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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. Grazie per la consueta chiarezza! Una questione mi interessa in particolare:

     

    La Siae, comunque, non accetta trascrizioni di opere che non siano di dominio pubblico: agli effetti economici, è quindi inutile trascrivere opere di autori deceduti da meno di 70 anni, a meno di farsi pagare un compenso dal committente.

     

    Questo significa che, sebbene la trascrizione sia riconosciuta dalla Siae (e sia pubblicabile a tutti gli effetti), non sarà devoluto alcun compenso (in termini di diritto d'autore) al trascrivente?

     

    Se la musica non è di pubblico dominio - cioè scritta da un autore deceduto almeno 70 anni fa - la Siae non ne accetta il deposito e non paga diritti. Tenga comunque presente che, per gli autori ancora protetti, cioè deceduti da meno di 70 anni, o tuttora in vita, per effettuare una trascrizione, pubblicarla ed eseguirla, occorre anche il permesso degli eredi e degli editori che hanno pubblicato l'originale. La mia unica trascrizione inedita è quella del Tango di Stravinskij, che non posso pubblicare perché l'erede non accetta trascrizioni, quindi ancora prima della Siae, c'è di mezzo un ostacolo insormontabile. Per pubblicare la mia elaborazione per cello e chitarra della Sonata Romantica di Ponce ho dovuto chiedere il permesso a Schott - permesso accordatomi in via eccezionale - e, quando oggi la mia versione viene eseguita, non vedo un centesimo, perché la Siae non la accetta. Quindi, ho lavorato gratis.

     

    dralig

  2. Vorrei sapere qual'è l'iter di procedure che bisogna effettuare per pubblicare un brano (ad esempio una trascrizione per chit) : a chi rivolgersi? come assicurare i diritti d'autore sul brano?

     

    Grazie.

     

    Per pubblicare un brano originale o una trascrizione è necessario sottoporre il testo del lavoro a un editore. Ogni buon editore ha dei lettori, cioè dei consulenti retribuiti per leggere la musica inviata dagli autori. Il lettore redige una breve relazione, sulla base della quale l'editore decide se pubblicare il pezzo o meno. Le due cose sono distinte: il lettore non suggerisce e non sconsiglia la pubblicazione, si limita a riferire il suo giudizio di valore. L'editore ne tiene conto, ma decide in base anche ad altri fattori, non soltanto a partire dalla qualità.

     

    I lettori che lavorano per gli editori tendono a rimanere nell'incognito - anche se in certi casi si tratta di un segreto di Pulcinella - per evitare di subire pressioni dagli autori e per non essere oggetto di rappresaglie nel caso di bocciatura delle opere. A margine, annoto come curiosità il fatto che moltissimi autori che scrivono un brano di musica si sentono in diritto di inviarlo, non a un editore, com'è giusto che avvenga, ma a coloro che sanno essere lettori, chiedendo "umilmente" (avverbio di prammatica) un giudizio. Non offrono mai al lettore di retribuirlo (e Dio sa se si tratti di un lavoro) e, se la risposta non è favorevole, nove autori su dieci si irritano e, di lì a qualche tempo, scrivono messaggi velenosi nei forum contro il lettore che li ha bocciati.

     

    Oggi gli editori sono disposti a investire il loro denaro su ben pochi autori. Alcuni editori chiedono agli autori pubblicabili di sostenere le spese di stampa e di pagare una sorta di noleggio del marchio editoriale: diffidare di tali proposte.

     

    Altra cosa è il deposito della propria opera alla Siae, per tutelarne i diritti. Per prima cosa, è necessario iscriversi alla Siae. Poi, autore ed editore (che si presume sia già iscritto) depositano congiuntamente l'opera alla Siae, secondo una procedura che consiste nel compilare un modulo e nell'inviare una copia del testo musicale.

     

    La Siae pagherà i diritti derivanti dalle esecuzioni e dalle registrazioni secondo lo schema di ripartizione stabilito dalle parti nella dichiarazione: di solito, 50-50.

     

    Se si tratta di una composizione originale, occorre solo aspettare che la Siae la registri (ci impiega mesi). Se si tratta di una trascrizione, occorre sottoporre il testo originale e quello della trascrizione, pagare una tassa di istruttoria, dopodiché una commissione stabilirà se e e in quale misura l'autore della trascrizione ha diritto a percepire una quota percentuale delle royalties. Non sono molto generosi, e possono anche bocciare la trascrizione, che in tal caso non darà alcun profitto al suo autore. Ci impiegano anni. La Siae, comunque, non accetta trascrizioni di opere che non siano di dominio pubblico: agli effetti economici, è quindi inutile trascrivere opere di autori deceduti da meno di 70 anni, a meno di farsi pagare un compenso dal committente.

     

     

     

    dralig

  3.  

    Detto questo, mi sembra ingenuo pensare che oggi scrivere in musica tonale, significhi scrivere con la forma canzone; non c'è bisogno di studiare composizione per farlo, e mi sembra anche lesivo della mia intelligenza che tu abbia pensato questo, quindi non so come prenderla;

     

     

    Scrivere belle canzoni non è cosa da poco.

