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Angelo Gilardino

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Tutti i contenuti di Angelo Gilardino

  1. Ricordo che ascoltai la Sonata n.1 in un concerto di Marco de Santi, mi pare ad Orbassano...fu il mio primo incontro "live" con la musica del Maestro, del quale ammiravo, oltre alla musica, la prosa fluida che ero solito leggere sul Fronimo. Fu anche la prima volta che lo vidi in carne ed ossa, ma non osai rivolgergli la parola. D'altronde cosa avrei potuto dirgli? Che ero uno studente di chitarra? Lo ricordo seduto su una panchetta, mentre sbuffava, immerso in altri pensieri. Tantò bastò per tenermi alla larga. Bastava portarmi un sontuoso gelato, e avrei subito smesso di pensare. dralig
  2. Esattamente. Fu composta a Palma nella primavera del 1986, in omaggio all'arte di uno dei grandi maestri della pittura dell'isola di Mallorca. Ramon Nadal mi onorò con la sua amicizia, e mi fece trascorrere ore indimenticabili nel suo studio. dralig
  3. Mi scusi, Francesco, ma assegnarLe un compito - in vista di qualunque obiettivo (saggio o altro) - non è un atto didattico? Secondo me, è una delle azioni tipiche e caratterizzanti dell'insegnamento, e il fatto che, a chiamarLa a tale impegno, non sia stato uno dei suoi docenti ordinari, non cambia proprio nulla. Vada dal docente che Le ha assegnato il lavoro, gli domandi qual è lo scopo e gli chieda precise istruzioni su come svolgerlo: se si prende le sue responsabilità, e Le spiega quel che deve fare e come farlo, è un docente responsabile, altrimenti non lo è, e in tal caso non si tratterà di "dare buca", ma di rifiutarsi risolutamente di fronte a un impegno insensato. In ogni caso, non faccia una cosa che non vuol fare. Io, alle scuole medie, mi rifiutai di imparare a memoria "La leggenda di Teodorico" di Giosuè Carducci, e quando l'insegnante mi chiamò a recitarla, Le dissi che non l'avevo imparata perché era una poesia brutta, tronfia e stupida. Potrà sembrare strano, ma non mi rimproverò: mi impose di imparare a memoria, per la lezione seguente, un'altra poesia, ugualmente lunga, che non mi sembrasse stupida. Alla memoria di quell'insegnante, due anni or sono ho dedicato una delle mie composizioni. dralig
  4. Quando si abbandona l'aula dopo aver ricevuto una lezione, è indispensabile porsi le seguenti domande: 1) ho imparato qualcosa che, prima di entrare, un'ora fa, non sapevo? 2) So che cosa devo fare adesso? 3) So come farlo? Se la risposta a queste domande è affermativa, si è trattato di una lezione, altrimenti è stata una perdita di tempo. Non importa se, rispondendo affermativamente, si pensa anche che il docente è antipatico e se, rispondendo negativamente, si pensa che però il docente è simpatico e la lezione è stata divertente. Se non si può dire, alla fine di una lezione, tre volte "si", bisognerà trovare altre soluzioni. I compiti della cui utilità non si è convinti vanno rifiutati: "Professore, io non ho capito perché devo fare questo lavoro. Me lo spieghi e mi istruisca sul modo di svolgerlo, altrimenti io non lo farò". Chiaro e tondo, senza fronzoli. Se il professore spiega e convince, bene, se non spiega e si appella alla gerarchia, ha fallito, e il fallimento è solo suo. dralig
  5. Evitando la versione primaria, che armonicamente è la più statica, e scegliendo di adottare una delle altre, armonicamente più varie, si può rispondere, come amava fare MCT, intonando un'aria operistica. In questo caso: "Questa o quella per me pari sono". dralig
  6. Si, certo. Spiegargli che il barré non esiste, è una fissazione dei chitarristi. Una corretta angolazione della mano sinistra rispetto al piano della tastiera (si ottiene collocando la falangetta del mignolo a 90° rispetto alle corde) fa depositare naturalmente la falangetta dell'indice non "a martello", ma "a spatola", ossia appoggiando (alla prima corda) non la punta del dito, ma la faccetta esterna del medesimo. Il dito rimane semiflesso, e la nocca si colloca (dal punto di vista di chi suona) all'interno del piano della tastiera. Tutto ciò si descrive come appoggio normale del dito indice sulle corde, anche su una sola, ed è già il cosiddetto e paventato