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Angelo Gilardino

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Risposte pubblicato da Angelo Gilardino

  1.  

     

     

    Maestro, non crede che se ne fossi stato a conoscenza del fatto che Julia fosse una bambina e non una ragazza. le pare che avrei scritto che se ne sarebbe innamorato?

     

    Mi scuso per aver formulato una serie di domande, non credevo di avere risposte dure in merito. Eppure le mani nella fondazione Segovia arriverò a metterle anch io.

     

    Le mie risposte sono - almeno credo - precise, ed è questo che m'importa. Se, pur osservando le norme della buona educazione, posso sembrare duro, pazienza: ho imparato a sopravvivere anche tra persone che non mi trovano simpatico.

     

    Di mani, nella Fondazione Segovia attualmente ce ne sono anche troppe - incluse quelle degli avvocati che rappresentano le parti opposte in una dura (questa si) e spiacevole contesa, e comunque quel che di utile c'era da fare per il repertorio e per la storia della chitarra è stato fatto. Il genere di cose che restano da fare è del tutto estraneo ai miei interessi e, credo, a quelli di qualunque musicista.

     

    dralig

  2.  

     

    m° posso chiederle se e quale opinione aveva Segovia dei propri lavori?

     

    Era consapevole del fatto di non avere la preparazione tecnica per comporre lavori ampi e complessi, e di poter scrivere soltanto pezzi brevi. Aeva idee originali, un mondo suo, ma non l'abilità, il tempo e la fiducia in sé necessari per comporre "sul serio". Di tutto ciò, era consapevole, e se ne crucciava, ma con ritegno: il suo immenso successo come concertista non gli lasciava spazio per la frustrazione.

     

    Bisogna aggiungere che i tipi con cui dialogava erano dei veri maestri: Castelnuovo-Tedesco e Ponce maneggiavano gli arnesi del compositore con una padronanza tale da far passar la voglia, a chi pensasse che, per scrivere musica, basti mettersi con una chitarra in grembo, la domenica mattina, ad annotare ghiribizzi.

     

    dralig

  3. Grazie maurizio ho letto le notizie e sono davvero importanti. Penso che abbiamo avuto la stessa idea a formulare la stessa domanda. Infatti pensandoci bene x me è un po "strano" che Segovia non suonò mai Barrios, e poi chissà perchè Barrios gli diede solo il manoscritto di Julia Florida, nn autografato, e non di altre composizioni.

    Eppure so che Julia Flroida Barrios la compose per una ragazza che egli stesso conosceva e che se ne innamorò, dicerie?

     

    Ma poi bisogna dire un altra cosa : Segovia, commissionò in quegli anni, molti musicisti a comporre musica per chitarra, cosa aveva di strano Barrios? Forse perchè, Segovia, ne aveva visto in lui un personaggio dall' aria sinistra, e che gli avrebbe "rubato" il palcoscenico?

     

    Al posto di Segovia, avrei comunque portato nelle sale di tutto il mondo la musica dell' umile Barrios.

     

    "Julia Florida" fu scritta nel mese di dicembre del 1938 per Julia Martinez, una bimba, nipote di Francisco Salazar, un ammiratore e sostenitore di Barrios. Martinez, che abitava a Costa Rica, ospitò il chitarrista e sua moglie Gloria in una casa che mise a loro disposizione, e la Barcarola fu un modo per manifestare gratitudine al suo benefattore. Non vi sono evidenze storiche né di un innamoramento di Barrios per la bimba Julia né, più in generale, che egli fosse pedofilo, anzi tutto quello che si sa delle sue relazioni indica decisamente il contrario.

     

    Sostenere che Segovia avrebbe dovuto suonare Barrios significa non aver capito che cosa ha fatto Segovia, e come. La sua diversità dai chitarristi suoi contemporanei si manifestò proprio nella risolutezza con cui egli scelse di interpretare musica scritta da compositori "veri", e non da chitarristi che componevano, e questa scelta fu una delle sue carte vincenti, probabilmente la più importante. Diversamente da molti chitarristi di oggi, egli era consapevole dell'importanza del repertorio, e la musica di Barrios - per quanto ispirata e ben scritta per lo strumento - non sarebbe servita agli scopi che Segovia si prefiggeva, e che conseguì.

