunque in buona misura innate - possono mettere in grado un buon strumentista di improvvisare decentemente. Se Weiss era in grado - come si dice - di improvvisare una fuga sul liuto, nessuno vieta a un chitarrista di oggi di improvvisare un preludio...Non manca, del resto, l'egregio esempio di Dusan Bogdanovic, ottimo compositore e improvvisatore abilissimo, che ha scritto un manuale sull'argomento, e che tiene corsi di improvvisazione.

     

    Non mi sembra importante né necessario obbligare gli allievi a imparare l'improvvisazione: lo facciano se lo desiderano.

     

    La storia della musica ci fornisce - è vero - esempi di grandi improvvisatori, ma anche esempi contrari, di compositori che non sapevano assolutamente improvvisare, e che tuttavia hanno creato capolavori.

     

    Più congruo mi sembrerebbe l'insegnamento della pratica di accompagnatore per i chitarristi: lo strumento li favorisce, e imparare ad accompagnare una melodia in modo non rozzo (con il solito fron fron di accordi ritmati), ma con una certa eleganza, con la capacità di trasportare l'armonia in diversi toni, si integra perfettamente nel loro profilo professionale.

     

    dralig

  23. No.

    Io non lo credo; la formazione classica centra molto poco con il saper suonare una canzone ad orecchio, la riprova di tutto ciò è che quando ho dovuto registrare un cd di canzoni ho scritto le parti per una pianista ed un violoncellista.

    Entrambi diplomati e concertisti non sapevano assolutamente cosa fare.

    La cosa buffa è che magari provavano Debussy o Prokofiev e poi non riuscivano a seguire intuitivamente gli accordi di una canzone.

     

    Nella formazione classica all'italiana manca la pratica con i generi meno nobili, cosa che non succede nei college americani, il problema è tutto qui.

     

    Di questa lacuna è responsabile la formazione degli strumentisti in conservatorio. Studiano un po' di armonia teorica, fondata sull'armonizzazione del basso , e lo fanno unicamente sulla carta. Accompagnare una melodia - specialmente improvvisando - è una pratica più complessa, e nessuno la insegna agli strumentisti che studiano in conservatorio. E' appannaggio dei compositori.

     

    dralig

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