barrè, che si adopera sempre e comunque. Tra i vantaggi offerti da questa "impostazione" (termine detestabile), c'è anche la possibilità di aprire la mano a ventaglio, in due sensi (cosa che l'impostazione con l'indice a martello impedisce) e di governare senza il minimo sforzo i primi cinque tasti. Da lì in poi, mantenendo il dito indice semiflesso, il contatto con la corda dal lato esterno (e non sul centro delle falangi) e la nocca "bassa", si può estendere applicandolo a due, tre, quattro, cinque e sei corde senza mai appiattire il dito a lingotto: questo è un errore molto grave, perché proiettando la nocca all'esterno del piano delle corde, si crea una forza antagonista rispetto a quella che occorre per premere (moderatamente, il necessario) le medesime. Tale forza antagonista condiziona pesantemente le altre dita, soprattutto il mignolo, che è messo praticamente fuori combattimento. Il barré a placca frontale si deve applicare solo sui tasti sovracuti, dove non è possibile fare altrimenti per via della tavola armonica. Una verifica molto semplice: senza chitarra, collocare la mano con polso flesso o semiflesso e con l'indice a lingotto (posizione tipica del barré tradizionale) e constatare lo sforzo necessario, nonché la posizione del mignolo, che scende obliquamente verso l'interno della mano, da dove non potrà esercitare alcuna pressione sulle corde; indi, effettuare una rotazione del polso in senso antiorario di circa 30°, facendogli assumere una posizione semiestesa: poi, constatare la diminuzione, anzi l'assenza di qualsiasi sforzo, la mancanza di trazione antagonistica a carico delle dita e la corretta discesa del mignolo rispetto all'ipotetico piano delle corde. La posizione semiflessa dell'indice che si osserva in tale posizione è quella del famigerato barré: diversamente, è sforzo inutile. dralig
  7. Il disco che ti interessa è stato registrato nel 2005 dall'organista Roberto Santocchi e s'intitola "Il canto dell'anima - 12 brani organistici di Giuseppe Rosetta". Per ottenerne una copia, che credo sia acquistabile, mettiti in contatto con Quality Audio, Vercelli (lancia Google e lo troverai come primo risultato): il CD l'ha prodotto questo studio per conto della città di Vercelli. dralig
  8. Ho appena ascoltato il CD, è bellissimo, sia per le composizioni che per la splendida qualità dell'organo e, ovviamente, per l'eccellenza dell'organista. dralig
  9. Non è il peggiore degli "attentati" che ho subito nel corso della mia carriera. Tutti senza conseguenze, se non quelle di far apparire l'attentatore per quello che effettivamente era, o è: di volta in volta un invidioso livido o, più semplicemente, un cretino maldestro. Solo noi stessi possiamo renderci ridicoli, e non me la sento di far la parte di Maramaldo chiamando alla sbarra un povero di spirito. dralig
  10. La mia domanda iniziale si appuntava sul perché le scale minori sono considerate prevalentemente nella modificazione melodica, anche - per per fare un esempio - in sede d'esame (oppure, si pensi alle scale di Segovia). Mi chiedevo il perché di questo "abbandono" della minore naturale, la quale - a mio avviso - meriterebbe un trattamento privilegiato perché le sue varianti (armonica, melodica...) sono di carattere soggettivo. Mentre solo la naturale ha dignità strutturale. PS: perché riserva di 9 suoni? ah no...certo..ho capito...semplicemente perchè la melodica contempla la naturale quando discende...si semplifica i 9 suoni...devi pensarli come una riserva... ok sul fatto che ciò che varia nel modo minore è solo il secondo tetracordo (sia naturale, armonica, melodica)? quindi il modo di la minore è: la si do re mi fa fa# sol sol# (la) nelle sue possibili combinazioni contempla tutte le alterazioni del modo naturale, armonico, melodico Dunque, riassumo per vedere se ho capito: è preferita la melodica perché quando discende è naturale, quindi la melodica è "di fatto" melodica+naturale. Qualcuno la chiamava scala minore mista. dralig
  11. In pdf non hai speranze: fotocopia la partitura (meglio tre o quattro copie) e poi lavora di forbici e di colla. Esistono programmi di riconoscimento del testo musicale da scanner usabili con Finale e Sibelius, ma funzionano poco sulle partiture complesse della musica per chitarra e, alla fine, impiegheresti più tempo nell'importazione e nell'editing che nel lavoro manuale. Ma non puoi chiedere all'autore o all'editore le parti? dralig
