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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1. Ai miei tempi (!) l'Aguado-Sinopoli andava di gran moda.

    L'ho studiato per benino anch'io, da bravo e diligente scolaretto.

    Non sarebbe male se lo rimettessero in circolazione.

     

    Ho trovato una copia nella biblioteca di como...

    Cmq, pare che sia ancora in commercio.

     

    Grazie, la cercherò, mi piacerebbe riaverla. Ricordi di gioventù...Benvenuto Terzi mi disse peste e corna - se pur mitemente, come soleva fare lui - di una versione del preludio in re minore di Bach inclusa nel Metodo.

     

    dralig

  2.  

    Grazie, Maestro, per aver soddisfatto la mia curiosità!

    Posso chiederti anche di esprimere un giudizio sull'efficacia didattica del metodo Aguado-Sinopoli?

     

    Era una sorta di antologia didattica, nella quale l'autore convogliava un mucchio di roba presa qua e là, con un buon criterio e con adeguati commenti e istruzioni per ogni studio o brano. Un volumone, che ho purtroppo smarrito durante uno dei miei traslochi (un'intera cassa di musica e di documenti prese il volo).

     

    Dovrei cercarne una copia da qualche parte...

     

    dralig

  3.  

    Sì, infatti, credo che Antonio Sinopoli sia argentino (e cmq di lingua spagnola).

    Sto cercando alcune sue opere didattiche, ma non conosco l'editore.

    Purtroppo, il cognome è molto diffuso, quindi internet non mi aiuta.

     

    Antonio Sinopoli, nato a Buenos Aires nel 1878, morto nella stessa capitale nel 1964, fu uno dei maggiori esponenti della "scuola" bonoarense. Allievo di Sagreras,poi partner del medesimo in un duo, che divenne anche un trio con l'arrivo di Domingo Prat.

     

    Fu un didatta e un concertista, ma soprattutto un discreto compositore - aveva studiato composizione e non era quindi uno sprovveduto. Tutti i suoi pezzi, ispirati alla musica nazionale, furono pubblicati da Ricordi BA.

     

    Ricordo benissimo, per averla letta in gioventù, una sua singolare revisione del Metodo di Dionisio Aguado, nella quale aveva inserito studi di molti altri autori, costruendo una sorta di itinerario che copriva tutto il campo della formazione, dagli elementi fino al virtuosismo. A tale metodo (noto come Aguado-Sinopoli) aveva aggiunto un "Suplemento" di esercizi, studi e brani contenente, tra le altre cose, la sua trascrizione della Ciaccona di Bach, realizzata nel 1920 (quindi ben prima di quelle di Sainz de la Maza e di Segovia), nel tono di mi minore.

     

    Si pensava che fosse quella la prima trascrizione per chitarra del capolavoro bachiano, ma recentemente è saltato fuori un programma da concerto del 1913, in cui Antonio Jiménez Manjon presentava, sempre in Argentina, la Ciaccona.

     

    dralig

  4. ...

    L'interprete che viene bersagliato da mille informazioni scritte si sente un pochino sminuito nel proprio ruolo e perde di immaginazione o (come dice Carmelo Bene) di "entusiasmo".

    Perdere l'entusiasmo, quando studi un'opera è triste, perchè l'esecuzione diventa vuota ed inutile.

     

    Che un interprete possa perdere entusiasmo, e ammainare la bandiera, o trascinarsi a fini di pura sopravvivenza in una penosa routine, è cosa che ho visto con i miei occhi.

     

    Tre le ragioni che possono causare la caduta d'ispirazione di un virtuoso, quella di una pressione negativa esercitata su di lui dai file midi è da escludere: fosse è solo per questo il pericolo, gli interpreti potrebbero dormire sonni tranquilli. I file midi inviati loro dai compositori - anch'io lo faccio spesso - servono solo come sussidio per rendere chiari alcuni parametri della musica (soprattutto quello ritmico) e per fornire agli esecutori un'indicazione di massima di quello che il compositore aveva in mente. Nessun autore rinuncerebbe mai ai valori dell'esecuzione reale in cambio della precisione dei file midi. E' impossibile. Anzi, io credo che l'uso dell'interfaccia midi abbia esaltato la funzione dell'interprete "umano", dimostrandone una volta di più, se mai fosse necessario, l'insostituibilità.

     

    dralig

  5. Ah! Già dimenticavo che dalle incisioni dell'epoca rinascimentale arrivate "fortunosamente" sino a noi, conosciamo esattamente quale era il modo di eseguire quel repertorio...:)

     

    La filologia non è mica un piatto di lasagne.

     

    Certamente non lo è, ma non è neanche una scienza esatta...non esistono verità assolute...