    Ci vuole inventiva melodica, un testo adatto, capacità nell'arrangiare...

     

    Paolo Conte ha spesso collaborato con compositori, tra cui Daniele Bertotto, e ha tenuto quelche mese fa una conferenza agli allievi di composizione del conservatorio di Torino sulla canzone.

     

    E poi, anzichè scrivere alla Stockhausen, non sarebbe meglio esercitarsi ad armonizzare una melodia senza l'ausilio di carta e matita, suonando sullo strumento?

    Io non lo so fare, ma devo cominciare.

     

    Bisogna imparare, sul lato pratico, dai jazzisti...

     

    Negli anni tra le due guerre, e nel primo dopoguerra, parecchi compositori italiani tentarono di scrivere canzoni per guadagnare un po' di spiccioli, e iscrissero alla Siae i loro pseudonimi. Anche un nostro stimato collega, chitarrista e didatta insigne, scrisse la sua brava canzone e la registrò alla Siae con un nome di penna, guadagnando le sue brave lirette.

     

    Eccettuato Nino Rota, nessuno di loro azzeccò mai il successo. Le belle melodie erano una cosa, le melodie delle canzoni di successo erano un'altra cosa. Io ho conosciuto l'autore di parecchie canzoni di grande successo e posso assicurare che, come intelletto musicale, era una capra. Aveva però il bernoccolo che lo guidava a mettere in fila le note di una melodia canzonettistica suonandole sul pianoforte con un dito, mentre un compositore "vero" gliele trascriveva e poi gliele armonizzava. Vinse un festival di Sanremo e giunse al successo commerciale con almeno mezza dozzina di titoli - uno tra i quali gli fu inciso da Bing Crosby.

     

    Bastava suonargli un preludio di Bach, e cadeva nel sonno più profondo.

    All'opera, non resisteva oltre il primo atto.

     

    A ciascuno il suo mestiere...

     

    dralig

  4. Il giudizio del Maestro Gilardino, credo sia un punto fermo, condivisibile.

    Innanzi tutto chiedo a Fabio di calmarsi un attimo, dato che io qui non salgo in cattedra (daltr'onde, come potrei?), ma esprimo solamente un mio giudizio estetico. Ho analizzato in una lezione con il mio docente di composizione i primi 4 KlavierStucke di Stochausen, e alla fine di questa analisi ho tratto le mie conclusioni, dettate più che altro da evidenti discordanze in partenza (come ad esempio la serializzazione delle altezze). Detto questo, mi sembra ingenuo pensare che oggi scrivere in musica tonale, significhi scrivere con la forma canzone; non c'è bisogno di studiare composizione per farlo, e mi sembra anche lesivo della mia intelligenza che tu abbia pensato questo, quindi non so come prenderla; esulando da ciò, io credo che il Maestro Gilardino abbia ragione, infatti io non ho precluso nessuna strada nella formazione del mio modo di comporre (per il saggio di fine anno, sto scrivendo un brano seriale, sto studiando con l'aiuto del mio maestro: "pensare la musica oggi" e "note di apprendistato", entrambi di Boulez), ma ciò non vuol dire che io non possa esprimere un giudizio personale sulle conclusioni a cui si arriva; e, non secondario, dire che "La musica infatti, in occidente, nasce dalla scrittura" è un attimino inesatto...la musica in occidente in realtà non è mai nata, è stata importata. Con questo, ribadendo il mio pensiero, riaffermo nel caso non fossi stato chiaro nell'esprimermi, che io non sono contro la musica seriale o seriale-integrale, le ho ascoltate, le sto studiando, ma le conclusioni a cui si arriva non mi trovano d'accordo. Non scriverei mai musica con una 5ina in una 7imina le cui note sono tutte di valori molto piccoli e subito dopo una pausa di semibreve, con le note del gruppo irregolare che vanno dal Do1 al Do5 e che passano dal "ppp" all'"fff".

     

    Agli allievi, e ai giovani musicisti in specie, non bisogna trasmettere delle conclusioni, dei giudizi già fatti, ma il metodo per pervenire responsabilmente (cioè con cognizione di causa) alla formazione di giudizi personali. Quello che Lei conclude dopo che ha capito un pezzo attraverso la lettura analitica è sacrosanto, e nessuno ha il diritto di contestarlo - a meno che, nel manifestarsi, Lei non riveli di aver commesso errori di metodo (non ho il minimo indizio che ciò sia avvenuto). Non mi sembra nemmeno, d'altronde, che Fabio abbia assunto posizioni inibitorie nei riguardi della Sua libertà di opinione.

     

    Se assistiamo a dibattiti accesi e tutt'altro che sopiti riguardo l'arte moderna in generale, non è a causa del fatto che ci siano, da una parte i giudici consapevoli e dall'altra quelli improvvisati e faciloni, ma al fatto, ben più significativo, che lo studio serio non conduce a conclusioni univoche e concordi. Questo tipo di dibattito è salutare, vitale, direi necessario.