  12. Il sito è stato chiuso temporaneamente, e ha già riaperto, nascondendo i files incriminati con un trucco. Il moderatore mi ha comunicato che, per un riguardo speciale, i files delle mie composizioni saranno accessibili soltanto a cento partecipanti selezionati. Verrebbe da domandargli: di quale razza? Io dormo sonni tranquillissimi nonostante i download pirata delle mie composizioni. Anzi, arrivo a pensare che magari, tra i bucanieri, ci possano essere altri ottimi interpreti della mia musica, oltre a quelli che ci sono già. E poi, lo confesso, qualchevolta mi sono autopiratato, mandando a tizio e a caio scannerizzazioni (tra l'altro di qualità mediocre) delle mie opere pubblicate. Insomma, sono un pessimo affare per qualunque editore: non capisco perché non mi buttino fuori. dralig
  13. Da un punto di vista strumentale, forse, può non avere senso, come dici; ma almeno per l'orecchio le differenze sono notevoli. Del resto, armonicamente, una minore naturale è diversa dalla relativa maggiore. Insomma, io sto cercando di capire se c'è qualcosa di più, che non la semplice differenza di tastiera (per così dire), per preferire una minore melodica alla sua naturale. La differenza tra la scala minore naturale e la scala minore melodica (e ovviamente tra qualunque altro tipo di scala) è puramente musicale e, nella pratica dello strumentista, comporta soltanto differenze nelle diteggiature: suonare una scala minore melodica o naturale di uguale estensione non è né più facile né più difficile, richiede solo diteggiature diverse, ed è bene impararle tutte. Anzi, è bene imparare anche le principali scale modali. Le differenze musicali tra scala naturale e le sue modificazioni (armonica, melodica, napoletana, etc.) sono originate dalle diverse "espressioni" delle scale: quella naturale potè sembrare un po' debole agli autori classici per la mancanza di sensibile, e fu così che il settimo grado venne alzato di un semitono per creare la spinta verso la tonica. Nacque così la scala armonica, che però risultava ostica ai cantanti per via dell'intervallo di seconda eccedente tra sesto e settimo grado, e fu così che si decise di alzare di un semitono anche il sesto grado, e ne venne la scala melodica, facile da cantare e senza intervallo "arabo". Ma queste alterazioni servivano solo nei movimenti ascendenti verso la tonica, e non avevano motivo di sussistere nel percorso discendente, nel quale venne dunque ristabilita la scala minore naturale. Il tutto detto in forma molto semplificata e un po' fabulistica, ma sostanzialmente vera. I napoletani poi, piagnoni e sentimentali, che lacrimavano non solo se abbandonati dall'amata, ma anche per la perdita di un materasso, abbassarono anche il secondo grado. dralig
  14. Tempo fa, avevo già segnalato che nei siti di file exchange peer-to-peer circolano registrazioni di musiche per chitarra del secolo XIX attribuite al sottoscritto. Non sono mie. La mia attività concertistica è terminata nel 1981, e non ho mai registrato musiche dell'Ottocento. Tra l'altro, ne ho eseguite in concerto pochissime, e solo negli anni Cinquanta e Sessanta, senza mai registrarle. Si tratta di una falsa attribuzione che un malintenzionato ha creato, diffondendo nei siti di file exchange registrazioni scadenti, allo scopo di danneggiare la mia reputazione. Si tratta di un povero cretino, che non vale nemmeno la pena di perseguire legalmente. Tuttavia, recentemente, i file audio in questione sono stati ripresi da un forum chitarristico vietnamita http://lnt-guitar.com/forums/ al cui moderatore ho inviato un messaggio, precisando che le registrazioni non erano mie. Ho fatto rimbalzare il mio comunicato anche sulla newsgroup rec.music.classical.guitar, e lì le cose si sono un po' complicate, perché un noto editore statunitense, visitando il forum vietnamita, ha constatato che è zeppo di musica piratata, e ha intrapreso le azioni necessarie, che porteranno probabilmente alla chiusura del forum. Segnalo tutto ciò nel caso che qualcuno abbia effettuato dei download illeciti dal sito in questione. Spero che non ne seguano problemi. Io volevo solo rifiutare un'attribuzione falsa. Angelo Gilardino