     

    Una curiosità, a margine: perché si lamenta sempre che Segovia non abbia suonato Barrios, e mai il contrario? All'epoca in cui Barrios era attivo, c'erano parecchie composizioni di Segovia pubblicate e disponibili. Barrios non le eseguì mai, e giustamente nessuno gliene fa carico. La lista delle composizioni che Segovia non suonò comprende pagine scritte per lui, ben più alte della musica di Barrios. Eppure, il refrain "perché Segovia non suonò Barrios" risuona da anni come in un disco rotto.

     

    dralig

  4. E' vero, maestro, le note acute tendono a sparare subito per poi spegnersi rapidamente....

    Un liutaio di mestre mi ha detto che questo è dovuto proprio alla posizione dei fori vicino alle estemità della tavola dove, ipotizza lui, data la maggior rigidità della tavola, vanno a "lavorare" le frequenze relative alle note più acute.

    Io non ci metterei la mano sul fuoco per sostenere questo...ha trovato lei (anche se non dimostrato scientificamente) delle spiegazioni a questo?

     

    Non ho trovato finora spiegazioni convincenti né, tanto meno, dimostrazioni scientifiche del fenomeno. Si tratta di vere e proprie elisioni, non di armonici, ma di fondamentali, che vengono di colpo "mangiate" dallo strumento che le ha appena emesse.

     

    dralig

  5. Non c'è nulla di strano, il fatto che non ha la buca al centro ma ha un foro sulla parte superiore della tavola non vuol dire che non suoni, anzi.

    La mia garrone è simile a questo modello (ponticello quasi uguale), ha la buca divisa in due proprio in corrispondenza del foro di questa chitarra e posso dire che i risultati (potenza di suono) sono molto buoni.

     

    La posizione classica della buca mi pare corrisponda anche a una precisa posizione della mano destra, che si allontana o si avvicina ad essa per ottenere effetti sonori diversi.

    Con una apertura della tavola armonica strutturata in questo modo, cosa cambia nel modo di suonare del musicista?

    Mi sono posta la stessa domanda anche per la chitarra che spesso usava Abel Carlevaro.

     

     

     

    Butterfly

     

    Nel modo di suonare non cambia niente, salvo qualche aggiustamento mentale di poco conto. L'idea che ha guidato alcuni costruttori alla sostituzione della bocca tradizionale con due bocche spostate verso le fasce superiori è teoricamente fondata: la tavola concorre alla formazione del suono (intensità, durata e modi di vibrazione, cioè timbro) nella misura in cui vibra, e trattandosi di una sospensione elastica, è ovvio che al suo centro - cioè più lontano dai punti di ancoraggio ai bordi perimetrali - la vibrazione sia più ampia. In questo senso, è indubbio che la bocca sottragga una porzione di tavola potenzialmente utile alla vibrazione. Spostando la bocca (semplice o doppia, o sostituita dalle effe) verso i bordi, dove la tavola tende a irrigidirsi e a vibrare poco, si aggiunge superficie vibrante, e non si perde nulla, perché le bocche vicino ai bordi prendono il posto di parti della tavola non utili alla formazione del suono. Fin qui, tutto bene - gli esperimenti confermano un incremento di intensità del suono. Nascono però dei problemi - finora misteriosi - di armonici che scompaiono o che aumentano a dismisura e, in certi casi, di note (il do sulla prima corda) che non fanno nemmeno in tempo a farsi udire, e già sono sparite.

     

    dralig

  6. L'iunica convenzione che personalmente considero è di essere coerente con lo spartito e con l'autore. La "personalizzazione" della musica, soprattutto nel repertorio antico, è cosa rischiosa. Non a caso sono pochi quelli in grado di dire qualcosa suonandola, senza girare nella solita minestra. Certo, la chitarra è uno strumento di compromesso per quanto riguarda un certo repertorio, ma prefersco ascoltare una suite per liuto sulla chitarra, ben suonata e, appunto, senza troppi sbrodolamenti, che su un liuto approssimativo, tipo quello di Bream, che di liuto aveva solo la forma ma per il resto era assolutamente una chitarra...(senza nulla togliere al grande Bream, ma quelle esecuzioni non mi piacciono). In sede di esami e concorsi bisogna innanzitutto convincere chi ti ascolta di essere cosciente delle proprie scelte esecutive, al di là ancora della loro valenza filologica.