    "Il saggio non nega e non afferma, non si esalta e non si abbatte, non crede né all'esistenza di Dio, né alla sua non esistenza. Il saggio non ha certezze, ha solo ipotesi più o meno probabili.." da il dubbio di De crescenzo

     

    P.S. Adesso naturalmente qualcuno dirà che De Crescenzo è solamente un filosofo da "botteghino" da "talk schow" e che sarebbe meglio che citassi magari un illstre sconosciutp dal "blasone impeccabile"...

     

    Per la verità, io non ho mai letto uno scritto in cui uno studioso di prassi esecutiva affermava di aver raggiunto verità assolute. Lo studio della musica antica condotto sulle fonti permette di comprendere quali erano le relazioni correnti tra la pratica musicale e la notazione (relazione ben diversa di quella stabilitasi dall'epoca classica in poi) e, nella pratica, quali erano gli usi e le convenzioni (diverse, a seconda del paese, dello stile, del compositore): per suonare bene occorre prima capire che cosa vogliono dire i segni scritti, e la filologia, in questo senso, non è né meno utile né meno necessaria del solfeggio. E' una verità come lo è il solfeggio: ignorandola, si suona in modo grossolano e naif, conoscendola non si è affatto certi di suonar bene, però per lo meno ci si assicura un buon punto di partenza (esattamente come avviene con il solfeggio). Nessun studioso degno di attenzione parlerà mai in nome della verità assoluta, ma in nome della conoscenza di ciò che è indispensabile sapere per risultare non dei precettori né tanto meno dei profeti, ma solo degli esecutori competenti.

     

    Esiste una categoria di esecutori ignoranti, che avvertono il bisogno di scagliarsi contro immaginari censori-filologi (che non esistono) ostentando la loro rivendicazione di libertà, il loro spirito innovatore, la loro disinvoltura artistica: in realtà, stanno solo nascondendo la loro pochezza intellettuale, la loro pigrizia mentale, la loro paura di essere individuati e additati per quello che sono: dei poveracci. Non s'illudano: nessun filologo si attarderà mai a prendere in considerazione quello che fanno, nemmeno per censurarlo. I filologi sanno che ci si rende ridicoli da soli, non occorre che altri infierisca.

     

    dralig

  6. Concordo pienamente.

     

    Mi riferivo a pure informazioni altrimenti non disponibili. Se un ascoltatore del disco di Tampalini non conosce villancicos e cosautes, penserà che il canto del secondo tempo della "Sonata del Guadalquivir" sia una mia invenzione, mentre io ho invece adoperato, come soggetto di una polifonia in stile madrigalistico, la canzone "Tres morillas": il farlo sapere agli ascoltatori ignari non è inutile, li induce a cercare di ascoltare l'antico canto eseguito da qualche ensemble di musica antica, e in questo modo li aiuta a espandere le loro conoscenze e li mette anche in grado di capire meglio il tipo di lavoro che io ho fatto su quel soggetto.

     

    dralig

  7.  

    Obblighi da parte dei compositori di fornire informazioni sul proprio operare non ve ne sono, ma cenni sul pensiero, tanto per cominciare, potrebbero essere espressi anche all'interno dei libretti allegati ai dischi.

     

    Sensibile a questa causa, ho scritto le note del CD di Giulio Tampalini, dedicato interamente a composizioni mie, e per il CD di Alberto Mesirca, contenente anche (ma non soltanto) composizioni mie. Ho evitato, com'era ovvio, qualunque apprezzamento riguardo i miei pezzi e ho fornito il massimo di informazioni atte a far comprendere le musiche (il massimo compatibilmente con lo spazio a disposizione).

     

    Mentre i CD sono stati abbondantemente elogiati, non ho letto una sola parola dalla quale risultasse che le mie note erano state, o potevano essere, per gli ascoltatori, di una qualche utilità.

     

    dralig

  8.  

    Gli autori della domenica trovano terreno fertile dove l'ignoranza la fa da padrona.

    L'ascoltatore dev'essere preso per mano e accompagnato attraverso un percorso educativo che deve partire direttamente dalle istituzioni fin dalla piccola età.

     

    Concordo. Ho sempre sostenuto che, per il futuro della musica, e della cultura e delle arti, oggi il lavoro dei docenti di materie musicali nelle scuole elementari e medie è più importante delle esibizioni dei divi dell'opera e dei concerti.

     

     

     

    Sarebbe stato interessante se gli autori stessi avessero reso palesi le loro teorie sul proprio modo di comporre; invece di affidarci a qualcuno che il loro linguaggio lo interpreta e conseguentemente ci informa in modo indiretto e secondo il proprio modo di vedere.

    Pochi hanno avuto questa umiltà, forse Boulez, ma molti altri dovrebbero seguirne l'esempio.

     

     

    m.