  15. Magnifico dono, Massimo. Il Concerto di Porrino è stupendo, e la tua registrazione permetterebbe a molti di rendersene conto. Ho potuto, grazie alle ricerche effettuate nell'archivio Rai da Frédéric Zigante, ascoltare l'esecuzione di Mario Gangi con l'orchestra dell'Angelicum diretta dall'autore, ma pare che non sia disponibile per una pubblicazione in CD. dralig
  16. Invece di "buttarvi", avanzate ragionando. Volete suonare "Asturias"? Benissimo. Allora, prima cosa: procuratevi il testo pianistico originale e ascoltate qualche esecuzione (Alicia de Larrocha o, tra gli italiani, Maurizio Baglini), così vi renderete conto di quello che effettivamente Albéniz ha scritto. Tra l'altro, con una piccola ricerca, apprenderete che il titolo "Asturias", postumo e fasullo, fu appioppato da un editore tedesco al brano che Albéniz aveva intitolato "Preludio-Leyenda" e che, essendo concepito sulla falsariga delle "granadinas", non aveva nulla che fare con il folclore asturiano (figurarsi). Se, dopo la doverosa premessa pianistica, il vostro progetto di eseguire il pezzo con la chitarra permane, allora abbiate cura di scegliere la trascrizione migliore che, senz'ombra di dubbio, è quella del chitarrista anglo-americano Stanley Yates, armonicamente la più completa, la più rispettosa del dettato albeniziano e anche la più soddisfacente nel risultato sonoro. La troverete (gratis) nel sito: http://www.stanleyyates.com/scores/leyenda.html Albéniz volle mimare pianisticamente la chitarra. Non c'è niente di male, no, a imitare con la chitarra un pianoforte che imita una chitarra. Una pièce teatrale americana, da cui fu tratto un film di successo (Victor Victoria) raccontava spiritosamente la storia di un signore americano, macho e danaroso, che si era innamorato di una donna che fingeva di essere un uomo che fingeva di essere una donna. Alla fine, i conti tornarono, e non è detto che non debba essere così per "Leyenda". dralig
  17. Il lied è una composizione per voce e accompagnamento (generalmente pianistico, ma esistono magnifici esempi di lied accompagnati dall'orchestra). Per estensione, si può definire lied anche una composizione strumentale in cui l'aspetto "vocale" (anche se affidato a uno o più strumenti, invece che alla voce umana) è preminente. Esistono diverse forme di lied, e quella tripartita è una delle più comuni. Il lied ha avuto una grande fioritura nel Romanticismo musicale tedesco, soprattutto con Franz Schubert e Robert Schumann, che hanno musicato liriche di grandi poeti in lingua tedesca. Hanno scritto bellissimi lieder (lieder=plurale di lied) molti altri autori: per esempio Johannes Brahms, Hugo Wolf, Richard Strauss e, con accompagnamento orchestrale, Gustav Mahler e Arnold Schoenberg. In campo chitarristico, da Giuliani a Castelnuovo-Tedesco, esiste una pregevole letteratura liederistica. dralig
  18. giusto ma chi ci dice che stiamo parlando della stessa eredità? quando ad esempio nell'articolo, non si riconosce in Stockhausen e nella sua musica un Maestro? Concordo con Baricco quando sostiene che il mercato sarebbe oggi abbastanza maturo e dinamico per fare tranquillamente da solo. Concordo soprattutto nell'uso del condizionale. Sarebbe. Ma ancora non è. Contrariamene a quello librario, cinematografico, televisivo, artistico, la Musica gioca in svantaggio. Anzi. Gli manca tutta la difesa. Soprattutto in Italia dove la diffusione di Cultura Musicale è inesistente. Affermazione ideologica quindi quella di Baricco perchè al centro pone il sistema, non le eredità culturali. Ricalcando le orme di ciò che vorrebbe giustamente abbattere. E' questo il punto. Lo spettatore di oggi ha gli strumenti per decifrare le drammaturgie bustrofeliche di cui lo stesso Baricco si fa divulgatore (bello il libro ad esempio della scuola holden dedicato allo sviluppo delle non linearità nella recente produzione cinematografica), ma non ha la facoltà di seguire Stockhausen. In questo Sistema c'è qualcosa di molto più profondo che non vuole essere compreso, soltanto emarginato. Tranquillo, Fabio. La manovra è chiara: finora le sovvenzioni del FUS sono andate a istituzioni governate da esponenti della sinistra. Il governo Berlusconi le ha tagliate perché non vuole più finanziare un'egemonia culturale che, d'altra parte, non ha mai avuto concorrenti. Fiutato l'affare, qualcuno cerca di farsi avanti per dirottare verso altre mete il FUS, tagliando fuori baroni e agenzie, direzioni artistiche e segretariati. Che ciò succeda o meno, non cambierà nulla: ci sarà solo un avvicendamento di mezze tacche nella riscossione del denaro da distribuire agli amici. dralig