    Ciao!

     

    Lo studio delle prassi esecutive non è un punto d'arrivo, ma un sussidio che si integra alla preparazione dell'esecutore aggiungendosi alle sue conoscenze (solfeggio, armonia, contrappunto) e alla sua tecnica: come il saper decrifrare le note, scandire il ritmo, comprendere la concatenazione delle armonie, il saper trattare l'ornamentazione, le inegalités, etc., secondo lo stile dell'epoca, giova per rendere la musica in modo appropriato, senza costituire né una garanzia (se un esecutore è mediocre o scadente rimarrà tale anche dopo aver appreso le prassi, posto che ci riesca) né una gabbia vincolante (al contrario, nella musica antica il margine di libertà lasciato all'esecutore è maggiore di quello di cui egli dispone nello stile classico). Menar vanto della propria conoscenza delle prassi non ha maggior senso di quanto ne avrebbe dichiarare nel proprio curriculum di saper leggere la musica e di saper classificare le successioni di accordi. Prepararsi a dovere è indispensabile, ma far musica con arte è qualcosa che, presupponendo la preparazione, è di dominio del singolo artista.

     

    dralig

  7. Mi piacerebbe saper fare domande piu' profonde dal punto di vista musicale, perchè credo che poter parlare con un autore della sua opera sia un privilegio raro,

     

    Butterfly

     

    Non è detto. Un compositore parte con un'idea e poi, strada facendo, la modifica "imparando" dalla sua stessa opera in costruzione come deve procedere, e dunque che cosa fare. L'idea iniziale può rimanere salda dal punto di vista poetico, ma è pressoché certo che, nel processo costruttivo, quello che era il progetto originario subisce, dal punto di vista formale, tali e tante modifiche da risultare, alla fine, qualcosa di inaspettato anche agli occhi dell'autore.

     

    Scrivere per quattro chitarre è difficile, perché non ci sono modelli "alti". Chi vuole scrivere per quartetto d'archi trova, da Beethoven a Bartok, una tale dovizia di modelli altissimi da permettergli di sapere tutto, o quasi, su come si scrive un quartetto prima di cominciare: quei diavoli hanno fatto proprio il possibile, l'impossibile e anche i miracoli.

     

    Il quartetto di chitarre, invece, è cosa nuova. Non si può pensare di adottare i modelli dei maestri che hanno scritto per quartetto d'archi e adattarli al quartetto di chitarre: è partita improba, può che persa in partenza. Bisogna quindi studiare molto ed elaborare un proprio modello mentale, un'idea a partire da niente, o quasi. E questo richiede già un impegno notevole. Ma poi, escogitato il modello, bisogna creare la musica per renderlo esplicito, manifesto, vivo: e Le assicuro che è un gran brutto affare. Comunque, "anche questa è fatta", e speriamo che sia stata fatta bene.

     

    Non ho finora potuto ascoltare il lavoro, ma il 20 ottobre andrò a Brescia a sentire il concerto di Antonio Rugolo e colleghi: sono molto fiducioso.

     

    dralig

  8. Quali sono e cosa rappresentano per l'Autore le "feste lontane"?

     

    Butterfly

     

    I tre tempi della composizione s'intitolano rispettivamente:

    Danubiana

    Veneziana

    Vesuviana

     

    Il primo tempo evoca il valzer viennese e la Wassermusik; il secondo tempo, le notti veneziane (è una barcarola, infatti); il terzo tempo, evoca un baccanale pompeiano (l'ultimo prima della catastrofe) e le canzoni napoletane.

     

    L'idea viene da Falla ("Fiesta lejana en un jardin", da "Noches en los jardines de Espana").

     

    Non importa, all'autore, se le feste che egli evoca con la sua musica si siano effettivamente svolte come lui le immagina, o se siano invece frutto della sua invenzione.

     

    Aere perennius.