     

    dralig

  5. se posso esprimere la mia: tutta la scuola milanese da 50 anni a questa parte è un pò fuori di testa, come anche Stockhausen e Boulez; si può ben capire che non amo alla follia lo strutturalismo, ma quello che io qui cerco di dire è molto più profondo. Quello che voglio dire è che molti compositori scelgono il linguaggio atonale, invece che il linguaggio modale, o il linguaggio tonale, semplicemente perchè non hanno l'inventiva compositiva per farlo. Molti si rifugiano dietro la facilità della serie, nascondendo così la propria pochezza artistica: devo dire che ultimamente ascoltando le "Folk songs" di Berio, mi sono ricreduto, ma è un caso isolato a mio parere. Che io poi ascolti musica atonale scritta con gusto, è sintomo comunque che esistono ancora compositori "vivi" che hanno ancora qualche cosa da comunicare.

     

    La mancanza di inventiva - per usare le Sue parole - non è occultabile dietro l'uso della serie o di qualunque altro procedimento compositivo: se il compositore non ha nulla da dire, non dice nulla, sia che componga con la serie o che scriva in do maggiore.

     

    Bisogna sforzarsi di comprendere un fatto: oggi tutti i modi di comporre - tonale, modale, politonale, polimodale, seriale, seriale integrale, etc. - sono in se stessi obsoleti, perché formati in culture che li originarono in base a situazioni reali, nei rispettivi tempi (allora) presenti, che oggi reali non sono più. Oggi, chiunque componga in qualunque modo, si serve di linguaggi obsoleti, e chi adopera la serializzazione di tutti i parametri non è meno tradizionale di chi scrive in re minore: è tutta acqua passata. Oggi, quei modi di comporre si offrono come possibilità di ri-utilizzazione a partire da esigenze e da scopi completamente diversi da quelli per i quali furono creati. Lo stesso discorso vale, ovviamente, per le forme.

     

    Aderire fideisticamente a un modo di comporre è, oggi, un non senso, oltre che una scelta intrinsecamente autolesionistica fino alla stupidità: se esistono tanti "linguaggi", tutti ugualmente disponibili, e tutti ugualmente "distanti", perché servirsi di uno solo, e rendersi ridicoli tentando di resuscitare vecchie querelles?

     

    Bisogna impadronirsi di tutto e de-ideologizzare i modi di comporre, smettendola di credersi nel giusto perché si adopera il sistema tonale o la serie. Vale soltanto quello che si ha da dire, e tocca a ogni compositore operare le scelte più felici per esprimersi.

     

    Quanto agli interpreti e agli ascoltatori, che si sviluppino, e che la smettano di piantare paletti e di innalzare steccati e barriere: come esistono i compositori fasulli che tentano (penosamente) di nascondere la loro impotenza dietro le cortine fumogene di linguaggi apparentemente poco accessibili (illusione cretina), esistono anche interpreti e ascoltatori pigri, indolenti e ottusi, che fanno della loro inanità un dogma, e promulgano leggi e sentenze.

     

    dralig

  6. Di "guide all'ascolto" è pieno il mondo, ma secondo me non servono a nulla.

     

    Cosa intendi con musica contemporanea?

    Forse dovresti dirci fin dove si spinge il tuo ascolto...Ravel si, Bartok no ad esempio?...tanto per fermarci a cent'anni addietro...

     

    Semmai Ravel no, Bartok sì... specie i quartetti.

    Non c'è bisogno di andare indietro di cento anni: lo scoglio contro cui ho cozzato si chiama MaMaMa (Malipiero, Maderna , Manzoni) BeBoBu (Berio, Boulez, Bussotti), e NoNo (lui da solo).

    Ma anche Petrassi che è molto apprezzato per me è ostico.

    Come è ostica tutta la musica comunemente definita atonale, pantonale, dodecafonica, cromatica...

    Delle ultimissime tendenze so poco o nulla essendomi, dopo la cozzata, rifugiato nel passato tranquillizzante dei Wagner e degni predecessori.

     

    Ma il mio è un problema che ricorre anche con altre forme d'arte contemporanee (nel senso di odierne, attuali).

    Il mio è essenzialmente un approccio estetico, quindi è proprio l'approccio che devo cambiare per poter apprezzare certe opere (e non è detto che ci riesca comunque).

    Quindi chiedevo a chi di voi ha studiato, conservatorio o meno, e ha già fatto questo percorso, di consigliarmi una via da percorrere per comprendere la musica di oggi e capire le esigenze artistiche che hanno portato a crearla.

     

    E' una domanda cretina e lo so da me, ma posso continuare a ignorare il problema e cambiare frequenza quando incappo in qualche composizione contemporanea e continuare ad ascoltare il Tristano, o cercare di comprendere quello che voi avete compreso.

    Spero che da quaggiù le mie richieste riescano ad arrivare fino a voi.

