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Angelo Gilardino

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  1. E' valida la versione incisa nel disco di Cristiano Porqueddu. Si tratta di una modifica apportata dall'autore dopo la pubblicazione del volume. Nell'edizione definitiva degli Studi - che sarà pubblicata fra qualche anno - sarà effettuata la correzione. dralig
  2. Non segnalo abitualmente notizie di esecuzioni delle mie opere - è compito degli organizzatori dei concerti e, se vogliono, degli interpreti - ma in questo caso faccio un'eccezione, e la faccio volentieri. Non adopero il modulo dei concerti, perché si tratta di un recital trasmesso in diretta dalla radio nazionale olandese : stasera alle ore 20 Alberto Mesirca suonerà dagli studi della Concertgebouw di Amsterdam un programma comprendente la prima esecuzione della Sonata che ho scritto l'anno scorso e che gli ho dedicato:"Cantico di Gubbio". E' giunto quindi il momento di prendere commiato da questo lavoro e di salutarne l'ingresso nel mondo, come faceva Francesco Petrarca con la sua canzone: "Se tu avessi ornamenti quant'ài voglia/Poresti arditamente/uscir del bosco e gir infra le gente". Conscio del fatto che mandare auguri per un concerto a Mesirca è come augurare a un gatto di riuscire ad arrampicarsi su un albero, passo direttamente a ringraziarlo per aver riservato al mio lavoro un posto d'onore in uno dei più importanti concerti della sua giovane carriera. AG
  3. Premettendo la mia condivisione alla Sua affermazione, provo ad ampliare l'argomento ponendoLe una domanda che non è in alcun modo polemica: come si può - da un punto di vista tecnico - definire una melodia famosa in tutto il mondo "banale". E' proprio la sua banalità ad averla resa famosa in tutto il mondo. Per banale, intendo immediatamente assimilabile dalla totalità delle persone (eccettuati i sordi), alle quali è data la possibilità di ricevere e assimilare istantaneamente, senza il minimo impegno, una successione di note che esiste ormai nel patrimonio comune di tutti, perché motivi simili vengono offerti quotidianamente dalla televisione, dalla radio, etc,. Banale è tutto ciò che viene ripetuto dopo essere stato detto e ascoltato migliaia di volte, tutto ciò che, prima ancora che si sia finito di dirlo, è già previsto e scontato da chi riceve il messaggio, che non porta con sé alcuna rivelazione, ma solo una blanda conferma di quello che si sapeva già, con al massimo qualche variante superficiale. Se alle stesse persone che decretano il successo di melodie banali viene proposta una melodia originale, fresca, inventata - anche se oggi è inevitabile che qualunque melodia sia in qualche misura riconducibile a modelli preesistenti - si può stare certi che avrà un successo molto minore di una melodia banale. Più elaborato è il messaggio, più si restringe il numero di coloro che sapranno decifrarlo. Nel Novecento, l'elaborazione del messaggio musicale è giunta a un tale livello di elaborazione da collocarsi fuori dalla ricezione della maggior parte degli individui. I compositori hanno esagerato? La gente è troppo pigra e assuefatta al confort, e vuole solo le cose pronte, immediatamente consumabili? Su questi temi, si sono scritte migliaia di pagine... Fossi in Lei, lascerei le persone capaci di rivolgerLe domande così scioccamente banali nel loro paradiso melodico, ed eviterei accuratamente di controbattere le loro affermazioni. Non offra mai il caviale alla ciurma, altrimenti protesterà perché la marmellata di more sapeva di pesce. dralig
  4. In tal caso, confessi apertamente la sua situazione... aerostatica al committente dell'arrangiamento, e se ne sfili: inutile, anzi dannoso, tormentarsi in un compito per il quale non si è ancora preparati. dralig
  5. Da quel che capisco, non si tratta di comporre un pezzo, ma di arrangiare una melodia accompagnata già esistente. Poiché Lei si dichiara principiante di composizione, non credo che sia il caso di avventurarsi in un'elaborazione. Prenda quindi la melodia com'è - sempliciotta - e la ripartisca tra le due voci, a responsorio. Tra le due voci, inserisca dei motivetti ornamentali del clarinetto, e alla chitarra affidi una nutrita scansione ritmica dell'armonia esistente, curandosi di renderla piena e sonora. In alcuni punti, collochi il "tutti". dralig ps La prossima volta che Le affidano una melodia da arrangiare, esiga che sia un po' meno banale.