     

    dralig

  9. Confermo la smisurata stima in me stesso. Ma ho ancora una curiosità da buttare via: la Berben è una grande casa editrice? Nel caso riteniate di si, come immagino, qual'è la percentuale di rischio che si prende nel proporre autori nuovi? Nel caso in cui chieda soldi come contributo fisso ad autori che comunque hanno già fatto delle cose e le cui cose si conoscono e si suonano (pur in ambienti relativamente piccoli come il nostro)...è pari a 0. Ah i mecenati di un tempo...sono mecemorti (scusate, ho i consigli di classe fra due minuti... :(:|:D

     

    Non parlo per nessun editore, ma Le assicuro che, se vengono richiesti contributi, è perché non c'è stima nei confronti del compositore. Se questi paga, butta il suo denaro dalla finestra. Quello che farebbe comprando 200 copie della sua musica e regalandole (o vendendole) nella cerchia delle sue relazioni, lo può fare benissimo da sé e per sé, stampando e/o mettendo on line la sua musica, e senza cedere né denaro né diritti a un editore che, in cambio, non offre nulla. Quindi, se ha rispetto di Lei stesso e della Sua musica, non si lasci andare a una simile debolezza.

     

    Per la Sua battuta sui mecenati, converrà con la mia esortazione a versare, a titolo di ammenda, 10 euro alla più vicina associazione di beneficenza o volontariato. E mi trattengo.

     

    dralig

  10.  

    Comunque sicuramente non è un male aprisrsi e studiare anche altri "versanti" lontani (poi lo sono veramente?) dal nostro mondo "classico"

     

    un saluto Roberto Fabbri

     

    sarebbe necessario prima intendersi su cosa sia "il nostro mondo classico"... :roll:

     

    Cito a memoria - scusandomi per la possibile imprecisione - una immortale battuta del principe Salina (il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa) rivolta a chi lo informa che non ha nulla da temere dai garibaldini appena sbarcati in Sicilia, grazie alle buone referenze che su di lui verranno rilasciate dalla servitù, sempre ben trattata. "Va a finire", commenta don Fabrizio, "che avrò salva la vita perché tengo in casa Bendicò" (un grosso cane).

     

    Suvvia Fabio, usciamo dai nostri recinti, e ammettiamo che tra noi e Nilla Pizzi c'è solo qualche anno di differenza, tutto lì: "il nostro mondo classico" ha tutto da guadagnare nel tonificante contatto con "Grazie dei fior" (Umberto Eco docet).

     

    dralig

  11. parecchi nel terzo.

     

    dralig

     

    a livello formale?

     

    Formalmente, il pezzo (un rondò all'antica) sembra a posto, salvo un'indicazione di tempo che è fuori luogo. Non è sicuramente di Ponce l'accordo a sei note all'inizio di ogni ritornello - tipica espressione segoviana -, da ridurre a quattro parti (senza raddoppi nella quinta e quarta corda), e l'accordo successivo è incompleto (manca una parte). Cioè, si trattava di due accordi a quattro parti (equilibrati) e non di un accordo a sei e di un altro subito dopo a tre parti (il che musicalmente non ha senso). L'accordo all'inizio della misura 5 non è originale, a misura 9, sul secondo tempo, manca un'armonia, eccetera eccetera.

     

    dralig

    Angelo, ti chiedo, ma secondo te, non sarebbe più giusto eseguire la versione segoviana? voglio dire, in fondo tra di loro esisteva una strettissima collaborazione e se vogliamo, anche un patto d'intesa non scritto. Ponce scriveva per Segovia ed è grazie a questi che oggi abbiamo tutte queste opere bellissime.

     

    Oltretutto le armonizzazioni e la revisione di Segovia sono ben fatte, curate, efficaci e secondo me vi sono molti casi in cui sono più interessanti dell'originale. Che ne pensi?

    Mi sto accingendo a studiare l'intera opera ponciana ed ho deciso appunto di seguire quella revisionata da Segovia.

    Secondo te è sbagliato?

     

    Caro Francesco, sta per uscire, a cura della rivista Guitart, un mio saggio biografico su Ponce, nel quale ho spiegato qual era la situazione del compositore nel suo mondo, nel mondo della musica e nei riguardi di Segovia. Per comprendere l'arrendevolezza del compositore rispetto alle modifiche apportate alla sua musica da Segovia, occorre conoscere a fondo il loro rapporto: ho cercato di renderne chiare le singolari modalità.