     

    Non credo che sia questione di mancanza di umiltà, ma di mancanza di occasioni: ben raramente ai compositori è offerta una possibilità di parlare della propria opera. A lamentare l'isolamento culturale e sociale in cui è costretto oggi il compositore di musica non commerciale fu proprio Ligeti, in uno scritto dettato non molto tempo prima della sua scomparsa. Se qualche affermazione di un compositore filtra oggi nella colata di notizie propinate dai mass media, è quasi sempre in relazione a eventi extra-musicali (l'ignobile uscita di Stockhausen riguardo i fatti dell'11 settembre). I telegiornali di stato informano dell'uscita dell'ultimo album di un cantautore, non dell'ultima composizione di un maestro. Del resto, se chiamano in causa un filosofo o uno scrittore, è solo per conoscere il suo pensiero su un fatto di cronaca...

     

    dralig

  9. Mi chiedo spesso che persona sia il fruitore medio delle arti contemporanee.

    Tolti gli esperti del settore, voglio dire: critici, galleristi, pittori, e poi musicisti, compositori...

    Cosa arriva, secondo voi, alle persone non "iniziate"?

     

    Le persone "non iniziate" non costituiscono un fronte immutabile. Come i compositori si sforzano di scrivere buona musica - e di certo non la trovano pronta sulla loro scrivania -, e come gli interpreti si ingegnano di essere sempre più bravi e intelligenti - e Dio sa se la loro bravura se la devono guadagnare con un lavoro assiduo e instancabile -, anche i signori ascoltatori non possono ergersi come statue di pietra, esigendo di essere serviti di musica pronta per il loro comprendonio: anche a loro è richiesto un impegno, un affinamento, una ricerca umile e paziente.

     

    L'alternativa è sotto i nostri occhi: ascoltatori neghittosi e indolenti, attivi solo nello squalificare musica che vada al di là delle pappe e delle melasse condite di effetti gratuiti e spesso triviali; interpreti proni dinanzi alle esigenze di tali consumatori di muzak, terrorizzati dalla prospettiva di essere "tagliati fuori" se si azzardassero a proporre musica migliore; e, non da ultimo, compositori della domenica che confezionano articoli pseudomusicali alla ricerca di un "successo" che li renda soddisfatti e ben remunerati.

     

    Si tratta di operare una scelta di campo, che non è esattamente la stessa imposta dai Vangeli - Dio o Mammona - ma che molto le assomiglia.

     

    dralig

  10.  

    ...Sono ben conscio del fatto che, dichiarando l'intenzione di "esprimere" qualcosa, sono già in rotta di collisione con i dogmi post-darmstadtiani, ma non me ne importa niente. Si, io credo che la musica esprima qualcosa. Altrimenti, è inutile ascoltarla, e sciocco scriverla.

     

    dralig

     

    Stravinsky celebrava magnificamente l'autoreferenzialità della musica e fu nel nome di questa che "espresse" il meglio del suo suono organizzato...poi la "drammaturgia" di cui Alfredo parla è ben evidente in molti compositori "post...così come l'espressione sonora composta a partire da altre esperienze sensoriali come quella visiva...certe la varietà di questa espressione è notevole ma prescinde, per essere apprezzata, da un giudizio sommario sull'integrale delle esperienze compositive postdarmstadt

     

    Ha ragione, si tratta soltanto di miei tic, tracce non cancellate di ribellioni giovanili nei riguardi di affermazioni come: "Chi vuol esprimere qualcosa con la musica è un cretino", e similari. Dovrei sentirmi libero da queste reazioni, anche se ormai blande, specialmente considerando il fatto che su di me le proibizioni e i precetti sono passati come acqua sul vetro.

     

    dralig

  11.  

    Osservo che i miei pezzi più apprezzati sono quelli scritti adoperando le scale diatonico-modali (o polimodali), e che sono invece considerati con minor favore quelli scritti adoperando la scala cromatica, cioè - nel mio caso - quelli atonali.

    dralig

     

    Io penso che la tua musica possieda un forte grado di teatralità, o per dirla meglio, sia fortemente caratterizzata da una presenza di drammaturgia teatrale.

     

    Non mi riferisco, ovviamente, al gesto plateale, assolutamente assente, ma al contrario, al fatto che siano percepibili figure, o fantasmi di figure, cha hanno forte presa sull'ascoltatore: quelle evocate nei tuoi Studi, di musicisti, pittori e poeti, sono presenze avvertibili che si palesano all'ascolto e alla lettura.

     

    Nei cromatismi credo siano più sfaccettate....come in una sorta di caleidoscopio che le scompone e quindi più "ardue" nel rivelarsi.

     

    Credo di capire che cosa intendi. La modalità (o polimodalità) e l'atonalità sono le uniche due "lingue" musicali atte a esprimere quello che ho in mente, e so esattamente che cosa mi serve in ogni momento della composizione. Sono ben conscio del fatto che, dichiarando l'intenzione di "esprimere" qualcosa, sono già in rotta di collisione con i dogmi post-darmstadtiani, ma non me ne importa niente. Si, io credo che la musica esprima qualcosa. Altrimenti, è inutile ascoltarla, e sciocco scriverla.