  6. Il clarinetto in si bemolle suona ordinariamente da re (quattro tagli in testa sotto il pentagramma in chiave di sol) a si (un taglio in collo sopra il pentagramma). Essendo "in si bemolle", suona tale nota quando sul pentagramma è scritto do, quindi traspone un tono sotto. Infatti, in una partitura scritta in do maggiore, la parte di clarinetto in si bemolle si scrive in re maggiore, con due diesis in chiave. Può anche, se preferisce, scrivere senza trasposizione, ma deve avvertire l'esecutore scrivendo nella parte (e nella partitura) "clarinetto in do, suoni reali": i clarinettisti non fanno questioni. E' uno strumento dal suono penetrante e invasivo, quindi metterlo insieme a una chitarra è difficile. Esistono accorgimenti utili, ma non si possono esporre qui. Nell'organico che ha a disposizione, c'è poco da scialare: affidi alla chitarra una parte ritmico-armonica piena, in una tonalità sonora, e al clarinetto faccia fare motivi secondari di appoggio alle voci. dralig
  7. Soprattutto nel solfeggio. dralig
  8. Si eserciti nell'esecuzione delle normali scale diatoniche. Le torneranno utilissime. Comunque, le Variazioni di Miguel Llobet su un tema di Sor contengono una variazione molto brillante da eseguire con la sola m.s. dralig
  9. Se così fosse stato, si sarebbe limitato a passare l'argomento sotto silenzio: invece, scrisse esattamente il contrario, là dove dice, chiaro e tondo: "Non ho voluto variare nessuna delle diteggiature che lo stesso Villa-Lobos ha segnalato per l'esecuzione delle sue opere. Egli conosce perfettamente la chitarra e se ha scelto la tal corda e la tale diteggiatura per far risaltare determinate frasi, dobbiamo stretta obbedienza al suo desiderio, anche a costo di sottometterci a maggiori sforzi di ordine tecnico." Si noti bene che Segovia scriveva queste affermazioni nel gennaio 1953, cioè parecchi anni dopo che aveva iniziato a suonare gli Studi e i Preludi da lui scelti. E' del tutto ammissibile che in seguito possa aver avuto dei ripensamenti su alcuni dettagli - cambiava le diteggiature di continuo, come fanno tutti i grandi interpreti - ma, per quanto riguarda l'edizione, non ci sono mezze misure: scrive "non ho voluto", non scrive "avrei voluto", quindi non c'è via d'uscita. A Ginevra, o si contraddisse frontalmente, nero contro bianco - e non ci credo - o non si spiegò chiaramente (aveva 88 anni), o non fu capito. dralig
  10. Le scuole musicali nazionali sono espressione di uno dei versanti del Romanticismo. Infatti, tra le tendenze manifestate in musica dall'estetica romantica nelle sue espressioni "minori", si annovera anche il popolarismo, o folclorismo. La musica per chitarra dell'epoca mostra chiaramente questa tendenza, e rappresenta efficacemente il nazionalismo musicale. Gli autori più rappresentativi sono Johann Kaspar Mertz - che ha scritto musica ispirata al folclore ungherese -, Julian Arcas e Antonio Jiménez Manjon, che hanno scritto composizioni ispirate al folclore spagnolo - Napoléon Coste (in misura minore) e parecchi autori russi, che scrissero opere per chitarra a sette corde. La musica a ispirazione nazional-popolare nel repertorio ottocentesco della chitarra, è molta, e un'esplorazione del fondo Boije, disponibile on line,Le darà un'idea del materiale esistente. Considerando che il romanticismo sopravvisse nelle sue espressioni più tarde e, se vogliamo, anacronistiche, nelle scuole nazionali latino-americane, autori come Agustin Barrios e Julio Sagreras, che erano genuinamente romantici, possono benissimo far parte di una ricerca sull'argomento, e io no escluderei nemmeno quei compositori del Novecento storico che consapevolmente e dichiaratamente lavorarono per la creazione di una scuola nazionale, anche se, rispetto all'Europa, in ritardo di mezzo secolo: Ponce e Villa-Lobos in primis. dralig