    Penso che, se tu hai già raggiunto la conclusione che le versioni segoviane sono "più interessanti dell'originale", non ci sia motivo per dissuaderti: non sei uomo e artista dalle idee labili e facile alle conversioni, e io rispetto la tua scelta.

     

    Mi sembra però che, nel caso di esecuzioni pubbliche e ancor più nelle registrazioni (specialmente se integrali), ove si adotti la versione di Segovia, sia necessario scrivere nei programmi: Manuel Ponce, revisione di Andrés Segovia.

     

    Ovviamente, io potrei spiegare per filo e per segno perché, in un determinato passo, Ponce ha usato un'armonia a quattro parti, e come sia eccentrico modificare quest'armonia, da un lato aggiugendo raddoppi superflui e dall'altro togliendo voci essenziali. Però non credo che queste argomentazioni abbiano valore agli occhi dei chitarristi che sono stati folgorati da Segovia. Il loro è un punto di vista influenzato dall'autobiografia e dai sentimenti, e farli ragionare è impossibile. Specialmente quando, come nel tuo caso, suonano in modo eccellente.

     

    dralig

  12. parecchi nel terzo.

     

    dralig

     

    a livello formale?

     

    Formalmente, il pezzo (un rondò all'antica) sembra a posto, salvo un'indicazione di tempo che è fuori luogo. Non è sicuramente di Ponce l'accordo a sei note all'inizio di ogni ritornello - tipica espressione segoviana -, da ridurre a quattro parti (senza raddoppi nella quinta e quarta corda), e l'accordo successivo è incompleto (manca una parte). Cioè, si trattava di due accordi a quattro parti (equilibrati) e non di un accordo a sei e di un altro subito dopo a tre parti (il che musicalmente non ha senso). L'accordo all'inizio della misura 5 non è originale, a misura 9, sul secondo tempo, manca un'armonia, eccetera eccetera.

     

    dralig

  13. particolare è il caso della musica "contemporanea" colta. Più di una volta, alla ricerca di una partitura irreperibile in negozio (di compositori piuttosto conosciuti nell'ambito), internet e biblioteche, mi sono rivolto direttamente alle case editrici, sottolineo, Grandi Case Editrici, le quali mi hanno dato in omaggio ciò di cui ero alla ricerca. Non so se questo voglia dire..."la vendita della partitura di...vale il corrispettivo di una biro nel complesso del budget aziendale" o altro

    ...triste in ogni caso, molto triste, non tanto per i compositori i quali non campano certo delle copie vendute, neanche per gli editori i quali probabilmente sanno quello che fanno 8) quanto delle conseguenze della pessima distribuzione di materiale che potrebbe essere molto utile allo studente e allo studioso ecc ecc...

     

    Fatto salvo il principio che l'editore - in quanto imprenditore - non può addossare agli autori il rischio d'impresa, e muoversi solo nell'area del non-rischio o del profitto garantito, gli autori di composizioni che richiedono capacità di lettura e di comprensione da parte degli interpreti, sanno benissimo di non poter fare affidamento su introiti significativi dalla vendita delle copie stampate della loro musica.

     

    Le entrate dei compositori risiedono principalmente nei diritti d'autore provenienti dalla esecuzioni e dalle registrazioni e dalle commissioni per scrivere pezzi riservati in esclusiva ai rispettivi committenti.

     

    dralig

  14. Ma comprare 100-150 copie del proprio lavoro....non è pagare?A me pare di si, messo solo in un'altra forma.... ;)

     

    Dipende. Se un autore ha effettivamente bisogno di un numero rilevante di copie per distribuirle tra coloro a cui ritiene di doverle dare, è giusto che le comperi e che le paghi (in genere, gli editori praticano all'autore lo sconto accordato ai negozi). Se invece l'autore non ha bisogno di una quantità rilevante di copie, e gli bastano le cinque o dieci copie gratuite previste dal contratto, è chiaro che, comprandone 100 o 150, sta in pratica contribuendo a pagare le spese di stampa. E, se ha stima di se stesso, non deve farlo.