     

    dralig

  12.  

    Osservo che i miei pezzi più apprezzati sono quelli scritti adoperando le scale diatonico-modali (o polimodali), e che sono invece considerati con minor favore quelli scritti adoperando la scala cromatica, cioè - nel mio caso - quelli atonali. Io sono certo che non esiste, tra le due "categorie" della mia musica, la minima differenza stilistica, e quindi non credo che il diverso grado di apprezzamento dipenda da una valutazione dello stile e della forma dei pezzi - il che condurrebbe alla formazione di giudizi fondati sulla "riuscita" dei diversi lavori -, ma piuttosto dal diverso impegno che è richiesto agli ascoltatori e anche agli interpreti in quanto ascoltatori. Il che, ovviamente, è un motivo tutt'altro che disprezzabile, che io accetto e rispetto. Purtroppo, non sono sempre disposto a usare la scala diatonica, a volte ho proprio bisogno dell'altra, anche se so che mi rende un po' antipatico (musicalmente).

     

    dralig

     

    Una certa pigrizia nell'ascoltatore medio (fra cui mi pongo anch'io) è sicuramente presente, ma credo che il mancato apprezzamento di alcune opere dipenda in ragionevole misura anche da l'ignoranza delle tecniche e i modi della composizione contemporanea se non addirittura di quella moderna, e non ho scelto il verbo "apprezzare" a caso, chè differisce molto da "piacere" in quanto implica un'interazione di me che devo essere in grado di poter apprezzare una certa opera e avere quindi delle basi abbastanza solide per poterlo fare.

    Io in questo pecco quasi totalmente per causa, diciamo così, di compositori assai rinomati e "famosi" che ho sempre mal digerito e che mi hanno tenuto lontano da uno studio accurato delle ragioni del comporre attuale. Uno su tutti, Berio.

     

    Relativamente alla questione musica tonale/modale versus musica atonale è sicuramente più congeniale al mio gusto la prima che è quella che ha bisogno di meno "dizionari" se non nessuno.

    Per la chitarra però sono pronto a fare uno sforzo (piacevole indubbiamente) perché ritengo il nostro strumento fra i più adatti per un tipo di composizione non prettamente "classica". Chissà che il cruccio della chitarra di non essere stata mai considerata uno strumento classico "vero" non rappresenti infine la sua salvezza rendendola fertile alle nuove tendenze più dei suoi blasonati colleghi.

    Nelle composizioni in cui lei ricorre per "bisogno" alla scala armonica trovo che sia molto presente lo strumento come parte integrante il testo musicale, molto di più che non in composizioni più "melodiche" (mi si passi il termine inappropriato) teoricamente universali, cioè non prettamente chitarristiche anche se scritte per la chitarra.

     

    Se io definissi le sue composizioni atonali, come "indissolubilmente chitarristiche" le farei in qualche modo un torto? Spero di no, perché è di certo l'ultima delle mie intenzioni.

     

    Grazie ancora

    Andrea

     

    Al contrario, io penso che le mie composizioni per e con chitarra siano "indissolubilmente chitarristiche" nella misura in cui io sono riuscito a renderle deliberatamente tali, il che è sempre stato uno dei miei obiettivi primari: non per nulla sono stato un compositore tardivo: i 23 anni di attività strumentistica sono stati l'indispensabile esperienza che mi è servita per forgiare quel lessico chitarristico che è uno dei sigilli del mio lavoro di compositore. Se non avessi consapevolmente esplorato la chitarra come chitarrista, non solo leggendo tutta la musica disponibile, ma anche indagando il suono e la tecnica dello strumento, non avrei mai potuto ri-tracciare nella mia mente il progetto sonoriale-digitale che poi ha formato uno dei pilastri delle mie composizioni.

     

    Certo, questo non sarebbe bastato: se non avessi imparato per tempo il mestiere di compositore, indipendentemente dalla chitarra, e fossi pervenuto alla composizione soltanto sulla base della mia esperienza di chitarrista, i miei lavori sarebbero assai probabilmente simili a quelli di molti chitarristi che annotano successioni di gesti, incapaci di costruire brani di musica: e questo è precisamente quello che rivendico di non avere fatto, provando fastidio ogni volta che il mio nome viene elencato accanto a quello di chitarristi-compositori di oggi, famosissimi, ma secondo me compositivamente analfabeti.

     

    Io credo e affermo che un brano per chitarra deve suonare sulla chitarra meglio - cioè con maggior proprietà, pienezza e carattere - che su qualunque altro strumento, e considero fallite tutte quelle composizioni per chitarra che, lette da un pianista, danno un risultato più soddisfacente di quello chitarristico.

     

    Dirò di più: io considero la maggior parte dei concerti per chitarra e orchestra del Novecento falliti, perché orchestrati come se la chitarra fosse un pianoforte minorato.