  11. Agli effetti dell'uso che ne fa un lettore, tra manoscritto e facsimile non esiste nessuna differenza. Il facsimile è infatti (Zingarelli) "la riproduzione esatta, nella forma della scrittura e in ogni particolare, di scritto, stampa, incisione, firma". Le edizioni in facsimile che io ho curato riproducono i manoscritti originali con un normale procedimento fotografico. Quindi, nell'uso del lettore, nessuna differenza. E' chiaro che, patrimonialmente, il possedere il manoscritto originale è altra cosa dal possedere un facsimile - ma questo genere di differenza non ha rilievo in questa discussione. E' normale obbligo professionale , per un insegnante, studiare a fondo quello che dovrà insegnare. Sconcertante è che insegni chi non lo fa. Le riproduzioni in facsimile di almeno due edizioni d'epoca del Metodo di Aguado sono disponibili gratuitamente nel sito della collezione Boije e della biblioteca nazionale danese. Esorto gli allievi (i maestri non dovrebbero aver bisogno di esortazioni) a scaricarle e a leggerle attentamente. Se non sanno lo spagnolo, si aiutino con un dizionario (la costruzione è la stessa dell'italiano=, o meglio ancora imparino la lingua. dralig
  12. Segovia era una persona intelligente, e non può aver detto qualcosa che, oltre che mendace, sarebbe anche ridicolo: nel momento in cui egli accredita in una prefazione HVL di essere capacissimo di diteggiare compiutamente la propria musica, è ovvio che gli riconosce anche, implicitamente, la capacità di saperla scrivere in modo da non aver bisogno di revisione strumentale: infatti, prima di diteggiare le note bisogna scriverle, e se si possono diteggiare in modo da ottenere il rispetto di un Segovia, è ovvio che siano state scritte bene, com'è evidente che furono scritte quelle dei brani di HVL. Che HVL abbia preso atto senza protestare delle modifiche apportate da Segovia allo Studio n. 7 (arpeggi invece che trilli) è verità storica. La frase di HVL al riguardo fu molto divertente, e non la riporto qui perché non ne ho il diritto legale. Suppongo che lo farà Frédéric Zigante nella sua edizione delle Douze Etudes, ma un conto è sentirsi in diritto di cambiare un passaggio di un pezzo nel limite delle proprie esecuzioni, altro conto è pretendere di imporre a un compositore che conosce la tecnica della chitarra al punto in cui la conosceva HVL tali cambiamenti nell'edizione delle proprie opere. Segovia non fece mai questo con HVL: lo fece con Ponce, con Castelnuovo-Tedesco, con Tansman, con Turina, lo fece anche con se stesso (ci sono pezzi che pubblicò in un modo e suonò in un altro), ma non con HVL, e non perché questi glielo proibì ma, semplicemente, perché sarebbe stato fuori luogo. Segovia, del resto, suonò solo due Preludi, quattro Studi e rarissimamente il Choros n. 1: degli altri pezzi di HVL si disinteressò totalmente, perché mai avrebbe voluto correggerli? Quindi, alla storia di Segovia che scrive una cosa e ne dice un'altra, frontalmente opposta, io non ci credo. Sarà stato udito male, o frainteso. Nella corrispondenza tra i due maestri non vi è traccia - nemmeno minima - di una discussione di questo tipo. Gli aneddoti stanno bene al loro posto, la storia è un'altra cosa. dralig
  13. I miei nervi sono saldissimi. Colui che sa non si abbandona a giochi perversi, parla quando sa, altrimenti tace. La filosofia, qui, non c'entra niente: ci sono soltanto dei fatti, chi li conosce e chi li ignora. Eticamente, scrivere di ciò di cui non si sa nulla è scorretto. Se quello che ha da dire è esemplificato in quello che ha detto finora, si stufi pure, sta arando il mare. dralig