    Grazie

    Andrea

     

    Se ascolta senza problemi i quartetti di Bartok, non ha limiti di comprensione nei riguardi di nessuna opera del Novecento, e può tranquillamente considerare il Suo rifiuto della musica che non Le va a genio come la manifestazione di un Suo modo di essere. Non c'è nulla di male nel non amare determinati autori, stili, linguaggi, quando si è oltre la soglia della comprensione di quel che dicono. L'unica cosa che mi sembra un po' incongrua in quel che scrive è l'accostamento di Malipiero a Maderna e a Manzoni. Malipiero è un classico della generazione dell'Ottanta, ha scritto musica tutto sommato allineata alla tradizione - principalmente modale - e aveva la musica dodecafonica in gran dispitto.

    Sarebbe come dire che non le vanno giù Le Marteau sans Maitre le Fontane di Roma.

     

    dralig

  7. maestro Gilardino,come al solito le sue risposte sono complete e profonde,un ultima cosa,se lei dovesse spiegare il suono armonico ad un principiante,che è max al 5° anno di ocnservatorio,che termini userebbe?

     

    Gli direi che è un edificio a otto-dieci piani dei quali il primo - o i primi - sono stati resi invisibili.

     

    dralig

  8. I suoni armonici,parte bellissima del nostro strumento,crean0o atmosfere suggestive.Allora la domanda sorge spontanea(da ignorante in materia ovviamente),i suoni armonici sono note a tutti gli effetti,o soltanto vibrazioni casuali prodotte da uno strumento a corde?

     

     

    spero di essere stato chiaro :D

     

    I suoni armonici sono multipli (per frequenza di oscillazione) di ogni suono fondmentale. Una determinata nota assume il proprio timbro dalla propria ricetta armonica, cioè a seconda dell'ordine e dell'intensità relativa dei proprii armonici.

     

    Nella pratica degli strumenti a corda, produrre dei suoni armonici significa filtrare un determinato suono naturale eliminandone la fondamentale (in questo caso si ode il suono a partire dall'ottava superiore), oppure anche altre armoniche: il risultato è un suono con poco corpo, con effetto di trasparenza. Per eliminare la fondamentale si divide la corda in due parti uguali; per filtrare ulteriormente il suono, la si divide in tre, quattro, cinque parti uguali (si può anche frazionarla oltre, ma il suono risultante non è molto utile).

     

    Ovviamente, così come si può frazionare una corda a vuoto, si può frazionare anche una corda con una nota preparata dalla m.s.: la parte in vibrazione è divisibile per due esattamente come una corda intera a vuoto. Nella pratica della chitarra, gli armonici derivanti dalle corde a vuoto vengono chiamati naturali, mentre quelli derivanti dalle corde premute vengono chiamati artificiali: distinzione sciocca, perché tutti i suoni armonici sono il risultato di un artificio. E' notevole anche il fatto che , degli armonici "artificiali", si usi, da parte dei chitarristi, solo quelli dell'ottava (che infatti vengono chiamati anche "ottavati") e non gli altri.

     

    dralig

  9. Magari lo conoscete già ma lo annoto ugualmente. A chi interessa avere informazioni e sicurezze su come editare la propria musica con un software musicale....

    http://www.edt.it/shop/dettaglio.php?isbn=9788860400628

     

    Si Giorgio, ricordo che ci fu segnalato da Fabio Selvafiorita, testo interessante che svela molte curiosità. Se fai una ricerca, ricordo che anche AG segnalo una serie di libri fondamentali al riguardo o più propriamente dei link.

     

    buon inizio d'anno (scolastico e artistico :D )

     

    mr

     

    Gli americani hanno curato molto la notazione. I manuali che io avevo segnalato (Gardner Read e Ted Ross) però non furono scritti, come quello di Ferrero, per i software in uso oggi, ma astrattamente, come codici di regole auree per l'incisione. Alcune dei precetti di Ross possono oggi essere considerati come obsoleti. Faccio un esempio. Ross dedica moltissimo spazio all'inclinazione delle aste (o travi) che uniscono i gruppi di crome, semicrome, etc., e alla collocazione degli angoli che tali aste formano con gli steli delle note rispetto alle linee del rigo. C'era una ragione per tale cura un po' ossessiva: se l'angolo formato dall'asta e dallo stelo della nota, e la collocazione del medesimo rispetto a una determinata linea del pentagramma, era acuto, nella stampa l'inchiostro ne fuoriusciva, lasciando una macchia. Bisognava che gli angoli fossero abbastanza ampi, e per questo Ross tendeva a inclinare assai poco le aste, il meno possibile. Questa costrizione con il tempo divenne un canone di eleganza. Oggi, con i nuovi processi di stampa, il pericolo delle sbavature d'inchiostro non esiste più, e ci si accorge che le travi un po' più inclinate stanno benissimo...

     

    dralig

  10. Ho scoperto recentemente l'esistenza di questo brano.

     

    Non l'ho letto, ma Aubin fu uno dei maggiori insegnanti di composizione al conservatorio di Parigi e vinse nel 1930 il Grand Prix de Rome.