     

    dralig

  13. Anche io non apprezzo alcune pagine di Gilardino.

     

    Infatti suono e studio quelle che mi piacciono, senza farmi problemi nel dire che una composizione è meno riuscita di un' altra.

     

    Il mio giudizio globale non cambia.

     

     

    E meno male che c'è ancora qualcuno che non pretende che gli esecutori della propria sappiano trasfigurare, frase buffissima che ho visto su un documentario su uno dei più importanti (ma è meglio "famosi") compositori contemporanei.

     

    Osservo che i miei pezzi più apprezzati sono quelli scritti adoperando le scale diatonico-modali (o polimodali), e che sono invece considerati con minor favore quelli scritti adoperando la scala cromatica, cioè - nel mio caso - quelli atonali. Io sono certo che non esiste, tra le due "categorie" della mia musica, la minima differenza stilistica, e quindi non credo che il diverso grado di apprezzamento dipenda da una valutazione dello stile e della forma dei pezzi - il che condurrebbe alla formazione di giudizi fondati sulla "riuscita" dei diversi lavori -, ma piuttosto dal diverso impegno che è richiesto agli ascoltatori e anche agli interpreti in quanto ascoltatori. Il che, ovviamente, è un motivo tutt'altro che disprezzabile, che io accetto e rispetto. Purtroppo, non sono sempre disposto a usare la scala diatonica, a volte ho proprio bisogno dell'altra, anche se so che mi rende un po' antipatico (musicalmente).

     

    dralig

  14.  

     

     

     

     

    Sto risentendo in questi giorni alcune sue composizioni eseguite proprio dal Maestro Porqueddu e devo ammettere che anche grazie alle sue interpretazioni i miei giudizi si sono in parte ricalibrati.

    Non so se questa "dipendenza" da un interprete sia un cruccio o meno per Lei come compositore, mi piacerebbe sapere il suo pensiero in proposito.

    Mi scusi se ne approfitto, ma data la ghiotta occasione sarei uno stupido se non lo facessi.

    Grazie

    Andrea

     

    Un compositore dipende necessariamente dai suoi interpreti per comunicare - cioè per far ascoltare e per far comprendere - al pubblico la sua musica. Tale tipo di dipendenza non è patologica: nel mio caso, gli interpreti del calibro degli Estarellas, dei de Santi, dei Biscaldi (per citare alcuni chitarristi della precedente generazione, purtroppo non tutti in atti vità tuttora), o dei Tampalini, dei Mesirca, dei Porqueddu (e tanti, tanti altri) oggi, sono una benedizione, intanto perché sono molto più bravi, come strumentisti, di quanto io fui nei miei momenti migliori (oggi, a paragone con loro, farei ridere), e poi perché sentono, leggono, eseguono la mia musica in modo molto diverso da come io l'ho immaginata, pur rispettandone il testo, e ne rivelano aspetti dei quali io stesso non sono ben conscio. Questo accade a tutti i compositori che hanno la fortuna di trovare interpreti validi: ciascuno di loro getta sulle pagine eseguite una luce diversa, e il primo a giovarsi di queste rivelazioni è proprio il compositore.

     

    La musica è un fenomeno complesso, che giunge al suo stato di piena realizzazione con il concorso di tre figure essenziali: il compositore, l'interprete, l'ascoltatore. In mancanza di uno di essi, il cerchio non si chiude, e la musica non si manifesta. Ciascuno dei tre "attori" vive in una sorta di "dipendenza" dagli altri due, ed è una dipendenza necessaria, che giova a tutti e non fa danno a nessuno. Sempre che il compositore sia forte, l'interprete bravo e l'ascoltatore sensibile.

     

    dralig

  15. Ciao,

    conosco il trattato del maestro Gilardino e colgo l'occasione per ringraziarlo pubblicamente del suo lavoro sia didattico che come compositore.

    Non posso dire, in tutta onestà, di apprezzare totalmente alcune delle sue Opere, ma non me ne voglia il Maestro ché la colpa è totalmente della mia scarsa preparazione musicale per ciò che concerne i lavori contemporanei (in questo sono un retrogrado passatista).

    Prenderò spunto da questo forum per ascoltare con la dovuta attenzione le sue composizioni meno "accessibili" e non potrà essere che un arricchimento della mia (modestissima) competenza in materia di letteratura chitarristica.

     

     

    Il fatto che Lei non apprezzi alcune delle mie opere non mi induce - per nessuna ragione - a volerGliene, al contrario Le sono grato per averle lette o ascoltate, e sono io ad apprezzare, invece, la Sua onestà del dichiarare il Suo pensiero.