  14. Caro Maestro Fabbri, non tema, da parte mia, fraintendimenti di quello che scrive: non sono né ottuso né permaloso, e la franchezza che adopero nei confronti delle persone con cui discuto (e a volte dibatto) è sempre pienamente rispettosa. Io non ho risposto a un candidato a un esame di corso inferiore (quinto anno), ho invece risposto a un lettore, il signor Rossi, che domandava, testualmente: "sto cercando il metodo di aguado, ne ho trovato uno in rete che si chiama "25 pezzi per la chitarra estratto del metodo di aguado" vorrei sapere se ne esiste uno completo....." e ho risposto di conseguenza, innanzitutto informando che "Metodo di Aguado" è praticamente una locuzione che si riferisce a un "work in progress" iniziato nel 1820 e terminato nel 1849 (con una mezza dozzina di edizioni differenti), e poi suggerendo di consultare le ristampe in facsimile delle edizioni d'epoca. Non conoscendo il profilo della formazione del lettore, non vedo perché avrei dovuto decidere che si trattava di un candidato all'esame di quinto anno e somministrargli le informazioni sul metodo aguadiano seguendo una posologia da pediatra. Lei si è formato sull'edizione Gangi-Carfagna? Benissimo. In Spagna, è tuttora in auge l'edizione di Regino Sainz de la Maza, in Argentina quella di Antonio Sinopoli, etc etc., e io, oltre a studiare le edizioni originali, ho letto accuratamente anche tutte quelle moderne e tradotte. Al lettore che vuole conoscere Aguado, ho suggerito di leggere Aguado. Se il lettore avesse domandato quali erano le revisioni moderne del metodo di Aguado, avrei risposto elencando tutte quelle che conosco e, tra di esse, anche quella che Lei ha adoperato. Quanto alla Sua metafora dei bastoncini e dei fiammiferi, potrei risponderLe che chi voglia andare a Napoli partendo da Roma non ha bisogno di passare per Milano o per Budapest. Ma forse, è più efficace ricordare quello che dice il sommo poeta: "...Che il perder tempo a chi più sa, più spiace". dralig
  15. Caro Piero, un conto sono gli aneddoti, un altro conto sono i documenti. Segovia apportò delle modifiche in alcuni punti dello Studio n. 7 nelle sue, personali esecuzioni e nella sua incisione, ma non volle modificare l'edizione, e lo dichiarò esplicitamente. Non abbiamo, quindi, versioni segoviane dei pezzi di HVL così come le abbiamo invece dei brani di Ponce, Moreno-Torroba, Turina, Tansman, Castelnuovo-Tedesco, Mompou, etc. Non credo che Segovia abbia, da un lato, scritto che intendeva lasciare la musica di HVL così come il compositore l'aveva scritta e, dall'altro lato, abbia dichiarato il contrario, affermando che l'avrebbe voluta cambiare, ma che HVL non lo permise. Non lo credo perché ho letto con i miei occhi le lettere - anzi, le ho pubblicate per primo - in cui HVL gli chiedeva di scrivere le diteggiature. Stiamo ai fatti, per favore. dralig
  16. Prima di far ricorso alla scienza e alla filosofia, è bene attenerci alla semplice regola di non scrivere di cose di cui non si sa niente: non esistono "versioni Segovia" dei testi delle musiche per chitarra di Villa-Lobos. Segovia non solo non intervenne nella loro stesura e nella loro pubblicazione ma, espressamente richiesto dal compositore di scrivere le diteggiature delle "Douze Etudes", rifiutò cortesemente, e insistette perché fossero pubblicate quelle dell'autore. dralig
  17. Io ho detto che è imprescindibile, per uno studioso di oggi, e anche per uno studente, entrare in possesso di tutte le edizioni d'epoca, curate dall'autore medesimo, e di esaminarle accuratamente. Questa è l'operazione fondamentale, resa facile dalla disponibilità di chiare ristampe in facsimile delle edizioni d'epoca. Se poi, individualmente, qualcuno preferisce adottare un'edizione moderna, è liberissimo di farlo. Io però sono liberissimo di evitare di consigliarglielo, e non perché non conosco le varie edizioni moderne, ma appunto perché le conosco, e preferisco gli originali. dralig
  18. Dal 1829 fino al 1849 (anno della sua morte), Aguado continuò a lavorare al suo Metodo, pubblicandone diverse edizioni. Normalmente, oggi ci si riferisce al "Nuevo Metodo para Guitarra" del 1843, l'edizione più ampia, ma è bene leggerle tutte, a partire dalla "Coleccion de Estudios" del 1820 fino all'Appendice del 1849, passando per l'edizione in francese del 1826. Ciascuna edizione ha infatti parti esclusive. Esistono edizioni in facsimile di Chanterelle e di Minkoff- Non solo il Metodo di Aguado esiste, ma è il Metodo per eccellenza. dralig