     

    dralig

  15. Lei crede che la Sonata III del manoscritto sia tanto differente dall'edizione che conosciamo noi oggi? Si potrebbe capire questo vedendo gli altri manoscritti delle Sonate?

     

    Certo, acquistando conoscenza dello stile del compositore, si può capire, leggendo le sue opere di cui non esiste manoscritto, qual è lo strato originale e qual è lo strato segoviano. Ho fatto questo lavoro, ad esempio, per le Variazioni sulla Follia.

     

    dralig

  16. Sono del tuo stesso parere.

    Il mezzo elettronico ha delle potenzialità enormi e credo che affidare i propri lavori ad un editore tradizionale abbia senso solo se ci sono delle garanzie.

     

    Nessun editore - né grande né piccolo - può garantire alcunché. Ciascuno deve fare la sua parte: il compositore deve scrivere musica valida, l'editore deve spendere denaro e lavoro per farla conoscere. Però nessuno dei due ha in mano le chiavi del "successo", intendendo con questo termine la buona riuscita di un sano proposito di diffusione della musica tra gli interpreti e, tramite loro, nell'apprezzamento degli ascoltatori potenzialmente interessati.

     

    Comunque, non ci sono segreti: l'editore acquisisce il copyright, e deposita alla Siae, congiuntamente all'autore, l'opera da pubblicare. La stampa a sue spese, riserva all'autore dieci copie gratuite, e divide con il medesimo i diritti di esecuzione pubblica, di registrazione e di utilizzo da parte di terzi in ragione del 50% ciascuno. Questi diritti vengono pagati semestralmente dalla Siae sia all'editore che al compositore.

     

    Inoltre, l'editore corrisponde all'autore il 10% delle vendite delle copie stampate (percentuale calcolata sul prezzo di copertina).

     

    Questo lo standard per un contratto serio, gli altri contratti sono capestri per compositori di poco o nessun valore - ma spinti dall'ambizione e, ahiloro, illusi - o molto ingenui.

     

    dralig

  17. Ad un compositore che vuole farsi conoscere conviene o no pagare (perchè ho visto che è praticamente così che si fa) per farsi pubblicare? Dico, pagare nel senso di "contributo" per la stampa :D ...che ne dite? pur credendo nei miei lavori sono un pò timoroso, per parlar bene, della cosa, anche se mi rendo conto che, in fondo, si parla pur sempre di commercio. Resto in attesa :idea:

     

    Non lo faccia. Se un editore crede nella Sua musica, lavorerà per sostenerla, cominciando con l'investire i suoi denari nella stampa, nella pubblicità e nella diffusione (copie omaggio, etc.). Se chiede contributi, è perché non si fida della musica e ritiene che non sia un buon investimento: si fa quindi pagare per non rischiare. Si può star certi che, una volta incassato il corrispettivo, non muoverà un dito per sostenere e promuovere la musica e l'autore.

     

    Chi vuole la mia musica - dice il compositore consapevole del suo valore - la deve pagare come io pago qualunque cosa che mi serve e/o che mi piace.

     

    Non defletta.

     

    dralig

  18. Precisando che suono la sonatina meridional di ponce come da manoscritto, ero curioso di sapere quale delle due versioni preferite:

    Da manoscritto o revisione Segovia?

     

     

    Io non conosco la versione del manoscritto.... è stata pubblicata o registrata?

     

    Si, è stata pubblicata da Schott in un nuovo volume di opere di Ponce a cura di Tilman Hoppstock e, prima ancora di tale pubblicazione, la chitarrista Piera Dadomo l'aveva registrata in un suo CD monografico dedicato a Ponce e pubblicata da Map.

     

    dralig

  19. Non posso nascondermi.

    Sono un gadan in piena regola.

     

    Non ho capito bene la sua domanda, potrebbe riformularla?

     

    La mia domanda sorge dal tuo racconto degli epiteti che ti sono stati rivolti, e che tu, in alcuni tuoi messaggi, hai riferito testualmente. Ho supposto che ciò sia avvenuto in ambito scolastico o comunque formato da tuoi coetanei.

     

    dralig

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