     

    Mi rivolgo soprattutto a Gilardino: è una composizione recente (1975), sicuramente saprà darmi utili informazioni.

     

    Mi prendi in castagna, Vladimir. So dell'esistenza di questa composizione, pubblicata da Leduc, e so che si ispira a Goya, ma non l'ho mai letta.

     

    dralig

  11. Per quanto mi riguarda, credo di essere andato oltre la concezione della tecnica che nasce dal repertorio: in tale visione si erano forgiate le tecniche ottocentesche e anche quelle del primo Novecento, compresa quella segoviana.

     

     

    Lo credo anch'io e direi che finalmente si riesce ad avere anche l'idea di questo suono grazie alle registrazioni di Cristiano dei suoi studi...penso però che i risultati di questa concezione siano, a modo loro e di chi ne sappia disporre, retroattivi, in qualche modo, e applicabili al repertorio tradizionale...nei suoi studi c'è la musica che fa la differenza ma certamente, Biscaldi ad esempio, ha saputo fare astrazione del suo pensiero, stilizzandolo in figure importantissime e poco frequentate...

    a suo modo anche Bogdanovich, con gli studi poliritmici, ad esempio, può gettare nuova luce didattica sui 3 su 2 ottocenteschi, ancora oggi di grande ostacoloper lo studente...

     

    Certamente, la tecnica pensata a partire da un'astrazione e non da una pratica "ruspante" funziona a meraviglia sull'intero repertorio, ed è precisamente lo strumento della volontà di poter disporre del repertorio di ogni epoca, senza preclusioni e impedimenti.

     

    Bogdanovic ha sorvolato sul capitolo della tecnica meccanica, dandolo per scontato, e ha preferito lavorare (con la genialità che gli è propria) nell'area dell'applicazione alla chitarra di "tecniche" musicali sofisticate, quali la poliemetria e la poliritmia, mete quasi obbligate per chi ami il contrappunto e lo collochi al centro del far musica.

     

    Biscaldi - pur essendo stato mio allievo - ha emancipato una visione della tecnica chitarristica molto più avanzata della mia: diciamo che io ho indicato una direzione, e lui l'ha imboccata fino a che, sebbene io abbia continuato a guardare avanti, voltandosi indietro non ha visto più nessuno. Anche se, purtroppo, lo "sfruttamento" personale della sua tecnica è stato spezzato dalla distonia focale, molti si giovano oggi dei suoi studi proprio per saltare il fosso, cioè per constatare che il confine tra possibile e impossibile non è netto come si pensava. Strano a dirsi (lo noto a pie' di pagina), le maledizioni che si sono levate dal pollaio chitarristico nei riguardi della mia ricerca, non sono state invece gettate contro la sua - molto più audace. Dev'essere una questione di simpatia personale.

     

    dralig

  12.  

    prescinde dall'evoluzione storica della tecnica manuale, che, naturalmente, deve avere il suo corso e modellarsi sulle esigenze del repertorio...

     

    Per quanto mi riguarda, credo di essere andato oltre la concezione della tecnica che nasce dal repertorio: in tale visione si erano forgiate le tecniche ottocentesche e anche quelle del primo Novecento, compresa quella segoviana. La conseguenza fu una visione settaria del repertorio: le musiche che permettevano l'accesso a un tipo di tecnica-suono erano valide, le altre no, venivano squalificate. Inutile fare l'elenco delle scomuniche, sono note, così come le loro esiziale conseguenze nell'insegnamento.

     

    La tecnica nata "dopo", tra mille diffidenze e alcune maledizioni, si è posta invece - almeno nella mia concezione, quella che ho proposto nelle due edizioni del mio manuale - come il risultato di un'analisi neutrale e obiettiva di tutti i fattori in causa: quelli morfologici, quelli acustici, quelli fisico-meccanici e quelli fisiologici. Prospettata e concepita in questo modo, la tecnica diventa onnicomprensiva - o, come dice Biscaldi, onnivora - e permette di suonare qualsiasi repertorio, inducendo il giudizio sul medesimo sui valori puramente musicali, e sgombrando il campo dalle incompatibilità. Mi pare che non permangano dubbi sulla correttezza di tale operazione, né sui suoi risultati, ma è un fatto che almeno nella metà dei conservatori italiani tale tecnica sia tuttora oggetto di diffidenze e di sospetti, a demolire i quali non basterebbe nemmeno Gesù Cristo fatto chitarrista.

     

    dralig

  13. Maestro, credo che sia pacifico dire che lo studio è indispensabile. Io non ho mai detto di non studiare :D

     

    Gieseking intendeva dire che la necessità dello studio meccanico-ripetitivo è inversamente proporzionale alla capacità di concentrazione. Con altri termini, Alfredo Casella, nel suo libro sul pianoforte, afferma la "cerebralità della tecnica". E Dio sa se lui di tecnica ne avesse...