  19. Benissimo. Vedo - e non mi sorprende - che siamo al punto. Ogni musicista autentico ha un suono interiore proprio, da cercare, e questa sarà la sua principale occupazione per il resto dei suoi giorni. Può cercarlo suonando uno strumento (e non vi è dubbio che tutti i grandi strumentisti si siano connotati in una personalissima impronta di suono, vedi, per stare in ambito chitarristico, Segovia), oppure dirigendo, cantando, etc., ma forse è la composizione il terreno dove più efficacemente si può cercare, plasmare, forgiare questo "suono". La sua parvenza può anche essere variabilissima, ma la sua sostanza è unica e riconoscibile all'istante: il clavicembalo di Scarlatti, il pianoforte di Chopin, la chitarra di Villa-Lobos... Probabilmente è un mezzo per connettersi alla propria origine remota (e ignota), ma è certo che ha molto poco che vedere con il mondo reale. Tuttavia, la rappresentazione in suono reale, rivelato, di questo "urklang", è l'obiettivo artistico della ricerca di ogni vero musicista. Non starò mica facendo il verso ai filosofi della musica? Ma no: come Bud Spencer, io stavo solo passando di lì per caso. dralig
  20. "Allora io vidi i colori del mondo" (Joao Guimaraes Rosa, "Grande Sertao"). Citato in epigrafe allo Studio n. 40. dralig
  21. Infatti, stai suonando la musica di un determinato compositore, ed è giusto che a quella tu pensi, mentre suoni. Ma suonare, cioè eseguire fisicamente, è l'atto conclusivo di una ricerca interpretativa, e il sapere che "Paesaggio lombardo" è una meditazione, non sulle vedute del lago di Garda, ma sulla pittura di Ennio Morlotti, può risultare molto utile ai fini di indirizzare la tua interpretazione prima di suonare il brano. Morlotti dipinse con materica, informale libertà, pur senza abbandonare il riferimento alla realtà, che nei suoi dipinti è riconoscibile. Nello studio in questione, il paesaggio musicale è rappresentato dall'allure di canzone popolare: non è una citazione riconducibile a motivi esistenti nella tradizione, è invece un "modo di cantare". E informale, come vagante nell'etere, è l'episodio accordale che rievoca i suoni delle campane. Se capisci queste cose, se, prima di suonare il brano e, al fine di impararlo, vai a guardare dipinti come "Sera a Imbersago", e metti in moto il pensiero, ti ritroverai sicuramente con molte idee riguardo al "come" suonare il pezzo. Capito? Gli "Studi" sono per chitarra, il che non vuol dire che siano per tutti i chitarristi. Solo per alcuni. dralig
  22. Anche a me piacciono molto i quadri in casa, creano una bella atmosfera... Dal punto di vista musicale, la pittura non alcun potere su di me, al contrario di Gilardino, o sbaglio? Trovo difficile comprendere come, da un lato, ti piaccia molto l'atmosfera creata dai quadri in casa e, dall'altro lato, ciò non eserciti alcuna influenza sul tuo lavoro (di musicista, ma potrebbe trattarsi di qualunque altro lavoro). La nostra psiche è fortemente influenzata da ciò che ci circonda (persone, cose, "atmosfere"), anche se non ce ne rendiamo conto. Quanto a me, parlano i titoli (e le "atmosfere") delle mie composizioni... A volte mi accade di pensare che, se avessi bisogno di un lavoro, fare la guida in una mezza dozzina di musei d'Europa non mi costerebbe proprio nessun sforzo. dralig