  19. Angelo Gilardino

    Chitarre Dieter Hopf

    Dusan Bogdanovic suona una chitarra di questo liutaio dal 1975, anno in cui vinse il concorso di Ginevra e gli fu data come parte del premio. Io l'ho ascoltato più volte e ho sempre avuto l'impressione che lo strumento fosse buono. Un dettaglio: la chitarra in questione monta una terza corda fasciata come i bassi. dralaig
  20. Sono sorpreso, e molto contento, perché non sapevo che esistesse un sito web dedicato a Carlo Terzolo, uno dei maestri della pittura piemontese del Novecento la cui opera ho sempre amato moltissimo. E' difficile rispondere alla domanda di Domenico Fadda, si rischia di cadere nella piemontesità. Però, osservando i dipinti che appaiono nel sito di Terzolo, tutto dovrebbe risultare chiaro - almeno lo spero. Una curiosità: la prima esecuzione di questo pezzo fu data da Mario Dell'Ara, in una delle sue rarissime esibizioni pubbliche, intorno al 1988-89. Lo chiamarono per un concerto celebrativo dell'orchestra mandolinistica di Asti, al quale egli doveva contribuire con l'esecuzione di un pezzo per chitarra sola, e scelse "Sera d'autunno" (Terzolo era molto amato ad Asti). Naturalmente, da buon piemontese, Dell'Ara cercò di trafugare la notizia dell'esecuzione: si guardò bene dall'informarmene prima, e non mi disse nulla nemmeno dopo, ma io venni a saperlo lo stesso (le solite spie...), e gli telefonai, fingendo di essere stato al corrente della notizia e di aver assistito in incognito all'esecuzione. Credo che ci sia cascato. In realtà, la prima volta che ascoltai il brano (prima l'avevo sempre e solo immaginato) fu al conservatorio di Alessandria, per mano di Christian Saggese (astigiano anche lui). dralig
  21. Andò a far visita nel loro covo, a Valencia, quando era ancora sconosciuto (intorno al 1914, credo), e l'incontro fu segnato dalla diffidenza dei chierichetti di Tarrega e dal suo disprezzo nei loro confronti. Invitato a suonare, invece di cercare di guadagnare le loro simpatie con il "Capricho Arabe", scavò un solco tra lui e loro, suonando la seconda delle "Deux Arabesques" di Debussy: come dire, voi siete dei rottami, e io sono l'uomo dell'avvenire. E' curioso il constatare come, in seguito, egli non abbia potuto evitare il formarsi, intorno a sé, di una parrocchia non certo migliore di quella tarreghiana, che lui aveva demolito. Ma sapeva bene con chi aveva che fare. Un aneddoto "personale": nel 1970, a fine settembre, suonò alle Settimane Musicali di Stresa. Io andai al concerto. Arrivai nel pomeriggio, insieme a due suoi devoti - da lui favoriti con largizioni di vario genere. Vollero andare a fargli visita prima del concerto, all'Hotel Borromeo e, nonostante io recalcitrassi, mi ci trascinarono. Ci fece aspettare due ore nella hall (stava studiando) e poi ci fece salire. All'ingresso della sua suite, io mi trattenni sulla soglia, e i due famuli gli si avvicinarono. Li trattò affabilmente, ma con distacco. Dopo cinque, buoni minuti di scodinzolamenti, finalmente uno dei due si decise a indicargli (la sua vista era ormai debolissima) il sottoscritto, in prudente attesa sulla soglia. Credeva di presentargli uno sconosciuto, e gli disse: "Maestro, è venuto a salutarLa anche Angelo Gilardino, un giovane chitarrista italiano...". Al che Segovia mi fece cenno di avvicinarmi e, dopo avermi stretto la mano con un confidenziale "Que tal, Angelo?", si volse al "presentatore" e, toccandosi la fronte con l'indice e con il medio giunti di piatto, gli disse "El hombre inteligente, miralo en la frente". Io sentii il pavimento mancarmi sotto i piedi, perché l'interessato aveva l'attaccatura dei capelli a due centimentri dalle sopracciglia. Pensai a una gaffe, ma non era così: li trattava per quello che erano. dralig