     

    Se pensiamo che il giudizio sull'opera di compositori già santamente defunti, e quindi nati ben prima di me, e di me assai più famosi, è tuttora assai dibattuto, dobbiamo constatare come sia del tutto normale che le produzioni ancora in corso d'opera siano oggetto di valutazioni discordi. Anzi, è proprio questo un segno della vitalità del lavoro di un autore: il fatto che accenda un dibattito.

     

    Cordialità.

     

    dralig

  16. Riprendo questo 3d, per l'ultima volta: il pezzo l'ho letto e studiato interamente e questo è l'unico ed ultimo dubbio che mi è sorto. A misura 39, l'ultima croma (do naturale) dovrebbe essere suonata come suono armonico al V tasto ("arm. V")..tuttavia non capisco su quale corda al quinto tasto si possa ottenere il do naturale armonico :roll: ..

     

    Chiedo scusa per la notazione un po' sibillina, che ho poi subito modificato.

    La nota in questione è un sol, da prendere un terza corda, sulla quinta barretta, dove normalmente si suonerebbe il do che figura nella notazione.

     

    Ho già provveduto alla correzione per la prossima ristampa del pezzo, che ho comunque riscritto anche dal punto di vista metrico: da giovane ero attratto dalla scrittura "elegante", oggi preferisco scrivere in modo più chiaro.

     

    Per farmi perdonare, posso inviare il file pdf della prossima edizione, se mi verrà fornito un indirizzo email a cui spedirlo.

     

    dralig

  17.  

    Maestro, se io avessi lo stesso proposito di Francesco, qui, nella mia terra - una terra laddove mancano i mezzi per poter stabilire se, decidendo di rimanere qui, io possa vivere senza il dubbio di poter morire da un mese all'altro, da una settimana all'altra (ho 20 anni appena), i motivi e le cause sono noti oramai - lei mi appoggierebbe ? Oppure con la sua approvazione, in realtà, non farebbe altro che augurarmi di andare incontro alla morte prematura?

    Sono convinto che una terra deve meritare innanzitutto un personaggio simile. La mia, in queste condizioni, non mi meriterebbe. Quindi, sinceramente, Maestro, sarei più contento se lei mi augurasse, alla luce di questa triste realtà, e nonostante il mio buon proposito, senza pensarci su neanche mezza volta, di fuggire, e anche il più lontano possibile.

     

    Caro Antonio, io ho risposto, non al vaniloquio o alle fantasie oniriche di un ragazzino che non ha ancora stabilito (o che ha perso) i contatti con la realtà, ma al proposito di un giovane dall'intelletto molto vivo e dall'animo tutt'altro che velleitario: evidentemente, nel formare e nell'esprimere il suo progetto di vita, egli ha preso in considerazione tutti gli aspetti connessi alla sua sopravvivenza e alla sua realizzazione di se stesso, e non tocca certo a me insinuargli il sospetto che tali valutazioni siano prive di fondamento: gli devo rispetto, e devo riconoscergli, in linea di principio, che egli sappia molto bene quello che fa. Altrimenti, perché dialogare con lui?

     

    La situazione che Lei mi descrive per sé e per il Suo futuro è affatto diversa da quella di Francesco, e diverso, mi pare, è anche l'animus con il quale Lei la affronta. Spero che la Sua domanda, se io la esorterei a rimanere là dove non Le viene offerto altro che il morire, sia retorica: è ovvio che no, così come è evidente che a ciascuno, ogni giorno, viene profferta la possibilità di rovinarsi: ma, mi creda, chi intende farlo, non chiede ad altri di rinforzare la sua scelta autodistruttiva, la attua a basta.

    Quindi, io credo che Lei sappia benissimo che cosa vuole fare e che cosa deve fare: e Le auguro di riuscirci.

     

    dralig

  18. Alessio, Alessio... :roll: Ovviamente ho usato il forum come mezzo non per contraddirti con determinazione ma per dire a tutti gli utenti del forum la mia visione delle cose... Che poi da una battuta (quella dell'aria inquinata...) si sia giunti inevitabilmente OT è un'altra cosa. Allora rientriamo a ciò che il M° Gilardino ha scritto e riimpostiamo la discussione:

     

     

    Saggio proposito. Francesco, giovane studente di chitarra del Conservatorio di Matera, i cui messaggi manifestano un carattere ardente e un'intelligenza non comune, nonché un nerbo etico molto raro nei ragazzi di oggi - non è certo un seguace della "dittatura del relativismo", per dirla con Benedetto XVI - esce con un'affermazione programmatica che a me, compositore e quasi-ex-didatta sessantaseienne (potrei quindi essere suo nonno) sembra di grande rilievo: afferma di non voler seguitare la via dell'emigrazione dalla sua città, che ama, e dichiara di volervi rimanere per operare da dentro il tessuto socio-culturale materano.

     

    Vorrei che questa dichiarazione d'intenti non venisse passata sotto silenzio: significa che, alla sua giovane età, ha già optato per una scelta più alta di quella della ricerca del successo personale come virtuoso, e che intende impegnarsi, affrontando le prevedibili difficoltà, per contribuire alla trasformazione della condizione socio-culturale della terra che ama, e alla quale si sente di appartenere.