  23. "Suoni notturni", il suo primo brano per chitarra, è dedicato "al caro Afro", cioè Afro Basaldella (1912-1976), uno dei maggiori esponenti dell'astrattismo lirico italiano; mentre "Nunc", l'altro suo pezzo per chitarra, è dedicato "a Rosetta", cioè alla moglie, brava pittrice. So che il maestro aspirava ad aggiungere alla sua collezione d'arte lavori di artisti che stimava, ma ai quali dovette rinunciare per mancanza di fondi: il collezionismo d'arte è riservato ai capitani d'industria. Casella a volte dava concerti solo per guadagnare il denaro necessario ad acquistare un quadro. Lo dichiara senza mezzi termini in una sua lettera a Casorati, che per la verità gli aveva offerto un suo quadro in cambio della dedica di un pezzo di musica. Ma Casella non volle obbligarsi, e preferì comperare il Casorati, pur dovendo, per arrivare a tanto, arrampicarsi sugli specchi. Stravinskij amava la pittura di Giorgio Morandi, e gli scrisse anche una lettera, per stabilire un contatto. Ma Morandi, pur sapendo chi era il mittente, non gli rispose. Forse, gli avevano detto che il compositore era notoriamente tirchio, e lui, Morandi, aveva una lista d'attesa di parecchi anni, per cui non poteva permettersi di fare regali. Musicisti la cui casa è piena di quadri, ne conosco. Uno, in particolare, mi è noto da 66 anni e 4 mesi... dralig
  24. Vogliono dire di continuare nella formula di arpeggio fin tanto che si ha la possibilità di accelerare o comunque fino a che non si sente di aver raggiunto la saturazione. Sono passaggi di arpeggi non metrificati in cui è lasciata all'esecutore la libertà di decidere la durata delle singole fasi. Avrai notato che, mentre la composizione di McGuire è diteggiata, quella di Gardner Read non lo è. Preferii pubblicarla esattamente come il compositore l'aveva scritta, senza alcun intervento da parte mia, proprio perché rappresentava ai miei occhi, più che un pezzo per chitarra, un pezzo per uno strumento virtuale con il suono di una chitarra, non praticabile su una chitarra reale e comunque non da parte di un chitarrista "umano". Read apprezzò la mia decisione. Non serve un secondo chitarrista, bisogna riscrivere il pezzo da cima a fondo. Del resto, è quello che feci con i "Variati amorosi momenti" di Dalla Vecchia...Tra l'originale e la versione pubblicata corre una bella differenza. dralig
  25. E' una questione di esercizio. Con il tempo, abituandosi a lavorare a tavolino (o in qualunque altro luogo, anche esterno), Le diventerà possibile scrivere quello che ha in mente, o immaginare come suona quello che scrive, accettando l'inevitabile scarto tra l'immagine musicale e la sua reale corporeità sonora. Il vero problema si verifica quando le "cose non te le suonano" per niente. La peggior sorte che possa toccare a un pezzo di musica è il silenzio, quello che lascia l'autore solo nella sua convinzione (se è abbastanza salda) che un giorno la sua musica verrà compresa e suonata e ascoltata. Mentre, quando gli interpreti se ne impossessano, si sa benissimo che ciascuno di essi la eseguirà in modo proprio: ma, se ci pensa bene, questa è una fortuna. Anche perché, alla fine, l'autore non riesce mai a immaginare la sua musica due volte allo stesso modo: davanti al suo scritto, l'immagine sonora che gli si forma nella mente è sempre lievemente diversa ogni volta che egli la rincorre. Non si scrive la musica, si scrivono dei codici per mettere chi sa leggere, a partire da se stessi, in condizioni di immaginarla, ma la mente musicale di chi decifra costruisce a propria volta un'immagine sonora, e pensare che questa possa coincidere con quella dell'autore (dato e non concesso che costui riesca a definire un'immagine definitiva di quello che ha scritto) è illusorio e, se mai fosse realizzabile, renderebbe tutto davvero molto triste, perché prevedibile, e dunque tedioso. Bisogna dunque accettare l'evidenza che la musica eseguita, reale, vibrante, è il risultato di una compartecipazione che ha all'origine l'idea musicale, poi la sua scrittura, poi la sua lettura, la sua esecuzione e la sua audizione. E a tutte queste fasi concorre la soggettività dei singoli partecipanti, nella sua imprevedibile e variabilissima multiformità. La notazione, che è bene curare con scrupolo, serve solo a costruire gli argini nei quali scorre la musica, ma non è niente di più. dralig
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