  22. Da quello che ho potuto comprendere studiando l'artista e, inevitabilmente, anche il carattere della persona, credo che alla base di tutto il comportamente del musicista ci sia stata la storia della sua formazione. Nell'infanzia, oltre a frequentare le scuole elementari, Segovia imparò - probabilissimamente fin dalla più tenera età - a suonare la chitarra flamenca. La rivelazione della chitarra classica gli giunse più tardi, credo intorno ai dieci-dodici anni, per mano di un chitarrista granadino che gli suonò alcuni Preludi di Tarrega. L'imprinting della sua lingua musicale fu dunque prima modale e poi tonale, ma insisterei sulla natura modale delle falsetas del cante jondo: fu probabilmente a quel fondamento, a quella pietra miliare, che egli rapportò per tutta la vita la sua percezione della musica, e anche l'affinamento successivo - se pur guidato da un intelletto sia musicale che generale di primissimo ordine - non giunse mai a disancorare, nella sua mente, i fenomeni musicali dalla nozione gravitazionale della scala frigia e, più tardi, del modo maggiore-minore. Non fu questione, quindi, di "che cosa", ma di "come". Ritengo - in scala estremamente riduzionistica, ma sostanzialmente vera - che tutto il suo far musica con la chitarra sia stato generato a partire da due o tre modalità del cante jondo: tutto il resto, compreso Bach, è stato da lui percepito ed elaborato a partire da quella radice. Che si sia trattato di una radice, di un nucleo originario inalienabile, lo si vede anche dai suoi gusti artistici fuori della musica: a Picasso, preferì sempre Santiago Rusinol, e a Lorca - con il quale ebbe familiarità negli anni giovanili trascorsi a Granada - preferì sempre Jiménez che, a differenza di Lorca, non sconfinava nel surrealismo e rimaneva ancorato a temi rurali, sia pure con potere di elaborazione metafisica. La sua polemica con gli allievi di Tarrega fu originata dalla consapevolezza della sua superiorità intellettuale e musicale, non da una radicale diversità di indole: mi riferisco naturalmente a Llobet che, in fatto di gusti musicali, era probabilmente persino più aperto e meno conservatore di Segovia. Il fatto è che era un pigro, un ipocondriaco rassegnato, mentre Segovia era un vincitore nato. dralig
  23. Non vorrei spingermi troppo oltre, ma io credo - ne ho più di un motivo - che, nelle scelte di repertorio novecentesco del Segovia anni Sessanta e oltre, non abbia giocato soltanto la restrizione dei tempi di studio (causata dall'immane carico di concerti e dai relativi viaggi), ma anche la sua - non sempre tacita - polemica nei riguardi della nuova musica. Scegliere di rinnovare Castelnuovo-Tedesco (Sonata, Capriccio, Tarantella) con Castelnuovo-Tedesco (Platero y yo), Moreno-Torroba (Sonatina, Piezas caracteristicas) con Moreno-Torroba (Castillos de Espana), poteva essere e sembrare una soluzione di comodo (stili già assimilati, etc.); non così, invece, potevano essere spiegate le scelte di autori nuovi e di opere nuove: come e perché Segovia rifiutasse la nuova musica risulta chiarissimo dal tipo di nuove proposte che egli avanzò, non solo in un'area qualitativamente garantita, qual era quella della "Suite Compostelana" di Mompou, ma anche, con spregiudicatezza, patrocinando lavoretti quali la "English Suite" di Duarte. Rimproverare Boulez di aver scritto musica "inutile" e, nello stesso tempo, registrare i pezzetti della Maria Esteban de Valera andava al di là di ogni limite, significava rivendicare, nei confronti del repertorio, un arbitrio totale, assoluto, e il diritto di ostentarne le conseguenze. Può sembrare un paradosso, ma io credo che, se non fosse stato offuscato dalla sua reiezione nei riguardi della nuova musica, Segovia avrebbe scelto, nel mare magnum del secondo Novecento, composizioni meno periclitanti e più sostanziose di quelle che portò al successo. Vediamo però che nemmeno il suo patrocinio è valso a innalzare la "English Suite" al di là del successo stagionale...Oggi ben pochi la ricordano. dralig
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