     

    Ho la sensazione che non sia stato capito, e che il valore del suo proposito sia stato sommerso da un polverone di discussioni davvero futili, rispetto al nocciolo della questione: il punto non è se si viva meglio, o si faccia miglior carriera professionale, al nord, al sud o all'estero; se la gente del nord sia migliore o peggiore nei sentimenti e nel tratto di quella del sud, o viceversa; se siano più inquinate le città padane o Napoli. Il punto non è quello che ciascuno di voi ha fatto per il suo bene e per il suo meglio (è chiaro e noto che vi state disimpegnando egregiamente come e dove avete scelto di stabilirvi), ma che Francesco ha dichiarato di voler spendere la sua vita per rendere migliore la sua terra per mezzo della musica che farà. Che gli convenga o meno, che sia più o meno vantaggioso per lui, è cosa che passa in second'ordine rispetto alla bellezza e alla nobiltà del suo proposito, e io lo incoraggio a proseguire, costi quello che costi, senza soffermarsi a valutare quello che gli renderà.

    E glielo dico perché io, 50 anni fa, ho fatto la stessa scelta, ho seguitato la stessa stella, contro i pareri di tutti i saggi e gli esperti della vita, e non mi sono affatto pentito: anche Vercelli era una Matera, rispetto a Parigi o a Londra o a New York...

     

    dralig

  19.  

    La situazione dell'arte, lo sappiamo, è precaria. Ma io, contrariamente al suggerimento di Gilardino ti dico, viaggia. Gira il mondo. Parigi, New York, Vienna, Berlino e vai su in Svezia, Olanda (mille euro e se ti organizzi bene ti paghi i biglietti aerei per tutti questi posti e ti avanzano pure). Guarda, osserva assimila e comunica. Perchè la compiutezza della vita artistica la definisci anche nell'incontro con l'altro e con le altre e differenti esperienze artistiche. Altro che stare con le mani in mano. Precluditi ora la possibilità di dirti un giorno: "forse, se avessi avuto il coraggio, lo potevo fare..."

    Ciò che desideri ora, coltivare la passione, è sacrosanto, ma riformula il pensiero tra qualche anno, quando altri impegni incomberanno.

     

    Caro Fabio, non mi faccia dire cose che non ho mai né detto né pensato. Partendo dai propositi manifestati dal nostro giovane collega di Matera - in mancanza dei quali non avrei detto assolutamente nulla - l'ho incoraggiato a mantenere la sua residenza e il suo centro di attività nel luogo dov'è nato e che egli ama. Non gli ho detto di non viaggiare e di non stabilire contatti con il prossimo in tutto il mondo: Le pare che una simile, sciocca esortazione possa venire da chi conosce tutte le capitali europee, le loro sale da concerto e i loro musei, da Lisbona a Varsavia? Gli ho detto che tentare di modificare la realtà della vita musicale del luogo dove abita è progetto nobilissimo e, io credo, attuabile, assai più forte di quello di trasferirsi altrove in cerca di migliori fortune. Questo, e non altro, gli ho detto: non ho aggiunto il consiglio di imparare, come ho fatto io, il francese, l'inglese e lo spagnolo (almeno), perché penso di avere che fare con un giovane intelligente, che non abbisogna di questi suggerimenti, e però, sottintendendo ciò, ho implicato anche la convinzione che le lingue non si imparino per i proprii monologhi.

     

    Io abito da sempre in una città di provincia, dalla quale non ho mai voluto trasferirmi, con ottime ragioni. Questo non mi ha impedito di andare al Prado una quarantina di volte a vedermi Rubens, Velazquez e Goya.

     