     

    dralig

  14.  

    infatti, io non vedo la necessità ad un certo livello di studi di riprendere scale, arpeggi e legature. Basta il repertorio: dagli Studi di Villa-Lobos (che non sono certo una passeggiata) al repertorio da concerto, su quelli si lavora più che bene. Il Maesto Bonaguri magari avrà ragione, ma io ho provato per 3 mesi ad esercitarmi su scale e arpeggi, sui testi di Giuliani, ma non ne ho trovato giovamento. Invece mi bastano 15 minuti degli studi 1,2,3 di Villa-Lobos che le mani sono più che pronte allo studio.

     

    Poiché è stato chiamato in causa in questo thread - non ricordo più da chi - Walter Gieseking, sarà bene ricordare una sua affermazione al riguardo: "Chi studia è come chi si lava: segno che ne ha bisogno".

     

    dralig

  15.  

    2) Se Segovia si è limitato a scale, legati e arpeggi di Giuliani, la domanda è questa: che fare di tutto quel tecnicismo estremo che oggi c'è sul mercato? a me pare fuffa commerciale (4° conclusione)!

     

    Calma. Bisogna prima leggere, poi capire e poi giudicare. Sono inutili le pubblicazioni che si limitano a riportare, in forma più o meno diversa, cose già note dai tempi del metodo di Aguado. Molte pubblicazioni appartengono a questa categoria, ma ne esistono altre che contengono dei contributi originali allo sviluppo della tecnica, e queste non sono "fuffa commerciale".

     

    dralig

  16. Io non ho mai comprato un metodo, se non l'Aguado per gli Studi della terza parte e il Chiesa per le scale.

     

    Per i legati, mi esercito sulle Variazioni su un tema di Sor di Llobet, su Teresa de Rogatis e Villa-Lobos.

    Per le scale e la velocità, mi ha aiutato molto Giuliani.

     

    E' utile esercitarsi sulle pagine più importanti del repertorio, anche per consolidare automatismi che i metodi, a parer mio, non forniscono.

     

    Non tutti gli studenti hanno le tue mani e la tua mente musicale: sei un'eccezione. Secondo alcuni pedagoghi, non bisogna dire ai ragazzi dotati che sono tali, perché si monterebbero la testa. Io penso che chi si monta la testa è - a qualunque età - poco intelligente, e credo che chi ha talento debba invece esserne consapevole per diventarne responsabile: il talento è solo una dotazione naturale, poi occorre svilupparlo, e per fare ciò bisogna essere consci del proprio stato.

     

    Fai bene a far tecnica sul repertorio, ma non è così per tutti.

     

    dralig

  17.  

     

    E ciò a tacer d'altro, come ad esempio alle esigenze commerciali, che portano i maestri a scrivere qualunque cosa solo per venderla... ma che in realtà non vale nulla.

     

    Chi agisce in questo modo non è un maestro.

    E' un laido mercante.

     

    dralig

     

    però accade spesso.... ce n'è tanta di roba fatta così sul mercato.

     

    I mezzi di informazione ci informano spesso dei mali derivanti dalla piaga della prostituzione e da quella della droga, come se fossero dei virus influenzali o delle alluvioni: non dicono mai che chi ne è colpito agisce consapevolmente per procurarseli. Il successo dei falsi maestri è decretato dai loro clienti. Contenti loro...

     

    dralig

  18. Non so a quale caso si riferisca, ma se mai scrivessi un tango non avrei dubbi: 2/2, come ha fatto Stravinskij. Si mantiene la metrica binaria (il tango si diluisce un po' nel tempo di 4/4) e nello stesso tempo si limita al minimo l'ingrombro del pentragramma.

     

    dralig

     

    Mi riferivo al caso posto dal M° Signorile (crome suddivise in gruppi da 3+3+2). E' stato comunque molto chiaro, La ringrazio.

    Mi chiedo se la scelta della metrica nelle musiche popolari possa rispecchiare quei fattori esterni (come il ballo) o la presenza di accentuazioni particolari che influenzano il pensiero di quei popoli.

    Vedo che ad esmpio nel trascrivere "compas" flamenchi, molti autori scrivono in 3/4, altri invece si attengono al modo particolare di "pensare" e di contare il tactus proprio dei flamenchisti (ad esempio nei tempi di bulerias) e di traslare questo pensiero anche nella scelta della metrica, che in questo caso sarà inevitabilmente 12/8 (e conterrà la famosa suddivisione 3+3+2+2+2)

     

    Il cante è difficile da metrificare, però i compositori bravi che si sono dedicati anche a quello, l'hanno fatto egregiamente: Ohana, in primis.

     

    dralig

  19.  

    Non vorrei, però, che la differenza riposi sul "talento": entrambi, infatti, avete posto l'accento, in premessa, che deve trattarsi di un bambino dotato o talentuoso.

    Nel mio mestiere, didattico come il vostro, io sfido tutti i giorni la natura? I miei ragazzi sono giovani adulti (19-20 anni), già rovinati dalle scuole dell'obbligo. Eppure, i risultati non mancano.