    dralig

  20. Lo credo anch'io, caro Fabio, che la questione sia un pò più profonda. Io sto studiando musica, innanzi tutto perchè è la mia passione (anche se nei conservatori la fanno passare...), e perchè spero di poter portare ai miei futuri allievi una leggera consapevolezza della bellezza profonda dell'arte. Io non ho manie di grandezza, sono cosciente che la vita del concertista è troppo per me, l'onere e l'onore del concertismo lo lascio ad altri (parlo ovviamente del concertismo ad un certo livello), ma non capisco perchè, e come soprattutto, tu dici che io "morrò" artisticamente rimanendo qui. Io so solamente che voi avete le industrie, e conseguenzialmente avete più soldi, ma non credo che gli artisti del nord "campino" meglio...anche perchè stando a quanto mi dicono i miei amici e colleghi, loro sono primi in graduatoria nelle scuole di Venezia, Milano, Genova..i diplomati del nord non credo suonino tutti in orchestra stabilmente o siano tutti acclamati concertisti..indipercui presumo che siano disoccupati. Secondo appunto: se intendiamo per vita artistica una carriera artistica, posso ammettere ma non concedere che sia così, che da voi c'è più possibilità, ma se intendiamo la vita artistica nel suo senso credo più compiuto, cioè di creazione, interpretazione, studio della propria arte, allora non posso più essere d'accordo; io posso benissimo vivere la mia vita da impiegato, dirigente, assicuratore, bancario, panettiere, commerciante ecc. pur coltivando la mia vita artistica in ambito familiare, condominiale, rionale, comunale, regionale, proponendomi per concerti, anche non retribuiti, ma che hanno comunque una finalità artistica. Io credo in questo, e può essere che un giorno io faccia il lavoro di mio padre, può accadere, ma non lascerò mai da parte la mia passione; Io credo che comunque un fondo di verità in quello che dici c'è, che comunque è una terra martoriata, ma immezzo ai soldi che spariscono, alle inefficenze dell'amministrazione regionale, c'è ancora un popolo cordiale, che si ferma a parlare nella piazza, che ti da una mano e anche il braccio quando può, ma soprattutto ancora non totalmente raggiunto (almeno fino ai ragazzi della mia età, perchè guardando la mia sorella più piccola...) da quella smania dei soldi, del potere, del successo che porta le persone all'estraneità. Questo è quello che penso e che sperimento, poi ognuno è libero di esercitare la propria libertà.

     

    Rimanga dov'è e, soprattutto, rimanga com'è adesso: non cambi, non diventi, non si evolva, non cresca (se non nelle competenze musicali, il cui affinamento non ha mai fine), resti esattamente quello che è ora, e a chi le suggerisce di diventare qualcos'altro, o qualcun altro, spari, senza esitazione e senza sbagliare la mira.

     

    dralig

  21. sicuramente non mi mancherà l'ispirazione per scrivere...comunque la vista che Lei ha detto non è bella quanto questa: queste fotto sono state fatte dalla piazza principale dove c'è la fontana, non so se Ha presente.

     

    Si, ho presente, mi ricordo benissimo. Era una domenica mattina, e la piazza era inondata di luce. Ero andato, con il maestro Racioppi di Lagonegro e con un giovane amico, in un baretto prospiciente la piazza a prendere un caffé, e mi ero messo a chiacchierare con dei materani. Ci portarono a vedere degli angoli della città che, da soli, non avremmo mai scovato. Ero venuto anche con il proposito di telefonare al pittore Guerricchio per chiedergli se potevo fargli visita nel suo studio, ma il tempo che avevo se ne andò tutto nella visita alla città.

     

    Resta il fatto che è di una bellezza strepitosa! Ecco perchè voglio rimanere qui, non voglio andare via, amo la mia terra. Quindi Lei ha visto lo stabile in cui è allocato il Conservatorio, ecco, del Conservatorio salverei lo stabile, ma solamente perchè è antico; il resto funziona malissimo dal punto di vista organizzativo.

     

    Penso che questo atteggiamento nuovo, che Lei manifesta e che vedo anche in altri giovani del Sud, sia molto importante e di grande portata socio-culturale: finché i talenti - in ogni campo - emigrano, non ci sarà mai un vero cambiamento. Bisogna rimanere lì, operare sul posto, e convincere i poteri forti (istituzioni pubbliche, fondazioni, banche, etc) a investire in cultura, creando strutture e organizzazioni capaci di inventare e di realizzare eventi di alta qualità e di legarli alle incredibili bellezze dei luoghi. Dovete smetterla di venire a Milano, dovete obbligare i milanesi a venire da voi, e non solo per le vacanze. Io a questo ho sempre creduto, e non sono state parole: per un quarto di secolo, ogni estate sono andato a Lagonegro a far fare musica ai ragazzi della zona e a portare sul posto i giovani talenti italiani e stranieri per creare contatti e relazioni che poi si sono rivelati molto fecondi. Conservo la cittadinanza onoraria di Lagonegro come emblema di qualcosa in cui ho sempre avuto fede.

     

    dralig

  22. Ecco le foto di Matera inbiancata. Casa mia si affaccia sulla Matera antica, e alzarsi guardandola innevata, è stato stupendo, ma ahimè sono dovuto scappare di corsa in conservatorio e non ho fatto foto. E' davvero un peccato, però ci sono queste foto fatte da un amico dagli archi di P.zza Vittorio Veneto, godetevi lo scenario.

     

    P.s. Io sono fortunato, lo vedo tutte le mattine alzandomi

     

    Splendido, sembra un presepio. Anni fa, ho guardato Matera proprio dalla terrazza antistante il Conservatorio, cioè, credo, più o meno da dove questa foto è stata scattata. Ero venuto lì da Lagonegro, una domenica mattina, solamente per regalarmi quella vista, e fu una gita spesa bene.

     

    Con la neve e i lumi accesi, è ancora più bella.

     

    dralig

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