    Io stesso mi vanto di "essermi fatto" da solo: dopo un calvario di insuccessi scolastici, con maestri mediocri, a 18 anni, con un metodo fatto in casa, ho invertito la tendenza.

    Certe regole statistiche, quando applicate all'universo uomo, mi fanno paura...

     

    Non mi trovo tra coloro che sostengono la necessità di iniziare a suonare uno strumento in tenera età, e l'impossibilità di imparare benissimo a farlo iniziando più tardi. Ho condotto al diploma un allievo - oggi direttore artistico di un ben noto festival di chitarra - che iniziò a suonare a 32 anni, essendo già sposato e padre di famiglia: la passione per la musica e per la chitarra, se pur esplosa in lui tardivamente, era tale da poter dare un senso alla sua vita, e facendo leva sulla sua buona volontà fu possibile superare tutti gli ostacoli. Del resto, nemmeno io ero stato un enfant prodige: iniziai a quasi tredici anni.

     

    Quello che sostengo è che, a seconda dell'età in cui si inizia lo studio della chitarra, occorre seguitare percorsi differenti: un principiante di 20 anni può fondare la propria tecnica sull'assimilazione di concetti che, come tali, a un bimbo di sette anni non risultano né utili né facili da imparare: in questi casi, l'apprendimento e l'insegnamento passano, devono passare, per altre vie (e i diversi modi di insegnare a suonare la chitarra ai bambini formano ormai una vera e propria letteratura). E' altrettanto chiaro che, una volta imparati i fondamenti, a un bambino che abbia praticato regolarmente per alcuni anni, risulterà disponibile una sorta di capacità preternaturale, che gli consentirà di suonare tranquillamente per il resto dei suoi giorni senza dover ripetere quotidianamente gli esercizi di tecnica: è ovvio. Che, per giungere a tanto, debba avere talento specifico per la musica, è altrettanto ovvio: in mancanza del talento, non esiste nemmeno una motivazione allo studio, una qualsiasi remunerazione al dispendio di tempo e di fatica. Non sarà lo stesso per chi abbia imparato la tecnica incominciando a 18 anni o più: per quanto ben assimilati, i fondamenti non si integrano più - non nella stessa misura - alla "natura", rimangono disponibili a patto che la persona seguiti a coltivarli con un esercizio quotidiano. E - anche se non può esistere una prova scientifica al riguardo - io sono convinto che l'interessato potrà sviluppare le sue potenzialità e suonare in modo corrispondente al suo talento, ma non nella stessa misura in cui avrebbe potuto farlo se avesse iniziato a sette anni: ciò almeno riguardo ad alcuni aspetti dell'esecuzione, ad esempio la velocità e l'agilità.

     

    Inoltre, non bisogna confondere l'apprendimento di materie che implicano soltanto un lavoro della mente (come nei casi che tu citi) con l'imparare a suonare uno strumento, il che comprende anche una sorta di iper-abilità manuale comandata dal cervello. Sono due cose diverse. Se così non fosse, le persone più intelligenti sarebbero anche le più dotate nella musica, ma non è così, non necessariamente.

     

    dralig

  20. ....

    In generale, chi inizia a studiare nell'infanzia, e ha talento, non ha bisogno di fare tecnica; chi invece inizia a diciott'anni, dovrà probabilmente mantenere in esercizio per tutta la vita anche una serie di applicazioni, in mancanza delle quali avvertirà qualche problema.

     

    dralig

     

    Caro Maestro,questa differenza, in riferimento all'età, mi incuriosisce.

    E' un dato scientificamente dimostrato o si basa sulla esperienza personale?

     

    Io ne do una testimonianza derivante dalle mie osservazioni di parecchie centinaia di studenti, ma suppongo (anche se non ne sono specificamente informato) che esistano anche degli studi scientifici sull'argomento.

     

    dralig

  21.  

    La pratica suggerisce di derivare la metrica dal ritmo. La metrica più conveniente è quella che consente di rappresentare il ritmo nel modo più semplice, ossia con il minor ingombro possibile del pentagramma.

     

    dralig

     

    Nel caso in questione Lei come tradurrebbe il concetto e per quale soluzione, di conseguenza, opterebbe?

    Anche io in passato ho avuto dubbi se scrivere ritmiche di tango in 4/4 o in 8/8. Poi, per non sbagliare, mi sono attenuto al riferimento Piazziolliano (4/4) :)

     

    Non so a quale caso si riferisca, ma se mai scrivessi un tango non avrei dubbi: 2/2, come ha fatto Stravinskij. Si mantiene la metrica binaria (il tango si diluisce un po' nel tempo di 4/4) e nello stesso tempo si limita al minimo l'ingrombro del pentragramma.

     

    dralig

  22. Come dicevo, ho il massimo rispetto per approcci diversi.

     

    Per l'esperienza che ho io il momento dell'esercizio "puro" di base è insostituibile e, se fatto bene, mette le mani in condizioni migliori (per potenza, flessibilità, scatto, nitore sonoro) rispetto a problematiche esecutive diverse che affiorano nei pezzi e che, con esercizi di base adeguati, vengono, come dire, in gran parte risolte in partenza.

    Pur studiando regolarmente molte ore al giorno, constato la differenza tra quando faccio bene le scale e quando non le faccio.

     

    E' vero che ci sono tanti esercizi che probabilmente sono cervellotici ed inutili, ma il concetto di esercizio è applicatissimo nella didattica anche chitarristica, da Carulli ad Aguado a Tarrega a tanti altri fino ad oggi. Un motivo ci sarà.

     

    Alla fine comunque è il risultato che conta e non gli assiomi a priori; e personalmente parlo di quello che ho visto funzionare per esperienza.

     

    Le posizioni sostenute dal maestro Bonaguri sono giuste ed equilibrate. Esistono - devono esistere - sia gli esercizi puramente meccanici che gli esercizi di tecnica applicata (o studi). Lo scopo dell'esercizio di tecnica meccanica è quello di concentrare lo studio sul movimento in sé, osservandone con la massima attenzione gli aspetti fisiologici e dinamici. Questo esercizio è particolarmente utile nella fase di impianto della tecnica meccanica e può risultare utile anche più avanti, per la messa a punto di aspetti molto specifici o per la correzione di errori compiuti in precedenza. Ogni insegnante ne deve avere contezza, e deve disporre non soltanto di un ricco repertorio di esercizi di tecnica meccanica, ma anche della capacità di inventare ad hoc esercizi specifici per problemi specifici del singolo allievo.

     

    Gli esercizi di tecnica applicata e gli studi appartengono a un livello successivo dell'apprendimento. Quando l'allievo ha assimilato perfettamente un tipo di tecnica (ad esempio l'arpeggio) in vitro, cioè senza alcuna applicazione musicale, gli studi lo obbligano a impiegare tale tecnica a fini musicali, cioè tenendo conto dell'espressione, della dinamica e del fraseggio. In questo senso gli arpeggi di Giuliani (che derivano direttamente da quelli del Metodo di Federico Moretti) sono fin troppo "applicati": ritengo sia più utile, ai fini della concentrazione sulla tecnica meccanica, far studiare gli arpeggi fondamentali sulle corde a vuoto (alcuni trattati lo fanno), e riservare alla fase degli studi l'impiego della mano sinistra.

     

    Successivamente, cioè quando la tecnica di base è stata assimilata sia in senso puramente meccanico che nella fase applicativa degli studi, ogni singolo esecutore decide per sé, e solo per sé, se sia meglio continuare a fare esercizi di tecnica o se sia invece più redditizio esercitarsi direttamente sul repertorio: a questo punto, non esistono più regole valide per tutti, ciascuno ha il suo motore, e per quello deve trovare il carburante giusto. Così come esiste il talento musicale (orecchio, memoria, etc.), esiste anche il talento "tecnico", cioè una particolare destrezza della mente che permette ad alcuni, e non ad altri, di sviluppare abilità manuale: a chi possiede questo talento, non occorre fare tecnica, la si fa direttamente sui pezzi, ed è ovviamente una tecnica applicata; chi non dispone di questo talento, ha invece bisogno di esercitarsi anche in senso puramente meccanico, solo che, dopo aver assimilato i fondamentali, non gli servirà più esercitarsi genericamente, ma dovrà forgiare un breviario di tecniche adatto alle sue, personali necessità. In generale, chi inizia a studiare nell'infanzia, e ha talento, non ha bisogno di fare tecnica; chi invece inizia a diciott'anni, dovrà probabilmente mantenere in esercizio per tutta la vita anche una serie di applicazioni, in mancanza delle quali avvertirà qualche problema.

     

    dralig

  23.  

    anche l'accento deve cadere come se fossero due semiminime, cioè sulla prima semicroma di ciascuna quartina?

     

    Non occorrono accenti, la metrica binaria del brano è così elementare da non richiedere alcuna accentazione.

     

    dralig

  24. una info, per favore, che tempo è allegretto col metronomo?

     

    In quale pezzo? Solo sapendo di quale brano si tratta si può rispondere correttamente.

     

    dralig

     

    Ah, ecco, io mi credevo che esistesse una tabella di corrispondenze univoca.

    Cmq, mi riferisco allo studio n. 3 Op. 50 Giuliani (= allo studio 4 del Giuliani-Chiesa, II ed.).

    Io lo sto studiando con semiminima= 104. Ma poi quando si arriva alle semicrome, mi sembra troppo veloce.

     

    No, non è troppo veloce, perché si "porta" sempre sulla semiminima, valore che unisce e amalgama il temino e la variazioni - che sono dei puri ornamenti per diminuzione. Quindi, in pratica, si suonano sempre due semiminime per battuta, con un po' di florilegli attorno, che non cambiano né il carattere né l'andamento del pezzo.

     

    dragli

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